Il
Bunraku
(文楽)
o
Ningyō jōruri
(人形浄瑠璃)
è un tipo di teatro giapponese caratterizzato dalla combinazione di
tre pratiche: la manipolazione dei burattini (Ningyō人形),
la recitazione del testo e l’accompagnamento della recitazione con
la musica prodotta da un liuto a tre corde chiamato shamisen. Queste
tre componenti sono il risultato di una fusione avvenuta nel XVI
secolo di due arti ben distinte: la narrazione dei testi epici
(jōruri) accompagnati dalla musica dello shamisen, e la
manipolazione dei burattini da parte di artisti itineranti. Con il
Kabuki, il Teatro Nō e il Kyōgen, è una delle maggiori espressioni
artistiche del Giappone nell'ambito delle arti performative.
Il termine “Jōruri” (letteralmente
“puro cristallo”, "lapislazzuli"), deriverebbe dalla
Storia di Joruri (Jōruri-jū-ni-dan-zōshi) diffusa nel XV-XVI
secolo e largamente recitata in pubblico nei villaggi dell'epoca.
Essa narrava l’amore sbocciato tra il giovane Ushiwakamaru (il nome
da ragazzo di Yoshitsune, l’eroe del clan Minamoto) e la bellissima
Jōruri, figlia di un rispettato samurai, chiamata così dal padre
perché nata a seguito di lunghe preghiere rivolte al dio Jōruri Kō.
La fama raggiunta da questa storia avrebbe portato all'uso del
termine jōruri per definire ogni composizione, dalle storie d'amore
ai racconti epici, declamata da narratori di professione, chiamati a
loro volta jōruri-katariame.
Verso il 1600 uno dei famosi cantori
del tempo, Menukiya Chōzaburō, rappresentò la storia d'amore di
Joruri, conosciuta come Jūnidanzōshi, accompagnando per la prima
volta la musica dello shamisen con la manipolazione di un burattinaio
(ebisukaki) allora famoso, tal Hikita. Questa rappresentazione (detta
ayatsuri-jōruri "jōruri di marionette", da ayatsuru,
"manovrare le marionette"), acquistò molta fama, e da quel
momento il nome della dama sarebbe stato utilizzato per indicare
anche, più in generale, il teatro dei burattini.
Il secondo nome “Bunraku” deriva
dal famoso burattinaio Uemura Bunrakuken (1751-1811), che nel primo
decennio del XIX secolo intraprese ad Ōsaka un importante progetto
per rilanciare il teatro dei burattini, aprendo il primo teatro
chiamato Bunraku-za. Il termine “Bunraku” è molto più usato
rispetto ai nomi Jōruri, Ningyō Jōruri e Ningyō shibai
(letteralmente “spettacolo di burattini”).
L'uso del burattino in Giappone è
molto antico, e diverse sono le interpretazioni sulle sue origini.
Gli studiosi hanno ipotizzato che
nell’epoca arcaica i burattini venissero usati con scopi religiosi
durante le cerimonie sciamaniche, come mezzo per trasmettere
preghiere agli dèi, oppure con funzione di cura delle malattie dei
bambini.
Dal X secolo si hanno
testimonianze di una comunità nomade di origine continentale, i cui
componenti, chiamati ''kugutsu'' (傀儡回),
erano dediti alla manipolazione di pupazzi.
I kugutsu-mawashi erano molto
simili agli zingari, girovagavano per le province e si accampavano
vicino ai villaggi, dove mettevano in scena uno spettacolo piuttosto
semplice con un solo burattino dall’aspetto primitivo, azionato su
un “palcoscenico” composto da una scatola che essi portavano
appesa al collo. Le loro donne erano conosciute per l’arte della
divinazione, delle danze, degli intrattenimenti e per la
prostituzione. Il fatto che i burattini fossero legati a un gruppo di
persone considerate fuoricasta non è una novità: sono stati
ritrovati recentemente dei burattini in quartieri dove attori e
prostitute convivevano.
Dal periodo Heian (794-1185) in poi, la
manipolazione dei burattini acquista un valore ludico e di
intrattenimento. Intorno al XII secolo si ha notizia di gruppi di
monaci ciechi che, suonando uno strumento a corda chiamato biwa,
cantavano le gesta epiche della battaglia tra i clan Heike e
Minamoto, le morti di eroi valorosi, i tumultuosi anni che segnano la
fine di un'epoca e le storie buddhiste su templi e santuari. Tali
rappresentazioni si diffondono fino al periodo Muromachi, quando
l'introduzione di un nuovo strumento musicale a tre corde, lo
shamisen, proveniente dalle isole Ryūkyū, permetterà di introdurre
nei racconti nuove sonorità.
Da questo momento in poi, il recitatore
e il suonatore sarebbero diventate due persone distinte, favorendo lo
sviluppo di tecniche specifiche, e riservando alla musica non più
solo il ruolo di accompagnare, ma anche quello di cadenzare la
narrazione, indicando il suono della pioggia o guidando la
recitazione del cantore per far risaltare l’atmosfera.
Più tardi, alla melodia e alla
narrazione, sarebbero stati aggiunti i movimenti dei burattini,
elementi costitutivi del Ningyō Jōruri. Secondo la tradizione, la
prima commistione di queste tre pratiche avrebbe avuto luogo nelle
rappresentazioni che si svolgevano intorno alle baracche costruite
sul letto asciutto del fiume Kamo a Kyōto, dove si radunavano
attori, cantori e marionettisti giravaghi, e il primo narratore a
farne uso sarebbe stato Menukiya Chōzaburō (目貫屋長三郎),
con la recitazione di un testo dal titolo Jūnidanzōshi 十二段草子
(Volume in dodici sezioni), attribuito ad una dama di Corte
dello shogun Ono-no-Otsu.
Il Bunraku fu riconosciuto
definitivamente nel periodo Tokugawa (1603-1868) e venne
rappresentato nelle platee di Edo, Ōsaka e Kyōto.
Un primo grande passo per lo sviluppo
del teatro dei burattini è dato dal passaggio da una letteratura
tramandata oralmente, a una scritta, realizzatosi grazie alla stampa
dei testi, destinati anche alla lettura.
Il periodo dei Jōruri, dalle origini
fino alla svolta operata dal drammaturgo Chikamatsu Monzaemon
(1653-1724), è documentato negli shohon, testi originali di drammi
stampati tra il 1620 e i 1686. Un particolare molto interessante è
la presenza di cantori donne tra i nomi citati in questi testi: prima
dell’onna daigaku (un documento in cui venivano elencate le
proibizioni e i doveri delle donne) del 1629, le donne ricoprivano il
ruolo di cantori a Kyōto esibendosi apertamente sul palcoscenico. Il
cantore più importante di questo periodo fu Satsumadayū Jōun che
si conquistò il favore del pubblico di Edo con drammi dalle azioni
violente, molto popolari tra i samurai. Fino al Seicento, le storie
tratte dall’Heike Monogatari, i miracoli buddhisti o shintoisti e
gli Oie sōdō, racconti che descrivevano le sofferenze di grandi
famiglie samuraiche, rappresentano i temi prediletti nella brulicante
Edo. Molte opere includono anche storie di schiavitù che evocavano
la compassione degli spettatori.
Dalla metà del Seicento, un gruppo
consistente di opere vede come protagonista Sakata no Kinpira con i
quattro cavalieri discendenti dagli Shitennō che avevano
accompagnato Minamoto no Raiko, cantate a Edo dalla voce possente di
Izumidayū. Le avventure di Kinpira presentano personaggi semplici e
prevedibili, con molti colpi di scena e un piccolo accenno ai
sentimenti: i guerrieri sono i protagonisti e le trame si allontanano
dalla struttura classica dei monogatari. I racconti iniziano con la
sconfitta, l’esilio o la peregrinazione dei personaggi principali e
si concludono, grazie alle gesta sovraumane dei guerrieri, con il
ristabilimento dell'ordine dell'impero e della pace. Il cantore più
famoso dei Kinpira-jōruri fu Sakurai Tamba che incalzava l’azione
con la foga del suo canto.
Dopo l’incendio del 1651, molti
burattinai si spostarono da Edo all’area di Kyōto-Ōsaka, mentre
rimasero i burattinai legati a Kinpira, che grazie alla loro attività
divennero una fonte di svago e di intrattenimento molto apprezzata
dalla popolazione, stressata e stremata dalle fatiche della
ricostruzione della città.
Negli stessi anni, nell’area di
Kyōto-Ōsaka si affermano i cantori Inoue Harimanojō, Uji Kaganojō
e Yamamoto Kakudayū, chiamato anche Tosanojō. Kakudayū divenne
famoso per lo stile del suo canto ricco di pathos, dolore e mestizia
e per l’uso molto abile di marionette e bambole meccaniche in scene
piuttosto complesse e coinvolgenti, come trasformazioni, miracoli di
Buddha e Bodhisattva, e raggiungimento della buddhità. Inoue
Harimanojō (1632-1685) è noto per aver introdotto nel Jōruri un
aspetto più realistico della rappresentazione. Prendendo spunto
dalle tematiche del teatro Nō, egli eliminò la maggior parte degli
interventi di mostri o miracoli, accompagnando il tutto con una voce
molto potente.
L’ultimo cantautore famoso dei
Ko-Jōruri è Kaganojō che, come Harimanojō, studiò il teatro Nō,
ma non poté diventarne un attore in quanto non discendente di una
famiglia di attori Nō. Divenne noto per la recitazione dolce e
delicata, ispirata alla classicità e all'eleganza, con richiami
all’Eiga Monogatari e all’Ise Monogatari, accompagnata da
atmosfere degli scenari, dalla scelta di personaggi femminili come le
cortigiane, e dalla collocazione di canti melodici con danze nei
momenti di apertura, di suspense o di chiusura.
Kaganojō introdusse cambiamenti
nei testi e nel canto, avvicinandoli a quelli del teatro Nō,
adattato all’accompagnamento con lo shamisen. Apportò anche
mutamenti nell’estetica, con l'introduzione della corrente di
pensiero di Zeami, per elevare il Jōruri allo stesso livello del
teatro Nō. Fu un drammaturgo molto prolifico nella scrittura di
drammi familiari e testi a tema storico, e apportò innovazioni alla
struttura stessa del dramma: fu il primo ad introdurre la struttura a
cinque dan, tipica del teatro Nō. Rispetto alla libertà concessa al
Jōruri nei dodici dan precedenti, questo cambiamento favorì una
migliore organizzazione dello svolgimento della storia con un inizio,
uno sviluppo e una fine.
Mentre Tosanojō inaugura uno
stile piangente, ricco di dolore e di pathos, Kaganojō fu l’ultimo
dei cantori del teatro Jōruri a scrivere i drammi o a presenziare
durante la loro scrittura.
La figura più importante nella
recitazione è quella di Takemoto Gidayū (1650-1714), un allievo di
Harimanojō. Nel 1685 fondò ad Osaka un teatro di marionette
chiamato Gidayu-Takemoto-za, nel quale recitò per diversi anni le
opere di Chikamatsu Monzaemont. Egli introdusse un nuovo tipo di
canto chiamato “Gidayūbushi” che donava umanità ai burattini,
con uno stile moderno, sensibile e drammatico nel rappresentare la
psicologia e i sentimenti delle bambole: ancora oggi, lo stile di
canto di Gidayū è praticato nei Jōruri moderni.
Un allievo molto famoso di Takemoto fu
Toyotake Wakatayū che fondò il Toyotake-za. In aperta competizione
con il Takemoto-za, diede luogo a una gara vivace tra i due teatri,
tanto che nel XVIII secolo il teatro dei burattini oscurerà la fama
del teatro Kabuki.
Una nuova fase del teatro Jōruri si
apre con Chikamatsu Monzaemon, riconosciuto come il maestro della
composizione di testi per Jōruri e Kabuki. Chikamatsu visse nel
periodo Tokugawa, e compose testi per divertire la popolazione che
risiedeva nei quartieri di piacere. Il suo luogo di nascita non è
noto, e si conosce poco della sua infanzia. Era il secondogenito di
una famiglia di origine samuraica e si sa che in giovinezza trascorse
un periodo in un tempio buddhista chiamato Chikamatsu, dal quale
deriverebbe il suo nome d'arte. Qui avrebbe appreso le dottrine
buddhiste che permeano i suoi scritti. Fino al suo diciannovesimo
anno fu al servizio di Ogimaki Kimmochi, un nobiluomo di corte molto
colto che scriveva testi per il cantore Kaganojō: pare che la
cultura del suo padrone e questi primi contatti con il mondo Jōruri
abbiano influenzato molto il giovane Chikamatsu. Alla morte del suo
protettore, dovette trovare lavoro e si unì a una compagnia teatrale
come drammaturgo, entrando in contatto con le classi inferiori della
popolazione. Avendo avuto l'occasione di osservare il mondo
ecclesiastico, il mondo nobile e quello popolare, Chikamatsu acquisì
un bagaglio di conoscenze che riversò nelle sue opere. La
caratteristica fondamentale dei testi di Chikamatsu è la
comprensione della psicologia e dei sentimenti umani, riflessa
nell’azione, nel lessico e nella struttura. Egli eliminò tutti gli
appesantimenti del verso poetico con l’alternanza di 5-7 sillabe,
sostituendoli con il ritmo e la melodia della recitazione.
L’opera di Chikamatsu di solito viene
divisa in quattro periodi: il periodo iniziale, in cui scrisse per lo
più testi dedicati al Kabuki, fino al 1648, l'anno del suo debutto.
Il secondo periodo coincide con il successo ottenuto dall'opera
Shusse Kagekiyo ("Kagekiyo, il Trionfatore", 1684), che
segna l’avvio dello Shin Jōruri, un nuovo genere di Jōruri che
otterrà talmente tanto successo da competere con il Kabuki, e
l’inizio della scrittura di opere per il Jōruri, nelle quali
Chikamatsu introdurrà una struttura vivace, simile al Kabuki, con un
dialogo vivo. Nel terzo periodo Chimatsu realizzerà soprattutto
opere kabuki. Dal 1705 in poi, con il trasferimento a Osaka, si
dedicherà alla sola stesura di opere per il Jōruri, allargando gli
orizzonti del teatro delle marionette con i jidaimono (storie in
cinque atti che rielaborano personaggi, scene e temi delle più
grandi opere letterarie) e i sewamono (drammi in tre atti che
attingono le loto tematiche direttamente dall’esperienza presente).
Chikamatsu divenne famoso per gli
shinjumono, ovvero drammi che prendevano spunto da fatti di cronaca e
raccontavano di doppi suicidi d’amore: una delle opere più famose
di questo genere fu Sonezaki Shinjū (“Gli amanti suicidi di
Sonezaki”) del 1703.
L’apogeo del teatro dei burattini
viene raggiunto nel XVIII secolo, tanto che le rappresentazioni
Jōruri competeranno sempre di più con il kabuki, introducendo
innovazioni sia nella sceneggiatura che nella drammaturgia. In questo
periodo, i successori di Chikamatsu Takeda Izumo II e Namiki Senryū
(sotto l’appellativo di Namiki Sōsuke quando scriveva per il
Toyotake-za) produrranno l’opera più famosa chiamata Kanadehon
Chūshingura (letteralmente "Il manuale sillabico, magazzino dei
vassalli fedeli"), composto da 11 atti. Il filo cardine
dell’opera è la lealtà dei 47 ronin samurai al loro padrone anche
dopo la sua morte, e il tema del denaro che i seguaci fedeli devono
accumulare per partecipare alla vendetta contro l’assassino.
Quest’opera presenta una commistione tra elementi dei jidaimono -
per la presenza di samurai - ed elementi dei sewamono, poiché alcune
scene sono situate in quartieri del piacere. La trama di base è un
fatto realmente accaduto in epoca Tokugawa, naturalmente rielaborato
con nomi modificati di persone e luoghi per evitare la censura.
Successivi a Takeda Izumo II e a Namiki
Senryū, furono Chikamatsu Hanji al Takemotoza e Suga Sensuke al
Toyotakeza. Hanji prende il suo nome da Chikamatsu Monzaemon e
rinnova l’arte Jōruri con scene e strategie di grande effetto sul
palco, trame complesse con esito quasi sempre tragico, personaggi
maschili ribelli che attentano all'impero stesso, o personaggi
femminili che fedelmente seguono il loro amore.
Poiché il Jōruri è una forma di
teatro che si basa sull'approvazione popolare, lontana dalla
protezione del potere politico in fase di crisi, lo spostamento del
favore popolare al Kabuki, nonostante la presenza di brillanti
drammaturghi, portò a una fase di declino che culminò nel 1765 con
la chiusura del Toyotakeza e nel 1767 del Takemotoza.
Successivamente, nel tardo periodo Tokugawa la mancanza di figure
brillanti sia nella composizione che nel canto condusse a un
inaridimento della creatività nella scrittura, e ad una tendenza
generale al rimaneggiamento dei testi di Chikamatsu Monzaemon.
Inoltre, le austere misure adottate nell'era Tenpō (1830-1844) non
migliorarono la già precaria situazione del teatro: il confinamento
nei quartieri più malfamati e la frugalità imposta alle
sceneggiature e ai costumi rappresentarono un'ulteriore umiliazione
per gli artisti.
Nel XIX secolo, i ripetuti sforzi di
Uemura Bunrakuken vennero ripagati con un ritrovato apprezzamento
popolare del Jōruri nella zona di Ōsaka, tanto che riaprirono due
teatri: il Bunraku-za nel 1805 e lo Hikoroku-za nel 1884.
Con la comparsa di nuovi generi
teatrali come lo shinpa e lo shingeki e di altre attrattive nel campo
delle arti, il Bunraku attraversa però un'ulteriore fase di declino.
L'incendio del 1926, nel quale andarono distrutti sia il Bunraku-za
che preziosi burattini, assesta a questo genere teatrale un altro
duro colpo. Il Bunraku, privato della sede, diventa itinerante.
Grazie al talento di artisti di grande valore come Toyotake
Kotsubodayu, Yoshida Bungoro e Yoshida Eiza, conquista il favore del
popolo di Tōkyō che apprezza molto le trame vivaci. Nel 1929 viene
aperto un nuovo teatro a Ōsaka ma, in questa fase, il Jōruri non
riesce a ottenere un grande successo: nel 1933, infatti, ricevette un
sussidio dal governo Meiji attraverso un decreto di legge istituito
per preservare le forme di cultura popolare considerate tesori
culturali nazionali.
Nel 1945 il teatro fu di nuovo
distrutto nel bombardamento di Ōsaka e nel 1946 ne fu fondato uno
provvisorio che nel 1956 sarà sostituito da quello ufficiale. In
questo periodo, si manifestò la volontà di rinnovare l’ambiente
molto conservatore dei cantori e, in generale, del Bunraku che
divenne molto apprezzato per l'abilità dei maestri succedutisi negli
anni: per lo shamisen, Toyozawa Danpei II che portò
l'accompagnamento musicale a livelli molto alti, per i burattini
Yoshida Tamazō, abile manovratore di personaggi sia maschili che
femminili che animali e per il canto Takemoto Nagatotayū.
Nell'immediato dopoguerra, gli artisti,
a causa di questioni sindacali, si divisero in due fazioni: il
Chinamikai, una corrente più conservatrice, e il Mitsuwakai più
progressista. Nel 1963 finalmente le due fazioni si riunirono e
diedero vita alla Bunraku Kyōkai. Questa associazione portò un
periodo di stabilità, culminato nella recente apertura del Teatro
Nazionale Bunraku di Ōsaka e all'installazione di una piccola sala
attrezzata per il Bunraku anche nel Teatro Nazionale di Tōkyō.
Inoltre, il governo ha deciso di
conferire ai protagonisti della messa in scena degli spettacoli
Jōruri, il titolo di “Tesori culturali viventi”, prima riservato
solo agli attori Nō e Kabuki.
Il palcoscenico del Bunraku è diverso
dagli altri teatri poiché la sua funzione principale è quella di
ospitare i movimenti dei manipolatori di burattini. Ha preso in
prestito dal Kabuki diversi elementi, modificandoli a seconda delle
esigenze del genere.
Nei teatri moderni è presente
un’apertura di scena molto ampia e un hanamichi, ovvero un
passaggio rialzato che passa dal pubblico al palco, tipico del
Kabuki, ma con un pavimento più profondo per nascondere i
burattinai. Inoltre, sono presenti diverse tavole di legno dipinte di
nero, sistemate secondo le varie scenografie, che devono creare la
divisione tra avanscena, centro e retro del palco. La maggior parte
del dramma si svolge nella parte centrale, la parte anteriore invece
presenta tutto ciò che richiede la scena (cancelli, palazzi, interni
di case, ecc...), mentre dietro è sistemato il funazoko, ovvero una
parte del palco più bassa rispetto al palco principale, usata per i
movimenti dei burattinai. Per quanto riguarda la scenografia, non
vengono usate macchine complesse: di solito, lo sfondo è attaccato
alle pareti di legno ed è prospettivamente adattato al pupazzo.
L’origine precisa dei burattini non
si conosce, si sa solo che erano usati per scopi religiosi e curativi
e che furono importati dall’Asia Orientale poiché il nome kugutsu
assomiglia molto al termine usato in altri Paesi per indicare
generalmente le marionette. Il loro uso comincia a mutare verso
l’VIII secolo, passando da una funzione religiosa/curativa a
intrattenitiva: a differenza della complessa struttura che mostrano i
burattini del XVIII secolo, quelli di questo periodo sono molto
semplici, azionati da una sola persona e molto distanti dalle
complesse marionette meccaniche che affascinavano molto la Corte
cinese.
Alcuni attribuiscono le origini di
queste rappresentazioni in Giappone a un sacerdote del tempio di
Ebisu, chiamato Momodayu. Il nome attribuito ai burattinai,
Ebisu-kaki (lett. : del recinto di Ebisu) farebbe riferimento a
questo luogo di culto.
In Giappone, a seconda delle epoche,
erano presenti varie tipologie di burattini: marionette con i fili,
altri mossi da un bastone su un palcoscenico portatile con il
burattinaio nascosto, o mossi su un palcoscenico più grande con il
burattinaio completamente esposto e fantocci a guanto. Le marionette
odierne hanno una struttura di legno che forma le spalle, sulla quale
è sostenuta la testa, la parte più importante. Le gambe e le
braccia sono dei cordoni imbottiti di cotone posti alle estremità
dell’asse di legno e tutta la struttura è coperta dai vestiti: nei
rari casi in cui sono presenti delle parti del corpo scoperte, sono
dipinte in modo molto realistico con tanto di tatuaggi se il
personaggio li prevede. I burattini maschili sono alti fino a un
metro e venti con una struttura più pesante, un asse piatto per le
spalle e un anello di bambù che collega il tronco alle gambe. I
fantocci per le donne invece presentano una struttura più leggera e
una sacca di cotone per modellare le gambe quando il personaggio si
siede.
La testa della marionetta è la parte
più importante: è attaccata all’asse delle spalle e ci sono molle
e congegni per muovere bocca, occhi e sopracciglia, per dare
l'effetto di una naturalezza espressiva che arriva a competere con
quella propria degli attori umani del Kabuki. Alcune teste vengono
usate per più personaggi, adattandosi alla funzione e al carattere
del nuovo pupazzo, mentre invece altre sono specifiche in base al
ruolo svolto nel dramma. Anche le capigliature sono particolarmente
curate e i vestiti rappresentano le alti classi della corte, dei
samurai e dei commercianti con decorazioni molto elaborate e
sontuose.
L’addestramento dei burattinai è
molto severo: nella tradizione si dice che ci vogliano almeno 30 anni
prima di poter muovere un burattino sul palcoscenico, di cui 10 per
muovere le gambe, 10 per il braccio sinistro e altri 10 per il
braccio destro e la testa. Quando cominciarono a diffondersi i
burattini mossi da tre persone (anche chiamata arte del gassaku), si
divisero i ruoli in: omozukai, ovvero l’operatore più importante
che muove testa e braccio destro, hidarizukai, il secondo operatore
che muove il braccio sinistro e, infine, il terzo operatore ashizukai
assegnato al movimento dei piedi.
L’omozukai inserisce il braccio
sinistro sotto l’obi per giungere all'intelaiatura del fantoccio e
muove testa e braccio destro come se fossero unici, suggerendo
diversi movimenti e azionando i meccanismi che rendono realistiche le
espressioni facciali con le sopracciglia, la bocca e gli occhi,
mentre con il braccio destro sistema una leva complessa sopra il
braccio del burattino che regola le corde. L’hidarizukai non è
vicino al burattino ma con una stecca munita di perno muove le corde
del braccio sinistro, mentre l’ashizukai ha il compito di
sincronizzare le gambe con i movimenti del torso.
Oltre al ruolo, anche i vestiti sono
differsi a seconda del burattinaio: mentre il secondo e il terzo
operatore hanno costumi neri con il cappuccio e un velo sul volto,
l’operatore principale ha un kimono tradizionale del XII secolo
chiamato kamishimo, e indossa sandali alti in legno per essere più
alto degli altri due manipolatori. Egli non si nasconde e mostra
apertamente la sua abilità nel muovere i pupazzi.
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