La scena pop/rock degli anni ‘60 e
‘70 è leggendaria per l’abuso di droga e alcol che si faceva e
che ha stroncato tante vite, da Hendrix a Morrison a Joplin.
Meno noto è che lo stesso è avvenuto
nel mondo del jazz, ma in lasso di tempo molto più lungo.
Uno dei primi grandi trombettisti degli
anni ‘20, Bix Beiderbecke, morì nel 1931 a 28 anni, corroso
dall’alcol e tormentato da allucinazioni ottiche.
Il pianista Thomas “Fats” Waller
ebbe la fortuna di ottenere il successo popolare, però morì a 39
anni di complicazioni dovute all’alcol nello scompartimento di un
treno nella stazione di Kansas City nel 1943.
Nemmeno tre dei pilastri del jazz e
della musica del 20esimo secolo sono riusciti a sfuggire alla morsa
dell’abuso chimico.
La tormentata e leggendaria cantante
Billie Holiday, dopo una vita fatta di violenza sessuale da bambina,
prostituzione, alcol ed eroina, morì nel 1959 a 44 anni.
I due sassofonisti più importanti del
jazz morirono prima dei 40 anni. John Coltrane aveva trovato sonorità
e soluzioni armoniche quasi mistiche nella sua vita, e morì di
cirrosi epatica nel 1967 avendo compiuto solo da pochi mesi 40 anni.
Charlie Parker ha letteralmente creato un intero nuovo modo di
suonare negli anni ‘40 e primi anni ‘50, ma era così devastato
dalla droga che subito dopo la sua morte nel 1955 a 34 anni
l’ufficiale medico gli segnò 30 anni in più sul primo certificato
di decesso.
Altri ancora morivano per malattie
attribuibili alla povertà, tipo tubercolosi o polmonite, condizioni
che non venivano migliorate dall’essere spesso in tournée ed in
ambienti angusti affollati. La necessità di stare parecchio in
macchina, viaggiando da una serata all’altra, spesso a notte fonda
dopo il lavoro, aumentava il rischio di incidenti. Ben
tre
musicisti rivoluzionari morirono
per queste cause prima dei 26 anni: il chitarrista Charlie Christian,
pioniere della chitarra elettrica, morì di tubercolosi nel 1942,
mentre il trombettista Clifford Brown ed il bassista Scott LaFaro
perirono ambedue in incidenti automobilistici nel 1956 e 1961
rispettivamente. Tutti e tre avevano solo 25 anni.
Per le rockstar del periodo d’oro
abusarsi era per lo più una cosa edonistica, sesso, droga e
rock’n’roll appunto, mentre per troppi musicisti jazz era il solo
modo che avevano di confrontarsi con una vita dove erano sottopagati,
sottovalutati dal pubblico e spesso sottoposti al razzismo
dell’epoca.
Non riesco a pensare a nessun’altra
categoria di musicisti che abbia perso talmente tanti giovani talenti
in così poco tempo come i musicisti jazz del 20esimo secolo.
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