Amplio una risposta a una domanda che ho dato qualche tempo fa, aggiungendo una premessa: il mercato dell’editoria avrà sempre bisogno di libri per funzionare e dobbiamo allontanarci dall’idea che solo i grandi scrittori pubblicano. Mi dispiace dirlo così, ma diciamo che per pubblicare non bisogna essere i novelli Joyce, anche se tutti sperano di esserlo.
Certo bisogna essere credibili e soprattutto dimostrare di essere competenti. Ma bisogna capire anche che cosa si intende con “essere uno scrittore”.
Forse al giorno d’oggi è un po’ vaga come professione: i giornalisti, ad esempio, non sono scrittori? E d'altro canto basta scrivere libri per essere scrittori? Ci sono imprenditori che pubblicano libri, o anzi persino libri sulle storie delle aziende: i loro autori sono per queso scrittori? No, palesemente si tratta di marketing.
Sicuramente la differenza risiede nella professionalità. Senza aver pubblicato un libro o dimostrare a tutti i costi di essere un topo di biblioteca, significa almeno restare al passo con le tecnologie e con i tempi, per dimostrare al colloquio con un editore di non avere portato semplicemente un manoscritto, ma il risultato di un lavoro professionale costante.
Insomma, per cominciare ad essere scrittori potrebbe essere un bene fare così:
  • Avere un blog curato su cui si pubblica regolarmente, almeno su base settimanale.
  • Avere un tema preciso. Scrivere di qualunque cosa ci passa per la mente, dalla politica al commento di fatti accaduti al cinema, è molto vago e non fa sembrare impegnati ma scrittori occasionali.
  • Avere una mailing list di contatti a cui inviare i pezzi pubblicati in maniera molto discreta, senza che li cerchino sul blog.
  • Aggiornare di conseguenza i propri profili social. È un po’ banale ma probabilmente converrebbe fare un account Twitter, anche se lì la userbase o punta solo ad accrescere il numero di fan senza badare ai contenuti o è fatta da spam. Probabilmente LinkedIn sarebbe un posto dove pubblicare i pezzi, ovviamente se inerenti ai temi del network. Ad esempio, va bene pubblicare pezzi di politica o di storia magari recente, ma non storielle o che.
C'è chi dirà che anziché tirarsi addosso la fatica di fare un blog (che comunque sono tutte ottime competenze da acquisire) si può aprire un account su Medium, che per dirla semplice è come WattPad ma viene usato da gente più seriosa (non ho ancora trovato fan fiction o storielle varie). Medium è stato ideato dal fondatore di Twitter e ha alcune meccaniche simili, la più visibile delle quali è la possibilità di seguire e taggare gli utenti. Crescere il proprio profilo Medium e diventare seguiti può essere un’ottima cosa.
Se però punti anche ad esempio a racimolare qualche soldo dalla pubblicità o comunque non vuoi dipendere dalle policy di un social network ti consiglio proprio di curare un blog. Sembra un aspetto non indifferente, che comunque tocca soprattutto gli utenti più seguiti, ma il cambiamento di alcune politiche o talvolta del funzionamento di un social network può davvero mandare in aria tutto.
Medium, ad esempio, ha incluso un piano di abbonamento mensile per avere dei contenuti diversi. LinkedIn ha praticamente limitato il numero di follower che un utente può avere e gli “scrittori” si sono ritrovati da un giorno all’altro talvolta con un pubblico ridotto di diverse decine di migliaia di utenti. Questi sono alcuni tipi degli inconvenienti che potrebbero stravolgere il lavoro di uno scrittore o almeno autore su un social. Su un blog personale ce ne saranno altri sicuramente, ma sarà solo il titolare a doverli gestire.
Si può anche partecipare al National Novel Writing Month o NaNoWriMo, se si vuole tentare di pubblicare un libro o un tuo primo manoscritto.
Scrivere non è una vocazione, non più di qualunque altra professione. Richiede competenze ed esercizio costante, che con le risorse di cui disponiamo al giorno d’oggi rimpiazzano il “talento” o meglio la fortuna di essere nati benestanti che avevano molti degli scrittori della letteratura. Molta più differenza la farà sempre la sensibilità e l’empatia. È troppo facile parlare di “doti” “doni” o quant'altro: a fare la differenza è il modo con cui si racconta il mondo, che non è frutto di alcuna dote speciale o innata, se non dell’esercizio costante della comprensione degli altri e del loro punto di vista. Per questo motivo non esiste una ricetta per diventare scrittori, né tantomeno una scuola, né corsi online.