Una sera bel 1785 Wolfgang Amadeus Mozart scommise una bottiglia di vino con Franz Joseph Haydn, altro celebre musicista, che egli non sarebbe stato in grado di eseguire sul pianoforte un pezzo di musica che aveva composto la mattina. Accettata la scommessa, Haydn cominciò a suonare. Ma a un tratto si fermò, era impossibile continuare. Le mani del pianista erano alle due estremità della tastiera, e nello spartito era segnata una nota che doveva essere eseguita al centro. Haydn si diede per vinto. Toccò a Mozart suonare: il quale si mise tranquillamente al piano e suonò anche la nota finale. Ma come? Con il naso. E vinse la scommessa.




Da sempre conosciuti come “muser”, dal nome della app Musical.ly (ora “Tik Tok”), i giovanissimi autori di video da 15 secondi sono personaggi pubblici a tutto tondo e sempre più spesso corteggiati dai brand.
Tremila dollari al mese per quattro minuti di pubblicità, non continuativi. È quanto Zoe LaVerne, una ragazza di 17 anni, guadagna per promuovere il brand Pigeon Pop di fronte ai suoi 3,4 milioni di follower, che ogni giorno guardano i suoi video in 15 secondi in lip sync.
Follia? No, è Musical.ly, la app del momento tra i giovanissimi che ha già raggiunto oltre 200 milioni di utenti in tutto il mondo con 13 milioni di nuovi video caricati ogni giorno, e che ha cambiato nome in “Tik Tok”.

Quanto guadagnano i muser tramite le donazioni dei fan
A metà tra Vine e Snapchat, fin dal 2016 Tik Tok prevede la possibilità di effettuare piccole donazioni al proprio artista, o “muser”, preferito: una delle tante modalità con cui giovani e giovanissimi possono guadagnare attraverso la propria attività online, in maniera tuttavia non sempre intuitiva nei confronti del proprio pubblico di follower.
Questi ultimi, infatti, sono soliti acquistare su Tik Tok delle “monete virtuali” (“Coins”) con cui comprare delle emoj personalizzate, da inviare al proprio “muser” preferito in occasione di una diretta in live streaming e vedere così il proprio nome apparire per qualche secondo, in grande, accanto al volto del proprio personaggio preferito. Nulla di diverso, a pensarci bene, dalla pratica ancora in uso di inviare sms durante un programma televisivo per vedere il proprio nome e messaggio apparire in sottofondo.
La curiosità? Al “muser” destinatario del dono arriva solo il 50% dei “coins” effettivamente acquistati dagli utenti, mentre il resto viene suddiviso tra la piattaforma e Apple Store. Più che una forma di guadagno, le “donazioni” dei follower sembrano essere quindi una sorta di rimborso spese, per l’attrezzatura e il tempo speso a realizzare video (a volte, per 15 secondi di lip sync possono volerci diverse ore di montaggio).

Quanto potrebbero guadagnare
Come avvenuto sulle altre piattaforme social, anche per i “muser” i veri guadagni arrivano tramite canali spesso molto diversi tra loro. Al primo posto, ovviamente, ci sono le collaborazioni con le aziende: da diverse decine di migliaia di dollari per singolo video nel caso dei “muser” più famosi (come la “trasformista” Lauren Goldwin, cinque milioni di fan), a quello che serve per “togliersi qualche sfizio”, come dichiara Virginia Montemaggi, 17 anni e due milioni di follower, a Vanity Fair.
La collaborazione con i brand può avvenire nelle modalità tipiche dell’endorsement di un prodotto o servizio a fini pubblicitari, ma può anche assumere le forme di un “endorsement” dei canali stessi del brand: è il caso, ad esempio di Elisa Maino, la prima “muser” italiana a superare il milione di follower, che per una settimana ha gestito gli account di Patrizia Pepe su Musical.ly, come si legge sul Corriere.
Il paradosso? Per giovani artisti nati e cresciuti online, la prova del nove è offline: con la pubblicazione del primo libro cartaceo (si veda il caso dei successi editoriali della quindicenne Iris Ferrari e della già citata Elisa Maino, editi da Mondadori e Rizzoli), oppure con il passaggio al piccolo schermo in un programma o uno show televisivo. Per alcuni c’è anche il salto alla carriera artistica vera e propria: come nel caso di Jacob Sartorius, non ancora sedicenne, 14 milioni di follower e autore del singolo di successo “Sweatshirt”.
Monetizzare” la popolarità non è mai stato un passaggio semplice e indolore per gli artisti e i creatori di contenuti: avere milioni di follower non garantisce, di per sé, un ritorno economico. A far la differenza, spesso, è la capacità di sperimentare stili e canali diversi, rimanendo fedeli al proprio personaggio: quello che è difficile per gli adulti, per bambini e adolescenti ancora in formazione potrebbe invece essere semplicemente troppo presto.








Recitare. E no, non è una cosa ovvia.
Molti attori non vengono scelti per le loro doti recitative, ma solo per via di accordi e soldi.
Ma c’è un motivo se un attore poi viene premiato agli Oscar per la propria performance.
Prendiamo come esempio Rami Malek:


Ha 39 anni, che a mio parere porta anche bene, ed è un attore formidabile.
È stato premiato nel 2019 con l’Oscar come migliore attore protagonista. Per quale film?
Bohemian Rhapsody.
Chiunque abbia vissuto negli anni 70’ e 80’ non può non avere mai sentito questa famosissima canzone dei Queen. Ed è proprio di loro che parla il film, in particolare del loro frontman: Freddie Mercury.
Ora, io non ho mai fatto parte di un cast cinematografico o televisivo, ma ho esperienza con il teatro. E sapete qual’è il lavoro principale di un attore?
Interpretare. Regalare emozioni. Dare vita ad un personaggio.
Be’, io non ho avuto il piacere di andare ad un concerto dei Queen. Ma cavolo, cavolo, dopo aver visto delle interviste con i membri della band e loro concerti online sono rimasto meravigliato da quanto tutto il cast abbia rappresentato così bene tutti e quattro. E la persona più importante è naturalmente Rami Malek, che ha avuto il difficile compito di interpretare Freddie Mercury.
Se ricordate Freddie, ricordate anche il suo modo di atteggiarsi, in positivo, sul palco, sia con i suoi compagni che con il pubblico.
Bene. Io direi che se Freddie fosse stato lì agli Oscar insieme ai suoi amici Roger Taylor e Brian May sarebbe stato fiero di Rami, e gli avrebbe sorriso come solo lui sa fare.
Certo, magari non si assomigliano così tanto fisicamente. Ma vi basta guardare uno dei tanti video su YouTube che comparano le scene dei film ai vari concerti. Il più importante naturalmente è il Live Aid.


Ricapitoliamo.
Qual’è la dote che deve possedere un attore?
La capacità di portare in vita i personaggi.
Nel caso di Rami Malek, direi che il suo compito l’ha svolto alla grande.





Lost in Translation aveva un budget di $4 milioni. Eppure c'è una scena girata in mezzo alla folla, a circa metà del film - quando Scarlett Johansson attraversa l'Incrocio di Shibuya a Tokyo nell'ora di punta - che è stata girata come un film indipendente senza un soldo.


Sofia Coppola ha mandato Scarlett Johansson nella folla con una telecamera e il primo assistente operatore alle calcagna.
A quel punto la troupe ha attraversato la strada, ha preso un ascensore per il secondo piano di uno Starbucks, ha finto di ordinare da bere e ha puntato le telecamere fuori dalla vetrata.
Qui potete vedere il leggendario direttore della fotografia, Lance Accord, che fa finta di niente:


A scuola di cinema vi diranno di non filmare mai in un luogo pubblico senza i vari permessi. E a volte i permessi sono necessari. Molte produzioni sono inflessibili riguardo a questo tipo di rischi evitabili e vengono spesi un sacco di soldi per simulare delle folle realistiche.
Ma questo spirito - mischiare la finzione alla realtà, rubare inquadrature nel bel mezzo della vita di tutti i giorni - può produrre un tipo di magia che i soldi non potranno mai comprare.


La routine by Wallace Lee, l'autore di Rambo Year One (ma impostata 'di base' su quella suggerita da Stephen King, sul suo saggio 'On Writing' - se volete fare veramente gli scrittori, leggetelo!!).

  1. scrivere. Ovvero: andare avanti col vostro lavoro attuale (romanzo o racconto che sia). Fatelo sempre, ogni giorno, dall'inizio fino alla fine e senza pause, con l'accento sullo scrivere il FINALE, perché è la parte più importante di qualunque storia. Il valore di uno scrittore si conta infatti su quante trame ha portato a termine, non sul numero di pagine che ha scritto. Viceversa, i lavori lasciati a metà non contano. Anzi. Sono solo tempo perso. L'importante - specialmente all'inzio - è scrivere anche male, ma portare comunque sempre tutto a termine. Fidatevi di me. Ogni cosa lasciata a metà è tempo perso. Viceversa, un racconto o un romanzo scritto male, invece… Rappresentano un errore che COMUNQUE non farete mai più. Ed è già un grosso passo in avanti, rispetto al perdere tempo.

  2. correggere. Ovvero: prendere il vecchio lavoro (non quello attuale) e correggerlo frase per frase. Significa valorizzare la storia aggiungendo dettagli visivi, emotivi, eccetera (revisione creativa). E poi correggere o riscrivere frase per frase, in modo da renderlo più scorrevole, incisivo, eccetera (revisione stilistica). Io revisiono ogni mio singolo testo (romanzo o racconto che sia) almeno 5–6 volte frase per frase. 'Buona la prima' è infatti una frase che non esiste, nel mio vocabolario.

  3. leggere. Ovvero: non leggere a caso. Se io non so fare descrizioni visive, cercherò un autore che è un mago delle descrizioni visive. Se sono troppo complicato, cercherò un autore che è un mago della semplicità. Se il mio punto debole è dare un ritmo alla narrazione, cercherò un mago della scansione dei tempi. Leggere significa rubare le soluzioni agli altri autori, e non vergognarsi poi di sarle per risolvere i nostri problemi narrativi, mentre stiamo raccontando le nostre storie. L'importante per uno scrittore è leggere qualcosa che migliori la tua scrittura (e non che 'confermi' i tuoi difetti). La mia saga sul Vietnam per esempio ha rubato tutta la sua impostazione narrativa da quella del Trono di Spade. Ma siccome parla di Vietnam, non se nè mai accorto nessuno dei 10.000 lettori e passa che l'hanno ormai letta (a settembre 2020).

Fine.

Più farete queste cose OGNI GIORNO, meglio scriverete sia da un punto di vista stilistico che creativo.

Per il resto, si tratta soltanto di non perdere 'l'amore per le cose che non ci riguardano'. Uno scrittore vero - per definizione - è una persona infatti che si innamora di cose che non esistono. Ed esserlo non è facile per nulla, nella vita di tutti i giorni.

Anzi.

Può renderti la vita un inferno.

Wallace Lee, l'autore di Rambo Year One.





Sono 2.628 le stelle sulla Hollywood Walk of Fame: tutti nomi di celebrità che hanno fatto la storia del cinema, della televisione, della musica e del teatro. Da Donald Trump a Michael Jackson da Topolino (il primo personaggio animato a ricevere una stella) ai Simpson, sono molte le star che si trovano sulla passerella. Ma chi è che decide chi finisce sulla Hollywood Walk of Fame? Incredibile ma vero, il primo passo viene dalle star stesse: queste devono inoltrare formalmente una domanda alla Camera di Commercio di Hollywood e attendere una risposta. Vi stupirà sapere che chiunque può chiedere di avere una stella, bisogna aver fatto però qualcosa di grandioso, altrimenti non si ottiene risposta. Piccolo dettaglio: alla domanda per la stella va allegata la ricevuta di pagamento della tassa di 30mila dollari, una somma che serve da una parte a realizzare la stella, dall’altra a garantirne la manutenzione da parte della Hollywood Historic Trust. A valutare la validità della richiesta è un piccolo gruppo di personaggi di spicco di Hollywood che hanno il compito di controllare tutto il passato e i riconoscimenti ottenuti dal richiedente ma sarà una commissione di sei persone a dare il responso finale.
In caso di risposta negativa nessun problema.. la domanda può essere presentata ad oltranza.
Non tutti gli attori più famosi hanno una stella sulla Walk of Fame. Star come Robert De Niro, Leonardo di Caprio e Brad Pitt ad esempio, non hanno mai avuto interesse ad averne una e non hanno mai inoltrato la domanda.


Locarno 2013 | Programma | Film | Ospiti



Il soggetto non è credibile. Es. viene utilizzata una squadra di umani "cattivi" e senza superpoteri per sopperire alla mancanza di superman (suicide squad)
  • Gli attori sono noti per partecipare a film low budget, o sono stati utilizzati come comparse o in piccoli ruoli, attori di vecchie serie tv che sono cult ma nessuno conosce più. Es la serie di sharknado;
  • Il film è tratto da un videogame e nessuno della troup ci ha mai giocato, compreso il regista. Es il film di ALONE IN T DARK, FAR CRY, BOODRAYNE, in generale ogni film di UWE BOLL;
  • Il film è recitato da attori comici utilizzati per ruoli seri o drammatici (questa regola non vale al contrario);
  • Il film è stato prodotto in paesi noti per tutt'altro genere di film. Es un film sull'olocausto made in India;
  • Il film è un remake di un film classico ancora valido
  • il film è un reboot
  • il film remake o reboot di un film ancora in distribuzione nel mondo
  • il film è un horror giapponese adattato alla cultura occidentale
  • il film esce sotto natale, è a tema di natale, ed è ricco di buoni sentimenti (questa regola non si applica a LOVE ACTUALLY);
  • nel trailer del film si utilizzano suoni standard di creature mostruose, utilizzati in film e in videogiochi dal 91 ad oggi. Es, come questi:
  • nel trailer del film ci sono suore possedute (questa regola non si applica alla serie SISTER ACT);
  • il film tratta di possessione demoniaca, ma nessuno sembra aver mai sentito parlare di possessione demoniaca
  • il film tratta di zombie, ma nessuno sembra aver mai sentito parlare di zombie
  • il film è un commedia d'amore. Es TUTTE LE COMMEDIE D'AMORE (questa regola non si applica a LOVE ACTUALLY)
  • nel film c'è Julia Roberts e Richard Gere, o Julia Roberts e Hught Grant;
  • nel film ci sono coppie super gay che fanno cose da gay perchè sono gay e deve vedersi che il film contiene anche dei personaggi gay;
  • il film è un cinepanettone
  • il film contiene la velina/letterina/donnina/fighetta televisiva di turno, che non sa recitare, non sa parlare, ma ha ottime curve
  • il film contiene come attori, sportivi e conduttori televisivi inseriti come cameo
  • il film contiene come attori, sportivi e conduttori televisivi come PERSONAGGI VERI. Es. ALEX L'ARIETE, con Alberto Tomba e Michelle Hunziker (giuro che esiste, andate a controllare, è un film terribile)
  • film con scene di nudo senza un senso
  • film che rappresentano la tecnologia di 30 anni fa in modo sbagliato. Es. la console che aspira i giocatori in jumanji, o lo schermo su cui iron man assiste alla morte dei genitori in civil war
  • film americani ambientati in italia dove tutti parlano siciliano
  • film americani ambientati in russia dove gli attori, che non conoscono il russo, recitano in inglese con l'accento russo
  • cartoni in cgi di vecchi cartoni anni 70–80. Es. l'ape maya
  • film con animali parlanti
  • il film è un adattamento di una serie di libri, che non supera il primo episodio
  • il film parla di temi troppo giovani per essere adatttati da un regista o sceneggiatore cianquantenne
  • nel film tutti i cellulari sono apple
  • nel film tutti i computer, anche quello collegato ad un missile nucleare, è un apple
  • il film è MARCHIATO dal product placement
  • il film è l'ultimo di una serie che doveva essere finita molto tempo fa
  • nel film tutti sparano ma si avvicinano talmente tanto al protagonista da poter essere accoltellati
  • il film è diretto da M. Night, Shyamalan (5 volte su 7 è così)
  • il film è uno spin off di una serie che è stata spremuta



Tom Cruise, l’attore diventato famoso con Top Gun e interprete di tutti i Mission Impossible, non ama essere sostituito dalle controfigure né dagli stuntman, ed interpreta lui le scene più pericolose dei suoi film?
Ebbene si, l’ha sempre dichiarato: a lui piace e pretende di girare in totale autonomia anche a rischio della sua stessa vita. Salti nel vuoto, scalate estreme, inseguimenti in moto (rigorosamente senza casco) a tutta velocità, aerei presi letteralmente al volo; ogni scena è stata girata da Tom Cruise in persona. Ha persino conseguito il brevetto di pilota di elicottero , come ha fatto con quello di aeroplano per girare Top Gun, per essere in grado di poter effettuare le spericolate manovre richieste . All’occorrenza si trasforma persino in un pesce; si dice che per permettere al regista di riprendere una sequenza sott'acqua in una sola volta abbia trattenuto il fiato per alcuni minuti.



Steven Seagal è un uomo notoriamente arrabbiato e violento. Ama intimidire fisicamente, minacciare e, a volte, gestire con le mani i suoi colleghi, collaboratori e assistenti personali ... fondamentalmente, con chiunque pensi di poter attaccare briga e cavarsela. Fino a quando non incontrò Gene LeBell!


Ora, LeBell era un leggendario artista marziale e istruttore di combattimento. Decenni di esperienza al suo attivo e decisamente non il tipo da prendere alla leggera con cazzate. Seagal affermò, nel 1991, - LeBell aveva circa cinquant'anni all'epoca - di essere immune alle strozzature.
Sfidò il vecchio artista marziale a provare a soffocarlo, e LeBell accettò con riluttanza. Seagal non solo non era "immune" come affermava; in effetti, svenne ... e si cagò anche nei pantaloni nel farlo.
Seagal ha ancora quella stessa rabbia interiore, quell'arroganza, a quasi trent'anni di distanza. L'umiliazione non lo fermò.


Anni dopo, Steven Seagal andò a una festa in cui Sylvester Stallone era stato raggiunto da Jean-Claude van Damme ... Seagal affermò che "poteva stendere Van Damme". Van Damme rispose: "Certo, andiamo nel cortile, adesso, e buttami giù!"
Seagal porse le sue scuse, lasciò la festa e Jean-Claude lo seguì, trovandolo in un night club a Miami dove disse ancora una volta a Seagal che poteva stenderlo. Seagal se ne andò di nuovo.
Un sacco di chiacchiere. Molte meno azioni, di fronte a un degno avversario.




 Kubrick era famoso per essere un grande perfezionista. Coppola non era da meno. E anche grandi contemporanei come Fincher o Nolan sono conosciuti per essere cultori di ogni minimo dettaglio.

Ma nel lontano passato ci fu qualcuno che riuscì ad essere talmente pignolo da divenire un vero e proprio incubo per gli attori che lavoravano con lui, nonostante fosse conosciuto per l'immagine di attore comico.

Charlie Chaplin, mentre dirigeva il suo capolavoro Luci della Città, fece rifare all'attrice Virginia Cherrill una scena per ben 342 volte. E la cosa particolare fu che in quella scena, l'attrice pronunciava una sola frase:

Un fiore, signore?"

Unico particolare: il film era un film muto.

342 fu senz'altro un record, ma Chaplin aveva uno standard di 10 - 20 ripetizioni per ogni scena girata. Un vero perfezionista, maniacale, conosciuto da tutti per la pignoleria esasperata. Non a caso Luci della Città fu il film che gli richiese più tempo per essere girato.




Sono molto variabili.
Tenere aperto un set è una spesa MOSTRUOSA, e qualunque film si organizzerà MOLTO bene in modo da ottimizzare il più possibile i tempi (gli attori costano, molte attrezzature sono a noleggio, eccetera).


Mediamente, le riprese durano 4–5 settimane ma ci sono anche film (come il capolavoro FUGA DA NEW YORK) che sono stati filmati in 15 giorni o addirittura 1 settimana.

Lavorazione di Fuga da New York.



Per molti professionisti la possibilità di lavorare a un film Hollywoodiano ad alto budget potrebbe essere la prima e l'ultima della loro vita, e l'atmosfera che si respira è quella di 'farò l'impossibile, e di più. Soprattutto il tempo è denaro (e TANTO pure) e dunque molti registi - in quanto responsabili finali del progetto - diminuiscono le ore notturne di sonno fino a lavorare giorno e notte per revisionare le riprese della giornata, riscrivere le parti della sceneggiatura che non funzionano alla prova dei fatti ed eventualmente ripetere le scene che 'in realtà' non vanno bene prima della chiusura del set.
Ai tempi necessari vanno aggiunti:
A) I tempi della della PRE-PRODUZIONE: discussione della sceneggiatura, scelta delle location, tempi del 'casting' (scelta degli attori tra molti candidati), organizzazione dei lavori. Tutto questo si aggira mediamente sui due-tre mesi.
B) I tempi della post-produzione: i tempi necessari al montaggio del film con composizione colonna sonora composta ad hoc in base al montaggio finale. Oltre all'editing occorre anche lavorare al lancio pubblicitario del film, ma di quest'ultimo però si occupano persone completamente diverse da quelle che hanno lavorato alle riprese (a parte magari i protagonisti del film, cui verrà richiesto di viaggiare per presentare il film ad eventi vari). Ad ogni modo, il lancio pubblicitario può avvenire a tutti gli effetti in contemporanea all'editing, e in genere non influsice sulle tempistiche della lavorazione al film. La postproduzione (lancio pubblicitario escluso, perché può avvenire in contemporanea) dura mediamente 2–4 mesi.



Ecco 5 curiosità su Madonna, è una cantautrice, attrice, produttrice discografica e cinematografica statunitense famosa in tutto il globo:


  1. Madonna ha giocato molto con l'immagine scandalosa e provocante nella sua carriera. Ma da giovane, era una studentessa modello, prendeva sempre tutte A!
  2. Il sogno da bambina di Madonna era quello di diventare una suora, da sempre viste come "persone sovrumane, belle e fantastiche".
  3. Madonna soffre di brontofobia, la paura dei tuoni.
  4. Fino al 2015, ha venduto oltre 200 milioni di dischi in tutto il mondo.
  5. Una volta Madonna ha guadagnato 5 milioni di dollari negli anni '80 per essere protagonista di uno spot della Pepsi che non è mai andato in onda. La pubblicità prendeva spunto dal video di "Like A Prayer", ai tempi sommerso da controversie religiose. Madonna è stata comunque pagata.








Per prima cosa bisogna iniziare dalle basi. Le basi musicali, ovviamente. La parte strumentale, il beat, è fondamentale nel rap. Molto più di quanto generalmente si crede. Scegli il tuo beat, anche preimpostato, e lasciati ispirare. Attenzione però ai diritti: molte basi sono coperte da copyright.
Dopo aver risolto il problema delle basi, è il momento di pansare alle barre, ovvero i versi delle canzoni rap. Una strofa è in genere composta da 16 barre divise in 4 quartine. Questo in generale. Inizia a farti ispirare, scrivendo i primi pensieri che ti vengono in mente.
Ricorda che il rap classico ha, in linea di massima, dalle due alle quattro strofe, mentre la trap dalle due alle tre, di solito più corte. Per quanto riguarda i ritornelli, il rap classico può anche non averne, ma di solito ne ha massimo due, mentre la trap ne ha dai due ai quattro.
Questo per avere idea di come strutturare il tuo brano. Ma la cosa principale, più che la struttura, è la metrica. A questo bisogna fare molta attenzione.
Cos’è la metrica rap?


La metrica è la teoria e la pratica della scrittura di versi dal punto di vista del ritmo. La metrica quantitativa è fondata sull’alternanza di sillabe lunghe e brevi; la metrica accentuativa è fondata sulla disposizione ritmica degli accenti tonici. Per l’italiano servirà tenere sotto controllo la metrica accentuativa.
Ora veniamo al dunque. Rileggi i tuoi versi dopo averli scritti. Li trovi abbastana pungenti? Ricorda che l’ironia e il sarcasmo sono fondamentali per un buon testo rap.
E le rime? Le trovi originali? Va bene citare o lasciarsi ispirare, ma attenzione a non diventare banale. Cuore-amore nel rap non funziona. Se ti è venuto fuori qualcosa di simile, prendi e cestina. Riparti da zero e vedrai che partorirai qualcosa di migliore.
Usa poi le figure retoriche, almeno quelle principali, come la metafora. Ma anche in questo caso cerca di non scadere nel banale. Ne abbiamo lette e ascoltate di ogni tipo. Trova le tue. Diventeranno anche una sorta di marchio di fabbrica.
Attenzione poi ai ritornelli: devono essere ripetitivi per rimanere più facilmente in testa.
Qualche altro consiglio pratico può essere il riscrivere più volte la stessa barra, per cercare di affinarla e trovare il taglio giusto. Non è detto che infatti la sua prima forma sia la migliore, anzi. Inoltre, valuta di inserire un tema solo all’interno del pezzo. Scrivere una canzone d’amore e di critica sociale insieme è complesso, se non quasi impossibile.
Un ultimo suggerimento potrebbe essere questo: non inserire una volgarità ogni due parole. Un testo di sole ‘parolacce’ o bestemmie potrebbe risultare indigesto, oltre che non ‘vendibile’ in radio.
Ora sai come poter scrivere una buona canzone rap. Sei pronto a metterti alla prova?




Correva l’anno 1984. I Queen, furono ospiti al Festival di Sanremo, presentarono il loro enorme successo Radio Ga Ga, tratto dall’album The Works e scritto dal batterista Roger Taylor. L’esibizione, come si può sentire chiaramente, era in playback: la somiglianza con la versione in studio della canzone è palese, e la voce di Freddie è fin troppo ferma. I motivi di questa scelta, oltre alla facilità e velocità del cambio palco, furono dovuti anche ad altri fattori: risparmiare sui fonici e sulla gestione degli strumenti ed evitare brutte figure. Quelli erano anni in cui la musica stava profondamente cambiando e in cui si iniziavano a vedere fotomodelli cantare in playback con la voce di altri. Con questa tecnica si potevano chiamare star molto apprezzate senza rischiare stonature e quindi eventuali critiche da parte del pubblico. Ma come è immaginabile, Freddie Mercury non voleva stare alle regole della Rai: cantò in playback, sì, ma si prese gioco dell’intera situazione, allontanando da sé il microfono volutamente, più e più volte. Va bene che la sua voce era molto potente, come è ben noto, ma senza microfono è chiaro che non sarebbe mai potuta essere così udibile. La presa in giro era chiara. D’altra parte, va notato che a prescindere da tutto, è davvero un peccato imbrigliare una voce così possente, nonché un crimine mettere a freno una personalità artistica strabordante come quella di Mercury. Che, infatti, ancora una volta ha forzato le regole del gioco a modo suo. E ha fatto bene.



Che Keith Moon fosse un tipo piuttosto difficile da gestire, fu evidente ai The Who fin dal principio. Era un batterista pieno di energia e carisma, uno di quelli presi a modello dai giovani e che liberava una tale carica sul palco da riuscire a trascinare il pubblico nonostante se ne stesse la dietro in ultima fila.
Però il suo stile di vita era decisamente al limite e stava iniziando a diventare un grosso problema per tutti. Atteggiamento distruttivo, alcol, droga, Moon divenne presto una scheggia impazzita.
Lo stile di vita di Moon aveva ben presto iniziato a minare la sua salute e l'affidabilità all'interno della band.
Durante il tour di Quadrophenia del 1973, alla data di debutto degli Who negli Stati Uniti al Cow Palace di Daly City, in California, le cose iniziarono subito al peggio. Prima di salire sul palco, Moon buttò giù una miscela di tranquillanti e brandy. Durante il concerto, collassò durante Won't Get Fooled Again. La band smise di suonare e i roadie portarono Moon giù dal palco. I Who non potevano permettersi di bucare la prima data americana, gli Stati Uniti erano un traguardo troppo importante dal punto di vista discografico per rimediare una figuraccia al debutto! Così i roadie gli fecero una doccia e un'iniezione di cortisone, rimandandolo sul palco dopo trenta minuti di ritardo. Ma le disgrazie non erano finite.
Moon collassò di nuovo durante Magic Bus e venne nuovamente rimosso dal palco. La band continuò senza di lui per diverse canzoni. Poi Townshend prese il microfono e a sorpresa chiese:
Qualcuno può suonare la batteria? Voglio dire qualcuno bravo?
Tra il pubblico c'era un batterista, Scot Halpin, che si avvicinò e suonò per il resto dello spettacolo.




Certo che ha senso. A patto che si ricordino due condizioni.
  1. Il passaggio da serie A a serie B ci può essere, a volte è questione di pochi anni.
  2. la distinzione non è una questione di bravura, ma di fama presso il grande pubblico, visto che di celebrità si parla.
Esempi di celebrità di serie A, quelli conosciuti dalla cultura di massa, da tutti, quelli che in un cartellone pubblicitario bucano anche senza che vi sia scritto il nome, nel bene e nel male:
  • Tom Cruise, Brad Pitt, Scarlett Johansson, Robert De Niro, Leonardo Di Caprio, Angelia Jolie, Mick Jagger, Madonna, Mark Zuckerberg, Donald Trump, Messi, Cristiano Ronaldo…
Esempi di celebrità di serie B, quelle che sono conosciute da pochi, ma che comunque sono celebrità, perchè è innegabile che siano famose. Non magari al livello stratosferico delle altre, ma comunque famose:
  • Emily Ratajkowski (potevo non iniziare da lei?), Chiara Ferragni, Paulo Dybala, Mark Ruffalo, Joe Biden, e il mio preferito, Danny Trejo.
Ecco, Danny è un grandissimo esempio di celebrità di serie B che però è sempre stata osannata e riverita dai suoi più importanti colleghi, al punto da dedicargli persino un film da protagonista, lui che è diventato famoso come caratterista. Provate a guardarlo e a dire se non lo avete mai visto pur non conoscendone il nome…





Quando ascolti una canzone per un paio di volte di fila, ti si mette quel motivetto in testa che alla lunga diventa anche fastidioso. Tutto questo perché? Ce lo spiega un professore dell'Università dell'Illinois. Dopo aver ascoltato un motivetto più volte, riesce a passare nella memoria a lungo termine restandoci in testa. E qui intervengono i chewing-gum, perché la nostra corteccia uditiva è capace di farci ascoltare tutti i suoni provenienti dall'esterno, ma anche quelli dall'interno, dunque il rumore provocato dalla masticazione andrà a contrastare il ritmo del motivetto facendolo scomparire.


Se uno scrittore pubblicasse solo gli scritti che riconosce 'facilmente' come propri, sarebbe un cattivo scrittore.


Perché per scrivere bene, bisogna andare molto più in là di così.
Scrivere narrativa non c'entra nulla con te, con chi sei, con l'esprimere te stesso, eccetera.
Solo i dilettanti ragionano così.
I professionisti invece creano. E creare, per definizione, significa andare oltre se stessi.
Non si tratta né di lanciare messaggi al lettore, né di metterlo al corrente delle tue riflessioni, della tua vita, eccetera.
Si tratta di
a) creare qualcosa
b) portare il lettore là dove non è mai stato prima e
c) dove non sarebbe mai in grado di andare da solo.
Ma per riuscirci, devi imparare a fregartene di cosa vorresti e cosa non vorresti scrivere… Per seguire solo i risultati.
E le cose migliori che scrive uno scrittore di fiction sono in genere proprio quelle che (rilette col senno di poi) egli sente come estranee. Sono potentissime, ma non ha la minima idea di come diavolo gli siano arrivate in testa.
A quel punto il bravo scrittore non solo le tiene, ma le mette in risalto.
E nel farlo, arriva addirittura a cestinare i pezzi in cui si rivede di più, perché sono quelli dove ha creato di meno.

Alexandre Dumas | Breguet



Un’associazione professionale per la didattica della scrittura?
- Attualmente esistono una quantità di iniziative private nell’ambito dell’insegnamento della scrittura e della narrazione. (D’ora in poi userò sempre la parola “scrittura”, includendovi tutto ciò che viene presentato con vari nomi: scrittura creativa, tecniche di narrazione, scrittura narrativa, scrittura poetica ecc. ecc.). Alcune di queste iniziative hanno ormai anni di storia alle spalle e sono consolidate; altre sono nuove; altre hanno l’aria un po’ improvvisata; eccetera. Alcune di queste iniziative sono molto qualificate (cioè: hanno qualifiche da esibire, a es. un parterre di docenti noti e stimati ecc.), altre non lo sono (ma ciò non comporta che siano iniziative di bassa qualità). La maggior parte di queste iniziative (per quel che ho capito girellando per la rete) si rivolgono a un pubblico di principianti, o comunque di persone che non sono intenzionate a fare della scrittura il centro della loro vita. Molte si rivolgono alla scuola (direttamente agli studenti, o agli insegnanti). Molte hanno l’aspetto di attività dopolavoristiche, e si svolgono a es. in sedi nelle quali si svolgono anche corsi di ceramica, di dizione, di acquarello e così via.


- Mi pare che, tranne rarissime eccezioni, in queste iniziative vi sia una netta centralità del docente. A fare la differenza tra un’iniziativa e l’altra, appena ci si alza di solo una spanna al di sopra dell’attività dopolavoristica, è il docente: il suo nome, la sua notorietà, la controllabilità delle sue capacità, eccetera.
Non mi pare che le diverse attività si differenzino per metodi didattici dichiarati e riconoscibili. Mi pare (sottolineo questi mi pare: questo post serve anche per controllo) che il più delle volte l’utente non scelga la tale o talaltra iniziativa “perché lì lavorano in un certo modo”, ma piuttosto “perché lì ci insegna il tale).
Questo mi pare, benché descritto approssimativamente, un dato di fatto.


- Peraltro, ho la sensazione che abbondino le iniziative-fuffa. Corsi che costano un occhio, il cui programma è dichiarato in dieci parole generiche, né è dato di sapere chi sia o chi siano i docenti. Corsi che promettono cose del tipo “Faremo di te uno scrittore” (sto parodiando per dare l’idea). Corsi i cui contenuti, a quel che si capisce dai programmi proposti, non sono niente di più di ciò che si può trovare in un qualsiasi economicissimo manualetto. Magari sono cose onestissime (l’onestà si vede nel rapporto tra prezzo e offerta, nonché nella descrizione dell’offerta: più è altisonante, più io m’insospettisco), ma spesso non mi sembrano cose onestissime. Il guaio è che la diffusione delle iniziative-fuffa da una parte, e dall’altra la diffusione delle iniziative rivolte ai “principianti” (cosa, quest’ultima, di per sé tutt’altro che negativa) generino un po’ di confusione e finiscano col rendere più difficile da comunicare le iniziative serie e rivolte a un pubblico più “avanzato”.

- Mi càpita abbastanza spesso che qualcuno mi telefoni o mi scriva chiedendomi di fare – presso un’associazione, una scuola, una biblioteca ecc. – un “corso di scrittura creativa”. Quasi sempre le mie domande sui contenuti specifici desiderati non trovano risposta. Spesso, man mano che parlo con la persona, mi rendo conto che sotto l’etichetta di “scrittura creativa” vengono messi, alla rinfusa, la narratologia e i giochi di parole, gli esercizi per l’autoespressività e e le scritture ludiche e così via. Mi vien da pensare che anche sul fronte della domanda vi sia assai poca chiarezza di idee (il che spiega il proliferare di iniziative generiche e il credito che trovano le iniziative-fuffa).

-Va detto che l’espressione “scrittura creativa” mi pare ormai piuttosto screditata. Per un verso non me ne importa molto: neanche a me piace. Da altri versi è un problema: intitolare un corso “Teoria e tecnica della composizione del testo narrativo, argomentativo, drammatico e/o poetico”; o, peggio, come piacerebbe a me, “Retorica dell’argomentazione, della narrazione ecc.”; è – temo – un ottimo sistema per non riuscire a vendere il corso.

- Dicevo (al punto 2) della centralità del docente. Peraltro, sembra non sia ancora chiaro come si possa distinguere preventivamente (cioè: prima di acquistare un corso) un insegnante di scrittura affidabile da uno non affidabile. Il fatto di aver pubblicato delle opere narrative o saggistiche ecc. potrebbe essere un elemento di qualificazione: ma io stesso ho presente ottimi scrittori che, messi alla prova, risultano essere pessimi insegnanti di scrittura (mentre sono, magari, ottimi insegnanti di storia della letteratura). Vero è che molti autori di opere letterarie interpretano spesso le comparsate in corsi di scrittura come dei momenti autopromozionali (forse basterebbe pagarli meglio). Sono pochissimi coloro che insegnano scrittura e che rendono pubblico il loro lavoro. Intendo: che pubblicano articoli di didattica della scrittura, che pubblicano manuali di scrittura o saggi sulla scrittura eccetera; oppure che mettono materiali a disposizione in rete.

- Considerate tutte queste cose, e presumendo che se ne possano considerare anche molte altre, il sospetto che mi viene è questo: che forse avrebbe senso costituire una associazione tra persone che insegnano scrittura, allo scopo di valorizzare il lavoro di chi fa queste cose da più tempo, con maggiore professionalità, con maggiore trasparenza.
Immagino che l’associazione dovrebbe, così a occhio:
– essere ristretta. Non può essere una cosa per cui ci si paga un’iscrizione e si è dentro: devono essere ben chiari i requisiti necessari per farne parte;
– (al limite si potrebbero immaginare degli iscritti senior e degl iscritti junior, o qualcosa del genere);
– avere le caratteristiche di un network, con scambio di materiali e conoscenze tra gli iscritti;
– pubblicare in rete, gratuitamente o a pagamento (secondo i casi) materiali didattici;
– essere abbastanza seria da garantire che se una persona è dentro, è un insegnante affidabile;
– realizzare attività di formazione all’insegnamento della scrittura (rivolta a es. a insegnanti della scuola pubblica, ma anche agli stessi insegnanti di scrittura);
– avviare contatti e relazioni con l’ambiente accademico;
– ed eventualmente altro che ora mi sfugge.

- Libero il campo da qualche equivoco già visto all’opera in più di una conversazione:
– un’associazione non è un ordine professionale;
– l’associazione non si dà lo scopo di distinguere i “buoni” dai “cattivi”, ma mettendo in mostra il lavoro degli associati permette al potenziale frequentatore di corsi di valutare l’affidabilità degli associati (e, per converso, di notare come chi non mette in mostra il proprio lavoro si sottragga alla valutazione);
– se nasceranno diverse associazioni, ben venga;
– alla domanda: “Chi vi credete di essere, voi che credete di essere i migliori insegnanti di scrittura della piazza”, et similia, si risponde: noi mettiamo in mostra il nostro lavoro, se siamo buoni insegnanti o no lo valuteranno altri.

- Ovviamente ho voglia di fondare una simile associazione, e addirittura di farne parte (i requisiti per l’ammissione saranno appositamente studiati per fare di me il candidato ideale). Avevo già provato ad avviare qualcosa di simile, tempo addietro; molto in penombra; e la cosa non si è sostenuta per mancanza di energie o, più probabilmente, per non buona definizione di scopi e obiettivi.

- Come tutte le associazioni, anche questa avrà bisogno di un nome, Io propongo il Club Dumas.












Spike Lee è un ottimo regista.
Il regista che ammira di più è Chuck Jones.
Chi è Chuck Jones? È responsabile di cose come questa


Perché Lee lo ammira così tanto? Perché i cartoni animati durano sempre circa otto minuti. Lee non riesce a capire come un regista potesse prevedere quanto sarebbe stato lungo il prodotto finito. Lee non ha idea di quando inizierà la durata del film e, sinceramente, non gliene importa. La sceneggiatura è solo un suggerimento. Quando ci mette le mani sopra, taglia le scene che non gli piacciono e ne aggiunge altre che pensa possano aiutare.
Ricordi questa famosa scena di Speed?


Questo non era nella sceneggiatura originale di Graham Yost. È stato aggiunto dal regista Jan de Bont. È diventata un momento decisivo nel film.
La televisione non funziona così. Il tuo lavoro deve rientrare in una "fascia oraria" fissa. 44 minuti per una fascia oraria di 60 minuti in modo che possano essere inserite pubblicità. Inoltre, ci devono essere interruzioni negli "Atti" in momenti precisi in modo che gli annunci pubblicitari non si avvicinino troppo. In genere, queste interruzioni arrivano a intervalli di 12 minuti.
Inserisci lo sceneggiatore televisivo. Una persona che ha un'intima familiarità con il ritmo della televisione e può produrre una sceneggiatura che si adatta a quei rigidi vincoli.
Quindi passa al supervisore dello script che organizza una lettura. Se è corto o lungo, ritorna allo sceneggiatore con un'istruzione: taglialo o allungalo.
Quindi, il regista riprende quella sceneggiatura. Nessuna aggiunta Nessuna sottrazione. Potrebbero sistemare un piccolo dialogo qui o là, ma è tutto.
Se sei uno scrittore e lasci cadere uno script di 120 pagine per uno spettacolo di 30 minuti sulla scrivania del supervisore dello script, non lo trasformeranno in cinque parti. Finiranno il loro rapporto con te.
E i registi hanno il lusso del tempo. Hanno 3-4 mesi per girare un film. Un regista televisivo sarà fortunato ad avere sette giorni.
Ciò non significa che i registi televisivi non proveranno cose nuove, ma devono lavorare con gli sceneggiatori per farlo funzionare.


Il numero "Get Happy" di Dr House, M.D. Dopotutto sono solo soldi. Le canzoni, a quanto pare, sono facili: possono essere facilmente cronometrate.
È per questo che "Saturday Night Live" è probabilmente lo spettacolo più strettamente sceneggiato in televisione. È per questo che, alle 7:30 della notte della trasmissione, tagliano e passano al programma seguente . Quando inevitabilmente si allunga, devono decidere cosa tagliare. Se ti allontani dalla sceneggiatura, è la fine della tua collaborazione con il mondo dello spettacolo.



Qualcosa mi sfugge, su come sia stato possibile arrivare a questo:


passando per questo:


Intendiamoci: il mercato editoriale è un mercato come tutti gli altri. Anzi, frequentandolo da ormai dodici anni e altrettanti libri pubblicati, posso dire di conoscerlo piuttosto bene. So benissimo cosa sia la legge della domanda e dell'offerta, e so che si pubblica ciò che il pubblico vuole comprare, e non ciò che "si spera" che il pubblico comperi. É il motivo per cui è molto più facile vendere un libro scritto male di un personaggio famoso che un libro scritto da Dio di un emerito sconosciuto.
Ma il caso di Taylor Mega per me è come il mistero di Medjugorje dell'editoria, il mistero dell'orizzonte del buco nero della carta stampata, l'enigma delle piramidi delle librerie.
Capisco gli instant book e le biografie di personaggi di enorme successo, ma che hanno qualcosa da dire, per cui una persona sarebbe disposta a scucire 14 euro per una lettura. Ma Taylor Mega che racconta come è diventata Taylor Mega proprio non me ko spiego.
Volendo però vedere l'altra faccia della medaglia, se tanta gente è disposta a spendere soldi in "libri" del genere, allora vuol dire che poi tanta crisi nel mondo dell'editoria non c'è!



Eccoli qui.


I Boney M sono il gruppo musicale piú falso che sia mai esistito, ha ingannato tutti i fan per anni. Nessuno di loro ha mai cantato dal vivo, tutto era in playback, le canzoni erano scritte da altri e loro si limitavano a fingere di cantare. Nemmeno le voci erano le loro; il loro produttore, Frank Farian, faceva tutto lui. Scriveva le canzoni, cantava le parti maschili, ingaggiava le coriste per cantare le parti femminili e ovviamente faceva il suo lavoro di promoter del gruppo. Solo in poche canzoni, peraltro le meno note due delle ragazze, Marcia e Liz, facevano i cori. Anche il nome del gruppo fu un'idea del produttore, Boney era il nome di una serie televisiva trasmessa in Germania.



Beethoven si sta rivoltando nella tomba!


No, musicisti nel senso classico del termine no. Non me ne vogliano i DJ, anzi, ce ne sono di bravissimi, tipo David Guetta, ma chiamiamoli in un altro modo, che ne so…"performer musicali"…



Negli Stati Uniti hanno risolto il problema inventando lo stratagemma del 555, un prefisso che non esiste e che viene sempre anteposto ai numeri di telefono che compaiono nelle produzioni hollywoodiane e nelle serie televisive americane.
Un sistema utile e necessario per far comprendere immediatamente al grande pubblico che il numero in questione non è un numero reale e che le persone possono evitare di chiamarlo perchè non otterrebbero risposta.
Ma in alcuni casi i registi hanno utilizzato i numeri di telefono per altri motivi.
Il caso è quello ad esempio di Scrubs, la serie televisiva di successo con protagonista il chirurgo Chris Turk.
Al cast venne un'idea durante una puntata. Nel corso di un episodio venne pubblicato un numero di telefono che non era il classico 555. Il numero era vero ed era agganciato ad un telefono che il cast si passò di mano per alcune settimane rispondendo alle telefonate del pubblico che aveva così l'incredibile occasione di poter parlare con i … personaggi della serie!







Vicki Satlow, forse l'unico agente letterario di livello massimo che lavora 'a viso aperto', con tanto di sito in bella mostra.
Il problema è che fare l'agente letterario è perfino peggio che lavorare per una casa editrice, per quanto riguarda le molestie quotidiane.
Secondo molti in Italia scrive (o ha cercato di scrivere per almeno 5–6 anni) quasi il 70% degli Italiani.
E sono sempre tutti inevitabilmente schiavi del Dunning-Kruger effect, un fenomeno psicologico, perfettamente naturale, che purtroppo in letteratura ha un effetto decisamente maggiore che in qualunque altro campo.
Il Dunning Kruger è un fenomeno per il quale meno conosci una cosa, più ti sembra semplice, facile, eccetera.
E questo in letteratura ('scrittura creativa') porta inevitabilmente tutta questa masnada di scrittori a pensare di avere scritto un capolavoro.
Ma facciamo degli esempi concreti.
Per esempio, chi non sa nulla di bodybuilding…


Pensa che il body building sia sollevare pesi sempre più pesanti a caso, usando le posture corrette per non farsi male, e fine. E infatti, il motivo più diffuso per cui la gente non si ingrossa, che ci crediate o meno è il sovra allenamento.
Perché è il riposo a gonfiare i muscoli. Lo sforzo li brucia. Lo sapevate questo? Ovviamente no.
La maggior parte di quelli che falliscono nel migliorare in palestra è perché non sanno le regole di base di come ci si allena… Le quali sì, sono complicate. Sono complicatissime. Per questo senza istruttore nessuno ottiene mai un bel nulla.
Ma facciamo un altro esempio.
La letteratura è incomprensibile agli scrittori peggio ancora del pattinaggio su ghiaccio.


Guarda come sorride… Quello che sta facendo dev'essere assolutamente facile e divertente, no? Sennò non sorriderebbe.
Nel pattinaggio artistico su ghiaccio, più uno è bravo, più quello che fa sembra 'visivamente' facile. Sembra addirittura spontaneo. E farlo sembrare facile, spontaneo e addirittura divertente è proprio lo scopo 'visivo' dell'esibizione: trasmettere una sensazione piacevole allo spettatore.
In realtà, l'atleta sta facendo una fatica disumana e sta usando una concentrazione fuori dal comune, coltivata nel corso di anni.
E pensate che sia il body building che il pattinaggio sono MENO sottovalutati della letteratura. E tanto pure.
TUTTI quelli che scrivono sono agnelli sacrificali del Dunning Kruger effect; tutti quanti. Nessuno escluso. Anche molti scrittori bravi e famosi lo sono, figurarsi quelli che scrivono male.
Fino a quando non hai scritto 7–8 romanzi e non hai visto i tuoi stessi miglioramenti rispetto al primo… non hai idea del lavoro che c'è dietro e di quanto sia difficile scrivere BENE. Scrivere in modo che CHIUNQUE legge quello che scrivi 'percepisca' ciò che deve.
E peggio ancora: in letteratura peggio scrivi, più sei convinto di scrivere bene.
Nei casi estremi, in letteratura quando scrivi schifezze assolute, pensi addirittura di essere un genio. Un genio fuori dalle regole basilari della costruzione di una storia, dei personaggi e dell'arte di raccontare. Sei superiore. Gli altri ne hanno bisogno, ma tu no.
"Ma io scrivo cose vere"
"Ma io scrivo le mie riflessioni"
Il 99% di chi scrive non ha capito nemmeno che se scrive cose vere… Al lettore non gliene frega nulla.
In letteratura non è che basta 'dire' che una storia è vera, e il lettore ci crederà. Un libro non è un film, con degli attori in carne e ossa di fronte a te.
E anche quando racconti storie vere, quelli sono comunque personaggi e tu stai comunque raccontando qualcosa. Quando scrivi te la devi guadagnare quella sensazione di sincerità che nei documentari viene fornita dalle immagini o i video di repertorio, quelli reali.
E se scrivi riflessioni, allora i personaggi saranno le riflessioni.
E i personaggi, che voi lo vogliate o meno, devono andare a finire da qualche parte, non so se mi spiego. Si chiama 'inizio-svolgimento-fine', e se non c'è, al lettore mancherà COMUNQUE.
Il motivo per cui gli agenti letterari e chiunque lavora nell'editoria cerca di non sbandierarlo ai quattro venti, è non essere molestato giorno e notte da dozzine di molestatori al giorno.
Perfino io, che non sono nessuno, vengo 'molestato' almeno una volta al mese da qualcuno che ha scritto un ottimo 'qualcosa' (spesso nemmeno un romanzo) ed è convintissimo di avere scritto qualcosa di fantastico…
Mentre il 100% delle volte è letteralmente una porcata immonda… Ma io non ho nessuna voglia di dirglielo, perché poi si offenderà.
Scrivere male significa - per definizione - non saper distinguere quello che *volevi* scrivere da quello che è finito veramente *sulla carta*.
E dopo che l'hai scritto non vedi letteralmente la differenza… Altrimenti scriveresti bene.
Oppure ti auto cestineresti da solo la porcata che hai scritto… Cosa che non fa mai letteralmente NESSUNO, perché credono tutti di avere messo su carta esattamente quello che avevano in testa.
I cattivi scrittori scrivono appunti personali. E' da lì che nasce il casino. 'Universalizzare' tali appunti è un lavoro bestiale… Di cui nessuno sa assolutamente nulla.
E quando spieghi a questa gente PERCHE' fa schifo quello che hanno scritto (perché sì, io sono in grado di 'razionalizzarlo', purtroppo), loro credono che stai insultando quello che loro avevano in testa, non quello che hanno scritto effettivamente.
Quindi per evitare continue telefonate e rotture di palle infinite, gli agenti letterari VERI in Italia lavorano col basso profilo.
E quindi senza presenza social, senza sito web, eccetera. Girano il loro giro di clienti e case editrici, e fine.
Ma questo avviene anche in Inghilterra, anche se con regole diverse.
In Inghilterra avvicinare certi agenti letterari quando non sei nessuno, hai autopubblicato su Amazon o hai vinto un premio letterario che non sia lo Strega… E' proprio maleducazione, e fine della storia.


Come farsi pubblicare un libro e vendere 1 milione di copie - Alessandra  Perotti


  • 1000 è il minimo sindacabile sotto il quale si parla di fallimento 'sotto ogni punto di vista'
  • 5000 è la decenza o 'decenza interessante', a seconda del tipo di lavoro/prodotto/budget (5000 copie per le barzellette di Totti sono un fallimento assoluto).
  • 10'000 copie fanno un successo indiscusso.

Nota 1
Nell'ambito del selfpublishing ti diranno che basta molto meno, perché si guadagna di più a copia… Ma non è vero. Quello che guadagna lo scrittore non conta, quando si parla di successo. Quando un film lo guarda un sacco di gente, nessuno va a fare i conti in tasca riguardo a quanto è costato, giusto? Dunque è vero anche il contrario: se un libro se lo leggono meno di mille persone, vuol dire che non ti sta cagando nessuno, e poco importa se hai tirato su 200 euro per un anno di lavoro o quel che è.

Nota 2
Quelle qui riportate sono le cifre italiane commisurate al bacino di utenza della lingua italiana. In America va moltiplicato tutto grosso modo per 10, se ricordo bene (paese enorme, tutto che parla la stessa lingua = vendite potenziali estremamente maggiori).

Nota 3
Solo un 5% dell'editoria tradizionale arriva alle 1000 copie vendute. Nel selfpublishing la percentuale si abbassa a dismisura, ma siccome amazon tiene le cifre reali nascoste, non ci sono numeri concreti. E il motivo per cui Amazon tiene le cifre nascoste è che guadagna MOLTO di più dai servizi accessori collegati al self che dalle vendite (e quindi deve mantenere 'in piedi' la balla che il self funziona). Parlo di servizi accessori quali: pubblicità a pagamento sul loro sito, alta visibilità sui loro motori di ricerca (che poi è la stessa cosa della pubblicità), per non parlare poi di tutti i servizi che 'accessori' lo sono per davvero (grafiche a pagamento, editing, ecc).