Nel grande palcoscenico dello spettacolo, spesso le luci si concentrano sul volto del cantante, sulla carismatica figura del frontman o sul virtuosismo del chitarrista solista. Eppure, dietro molte carriere luminose, si cela un passato nascosto, pulsante di ritmo: quello di ex batteristi. Dalle sale prove buie alle prime serate nei club, prima di diventare star affermate del cinema o della musica, molti nomi celebri si sono fatti le ossa dietro le percussioni. In alcuni casi, la batteria è stata il primo amore. In altri, un trampolino verso un destino inatteso.

Marvin Gaye, prima di diventare l’emblema del soul romantico, faceva girare le bacchette come turnista alla Motown. Le sue mani dettero slancio a gruppi come i Miracles e le Marvelettes. Solo nel 1962 lasciò il sedile del batterista per impugnare il microfono e dare voce a un'intera generazione. Un salto che si rivelò cruciale per la storia della musica nera americana.

Anche James Brown iniziò tenendo il tempo. Entrato nei Famous Flames come batterista e cantante, abbandonò presto le pelli per seguire la strada del frontman: nacque così l’indiscusso "Godfather of Soul".

Jimmy Osterberg, noto ai più come Iggy Pop, fu battezzato "Iggy" per via della sua band adolescenziale, gli Iguanas. Trasferitosi a Chicago, affinò la sua arte nei blues club dietro la batteria. Solo nel 1967, con i Psychedelic Stooges, smise di contare i tempi e iniziò a incendiare i palchi. È così che il mondo conobbe l’Iguana del punk.

Anche Steven Tyler, alias Stephen Tallarico, urlava nel microfono solo dopo aver imparato a tamburellare con precisione. La sua prima band, The Strangers, lo vedeva seduto alla batteria, molto prima di diventare la voce graffiante degli Aerosmith.

E Kurt Cobain? Prima del successo con i Nirvana, il futuro profeta del grunge sedeva dietro le pelli in una band di cover. Lì, tra CCR e "Stiff Woodys", si consolidava il sodalizio con Krist Novoselic. Un’amicizia che avrebbe cambiato la musica degli anni ’90.

Il leggendario comico Mel Brooks voleva diventare batterista jazz. Ricevette persino lezioni da Buddy Rich, il mostro sacro delle percussioni. Eppure, nonostante il talento, la vita lo dirottò verso la regia. Quando Buddy lo incontrò anni dopo, scoppiò in lacrime: "Avresti potuto essere un buon batterista", disse. Solo buono? Brooks rise: "Nemmeno 'ottimo', solo 'buono'".

Chevy Chase, prima di far ridere milioni al Saturday Night Live, suonava con futuri giganti come Donald Fagen e Walter Becker in una band chiamata Leather Canary. Lui stesso definì quell'esperienza “formativa, anche se non promettente”.

La carriera musicale fu anche un passaggio per Jamie Oliver. Prima delle cucine e dei fornelli, era un tredicenne con le bacchette in mano, suonando in giro per il Regno Unito. La sua parabola dalle batterie alle padelle è una delle più curiose del panorama britannico.

Anche le donne hanno battuto forte i tamburi prima di conquistare altre vette. Belinda Carlisle, la voce delle Go-Go’s, militava nei Germs sotto il nome punk di Dottie Danger, anche se una mononucleosi la bloccò prima del debutto live. Tipper Gore, futura "Second Lady" degli Stati Uniti, era la batterista delle Wildcats durante l'adolescenza. E Madeleine Albright, a 70 anni, salì sul palco del Kennedy Center per una sorprendente jam session con Chris Botti.

L’inclinazione per la batteria ha lasciato tracce visibili nella carriera di molti. Paul McCartney, pur non essendo il batterista dei Beatles, amava rubare la sedia a Ringo Starr in studio. Prince, genio multistrumentista, registrava spesso le tracce di batteria dei suoi brani personalmente. Stevie Wonder, sebbene noto per la tastiera e la voce celestiale, è un batterista di notevole talento. Lenny Kravitz? Fa tutto da solo: voce, chitarra, basso e, sì, anche batteria.

Alcuni artisti, come Donovan, hanno visto nella batteria un’educazione musicale ritmica che ha influenzato profondamente il loro stile. L’impossibilità logistica di portare una batteria nel viaggio da folk-singer lo costrinse alla chitarra. Ma quel senso ritmico, raffinato ascoltando Gene Krupa e Art Blakey, si riflette nella fluidità e nell’originalità delle sue esecuzioni.

Peter Gabriel, visionario fondatore dei Genesis, iniziò dietro la batteria prima di farsi portavoce di sperimentazioni musicali e performance avanguardistiche. Peter Sellers, futuro maestro della commedia britannica, suonava nelle orchestre da ballo già negli anni '40. Joe Cocker, infine, iniziò dietro la batteria per poi portare la sua voce graffiante e le sue mani tremolanti al centro della scena: una gestualità tutta ereditata da quegli anni passati con le bacchette in mano.

Il ritmo è forse la prima lingua che impariamo, il battito del cuore, il tamburo della vita. Non stupisce allora che tanti artisti, prima di parlare al mondo con parole, note o immagini, abbiano prima ascoltato e risposto al richiamo del tamburo. Una lezione che resta: ogni grande carriera, anche la più luminosa, può nascere nel buio di una sala prove, con due bacchette in mano e un sogno che pulsa al ritmo del rullante.