Guardare "Never Say Never",
tre anni dopo che è stato girato rivela un sacco di cose tristi su
Justin Bieber e sul patto col diavolo che ha firmato da giovanissimo,
senza nemmeno saperlo.
Esattamente come milioni di ragazzine
dagli otto ai sedici anni in tutto il mondo, ho guardato il
documentario su Justin Bieber, Never Say Never. La sua première
aveva tutta l’aria di un vero “evento televisivo”, fenomeno
sempre più raro in un’epoca in cui l’alienante velocità con cui
l’informazione ci gira attorno fa sì che nessuno si sincronizzi
mai sulle stesse notizie. A parte questo, il documentario—girato
circa tre anni fa—si pone come una sorta di capsula del tempo che
isola uno specifico momento nella vita della più grande giovane
popstar americana, facile quindi la messa a confronto con il piccolo
uomo che è ormai diventato.
In quanto ibrido tra documentario e
film-concerto, ambientato in un nulla culturale, Never Say Never è
carino—come potrebbe fare schifo visto il budget e il brand di
Bieber in gioco? - ma parla anche di un’amara verità sul Justin
Bieber sedicenne, ovvero di come a quell’età così spaventosamente
tenera, Bieber rimanga coinvolto in una vicenda Faustiana che lui
stesso non si è ancora ben spiegato. Nel film viene costantemente
seguito—da un vocal coach, dal suo manager, dalla madre, dalle
schiere di giovani fan, dalle stesse telecamere. A un certo punto, il
suo vocal coach si rivolge alla camera: “A volte Justin fa discorsi
sul voler essere normale, e noi diciamo ‘Hai smesso di esserlo.
Questa è la tua normalità’”. Avete mai pensato a quanto faccia
cagare dire una cosa del genere a un sedicenne?
Justin Bieber entrò nella macchina del
teen pop all’età di quattordici anni, prima che potesse
effettivamente capire le conseguenze a lungo termine del diventare
ricco e famoso. Arrivare ad avere la di fama di Justin Bieber è come
entrare in una stanza dalla quale non si può più uscire. Never Say
Never mostra un ragazzino incredibilmente talentuoso, che solo ora
sta cominciando a rendersi conto delle difficoltà in cui si è messo
da solo. Nonostante sia la star, è costantemente al lavoro per
altri, che siano i fan o quelli che, all’apparenza suoi dipendenti
e al servizio della sua “macchina”, gli controllano ogni singola
mossa e si occupano di mercificare la sua persona al fine di tutelare
il brand. Durante i tour è sempre accompagnato da adulti, gli unici
momenti in cui interagisce con altri coetanei in vesti non
professionali è quando torna al paese natio e si vede con i vecchi
amici, risalenti al periodo pre-celebrità. Anche lì l’interazione
è solo apparenza, forse addirittura tutta recitata.
In ogni caso Bieber fa un po’ lo
stronzo con i suoi amici, deridendoli spietatamente per non essere
bravi quanto lui a basket e vantandosi di aver incolpato il loro
amico Nolan di aver rotto la zampa a un animale imbalsamato.
Pare che di recente Bieber si sia
rivelato un coglione di prim’ordine, abbandonando scimmie in
Germania, pisciando nei secchi,
andando di matto se i suoi amici non riuscivano a entrare
nei locali, e in generale comportandosi da impunito.
Ma può davvero essere considerato una testa di cazzo quando
Never Say Never ci dà uno scorcio di quella che è stata la sua
adolescenza? Justin Bieber ha più a che fare con il protagonista di
Ender’s Game di Orson Scott Card’s che con altre popstar prima di
lui, realizzando le conseguenze delle sue azioni solo dopo aver
estinto l’umanità intera. Ora che ha scoperto di essere solo un
bullone di quel colossale macchinario chiamato “Justin Bieber”,
non mi stupirei se si odiasse del tutto. Magari vorrebbe uscirne, ma
ci sono troppi soldi da fare, troppe vite in ballo, troppa gente
verrebbe delusa se lui si fermasse. Allora va avanti. Quando ho visto
il suo live ho notato un chiaro senso di distacco nella sua
esibizione, come fosse un fantoccio desideroso solo di superare lo
spettacolo, montare sul suo autobus e riflettere.
Il Justin Bieber di Never Say Never era
precoce; quello del 2013 sembra precocemente esaurito. Certo, milioni
di ragazzine lo amano, ma vuole o ha davvero ancora bisogno di
quell’amore? Bieber avrebbe bisogno di seguire l’esempio della
collega/presunta nuova fiamma
Miley Cyrus e registrare qualcosa in stile “We Can’t
Stop”. Ciò che è bastato a Miley per sconvolgere la sua immagine
originaria è stato un video di tre minuti e mezzo sbattuto in faccia
al mondo con impunità. Justin può anche compiere un taglio morale
del genere, ma l’unica mossa in grado di farlo crescere sarebbe il
Justin Bieber di Never Say Never che si accorge di quanto lo spiccato
senso del business, la superfama e il dover operare più per
interesse altrui che per il proprio, siano tutte robe da dover
mandare all’inferno.
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