Un
libro
è costituito da un insieme di
fogli, stampati oppure manoscritti, delle stesse dimensioni, rilegati
insieme in un certo ordine e racchiusi da una copertina.
Il libro è il veicolo più diffuso del
sapere.
L'insieme delle opere stampate,
inclusi i libri, è detto letteratura. I libri sono pertanto opere
letterarie. Nella biblioteconomia e scienza dell'informazione un
libro è detto monografia, per distinguerlo dai periodici come
riviste, bollettini o giornali.
Un negozio che vende libri è detto
libreria, termine che in italiano indica anche il mobile usato per
conservare i libri. La biblioteca è il luogo usato per conservare e
consultare i libri. Google ha stimato che al 2010 sono stati stampati
approssimativamente 130 milioni di titoli diversi. Con la diffusione
delle tecnologie digitali e di Internet, ai libri stampati si è
affiancato l'uso dei libri elettronici, o e-book.
La parola italiana libro deriva dal
latino liber. Il vocabolo originariamente significava anche
"corteccia", ma visto che era un materiale usato per
scrivere testi (in libro scribuntur litterae, Plauto), in seguito per
estensione la parola ha assunto il significato di "opera
letteraria". Un'evoluzione identica ha subìto la parola greca
βιβλίον (biblìon): si veda l'etimologia del termine
biblioteca.
In inglese, la
parola "book" proviene dall'antico inglese "bōc"
che a sua volta si origina dalla radice germanica "*bōk-",
parola imparentata con "beech" (faggio).
Similmente, nelle lingue slave
(per es., russo, bulgaro) "буква" (bukva—"lettera")
è imparentata con "beech". In russo ed in serbo, altra
lingua slava, le parole "букварь" (bukvar') e
"буквар" (bukvar), si riferiscono rispettivamente ai
libri di testo scolastici che assistono gli alunni di scuola
elementare a imparare le tecniche della lettura e scrittura. Se ne
deduce che le prime scritture delle lingue indoeuropee possano esser
state intagliate su legno di faggio.[6] In maniera analoga, la parola
latina codex/codice, col significato di libro nel senso moderno
(rilegato e con pagine separate), originalmente significava "blocco
di legno".
La storia del libro segue una serie di
innovazioni tecnologiche che hanno migliorato la qualità di
conservazione del testo e l'accesso alle informazioni, la portabilità
e il costo di produzione. Essa è strettamente legata alle
contingenze economiche e politiche nella storia delle idee e delle
religioni.
Dall'invenzione nel 1456 della stampa a
caratteri mobili di Gutenberg, per più di quattro secoli l'unico
vero medium di massa è stata la «parola stampata».
La scrittura è la condizione per
l'esistenza del testo e del libro. La scrittura, un sistema di segni
durevoli che permette di trasmettere e conservare le informazioni, ha
cominciato a svilupparsi tra il VII e il IV millennio a.C. in forma
di simboli mnemonici diventati poi un sistema di ideogrammi o
pittogrammi attraverso la semplificazione. Le più antiche forme di
scrittura conosciute erano quindi principalmente logografiche. In
seguito è emersa la scrittura sillabica e alfabetica (o segmentale).
Quando i sistemi di scrittura furono
inventati furono utilizzati quei materiali che permettevano la
registrazione di informazioni sotto forma scritta: pietra, argilla,
corteccia d'albero, lamiere di metallo. Lo studio di queste
iscrizioni è conosciuto come epigrafia. La scrittura alfabetica
emerse in Egitto circa 5.000 anni fa. Gli antichi Egizi erano soliti
scrivere sul papiro, una pianta coltivata lungo il fiume Nilo.
Inizialmente i termini non erano separati l'uno dall'altro (scriptura
continua) e non c'era punteggiatura. I testi venivano scritti da
destra a sinistra, da sinistra a destra, e anche in modo che le linee
alternate si leggessero in direzioni opposte. Il termine tecnico per
questo tipo di scrittura, con un andamento che ricorda quello de
solchi tracciati dall'aratro in un campo, è "bustrofedica".
Una tavoletta può esser definita come
un mezzo fisicamente robusto adatto al trasporto e alla scrittura.
Le tavolette di argilla furono ciò che
il nome implica: pezzi di argilla secca appiattiti e facili da
trasportare, con iscrizioni fatte per mezzo di uno stilo
possibilmente inumidito per consentire impronte scritte. Furono
infatti usate come mezzo di scrittura, specialmente per il
cuneiforme, durante tutta l'Età del Bronzo e fino alla metà
dell'Età del Ferro
Le tavolette di cera erano assicelle di
legno ricoperte da uno strato abbastanza spesso di cera che veniva
incisa da uno stilo. Servivano da materiale normale di scrittura
nelle scuole, in contabilità, e per prendere appunti. Avevano il
vantaggio di essere riutilizzabili: la cera poteva essere fusa e
riformare una "pagina bianca". L'usanza di legare insieme
diverse tavolette di cera (romano pugillares) è un possibile
precursore dei libri moderni (cioè il codex, codice).
L'etimologia della parola
codex
(blocco di legno) fa presupporre
che potesse derivare dallo sviluppo delle tavolette di cera.
Il papiro, fatto di materiale spesso
simile alla carta che si ottiene tessendo insieme gli steli della
pianta di papiro, poi battendolo con un attrezzo simile al martello,
veniva utilizzato in Egitto per scrivere, forse già durante la Prima
dinastia, anche se la prima prova proviene dai libri contabili del re
Neferirkara Kakai della V dinastia egizia (circa 2400 a.C.).
I fogli di papiro venivano
incollati insieme a formare un rotolo (scrollo). Erano utilizzate
anche le cortecce di albero, come per esempio quelle della Tilia, e
altri materiali consimili.
Secondo Erodoto (Storie 5:58), i Fenici
portarono in Grecia la scrittura ed il papiro verso il X secolo o il
IX secolo a.C. La parola greca per papiro come materiale di scrittura
(biblion) e libro (biblos) proviene dal porto fenicio di Biblo, da
dove si esportava il papiro verso la Grecia. Dal greco deriva anche
la parola tomo (τόμος), che in origine significava una fetta o
un pezzo, e gradualmente cominciò a indicare "un rotolo di
papiro". Tomus fu usato dai latini con lo stesso significato di
volumen (vedi sotto anche la spiegazione di Isidoro di Siviglia).
Che fossero fatti di papiro, pergamena
o carta, i rotoli furono la forma libraria dominante della cultura
ellenistica, romana, cinese ed ebraica. Il formato di codex si
stabilì nel mondo romano nella tarda antichità, ma il rotolo
persistette molto più a lungo in Asia.
Nel V secolo, Isidoro di Siviglia
spiegò l'allora corrente relazione tra codex, libro e rotolo nella
sua opera Etymologiae (VI.13): "Un codex è composto da molti
libri; un libro è composto da uno scrollo. Viene chiamato codex per
metafora di un tronco (codex) d'albero o di vite, come se fosse un
ceppo di legno, poiché contiene una moltitudine di libri, come se
fossero rami." L'uso moderno differisce da questa spiegazione.
Un codice (in uso moderno) è il primo
deposito di informazioni che la gente riconosce come "libro":
fogli di dimensioni uniformi legati in qualche modo lungo uno dei
bordi, e in genere tenuti tra due copertine realizzate in un
materiale più robusto. La prima menzione scritta del codice come
forma di libro è fatta da Marziale (vedi sotto), nel suo Apophoreta
CLXXXIV alla fine del suo secolo, dove ne loda la compattezza.
Tuttavia, il codice non si guadagnò mai molta popolarità nel mondo
pagano ellenistico, e soltanto all'interno della comunità cristiana
ottenne grande diffusione.
Questo cambiamento avvenne
comunque molto gradualmente nel corso dei secoli III e IV, e le
ragioni per l'adozione del modello di codice sono molteplici: il
formato è più economico, in quanto entrambi i lati del materiale di
scrittura possono essere utilizzati, ed è portatile, ricercabile, e
facile da nascondere. Gli autori cristiani potrebbero anche aver
voluto distinguere i loro scritti dai testi pagani scritti su rotoli.
La storia del libro continua a
svilupparsi con la graduale transizione dal rotolo al codex,
spostandosi dal Vicino Oriente del II-II millennio a.C. al primo
periodo bizantino, durante il IV e V secolo d.C., quando la
diffusione del cristianesimo e del monachesimo cambiò in maniera
fondamentale il corso della storia libraria.
Fino al II secolo d.C., tutti i
patrimoni scritti venivano conservati sotto forma di rotoli (o
scrolli), alcuni di pergamena, ma la maggioranza di papiro.
All'arrivo del Medioevo, circa mezzo millennio dopo, i codici - di
foggia e costruzione in tutto simili al libro moderno - rimpiazzarono
il rotolo e furono composti principalmente di pergamena. Il rotolo
continuò ad esser usato per documenti e simili, scritture della
sorta che vengono ordinate in schedari o archivi, ma il codex ebbe
supremazia nella letteratura, studi scientifici, manuali tecnici, e
così via, scritture della sorta che vengono poste in biblioteche. Fu
un cambiamento che influì profondamente su tutti coloro che avevano
a che fare coi libri, dal lettore casuale al bibliotecario
professionale.
I primi riferimenti ai codici si
ritrovano su Marziale, in alcuni epigrammi, come quello del Libro
XIII pubblicato nell'anno 85/86 d.C.:
(LA)
«Omnis in hoc gracili Xeniorum turba libello / Constabit
nummis quattuor empta libri. / Quattuor est nimium? poterit
constare duobus, / Et faciet lucrum bybliopola Tryphon.» |
(IT)
«La serie degli Xenia raccolta in questo agile libretto ti
costerà, se la compri, quattro soldi. Quattro son troppi? Potrai
pagarli due, e Trifone il libraio ci farà il suo guadagno
comunque.» |
(Marziale XIII.3.1) |
Anche nei suoi distici, Marziale
continua a citare il codex: un anno prima del suddetto, una raccolta
di distici viene pubblicata con lo scopo di accompagnare donativi. Ce
n'è una, che porta il titolo "Le Metamorphoses di Ovidio su
Membranae" e dice:
(LA)
«OVIDI METAMORPHOSIS IN MEMBRANIS. Haec tibi, multiplici quae
structa est massa tabella, / Carmina Nasonis quinque decemque
gerit.» |
(IT)
«LE METAMORFOSI DI OVIDIO SU pergamena. Questa mole composta
da numerosi fogli contiene quindici libri poetici del Nasone» |
(Marziale XIV.192) |
Il libro antico
|
L'oggetto libro subì nel corso del tempo notevoli cambiamenti dal punto di vista materiale e strutturale. I più antichi esemplari di libro erano sotto forma di volumen o rotolo e per lo più scritti a mano su papiro. Dal II secolo a.C. compare un nuovo tipo di supporto scrittorio: la pergamena. Nel mondo antico non godette di molta fortuna a causa del prezzo elevato rispetto a quello del papiro. Tuttavia aveva il vantaggio di una maggiore resistenza e la possibilità di essere prodotto senza le limitazioni geografiche imposte dal clima caldo per la crescita del papiro. Il libro in forma di rotolo consisteva in fogli preparati da fibre di papiro (phylire) disposte in uno strato orizzontale (lo strato che poi riceveva la scrittura) sovrapposto ad uno strato verticale (la faccia opposta). I fogli così formati erano incollati gli uni agli altri lateralmente, formando una lunga striscia che poteva avere alle estremità due bastoncini (umbilici) sui quali veniva arrotolata. La scrittura era effettuata su colonne, generalmente sul lato del papiro che presentava le fibre orizzontali. Non si hanno molte testimonianze sui rotoli di pergamena tuttavia la loro forma era simile a quella dei libri in papiro. Gli inchiostri neri utilizzati erano a base di nerofumo e gomma arabica. Dal II secolo d.C. in poi comincia a diffondersi una nuova forma di libro, il codex o codice sia in papiro che in pergamena. La vecchia forma libraria a rotolo scompare in ambito librario. In forma notevolmente differente permane invece in ambito archivistico. Nel Medioevo si fanno strada alcune innovazioni: nuovi inchiostri ferro gallici e, a partire dalla metà del XIII secolo, la carta. Il prezzo molto basso di questo materiale, ricavato da stracci e quindi più abbondante della pergamena, ne favorisce la diffusione. Ma bisogna aspettare la seconda metà del XV secolo per incontrare il processo di stampa tradizionalmente attribuito ad un'invenzione del tedesco Gutenberg. Questo mezzo, permettendo l'accelerazione della produzione delle copie di testi contribuisce alla diffusione del libro e della cultura. |
La parola membranae, letteralmente
"pelli", è il nome che i romani diedero al codex di
pergamena; il dono che i citati distici dovevano accompagnare era
quasi sicuramente una copia dell'opera completa di Marziale, quindici
libri in forma di codice e non di rotolo, più comune in quell'epoca.
Altri suoi distici rivelano che tra i regali fatti da Marziale
c'erano copie di Virgilio, di Cicerone e Livio. Le parole di Marziale
danno la distinta impressione che tali edizioni fossero qualcosa di
recentemente introdotto.
Il codice si originò dalle tavolette
di legno che gli antichi per secoli avevano usato per scrivere
annotazioni. Quando c'era bisogno di più spazio di quello offerto da
una singola tavoletta, gli scribi ne aggiungevano altre, impilate una
sopra all'altra e legate insieme con una corda che passava nei buchi
precedentemente forati su uno dei margini: si otteneva così un
"taccuino". Sono stati rinvenuti "taccuini"
contenenti fino a dieci tavolette. Nel tempo, furono anche
disponibili modelli di lusso fatti con tavolette di avorio invece che
di legno. I romani chiamarono tali tavolette col nome di codex e solo
molto più tardi questo termine acquisì il senso che attualmente gli
diamo. Ad un certo punto i romani inventarono un taccuino più
leggero e meno ingombrante, sostituendo legno o avorio con fogli di
pergamena: ponevano due o più fogli insieme, li piegavano nel mezzo,
li bucavano lungo la piega e ci passavano dentro una cordicella per
tenerli (ri) legati. Il passo fu breve dall'usare due o tre fogli
come taccuino al legarne insieme una certa quantità per trascrivere
testi estesi - in altre parole, creando un codex nel senso proprio
che usiamo oggigiorno.
Ai romani va il merito di aver compiuto
questo passo essenziale, e devono averlo fatto alcuni decenni prima
della fine del I secolo d.C., dato che da allora, come ci dimostrano
i distici di Marziale, divennero disponibili a Roma le edizioni di
autori comuni in formato codex, sebbene ancora una novità. Poiché
Roma era il centro del commercio librario di libri in latino, si può
certamente concludere che la produzione di tali edizioni si
originasse da questa città. Il grande vantaggio che offrivano
rispetto ai rolli era la capienza, vantaggio che sorgeva dal fatto
che la facciata esterna del rotolo era lasciata in bianco, vuota. Il
codice invece aveva scritte entrambe le facciate di ogni pagina, come
in un libro moderno.
(LA)
«Quam brevis inmensum cepit membrana Maronem! Ipsius vultus
prima tabella gerit.» |
(IT)
«Quanto è piccola la pergamena che raccoglie tutto Virgilio!
La prima pagina porta il volto del poeta.» |
(Marziale XIV.186) |
Così si meravigliava Marziale in uno
dei suoi epigrammi: l'Eneide da sola avrebbe richiesto almeno quattro
o più rotoli.
I codici di cui parlava erano fatti di
pergamena; nei distici che accompagnavano il regalo di una copia di
Omero, per esempio, Marziale la descrive come fatta di "cuoio
con molte pieghe". Ma copie erano anche fatte di fogli di
papiro. In Egitto, dove cresceva la pianta del papiro ed era centro
della sua manifattura per materiale scrittorio, il codex di tale
materiale era naturalmente più comune della pergamena: tra le
migliaia di frammenti di scrittura greca e latina rinvenuti tra le
sabbie egiziane, circa 550 sono di codici e appena più del 70% di
questi sono fatti di papiro.
Si presume inoltre che il codice
papiraceo fosse maggiormente comune anche fuori dell'Egitto. Quando i
greci ed i romani disponevano solo del rotolo per scrivere libri, si
preferiva usare il papiro piuttosto che la pergamena. È quindi
logico credere che la stessa preferenza venisse usata per il codex
quando questo divenne disponibile.
I ritrovamenti egiziani ci permettono
di tracciare il graduale rimpiazzo del rotolo da parte del codice.
Fece la sua comparsa in Egitto non molto dopo il tempo di Marziale,
nel II secolo d.C., o forse anche prima, alla fine del I secolo. Il
suo debutto fu modesto. A tutt'oggi sono stati rinvenuti 1.330
frammenti di scritti letterari e scientifici greci, databili al primo
e secondo secolo; sono tutti su rotolo, eccetto poco meno di venti,
appena l'1,5%, su codici. Nel terzo secolo la percentuale aumenta
dall'1,5% a circa il 17%; chiaramente il codex stava ottenendo
successo. Verso il 300 d.C. la percentuale si alza fino al 50% - una
parità col rotolo che si riflette in certe rappresentazioni che
mostrano un uomo che tiene in mano un rotolo vicino ad un altro che
tiene un codice. Entro il 400 d.C. arriva all'80% e nel 500 a 90%. Il
rotolo comunque aveva ancora parecchi secoli davanti a sé, ma solo
per documenti; quello che la gente leggeva per piacere, edificazione
o istruzione era praticamente tutto su codici.
I ritrovamenti egiziani gettano luce
anche sulla transizione del codex dal papiro alla pergamena. In
teoria, in Egitto, terra ricca di pianta di papiro, il codice
papiraceo avrebbe dovuto regnar supremo, ma non fu così: il codice
di pergamena appare in zona allo stesso tempo di quello di papiro,
nel II secolo d.C. Sebbene gli undici codici della Bibbia datati in
quel secolo fossero papiracei, esistono circa 18 codici dello stesso
secolo con scritti pagani e quattro di questi sono in pergamena.
Inoltre, alcune interessanti
informazioni vengono fornite da una lettera dell'epoca, rinvenuta in
un villaggio egiziano - un figlio scrive al padre che
«Deios venne da noi e ci mostrò i sei codici di pergamena. Non ne scegliemmo alcuno, ma ne raccogliemmo altri otto per i quali gli diedi 100 dracme in conto.» |
Deios, a quanto pare un libraio
ambulante, voleva vendere una quantità di almeno quattordici codici
di pergamena, che interessavano un residente del villaggio egiziano.
Il codex tanto apprezzato da Marziale aveva quindi fatto molta strada
da Roma.
Nel terzo secolo, quando tali codici
divennero alquanto diffusi, quelli di pergamena iniziarono ad essere
popolari. Il numero totale di codici sopravvissuti correntemente
ammontano a più di cento; almeno 16 di questi sono di pergamena,
quindi il 16%. Nel quarto secolo la percentuale si alza al 35% - di
circa 160 codici, almeno 50 sono di pergamena - e rimane allo stesso
livello nel V secolo. In breve, anche in Egitto, la fonte mondiale
del papiro, il codice di pergamena occupava una notevole quota di
mercato.
I codici più antichi che sono
sopravvissuti fuori dall'Egitto risalgono al quarto e quinto secolo
d.C. e sono pochi - diversi per la Bibbia, alcuni di Virgilio, uno di
Omero e poco altro. Sono tutti di pergamena, edizioni eleganti,
scritti in elaborata calligrafia su sottili fogli di pergamena. Per
tali edizioni di lusso il papiro era certamente inadatto.
In almeno un'area, la giurisprudenza
romana, il codex di pergamena veniva prodotto sia in edizioni
economiche che in quelle di lusso. Titoli di compilazioni celebri, il
Codice teodosiano promulgato nel 438, ed il Codice giustinianeo
promulgato nel 529, indicano che gli imperatori li facevano scrivere
su codici, sicuramente di pergamena dato che erano più duraturi e
più capienti e inoltre di ottima qualità, dato che erano prodotti
sotto l'egida dell'imperatore. Dall'altro lato, basandoci sulle
annotazioni di Libanio, intellettuale del IV secolo che nelle sue
molteplici attività faceva anche l'insegnante di legge, si apprende
che i libri di testo dei suoi studenti erano codici di pergamena. Le
ragioni erano buone: la pergamena poteva resistere a maltrattamenti
vari, il codice poteva venir consultato velocemente per riferimenti
giuridici, sentenze e giudizi, e così via. La pergamena usata doveva
certo essere di bassa qualità, con pelli così spesse da far piegare
le ginocchia agli allievi che le trasportavano. Il peso era però un
altro fattore d'importanza, per le attività fuori di classe:
servivano per le lotte tra studenti e i libri venivano usati al posto
dei sassi.
La caduta dell'Impero romano nel V
secolo d.C., vide il declino della cultura della Roma antica. Il
papiro divenne difficile da reperire a causa della mancanza di
contatti con l'Antico Egitto e la pergamena, che per secoli era stata
tenuta in secondo piano, divenne il materiale di scrittura
principale.
I monasteri continuarono la tradizione
scritturale latina dell'Impero romano d'Occidente. Cassiodoro, nel
Monastero di Vivario (fondato verso il 540), enfatizzò l'importanza
della copiatura dei testi.
Successivamente, anche Benedetto
da Norcia, nella sua Regula Monachorum (completata verso la metà del
VI secolo) promosse la lettura.
La Regola di San Benedetto (Cap.
XLVIII), che riserva certi momenti alla lettura, influenzò
fortemente la cultura monastica del Medioevo ed è uno dei motivi per
cui i chierici divennero i maggiori lettori di libri. La tradizione e
lo stile dell'Impero romano predominava ancora, ma gradualmente
emerse la cultura del libro medievale.
I monaci irlandesi introdussero la spaziatura tra le parole nel VII secolo. Essi adottarono questo sistema perché leggevano con difficoltà le parole latine. L'innovazione fu poi adottata anche nei Paesi neolatini (come l'Italia), anche se non divenne comune prima del XII secolo. Si ritiene che l'inserimento di spazi tra le parole abbia favorito il passaggio dalla lettura semi-vocalizzata a quella silenziosa.
I monaci irlandesi introdussero la spaziatura tra le parole nel VII secolo. Essi adottarono questo sistema perché leggevano con difficoltà le parole latine. L'innovazione fu poi adottata anche nei Paesi neolatini (come l'Italia), anche se non divenne comune prima del XII secolo. Si ritiene che l'inserimento di spazi tra le parole abbia favorito il passaggio dalla lettura semi-vocalizzata a quella silenziosa.
Prima dell'invenzione e della
diffusione del torchio tipografico, quasi tutti i libri venivano
copiati a mano, il che li rendeva costosi e relativamente rari. I
piccoli monasteri di solito possedevano al massimo qualche decina di
libri, forse qualche centinaio quelli di medie dimensioni. In Età
carolingia le più grandi collezioni raccoglievano circa 500 volumi;
nel Basso Medioevo la biblioteca pontificia di Avignone e la
biblioteca della Sorbona di Parigi possedevano circa 2.000 volumi.
Il processo della produzione di un
libro era lungo e laborioso. Il supporto di scrittura più usato
nell'Alto Medioevo, la pergamena, o vellum (pelle di vitello), doveva
essere preparato, poi le pagine libere venivano pianificate e rigate
con uno strumento appuntito (o un piombo), dopo di che il testo era
scritto dallo scriba, che di solito lasciava aree vuote a scopo
illustrativo e rubricativo. Infine, il libro veniva rilegato dal
rilegatore. Le copertine erano fatte di legno e ricoperte di cuoio.
Poiché la pergamena secca tende ad assumere la forma che aveva prima
della trasformazione, i libri erano dotati di fermagli o cinghie.
In quest'epoca si usavano differenti
tipi di inchiostro, usualmente preparati con fuliggine e gomma, e più
tardi anche con noce di galla e solfato ferroso. Ciò diede alla
scrittura un colore nero brunastro, ma nero o marrone non erano gli
unici colori utilizzati. Esistono testi scritti in rosso o
addirittura in oro, e diversi colori venivano utilizzati per le
miniature. A volte la pergamena era tutta di colore viola e il testo
vi era scritto in oro o argento (per esempio, il Codex Argenteus).
Per tutto l'Alto Medioevo i libri
furono copiati prevalentemente nei monasteri, uno alla volta. Con
l'apparire delle università, la cultura del manoscritto dell'epoca
portò ad un aumento della richiesta di libri e si sviluppò quindi
un nuovo sistema per la loro copiatura. I libri furono divisi in
fogli non legati (pecia), che furono distribuiti a differenti
copisti; di conseguenza la velocità di produzione libraria aumentò
notevolmente. Il sistema venne gestito da corporazioni laiche di
cartolai, che produssero sia materiale religioso che profano. Nelle
prime biblioteche pubbliche i libri venivano spesso incatenati ad una
libreria o scrivania per impedirne il furto. Questi libri furono
chiamati libri catenati. Tale usanza perdurò fino al XVIII
secolo.Vedi illustrazione a margine
L'ebraismo ha mantenuto in vita l'arte
dello scriba fino ad oggi. Secondo la tradizione ebraica, il rotolo
della Torah posto nella sinagoga deve esser scritto a mano su
pergamena e quindi un libro stampato non è permesso, sebbene la
congregazione possa usare libri di preghiere stampati e copie della
Bibbia ebraica possano esser utilizzate per studio fuori della
sinagoga. Lo scriba ebraico (sofer) è altamente rispettato
nell'ambito della comunità ebraica osservante.
Anche gli arabi produssero e rilegarono
libri durante il periodo medievale islamico, sviluppando tecniche
avanzate di calligrafia araba, miniatura e legatoria. Un certo numero
di città del mondo islamico medievale furono sede di centri di
produzione libraria e di mercati del libro. Marrakech, in Marocco,
ebbe una strada denominata Kutubiyyin, o "venditori di libri",
sulla quale nel XII secolo si affacciavano più di 100 librerie; la
famosa Moschea Koutoubia è così chiamata a causa della sua
posizione in quella strada.
Il mondo islamico medievale utilizzò
anche un metodo di riproduzione di copie affidabili in grandi
quantità noto come "lettura di controllo", in contrasto
con il metodo tradizionale dello scriba che, da solo, produceva una
copia unica di un manoscritto unico. Col metodo di controllo, solo
"gli autori potevano autorizzare le copie, e questo veniva fatto
in riunioni pubbliche, in cui il copista leggeva il testo ad alta
voce in presenza dell'autore, il quale poi la certificava come
precisa". Con questo sistema di lettura controllata, "un
autore poteva produrre una dozzina o più copie di una data lettura
e, con due o più letture, più di cento copie di un singolo libro
potevano essere facilmente prodotte."
In xilografia, un'immagine a
bassorilievo di una pagina intera veniva intarsiata su tavolette di
legno, inchiostrata e usata per stampare le copie di quella pagina.
Questo metodo ebbe origine in Cina, durante la Dinastia Han (prima
del 220 a.C.), per stampare su tessili e successivamente su carta, e
fu largamente usato in tutta l'Asia orientale. Il libro più antico
stampato con questo sistema è il Sutra del Diamante (868 d.C.).
Questo metodo (chiamato "intaglio"
quando lo si usa in arte) arrivò in Europa agli inizi del XIV secolo
fu adoperato per produrre libri, carte da gioco e illustrazioni
religiose. Creare un libro intero era però un compito lungo e
difficile, che richiedeva una tavoletta intagliata a mano per ogni
pagina, e le tavolette spesso si crepavano se tenute oltre un certo
tempo. I monaci o altri che le scrivevano, venivano pagati
profumatamente.
L'inventore cinese Bi Sheng realizzò
caratteri mobili di terracotta verso il 1045, ma non esistono esempi
sopravvissuti della sua stampa. Intorno al 1450, in quello che viene
comunemente considerata come un'invenzione indipendente, il tedesco
Johannes Gutenberg inventò i caratteri mobili in Europa, insieme
allo stampo per la fusione in metallo dei caratteri per ciascuna
delle lettere dell'alfabeto latino. Questa invenzione gradualmente
rese i libri meno laboriosi e meno costosi da produrre e più
ampiamente disponibili. La stampa è una delle prime e più
importanti forme di produzione in serie.
I primi libri stampati, i singoli fogli
e le immagini che furono creati prima del 1501 in Europa, sono noti
come incunaboli.
«Un uomo nato nel 1453, l'anno della caduta di Costantinopoli, poteva guardarsi indietro dal suo cinquantesimo anno di una vita in cui circa otto milioni di libri erano stati stampati, forse più di tutto quello che gli scribi d'Europa avevano prodotto dal momento che Costantino aveva fondato la sua città nel 330 d.C.» |
Le macchine da stampa a vapore
diventarono popolari nel XIX secolo. Queste macchine potevano
stampare 1.100 fogli l'ora, ma i tipografi erano in grado di
impostare solo 2.000 lettere l'ora.
Le macchine tipografiche monotipo e
linotipo furono introdotte verso la fine del XIX secolo. Potevano
impostare più di 6.000 lettere l'ora e una riga completa di
caratteri in maniera immediata.
I secoli successivi al XV videro quindi
un graduale sviluppo e miglioramento sia della stampa, sia delle
condizioni di libertà di stampa, con un relativo rilassamento
progressivo delle legislazioni restrittive di censura. A metà del XX
secolo, la produzione libraria europea era salita a oltre 200.000
titoli all'anno.
Nella seconda metà del XX secolo la
tecnologia informatica ha reso possibile con la diffusione di libri
in formato elettronico, poi chiamati eBook o e-book (da electronic
book) ,una rivoluzione in quanto come ha evidenziato il bibliofilo
Nick Carr dalle caratterestiche della carta stampata ovvero : fissità
della pagina, fissità dell'edizione ,fissità dell'oggetto ,fissità
della realizzazione , si passa alla : fluidità della pagina,
fluidità dell'edizione, fluidità del contenitore , fluidità della
crescita. Nel 1971 nasce il Progetto Gutenberg, lanciato da Michael
S. Hart, la prima biblioteca di versioni elettroniche liberamente
riproducibili di libri stampati. L'uso degli eBook al posto dei libri
stampati si è tuttavia diffuso solo all'inizio del XXI secolo.
I libri a stampa sono prodotti
stampando ciascuna imposizione tipografica su un foglio di carta. Le
dimensioni del foglio hanno subìto variazioni nel tempo, in base
alle capacità delle presse (dei torchi). Il foglio stampato viene
poi opportunamente piegato per ottenere un fascicolo o segnatura di
più pagine progressive. Le varie segnature vengono rilegate per
ottenere il volume. L'apertura delle pagine, specialmente nelle
edizioni in brossura, era di solito lasciata al lettore fino agli
anni sessanta del XX secolo, mentre ora le segnature vengono rifilate
direttamente dalla tipografia.
Nei libri antichi il formato dipende
dal numero di piegature che il foglio subisce e, quindi, dal numero
di carte e pagine stampate sul foglio.
Nei libri moderni il formato è dato
dall'altezza in centimetri, misurata al frontespizio, entro un minimo
e un massimo convenzionalmente stabilito.
Il termine "tascabile"
riferito al libro rappresenta un concetto commerciale e identifica
libri economici stampati in sedicesimo, la cui diffusione, a partire
dall'ultimo Ottocento (ma soprattutto nella seconda metà del XX
secolo), ha permesso un notevole calo dei prezzi. Sostanzialmente -
sia per il formato, sia per l'economicità - esso trova precedenti
nella storia del libro anteriore alla stampa, già a partire
dall'antichità (il "libro che sta in una mano": nel mondo
greco encheiridion, in quello latino i pugillares, nel Medioevo il
libro da bisaccia).
In ordine alfabetico:
Le "carte di guardia", o
risguardi, o sguardie, sono le carte di apertura e chiusura del libro
vero e proprio, che collegano materialmente il corpo del libro alla
coperta o legatura. Non facendo parte delle segnature, non sono mai
contati come pagine.
La loro utilità pratica è evidente in
libri cartonati, o rilegati in tela, pelle o pergamena, dove aiutano
a tenere unita la coperta rigida al blocco del libro. Nel libro
antico le sguardie, poste a protezione delle prime pagine stampate o
manoscritte del testo, contribuiscono a tenerlo insieme alla
copertina con spaghi o fettucce passanti nelle cuciture al dorso; nel
libro moderno è invece la garza che unisce i fascicoli alla
copertina. Si chiama "controguardia" la carta che viene
incollata su ciascun "contropiatto" (la parte interna del
"piatto") della coperta, permettendone il definitivo
ancoraggio.
Le sguardie sono solitamente di carta
diversa da quella dell'interno del volume e possono essere bianche,
colorate o decorate con motivi di fantasia (nei libri antichi erano
marmorizzate). Nei libri antichi di lusso, possono essere in numero
variabile, da due a quattro (raramente di più), sia all'inizio sia
alla fine.
Nei libri in brossura e negli opuscoli
i risguardi solitamente mancano, ma è spesso presente una singola
carta di guardia in principio e in fine.
Il colophon o colofone, che chiude il
volume, riporta le informazioni essenziali sullo stampatore e sul
luogo e la data di stampa. In origine nei manoscritti era costituito
dalla firma (o subscriptio) del copista o dello scriba, e riportava
data, luogo e autore del testo; in seguito fu la formula conclusiva
dei libri stampati nel XV e XVI secolo, che conteneva, talvolta in
inchiostro rosso, il nome dello stampatore, luogo e data di stampa e
l'insegna dell'editore. Sopravvive ancor oggi, soprattutto con la
dicitura Finito di stampare.
Di norma i fascicoli che costituiscono
il libro vengono tenuti insieme da un involucro detto appunto
'"coperta" o "copertina", è la parte più
esterna del libro spesso rigida e illustrata. La più antica
copertina illustrata oggi conosciuta ricoprì le Consequentiae di
Strodus, libretto stampato a Venezia da Bernardo da Lovere nel 1484.
Usata raramente fino a tutto il Settecento (quando solitamente
l'editore vendeva i libri slegati o applicava una semplice copertina
di protezione, che veniva poi gettata dal legatore) divenne molto
popolare a partire dai primi anni dell'Ottocento, forse su impulso
degli stampatori Brasseur di Parigi.
Nel libro antico poteva essere
rivestita di svariati materiali: pergamena, cuoio, tela, carta e
costituita in legno o cartone. Poteva essere decorata con impressioni
a secco o dorature. Ciascuno dei due cartoni che costituiscono la
copertina viene chiamato piatto. I piatti hanno dimensioni
leggermente più ampie rispetto al corpo del volume. La parte che
sporge oltre il margine dei fogli è chiamata
unghiatura, o unghia o
cassa. Essa è anche realizzata nelle segnature (fogli piegati) per
facilitare la raccolta o l'assemblaggio di un opuscolo.
Nel libro moderno la coperta è
costituita dai due piatti e da un "dorso", per le
cosiddette copertine rigide ("legature a cartella" o
"Bradel" o "cartonato"), oppure da un cartoncino
più o meno spesso che, opportunamente piegato lungo la linea del
dorso, abbraccia il blocco delle carte. In quest'ultimo caso si parla
di
brossura
e l'unghiatura è assente.
Nata con funzioni prettamente pratiche
quali la protezione del blocco delle carte e il permetterne la
consultabilità, la coperta assume nel tempo funzioni e significati
diversi, non ultimo quello estetico e rappresentativo. Nel XIX secolo
la coperta acquista una prevalente funzione promozionale. Con la
meccanizzazione e la diffusione dell'industria tipografica vengono
introdotti altri tipi di legature e coperte, più economiche e adatte
alle lavorazioni automatiche.
Il cartonato si diffonde nel XIX
secolo, preferito per economicità, robustezza e resa del colore. Ha
caratterizzato a lungo l'editoria per l'infanzia e oggi, ricoperto da
una "sovraccoperta", costituisce il tratto caratteristico
delle edizioni maggiori. Modernamente la brossura è un sistema di
legatura in cui i fascicoli o segnature vengono fresate dal lato del
dorso e i fogli sciolti vengono incollati a una striscia di tela o
plastica sempre al dorso (cosiddetta "brossura fresata").
Le "alette" o "bandelle"
(comunemente dette "risvolti di copertina") sono le
piegature interne della copertina o della sovraccoperta (vedi infra).
Generalmente vengono utilizzate per una succinta introduzione al
testo e per notizie biografiche essenziali sull'autore.
La "prima di copertina" o
"copertina anteriore" o "piatto superiore" è la
prima faccia della copertina di un libro. Di norma, riporta le
indicazioni di titolo e autore.
La "quarta di copertina" o
"copertina posteriore" o "piatto inferiore" è
l'ultima faccia della copertina, usata oggi a scopo promozionale.
Solitamente riporta notizie sull'opera e sull'autore, nonché il
codice ISBN e il prezzo del volume (se non è indicato nel risvolto
di copertina).
I libri con copertina cartonata in
genere sono rivestiti da una "sovraccoperta". Ha di solito
la funzione di reclamizzare il libro, per cui riporta i dati
essenziali dell'opera ed è sempre a colori ed illustrata. La
sovracopertina è stampata, nella maggior parte dei casi, solo
sull'esterno.
I tre margini esterni del libro, cioè
la superficie presentata dai fogli in un volume chiuso, si chiamano
"tagli". Essi sono detti: "superiore" (o di
"testa"); il taglio esterno è detto "davanti" (o
"concavo"); il taglio inferiore è detto "piede".
Dal punto di vista industriale, il taglio di testa è, con la
cucitura, il lato più importante di un libro in quanto determina il
registro frontale della macchina da stampa. I tagli possono essere al
naturale, decorati o colorati in vario modo. In questi ultimi casi,
si parla di "taglio colore", nel passato usati per
distinguere i libri religiosi o di valore dalla restante produzione
editoriale, utilizzando una spugna imbevuta di inchiostri all'anilina
(anni 70-80 del XX secolo). Dalla fine degli anni novanta vengono
svolti in labbratura con colori a base d'acqua.
Il "dorso" o "costa"
o "costola" del libro è la parte della copertina che copre
e protegge le pieghe dei fascicoli, visibile quando il volume è
posto di taglio (ad esempio su una scaffalatura). Riporta solitamente
titolo, autore, e editore del libro.
L'"ex libris" è un foglietto
che veniva (e talvolta viene ancora) incollato all'interno della
copertina di un libro per indicarne, con uno stemma araldico o
un'immagine simbolica, il proprietario. Sovente riporta un motto.
Nel libro moderno, la "fascetta"
è la striscia di carta, applicata trasversalmente alla copertina del
libro, utilizzata per riportare slogan pubblicitari destinati a
sottolineare il successo del libro. Assente nel libro antico.
Il "frontespizio" è la
pagina pari, di solito la prima (o la terza) di un libro, che
presenta le informazioni più complete sul libro stesso.
I primi incunaboli e manoscritti non
avevano il frontespizio, ma si aprivano con una carta bianca con
funzione protettiva. Introdotto alla fine del Quattrocento, il
frontespizio aveva la forma di un occhiello o di un incipit, quindi
si arricchì di elementi decorativi come cornici xilografiche. Nel
XVII secolo cede la parte decorativa all'antiporta e vi compaiono le
indicazioni di carattere pubblicitario riferite all'editore, un tempo
riservate al colophon. In epoca moderna, le illustrazioni e parte
delle informazioni si sono trasferite sulla copertina o sulla
sovraccoperta e altre informazioni nel verso del frontespizio.
Nel libro antico i "nervi"
sono i supporti di cucitura dei fascicoli generalmente in corda,
cuoio, pelle allumata o, più recentemente, fettuccia. I nervi
possono essere lasciati a vista (e messi in evidenza attraverso la
"staffilatura"), oppure nascosti in modo da ottenere un
dorso liscio. Nel libro moderno i nervi sono di norma finti, apposti
per imitare l'estetica del libro antico e conferire importanza al
libro.
L'"occhiello" (o occhietto) è
una pagina con un titolo (spesso della serie o collana) che precede
il frontespizio. Nei libri suddivisi in più parti, si possono avere
occhietti intermedi.
Un libro spesso è arricchito di
figure. Se esse fanno parte integrante del testo sono chiamate
illustrazioni. Se invece sono fuori testo, cioè vengono stampate a
parte e sono unite al libro in un secondo tempo, vengono chiamate
tavole. Esse hanno una numerazione di pagina distinta da quella del
testo; vengono impresse su una carta speciale, quasi sempre una carta
patinata.
Il valore di un libro non è dato dal
solo costo di produzione, c’è innanzitutto da considerare che il
libro è un’opera dell’ingegno. In quanto bene creativo, il libro
riflette un valore identitario di natura sociale e collettiva,
segnando una collettività; si può perciò considerare un prodotto
simbolico.
- Il valore economico che è dato dal prezzo a cui viene venduto sul mercato e cioè dalla attribuzione di utilità, importanza, valore da parte degli individui o mercati.
- Il valore relazionale è il legame che il libro è in grado di creare tra editore, autore e lettore ma anche tra titoli di una stessa collana.
- Il valore identitario permette al lettore di immedesimarsi e sentirsi parte della storia fino a riconoscersi nell'opera stessa.
- Il valore culturale di cui il libro si fa carico permette che la cultura assuma diversi punti di vista.
- Il valore di status può riguardare sia l’autore che il lettore dell’opera, aver letto o non aver letto un determinato libro può contribuire a creare una certa reputazione.
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