Il
balletto
è un particolare tipo di
rappresentazione coreografica che nasce a partire dal primo
Rinascimento dalle composizioni dei maestri di ballo presso le corti
signorili italiane e francesi.
Con le successive evoluzioni, il
termine balletto oggi comprende un'ampia varietà di rappresentazioni
sceniche di un dramma visivo svolto per mezzo di danza e pantomima,
spesso accompagnato da musica e interpretato da danzatori secondo una
coreografia predeterminata. Comunemente con il generico termine
balletto o balletto classico ci si riferisce anche al balletto
moderno evolutosi dalla scuola di San Pietroburgo in particolare
attraverso l'esperienza dei Ballet Russes fino alla spinta in senso
più "formale" di George Balanchine, e comunque a forme di
danza teatrale che utilizzano movimenti del corpo riconducibili alla
tecnica accademica della danza classica.
Il fiorire dei commerci, l'affinarsi
delle tecniche, il nuovo interesse per la cultura scaturito
dall'Umanesimo provocarono nell'Italia di inizio 1400 un fiorire
delle arti presso le corti nobiliari. Mentre presso le corti
medioevali il prestigio era dettato dal potere militare e dai
possedimenti, diventò ora importante per la classe dominante
dimostrare la propria eccellenza e trasformare la corte nel teatro
dove mettere in scena il proprio splendore.
In particolare le feste di corte
diventarono sempre più sfarzose e fantasiose, includendo spesso
anche rappresentazioni danzate nelle quali però i danzatori non
erano professionisti ma nobili di corte che danzavano per piacere e
dovere sociale.
In questi anni, caratterizzati da una massiccia codificazione di tutte le arti, comparve nelle corti italiane un nuovo personaggio: il maestro e teorico di danza. Alcuni nomi sono giunti a noi grazie agli scritti conservati presso le biblioteche, come Domenico da Piacenza, e i suoi allievi Antonio Cornazano (pure attivo fra Piacenza e Ferrara) e Guglielmo Ebreo da Pesaro (conosciuto anche come Giovanni Ambrogio), accomunati da una stessa visione teorica e da una stessa terminologia, tanto da poter parlare di una primitiva scuola italiana (la "scuola lombarda") che stabilisce per prima le regole tecniche, l'estetica, l'etica del danzatore:
In questi anni, caratterizzati da una massiccia codificazione di tutte le arti, comparve nelle corti italiane un nuovo personaggio: il maestro e teorico di danza. Alcuni nomi sono giunti a noi grazie agli scritti conservati presso le biblioteche, come Domenico da Piacenza, e i suoi allievi Antonio Cornazano (pure attivo fra Piacenza e Ferrara) e Guglielmo Ebreo da Pesaro (conosciuto anche come Giovanni Ambrogio), accomunati da una stessa visione teorica e da una stessa terminologia, tanto da poter parlare di una primitiva scuola italiana (la "scuola lombarda") che stabilisce per prima le regole tecniche, l'estetica, l'etica del danzatore:
«Il bel danzar che con virtù s'acquista per dar piacer all'anima gentile conforta il cuore e fal più signorile e porge con dolcezza allegra vista.» |
(Guglielmo Ebreo da Pesaro, De pratica seu arte
tripudii) |
Siamo di fronte a trattati sicuramente
troppo complessi per un pubblico aristocratico, e presumibilmente
destinati alla formazione di maestri di danza, una professione quindi
già fortemente richiesta dalle corti del primo Rinascimento.
Domenico nel suo trattato De arte
saltandi et choreas ducendi operava una prima distinzione fra bassa
danza e ballo, la prima (distinguibile in bassadanza propriamente
detta e quaternaria) eseguita con una tecnica che evita i salti, a
contatto con il suolo e caratterizzata da un incedere grave e dal
portamento nobile, il secondo (rapido e identificato da saltarello e
piva) con salti e variazioni più dinamiche. Tale distinzione sarà
poi ripresa, sottolineata e chiarita dal Cornazano:
Eseguita a partire dal XIII secolo e
rimasta in voga fino alla metà del Cinquecento in Francia, la
bassadanza è considerata dai trattatisti quattrocenteschi come
termine di paragone per ogni altra danza. Ed è probabilmente da un
passo derivato dalla bassadanza, il brando, congiuntamente alla
moresca – danza guerresca di derivazione spagnola –, entrambe
citate da Baldassarre Castiglione nel suo Il Cortegiano a proposito
degli intermezzi di uno spettacolo rappresentato alla corte di Urbino
nel 1513, che la danza cominciò ad affrancarsi dall'ambito del ballo
nobiliare per divenire arte spettacolare.
Il termine balletto si comincia a usare
in Italia al posto di ballo agli inizi del Cinquecento. Una prima
testimonianza di messa in scena di uno spettacolo danzato legato ad
un tema unitario si trova poi sempre in Italia, messo in scena
durante il banchetto di nozze fra Gian Galeazzo Maria Sforza e
Isabella d'Aragona nel 1489 a Tortona. La rappresentazione
allegorica, realizzata a cura di Bergonzio Botta e dedicata alla
esaltazione dell'amore coniugale, prende il nome di balletto
conviviale e verrà imitata in molte altre corti negli anni
successivi.
Le origini del balletto in Francia sono
legate alla nascita del ballet de cour ad opera dell'italiano
Baldassarre Baltazarini da Belgioioso. I maggiori balli in uso nel
XVI secolo in Francia e in altri paesi europei sono stati
accuratamente descritti nel 1589 da Thoinot Arbeau (pseudonimo di
Jean Tabourot) nel suo trattato Orchésographie. Appartiene al genere
delle mascherate il Bal des ardents organizzato da Carlo VI nel 1393,
un particolare tipo di corteo messo in scena da nobili travestiti da
personaggi storici o mitologici. Le cronache riportano che in
occasione del matrimonio del duca di Vermandois il re stesso aveva
messo in scena un ballo, assieme a quattro amici tutti travestiti da
«uomini selvaggi», indossando costumi ricoperti di fiocchi di lino
cardato; essendosi avvicinati troppo al fuoco di una torcia, i
danzatori si erano trasformati all'istante in torce umane, e solo il
re fu salvato dal rogo grazie al pronto intervento di una dama che
con la propria gonna spense le fiamme.
In Inghilterra lo sviluppo della danza
teatrale pare essere invece legato alle Masque, danze mascherate che
si svolgevano durante i balli reali con la partecipazione degli
stessi sovrani e che comprendevano danze, canti e recite di poesie
secondo programmi e testi predefiniti (Ben Johnson all'inizio del
Seicento fu autore di alcune Masque).
Parallelamente in campo musicale si
assiste ad un graduale affrancamento della musica strumentale dal
canto, e questa trasformazione influenza non poco anche i modi della
danza che non più guidata dalle parole può divenire ritmica e
sviluppare una poetica indipendente e una espressività nuova con il
corpo in primo piano.
Un segno evidente della grande
trasformazione che avviene nelle rappresentazioni danzate in questo
periodo è la nascita delle prime "scuole di ballo nobile",
scaturita anche dalla ampia diffusione dei primi trattati sulla
tecnica di cui abbiamo detto sopra e dalla richiesta proveniente
inizialmente dagli stessi principi e gentiluomini per non sfigurare a
corte. La prima grande scuola per ballerini, venne fondata all'inizio
del Cinquecento da Pompeo Diobono: da qui usciranno Ludovico
Paluello, Bernardo Tetoni, Baldassarre Baltazarini da Belgioioso,
Cesare Negri. Dalle scuole italiane cominciarono poi a diffondersi in
tutta Europa maestri di Ballo nobile che si stabilirono presso le
principali corti europee, dando inizio ad un irraggiamento delle
conoscenze tecniche e teoriche di danza che non si arresterà per i
successivi quattro secoli.
Nel 1602 Cesare Negri, ormai anziano,
pubblicherà nel suo Le Gratie d'amore (poi ripubblicato nel 1604 col
titolo Nuove inventioni di Balli) le prime norme stilistiche che si
ritrovano tuttora ripetute nella tecnica accademica, fra cui la base
delle cinque posizioni e l'impostazione con i piedi in fuori.
Caterina de'
Medici, un membro della signoria di Firenze, divenne regina di
Francia nel 1547 sposando il re Enrico II, ed introdusse in Francia
gli stessi spettacoli che aveva conosciuto in Italia. Questi
spettacoli erano allestiti da Baldassarre Baltazarini da Belgioioso
((FR) Baltasar de Beaujoyeulx) un musicista molto dotato. Egli era
stato chiamato dall'Italia per diventare maestro di musica dei figli
del re in Francia.
Gli storici del balletto considerano uno degli spettacoli di Belgioioso, il Ballet Comique de la Reine (orig. Balet comique de la Royne), come primo vero balletto. Era uno spettacolo sontuoso che durava circa cinque ore e mezza, rappresentato la prima volta il 15 ottobre 1581 in onore del matrimonio fra il Duca di Joyeuse[3] e Marguerite de Vaudemont, sorella della regina. Il balletto raccontava del mito antico di Circe che aveva il potere di trasformare gli uomini in bestie e includeva musica strumentale, canto, lettura di versi, danza e in cui gli stessi nobili di corte presero parte alla rappresentazione. Poiché la tecnica di danza era estremamente limitata, Baltazarini dovette ripiegare su costumi spettacolari e grandi scenografie per impressionare il pubblico. Per essere sicuro che la gente capisse la storia, egli fece distribuire copie dei versi usati nel balletto. Il balletto fu un successo enorme e fu molto imitato nelle altre corti d'Europa.
Gli storici del balletto considerano uno degli spettacoli di Belgioioso, il Ballet Comique de la Reine (orig. Balet comique de la Royne), come primo vero balletto. Era uno spettacolo sontuoso che durava circa cinque ore e mezza, rappresentato la prima volta il 15 ottobre 1581 in onore del matrimonio fra il Duca di Joyeuse[3] e Marguerite de Vaudemont, sorella della regina. Il balletto raccontava del mito antico di Circe che aveva il potere di trasformare gli uomini in bestie e includeva musica strumentale, canto, lettura di versi, danza e in cui gli stessi nobili di corte presero parte alla rappresentazione. Poiché la tecnica di danza era estremamente limitata, Baltazarini dovette ripiegare su costumi spettacolari e grandi scenografie per impressionare il pubblico. Per essere sicuro che la gente capisse la storia, egli fece distribuire copie dei versi usati nel balletto. Il balletto fu un successo enorme e fu molto imitato nelle altre corti d'Europa.
Spettacoli coreografici vennero poi
rappresentati di frequente anche alla corte di Enrico III di Francia,
che era stato fra gli spettatori delle messe in scena di Baltazarini,
ma al tema mitologico o allegorico veniva spesso preferita una forma
più leggera, il ballet mascarade, in genere parodia mimata di fatti
di attualità. Pare che alcune creazioni siano poi state realizzate a
scopi di propaganda dallo stesso cardinale Richelieu, come ad esempio
il Ballet de quatre monarchies chrétiennes (1635) e il Ballet de la
prosperité des armes de France (1641), il che testimonia la
popolarità già raggiunta allora dal balletto.
In Italia la Corte dei Medici risultava
ai tempi piuttosto attiva, sotto la guida del coreografo Angelo
Ricci. Fra gli spettacoli, ispirati in genere a quei temi propri
dell'Umanesimo che era stato fonte ispiratrice delle origini, si
cominciarono a trovare sempre più spesso balletti con cavalli in
scena, probabile eredità dei tornei medievali. Questo genere
equestre verso la fine del Cinquecento trovò sempre più larga
fortuna specie in Francia e a Vienna, oltreché Firenze. L'esempio
più eclatante fu la messa in scena a Vienna nel 1667 di La contesa
dell'aria e dell'acqua, a cura dell'italiano Alessandro Carducci.
A fianco di Firenze, anche Torino è
particolarmente attiva attorno alla metà del Seicento, sotto la
guida del conte Filippo d'Agliè di San Martino, autore di balletti e
caroselli molto apprezzati anche in Francia.
Agli splendori paesaggistici che
architetti come Bernini e Borromini allestivano per la scenografia
della Roma papale corrispondeva un gusto dominante per lo
spettacolare anche nelle rappresentazioni teatrali. Ancora Firenze
era uno dei principali centri creativi e di sperimentazione, e qui a
metà del Cinquecento si sperimentavano le prime scenografie mobili,
che vennero ben presto migliorate e usate con grande successo
determinando una esaltazione della scena a discapito della
rappresentazione. Gli scenografi teatrali italiani trionfarono in
tutta Europa: Ferdinando Bibiena incantava Vienna, Giacomo Torelli
prima e Gaspare Vigarani poi guidavano il gusto parigino, ma prima di
loro Ludovico Burnacini con le fantastiche macchine teatrali
allestite per le opere monteverdiane e gli sfarzosi costumi evocativi
di terre lontane e di inferni ammonitori aveva inaugurato l'era
barocca a teatro. La danza in Italia restava quindi confinata al suo
ruolo di intermezzo, in particolare all'interno del melodramma, non
riuscendo a imporsi autonomamente.
La Francia parve invece preferire una
sua strada ancora legata ad una danza lenta e solenne. I maestri
italiani, dopo che Milano, il centro italiano della danza, venne
conquistato nel 1515 dalle truppe di Francesco I, cominciarono a
trasferirsi nel nord Europa. Su richiesta del re lo stesso Pompeo
Diobono lasciò Milano nel 1554 per recarsi in Francia presso la
corte di Enrico II prima, Carlo IX e Enrico III poi.
Il Ballet Comique de la Reine sancì
Parigi come capitale del mondo del balletto. Fu così quindi che il
balletto, benché nato in Italia, divenne poi un'arte squisitamente
francese.
Il grande sostenitore di quest'arte fu re Luigi XIV (1638-1715) detto Re Sole. Egli amava molto danzare e prendeva parte ai balletti dati dalla sua corte ma si fermò quando il fisico gli impedì di continuare a danzare. Ancora oggi nella tecnica accademica esiste un passo da lui eseguito chiamato in suo onore Entrechat Royal.
Il grande sostenitore di quest'arte fu re Luigi XIV (1638-1715) detto Re Sole. Egli amava molto danzare e prendeva parte ai balletti dati dalla sua corte ma si fermò quando il fisico gli impedì di continuare a danzare. Ancora oggi nella tecnica accademica esiste un passo da lui eseguito chiamato in suo onore Entrechat Royal.
Nel 1661 Luigi XIV fondò l'Accademia
Reale di Danza con lo scopo di preparare ballerini che si esibissero
per lui e la sua corte, dando così inizio alla prima accademia di
danza dedicata alla formazione professionale dei ballerini. Seguendo
l'esempio di Luigi XIV, in tutta Europa iniziarono a svilupparsi
simili compagnie. Una di queste fu l'Accademia Imperiale del Balletto
di San Pietroburgo, la cui scuola fu fondata nel 1738 e che diventerà
nell'Ottocento la capitale mondiale del balletto classico grazie a
maestri come Enrico Cecchetti e Marius Petipa. I ballerini francesi
diventarono così bravi che iniziarono ad esibirsi pubblicamente nei
teatri. All'inizio tutti i danzatori erano uomini e le parti da donna
venivano eseguite en trevesti. I danzatori del XVIII secolo erano
coperti da maschere, indossavano grosse parrucche e scarpe col tacco.
Le donne indossavano gonne larghe e lunghe, strette nei loro
corpetti. Le due migliori ballerine francesi dell'epoca, Marie
Camargo e Marie Sallé rivoluzionarono il mondo della danza,
introducendo scarpe senza tacco, accorciando le gonne rendendole meno
ingrombranti e abbandonando le maschere.
Nella seconda metà del Settecento, il
francese Jean-Georges Noverre e l'italiano Gasparo Angiolini
elaborarono e teorizzarono una profonda riforma del balletto, diretta
a emancipare la danza dalle altre forme sceniche (canto e
declamazione), alle quali era sempre collegata (e subordinata) negli
spettacoli teatrali, e ad affidare ai balletti il compito di narrare
autonomamente delle vicende drammatiche, con l'espressività dei
gesti danzati e il ricorso alla pantomima.
Il Romanticismo fu una corrente
artistico-letteraria che si diffuse in tutta l'Europa in maniera
uniforme a partire da Regno Unito e Germania. Chi si riconosceva nel
movimento romantico dichiarava una ribellione alle regole del
classicismo antico, in particolare come reazione al manierismo
caratteristico del Settecento, dichiarando l'intenzione di indagare
più profondamente nell'animo umano. Da qui una grande attenzione per
l'occulto, la magia, il soprannaturale, l'esotico, il distante nel
tempo e nello spazio. La Francia, e in particolare il Teatro de
l'Opéra di Parigi, divenne il luogo d'eccellenza del balletto,
fungendo da esempio per il resto dell'Europa. Fu in Francia infatti
che venne creato il balletto considerato punto di partenza del
romanticismo nella danza: La Sylphide danzato da Maria Taglioni su
coreografie del padre Filippo Taglioni (1832). La trama rifletteva in
pieno i temi cari al romanticismo: l'amore impossibile tra un uomo e
uno spirito, l'ambientazione in Scozia, magie e spiriti danzanti (le
silfidi appunto). La Sylphide diventò il prototipo di molti altri
balletti basati sullo stesso tema tra i quali il più celebrato fu
Giselle (1841), che immortalò un'altra grande ballerina, Carlotta
Grisi, e si distinse per il libretto creato da Théophile Gautier e
le musiche composte da Adolphe Adam.
Il pubblico accorreva a questi balletti
grazie anche alla curiosità generata dai nuovi costumi teatrali e
dalle nuove tecniche di danza.
Le gonne diventavano più leggere e più
corte, si usavano le scarpe da punta per sottolineare il distacco
della ballerina dal mondo terreno e apparve il tutù (inventato da
Eugéne Lamy proprio per La Sylphide).
La danza maschile perse gradualmente la
sua supremazia. Vennero creati ruoli incentrati sulla ballerina
eterea e romantica, le donne dominavano la scena, gli uomini furono
messi in ombra e relegati al ruolo di partner, diventando semplici
porteur. Spesso i ruoli maschili venivano interpretati da danzatrici
en travesti, come ad esempio accadde per il ruolo di Franz nella
prima rappresentazione di Coppélia (1870).
Alla fine dell'Ottocento, il ruolo de
l'Opéra di Parigi perse il predominio e il balletto romantico
rinacque a nuova vita e in tutto il suo fasto nelle creazioni dei
grandi balletti narrativi di Marius Petipa, coreografo dei Balletti
Imperiali presso la corte russa. Questi balletti, capisaldi della
danza arrivati fino ai giorni nostri, trattano di racconti fiabeschi,
fantastici o esotici, come Il lago dei cigni, La bella addormentata,
Lo schiaccianoci (tutti con la musica di Pëtr Il'ič Čajkovskij), o
come La Bayadère (musica di Ludwig Minkus).
La nascita del balletto russo coincide
con la fondazione dell'Accademia di Danza presso il Teatro Mariinskij
di San Pietroburgo nel 1738, diretta dal Maestro francese
Jean-Baptiste Landé durante il regno della zarina Anna di Russia
(1693-1740). Quando, nel 1762, Caterina la Grande salì al trono, la
sua festa per l'incoronazione fu un imponente spettacolo di danza per
il quale furono impiegate circa 4000 persone. Vennero invitati
dall'Italia e dalla Francia maestri di balletto per organizzare
l'evento. Caterina II contribuì in maniera determinante allo
sviluppo della danza in Russia. Chiamò i migliori coreografi
dall'Europa ad insegnare nell'accademia. Il primo di questi fu
Charles Didelot, nato in Svezia ma educato in Francia. Insegnò a San
Pietroburgo dal 1801 al 1811 e dal 1816 al 1837. Poi fu la volta di
Jules Perrot da Parigi che restò in Russia dal 1851 al 1858. A lui
succedette Arthur Saint-Léon dal 1859 al 1869. Fu poi la volta del
maestro dei maestri, il francese Marius Petipa che diresse i balletti
imperiali per circa un trentennio creando i più grandi capolavori
della storia del balletto tra cui: La bella addormentata (1890), Il
lago dei cigni (1895, in collaborazione con Lev Ivanov) e Lo
Schiaccianoci (1892), la cui coreografia si deve però a Lev Ivanov.
Figlia di tutto ciò è anche una tra le più prestigiose scuole di
balletto della Russia: la scuola del Teatro Bol'šoj di Mosca.
Petipa creò più di 50 coreografie per
i Balletti Imperiali. Alla fine la sua formula rischiava di esaurirsi
e di diventare un vuoto contenitore per dimostrare la bravura della
ballerina o del ballerino. Nel 1909, un impresario russo che non
sapeva nulla di danza ma molto di come si produceva uno spettacolo di
successo, Sergej Djagilev, fondò i Ballets Russes nei quali l'unione
di pittura, musica e danza costituiva l'elemento portante.
I Ballets Russes spopolarono in Europa
e misero in luce personalità della danza importantissime quali: Anna
Pavlova (ballerina), Vaslav Nijinsky (ballerino e coreografo), Michel
Fokine (primo coreografo della compagnia), George Balanchine che
influenzerà in modo determinante la danza classica americana.
La compagnia si sciolse alla morte di
Djagilev nel 1929. I danzatori e i coreografi si unirono ad altre
compagnie in molte parti del mondo influenzando il balletto in modo
determinante ovunque essi andassero.
Nella tradizione italiana del balletto
passo di addio
è detto il saggio finale degli
allievi che lasciano la scuola di danza, oppure per i ballerini che
vengono licenziati da un grande teatro.
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