Hollywood è spesso vista come una macchina invincibile, capace di sfornare successi a ripetizione e plasmare sogni su pellicola. Ma anche i colossi tremano. Nel corso del XX secolo, alcuni degli studi cinematografici più grandi al mondo si sono ritrovati sull’orlo del collasso finanziario. In quei momenti critici, non furono sempre i film epici o gli ensemble da Oscar a fare la differenza, bensì interpreti improbabili — e a volte persino non umani — a rimettere in carreggiata intere industrie. La storia di Universal Studios, uno degli studi più longevi e iconici, è emblematica: tre volte in bilico, tre volte salvata, ogni volta da un volto diverso.

Negli anni ’30, la Universal si trovava in gravi difficoltà economiche. La Grande Depressione aveva colpito duramente l’industria cinematografica e gli incassi non coprivano più i costi crescenti di produzione. Fu allora che Boris Karloff, nato William Henry Pratt, divenne una figura di svolta. Con la sua interpretazione del mostro in Frankenstein (1931), diretto da James Whale, Karloff diede vita a un’icona del cinema horror, capace di affascinare e terrorizzare il pubblico.

Il film fu un enorme successo commerciale. Seguì una serie di pellicole ispirate all’universo gotico e mostruoso: La mummia, Il corvo, La moglie di Frankenstein. Il pubblico accorreva in massa, attratto dall’inquietante umanità che Karloff riusciva a trasmettere dietro strati di trucco e silenzi carichi di pathos. I “Monster Movies” divennero un genere di culto e permisero alla Universal di risollevarsi finanziariamente. Karloff, con la sua figura emaciata e lo sguardo intenso, divenne il volto della salvezza.

Nel 1939, la Universal si trovava di nuovo con le casse vuote. I tempi stavano cambiando, e i gusti del pubblico si spostavano rapidamente. I monster movies erano in declino, e le grandi produzioni non garantivano più ritorni certi. La svolta arrivò da due comici il cui talento si era fatto strada nei teatri di varietà e alla radio: Bud Abbott e Lou Costello.

Con Buck Privates (1941), una commedia militare dal budget ridotto, la coppia esplose al botteghino. Il film fu seguito da una serie rapidissima di produzioni leggere, tra cui In the Navy, Hold That Ghost e soprattutto Abbott and Costello Meet Frankenstein (1948), che unì le due icone della Universal — i mostri classici e i comici slapstick — in un’unione perfetta tra orrore e risata. I film di Abbott & Costello generarono incassi milionari e resuscitarono le finanze dello studio per quasi un intero decennio. La loro formula? Tempismo comico, fisicità espressiva e un perfetto equilibrio tra l’ottuso e il brillante.

Negli anni ’40, lo studio affrontò una nuova crisi. Le guerre e i cambiamenti culturali avevano alterato il paesaggio cinematografico, e la Universal, ormai sprovvista dei suoi pilastri economici, cercava disperatamente una nuova gallina dalle uova d’oro. La risposta arrivò da una fonte insospettabile: un mulo parlante.

Francis the Talking Mule (1950), ispirato a un romanzo di David Stern, fu affidato al regista Arthur Lubin. Il film raccontava la storia di un soldato americano e del suo sarcastico mulo che parlava — ma solo a lui. L’animale, doppiato con voce nasale e pungente dall’attore Chill Wills, divenne immediatamente un cult. Con ironia pungente e un tono surreale, Francis catturò il cuore del pubblico, generando una serie di sequel di successo, fino a sette film complessivi, che dominarono i primi anni ’50.

Francis non solo salvò la Universal dalla bancarotta per la terza volta, ma aprì la strada alla commedia surreale con animali protagonisti, ispirando successivamente film come Mr. Ed e Doctor Dolittle. L’insolito eroe equino riuscì a fare ciò che le grandi star non potevano: offrire intrattenimento universale, privo di tensioni ideologiche, in un'epoca postbellica ancora incerta.

Da Frankenstein a un mulo parlante, passando per la comicità dirompente di una coppia comica, la storia della Universal è un racconto di resurrezioni inattese, dove il successo non segue sempre le regole del glamour. A volte, a salvare un impero non è la star dal volto perfetto o l’epopea da milioni di dollari, ma l’attore che sa spaventare con poesia, far ridere senza sforzo o... ragliare nel momento giusto.