Risultati immagini per Il disco dimenticato che racconta i segreti musicali della Milano da bere



Ora tutti parlano di Craxi, ma negli anni '80 a Milano c'è stato molto altro—come questo gruppo di terroristi musicali che flirtava con i grandi del design, della fotografia e della moda. Un disco ha salvato la loro storia dall'oblio.
Alla fine di ogni anno solare esce sempre qualche dato che ti fa saltare sulla sedia. Questa volta il motivo del mio balzo è stato la notizia che Milano sarebbe al primo posto in Italia per qualità della vita. Da bravo romano mi sono detto: ma quale vita? Tranne poche eccezioni, personalmente trovo la capitale lombarda cosparsa di Zyklon B a livello culturale.
C'era però un tempo in cui Milano pullulava di agitatori culturali, di sobillatori e terroristi sonori. Si nascondevano nelle pieghe delle illusioni della Milano da bere degli anni Ottanta e riuscivano nonostante questo a flirtare con i grandi nomi del design, della fotografia e della moda.
Uno dei principali documenti di questa situazione storica musical/politico/ multimediale è la compilation Matita Emostatica, uscita nel 1981 e fino a poco fa difficile da reperire. Oggi invece grazie all’impegno della Spittle, etichetta sempre alla ricerca di recuperi di perle sepolte nel fango del tempo, possiamo riacquistarla.
Credo sia un'operazione importantissima perché Milano si riappropri della sua storia e dell’equilibrio importantissimo tra underground e mainstream, tra serio e faceto, tra pubblicità e situazionismo tout court al di fuori delle solite menate commerciali.
Iniziamo subito dalla copertina, una splendida serigrafia a cura del celebre Roberto Masotti, famoso per essere il fotografo che ha immortalato le vicende della ECM Records, la mecca delle etichette Jazz. E il fotografo ufficiale del Teatro alla Scala. E autore di scatti a John Cage, Arvo Pärt e Demetrio Stratos. E autore di installazioni e video, tra gli altri, per i Matmos.
Il titolo, scritto in caratteri che riecheggiano i fasti delle pubblicità anni Trenta, evoca da subito il manifesto d’intenzioni del disco. L'obiettivo è cicatrizzare le ferite di una città, e giocoforza di un paese intero, a colpi d’inventiva. Vediamo allora chi sono queste menti illuminate sdraiate regalmente in questi solchi.
Le danze si aprono con "Chameaux Tunisiens" di Angelo Viaggi: chi era? Nelle note di copertina si legge che egli lavorava in uno studio di registrazione nel quale ebbe modo di frequentare band come i Camaleonti, i New Dada di Maurizio dei Krisma, e i Corvi. La sua traccia è una sorta di afrobeat new wave, tutto chitarra distorta direttamente nel mixer, percussioni e syndrum passate nell’eco con tanto di xilofono, un basso pulsante in levare e un pianoforte che fa capolino mordendo la partitura.
Per parafrasare il cognome del suo autore, è un viaggio che viene però troncato dopo soli due minuti e ventuno secondi per lasciare il posto ad un rock n’ roll bagnato di new wave ad opera della Baker Street Band. E chi sono? Bé, tali Dave Baker e Chuck Fryers, già nella Treves Blues Band dell’armonicista Fabio Treves, già neò supergruppo prog milanese L’Enorme Maria insieme a Lucio “Violino “ Fabbri della PFM e Alberto Camerini. A loro si unisce il bassista/cantante Tino Cappelletti, poi session man per Mike Bloomfield, Eugenio Finardi, Rocco Tanica, Tolo Marton e via discorrendo.
L’energico trio si fa largo a colpi di chorus come un’alternativa blues elettrica ai Duran Duran, e poi laszia spazio al patron del progetto, ovvero Al Aprile con i suoi Electric Art. Al è il produttore della compilation, ma non solo: giornalista musicale di grido e lui stesso musicista, leggenda vuole che dissuase Battiato dall’usare un nomignolo più “fashion” come ragione sociale.
Oltre ad aver suonato con lo stesso Battiato, Juri Camisasca, Giorgio Gaslini ed essere stato membro della seminale Naïf Orchestra, fece parte dei geniali Fontana, nelle cui file militava anche Maurizio Marsico. Con i fratelli La Bionda registrarono un 45 giri incredibile nell’area del synthpop italiano, uscito nell’81, che diede praticamente il via agli esperimenti mainstream dei Righeira.
La traccia presente in Matita Emostatica, ovvero "Frattonove Under the Sky", è come descritta nel disco un esempio di "rock da camera, rock portatile, rumori del rock, punk jazz, e ancora…" con una lungimiranza che prevede quasi i Cheer-Accident, storico nome dell'etichetta Skin Graft, a con le sue commistioni tra ipnosi e tempi spezzati, con tanto di voce tenorile piazzata a caso.
Un gioiello che fa spazio subito dopo agli Alphaville di Luca Majer e Franco Bolelli, il tecnico del suono dei mitici Magazzini Criminali, compagnia teatrale fiorentina. E com'è il pezzo? Bé, è una serie di nove microframmenti di brano uniti tra loro da un insopportabile, e per questo eccezionale, acufene sintetizzato tra percussioni sub programmate, chitarre no wave e sfracelletti sperimentali estremi quanto succosi.
Il nostro Luca, anche lui parte dei Fontana e presente nella storica compilation Architettura Sussurrante del grandissimo architetto e designer Arturo Mendini, è stato collaboratore dello Studio Azzurro, scrittore di libri musicali e giornalista di settore: ma soprattutto, pare, inventore di brevetti mondiali di tecnologia per il caffè espresso.
I Le Jour Prochain invece suonano una darkwave pestona tra i PIL e i Rats, primordiale, grezza e caratterizzata da un inglese volutamente maccheronico e sguaiato. Nelle sue file troviamo Stefano Comazzi, nei Novanta produttore di technona tipo Grey Area e presente anche nella compilation Gathered targata 1982, che conteneva un ricco campione della new wave/metal del periodo, sotto l’egida di Claudio Sorge.
Il lato B si apre invece all'insegna dell'alcolismo musicale. Il motto di Rocky Schiavone and the Gangsters, tratto dalle note di copertina, è "non ce ne frega un cazzo: facciamo pezzi dei mitici Sessanta perché possiamo suonarli con lo stesso stato d’animo che ha il vecchiardo quando canta 'Romagna mia' o il piccolo infante che ulula 'Candy Candy'".
La matrice Skiantos è ben evidente, ma è spruzzata di rock steady/ska/dub e non si perde in tecnicismi inutili. In questa cover di "Nessuno mi può giudicare" si vedono i prodromi della ben più paracula formula dei BlueBeaters, ma con un livello di cazzoneria inarrivabile.
I misteriosi OFF-SET seguono a ruota con un brano di elettronica assurdista e giocattolosa, erede dei Devo come dei Residents: nessuna nota infatti sugli elementi coinvolti in questo “ghosting” musicale. Troncati col machete, sono l'introduzione al brano-feticcio dell’ album, ovvero "Lucy’s First Appointment" della Monofonic Orchestra aka Maurizio Marsico.
Il pezzo è basato su un arpeggio rock'n'roll al pianoforte, sul quale si adagia una frase rubata a un jazzista che gli espertoni dovranno indovinare, ma che vi dico io qua visto che siete lenti: trattasi di "Cool Blues" di Charlie Parker, trasformata in un pattern a incastro. Completano il tutto una drum machine e uno snare di quelli fastidiosissimi. La struttura del pezzo è ispirata agli esperimenti eretici di Lennie Tristano, il primo a usare l’overdub nel jazz fottendosene dei puristi.
Dal jazz smontato si passa al blues rock elettrico, con gli Stumblers che si cimentano in una cover fracicona del classico "Last Clean Shirt", che probabilmente è la cosa più normale di questo disco. A terminarlo è infatti la traccia "Automatic Guitar" di Roberto Masotti, il designer della copertina, dedicata nientepopodimenoche a Pete Cosey, mitico chitarrista del periodo elettrico fine settanta di Miles Davis.
Quattro minuti e trenta di chitarra noise/no wave martoriata sulla base di una specie di assurdo maranzano sintetico bucacervello ottenuto non si sa come. Siamo di fronte a un must che supera il tempo e lo spazio. D’altronde nel 2011 uscì un libro dallo stesso titolo, opera proprio del succitato Luca Majer, dove questi due elementi erano gettati come palline contro al muro, con tanto di “colonna sonora” contenuta in un CD che di questo disco può essere considerato una vera e propria appendice.
Dai solchi di Matita Emostatica escono i fumi di una Milano delirante, più da pere che da bere, che si opponeva alla qualità della vita in superficie e tirava fuori l'immondizia da sotto il suo tappeto senza paura di scontri frontali. È che a volte la qualità di una città non sta tanto nella vita, quanto nella morte di quelli che ne hanno fatto la storia. Come dice Al Aprile, "si tratta di cambiare semplicemente punto d’osservazione. Dimensione. Si è sempre ascoltata una sola faccia della rock'n'roll music e le possibilità di rovesciare il suono appaiono d’un tratto inaspettate”. Che si possa fare la stessa cosa oggi con Milano?