L’etichetta discografica (o
casa discografica) è un marchio commerciale creato dalle
compagnie specializzate in produzione, eventualmente distribuzione e
promozione, di musica e in taluni casi anche di video (specialmente
video musicali), su diversi formati (come il compact disc, il disco
in vinile, il DVD, le musicassette, e con l'avvento di Internet
soprattutto con la distribuzione digitale).
Il nome deriva dall'etichetta stampata
che veniva posta al centro dei dischi in vinile.
La proprietà delle etichette discografiche
Le etichette discografiche si dividono sostanzialmente in tre categorie:- Le major - Legate a multinazionali che detengono gran parte del mercato musicale mondiale.
- Le indipendenti - Etichette che autoproducono e promuovono i propri prodotti indipendentemente dal circuito delle multinazionali (ma spesso con accordi distributivi o di cooperazione).
- Le vanity label - Etichette fondate e gestite da un artista anch'esse indipendenti fondate in genere per avere un certo grado di libertà da una o più etichette principali che ne distribuiscono la produzione.
Il consolidamento dell'industria
musicale avvenuta negli anni settanta e ottanta, portò poche
compagnie multinazionali ad avere il controllo della maggior parte
delle più grandi etichette discografiche. Le etichette principali
furono in seguito acquistate da grandi multinazionali, attualmente
tre, che fanno oggi parte della RIAA e che detengono la maggior parte
dell'industria musicale.
Il lavoro delle major
Le etichette discografiche investono
parte del loro denaro e della loro attività nella ricerca di nuovi
talenti e nello sviluppo degli artisti già sotto contratto.
L'associazione del marchio all'artista (e viceversa in caso di
artisti affermati) aiuta a rafforzare l'immagine sia della etichetta
discografica sia dello stesso artista.
Benché ambo le parti abbiano bisogno
l'una dell'altra, i rapporti tra le etichette discografiche e gli
artisti sono spesso controversi, come avviene in ogni settore quando
i rapporti fra le parti divengono paritari. Molti artisti hanno
subito modificazioni o censure ai propri album da parte
dell'etichetta prima della pubblicazione (canzoni modificate nei
testi o nella lunghezza, copertine cambiate o progettate in contrasto
col volere dell'artista, e così via). Le etichette discografiche
operano queste scelte e modifiche con l'ovvio intento di ottenere
maggior successo di vendita, e grazie ad ampi studi di mercato.
Sovente le decisioni delle etichette discografiche corrispondono ad
un reale successo da un punto di vista commerciale, ma questo può
creare un senso di frustrazione nell'artista che percepisce il lavoro
pubblicato come non proprio.
Nei primi anni della nascita
dell'industria musicale, le etichette discografiche rappresentavano
l'unica via di successo per un artista. Il principale obiettivo di
ogni nuovo artista o gruppo era perciò quello di firmare un
contratto con una casa discografica il prima possibile. Negli anni
quaranta, cinquanta e sessanta, molti artisti erano talmente
ossessionati dal firmare a tutti i costi un contratto con una casa
discografica, da arrivare al punto di firmare un pessimo contratto,
che talvolta non garantiva loro neanche i diritti sulla musica
prodotta. In alcuni casi vennero assunti degli avvocati per
controllare i contratti prima della firma (cosa normale in tempi
moderni). Anche l'industria cinematografica ha talvolta raccontato
queste vicende.
La nascita delle etichette indipendenti
Nella scena punk, l'etica DIY (Do it
yourself) incoraggia le band alla autoproduzione ed
all'auto-distribuzione dei propri dischi. Questo metodo è in voga
dai primi anni ottanta, e rappresenta un tentativo di rimanere fedeli
agli ideali punk del Do it yourself (fai da te). Alcune
etichette esprimono come vanto la reputazione di non aver mai stretto
accordì né aver mai cooperato con alcuna major, tra le più
significative la Crass Records.
Verso la fine degli anni novanta,
grazie all'utilizzo di studi di registrazione privati, di
masterizzatori CD, e alla diffusione di Internet e ad una generale
diminuzione delle spese di produzione le etichette indipendenti
iniziarono ad assumere un ruolo di mercato maggiormente rilevante. Le
etichette indipendenti possono permettersi però una diffusione
radiofonica e televisiva decisamente inferiore e hanno minori vendite
rispetto agli artisti sotto contratto con una major. Alcune sono
fondate dell'artista stesso, cosa che gli permette di produrre la
propria musica senza più pressione da parte dell'industria musicale.
Una di queste, la Jalisse Produzioni ed Edizioni Musicali (diventata
poi Tregatti P ed Ed. Mus.), vinse il Festival di Sanremo nel 1997,
con l'omonimo duo.
Occasionalmente anche alcuni artisti
già affermati, dopo aver terminato il contratto con una major,
firmano per un'etichetta indipendente. Questo permette agli artisti
di sfruttare la propria notorietà già acquisita per disporre di una
maggiore libertà nella produzione dei propri album. Artisti come
Dolly Parton, Aimee Mann, Prince, Elio e le Storie Tese e molti altri
hanno optato per questa via.
Tra le etichette indipendenti la
Righteous Babe Records, di proprietà della cantante folk Ani
DiFranco, viene spesso citata come esempio (alla stregua della
italiana Soleluna di proprietà del cantautore Lorenzo Cherubini). La
cantante rifiutò molti contratti da parte di major per
realizzare la propria etichetta con sede a New York. La costante
realizzazione di tour si può considerare un grande successo per
un'artista che non è sovvenzionata da una major.
Le etichette indipendenti, non avendo
una propria struttura commerciale, stipulano contratti di
distribuzione con le major o con etichette specializzate in
distribuzione, che permette loro di avere i loro lavori disponibili
nei negozi di dischi. Molte etichette, nate indipendenti sono state
via via acquistate dalle major, mentre altre pur rimanendo autonome
vengono affiancate dalle major nel lavoro di produzione.
La nascita delle etichette online
Verso l'inizio degli anni 90 si
cominciò a percepire quello che sarebbe stato il cambiamento del
nuovo secolo. La nascita delle etichette discografiche online.
Secondo alcune analisi di mercato condotte nel 2009 negli Stati
Uniti, il 75% dell'industria musicale trae ormai quasi esclusivamente
profitto dalla vendita sul web dei propri prodotti o tramite
esclusiva licenza dei prodotti di altri artisti.
Il boom dei download a pagamento è
stato rafforzato dalle connessioni internet sempre più veloci e dai
costi frazionati dei dischi stessi. Infatti se negli anni passati per
poter comprare la canzone preferita si doveva acquistare l'intero
album, oggi ogni singola traccia viene venduta separatamente. Questo
vantaggio per l'utente finale ha da una parte fatto impennare le
vendite dei singoli più pubblicizzati mentre dall'altra ha
clamorosamente fatto crollare le vendite dei brani minori.
In questo nuovo mondo di negozi
virtuali e di portali di file sharing è inoltre
paradossalmente aumentato il numero dei produttori discografici di
tutto il globo. Se negli anni passati per aprire fisicamente una
propria etichetta discografica servivano centinaia di milioni di
lire, ad oggi i costi si sono drasticamente ridotti ed aprire un
proprio spazio che possa già dall'inizio operare nel settore
(compreso ufficio comunicazione e marketing), costa poco più di
50000 euro.
Non a caso il business degli spazi
online a pagamento risulta essere aumentato dell'800% soltanto negli
ultimi 18 mesi ed alcune aziende discografiche, sono arrivate a dare
in concessione ad altre aziende neofite o singoli specialisti del
settore le loro sotto etichette per svariate migliaia di euro se non
addirittura per centinaia. Questa tendenza che ha trovato terreno
fertile soprattutto negli Stati Uniti, Giappone e nord Europa ha
generato nuove Indipendenti che annualmente muovono un capitale di
oltre un miliardo di euro ed in continua crescita. Solo nel 2013, il
capitale mosso dalle etichette online è di circa 5 miliardi di
dollari di cui circa 2.3 miliardi solo nella musica elettronica (dato
certificato da Recording Industry Association of America).
Stesso discorso dicasi per le Major le
quali intuendo prima di chiunque altro l'imminente crisi del supporto
analogico e ottico/digitale hanno investito enormi cifre e aperto un
mercato ormai solo virtuale in cui la distribuzione fisica risulta
essere scomparsa se non per dischi di artisti riconosciuti a livello
planetario.
Funzionamento delle Etichette Discografiche Online. Profitti del Portale, profitti per l'utente.
La distribuzione attraverso le
Etichette Discografiche Online e quindi la relativa vendita dei brani
in esse contenute, è stata una vera e propria rivoluzione in campo
discografico rispetto al metodo classico di stampa ormai quasi del
tutto obsoleto. Da un lato abbiamo una riduzione complessiva dei
costi (stampa fisica e distribuzione nei negozi del prodotto) e
dall'altro, attraverso il metodo dell'upload, un maggior introito per
gli artisti e per le etichette discografiche che si trovano così
sgravate di costi decisamente molto elevati sia di produzione che di
capilarizzazione del prodotto.
Il funzionamento risulta essere molto
semplice ed intuitivo anche grazie alle costanti migliorie che ogni
singolo portale ha dedicato alla propria piattaforma. Il singolo
utente provvisto di Username e Password (avuti dopo aver stipulato un
accordo con il portale stesso o con una società terza) ha, dopo il
corretto Login, accesso alla propria pagina di upload.A questo punto
l'utente dovrà solo caricare i files musicali in mp3 e la relativa
copertina ed il gioco è fatto. Basta solo attendere che il portale
metta in vendita i suddetti files (la data di uscita sarà sempre
scelta dall'utente) ed aspettare il report dei pagamenti che
solitamente i portali stessi inviano ai propri utenti dopo 3 mesi o
dopo sei mesi dal upload dei brani musicali sopra citati.
Fondamentalmente non esiste limite al numero di upload giornalieri
che ogni utente può fare. Più aumenta il numero di brani caricati
più aumentano le possibilità di profitto. Solitamente un brano
viene venduto a 99 centesimi di euro che saranno suddivisi in
percentuali differenti fra il portale (che di solito trattiene il 30%
del valore di ogni singola traccia) e l'utente al quale andrà il
rimanente 70%.Secondo un dato dell'American Recording Industry
risalente al 2013, ogni brano medio (e con medio si intendono artisti
pressoché sconosciuti) viene downloadato a pagamento circa 100 volte
per un profitto pari a 99 euro da cui bisogna escludere la
percentuale del portale ed ovviamente le eventuali tasse. Fra queste
non dobbiamo dimenticare la tassa relativa alla Società Editori e
Compositori che dovrà essere decurtata dal profitto dell'utente (e
non da quello del portale) in base alle norme vigenti in ciascun
paese in cui sono presenti una o più società di tutela musicale del
diritto d'autore.
Un'etichetta discografica online mette
in commercio mediamente fra le 30 e le 70 uscite settimanali. Il che
equivale ad una ulteriore media di 200 uscite mensili cioè circa
2400 uscite annue. Considerando il fatto che ogni traccia viene a sua
volta venduta 100 volte a circa un euro (escludendo ovviamente le Hit
discografiche che possono raggiungere anche milioni di download a
pagamento) il profitto che si genera è di oltre 200000 euro lordi
annui ai quali, come detto prima, andranno tolte le percentuali del
portale. Fra le maggiori etichette discografiche online non si può
non citare l'Olandese Spinnin Records. Partita come semplice
etichetta indipendente, gestita al tempo da due ragazzi poco più che
trentenni, è diventata nel giro di quindici anni un colosso mondiale
che solo nel 2014 ha venduto online circa 60 milioni di brani e
gestisce il più grande roster di artisti di musica elettronica
mondiale, secondo solo a quello di Ultra Records, altro colosso di
musica elettronica con sede negli Stati Uniti.
Proprio per questo motivo le etichette
discografiche online sono state equiparate dalla famosa rivista
Billboard a dei veri e propri negozi, i cui costi di manutenzione
sono pari a zero (escludendo i costi iniziali di eventuale acquisto
dello spazio e relativo avvio) ed in cui l'ipotetico profitto non ha
limiti qualora si propongano prodotti all'altezza del mercato
discografico corrente.
Fino al 2012 aprire un'etichetta
discografica online era pressoché impossibile a causa delle numerose
restrizioni dei portali, i quali davano in gestione i propri spazi
soltanto a produttori la cui notorietà fosse comprovata da almeno
cinque uscite in vinile su altrettante etichette discografiche
riconosciute. Dopo il boom di iTunes, le cose risultano essere
leggermente cambiate, è un po' meno complicato avere in gestione
degli spazi su alcuni portali per vendere la propria musica con
esclusione della famigerata piattaforma di musica elettronica
Beatport.com la quale ancora oggi non concede spazi per la vendita
online a produttori od etichette discografiche poco conosciuti.
Fra i maggiori portali mondiali di
musica ricordiamo l'altrettanto famigerato ITunes che nel 2013 ha
dichiarato di aver venduto oltre 25 miliardi di brani tramite il
download a pagamento. Per la musica elettronica ricordiamo invece i
portali Beatport già sopra citato e Juno Download che ad oggi si
dividono il mercato internazionale esclusivamente della musica
elettronica nelle seguenti percentuali (60% Beatprt 30% Juno Download
10% tutti gli altri).
A differenza di molte Società di
Autori ed Editori che spesso incorrono in cause anche milionarie con
i propri iscritti per il mancato pagamento delle percentuali
stabilite, ad oggi non esiste nessuna causa intentata contro nessun
portale online per la spettanza delle royaltèes musicali che vengono
puntualmente aggiornate e che nello specifico indicano anche il luogo
di provenienza di ogni singolo download.
In ultima analisi alcuni portali hanno
da poco cominciato a pagare addirittura lo streaming delle tracce
(sebbene si parli di pochi centesimi di euro). Fra tutti ricordiamo
Spotify il quale ha raggiunto in meno di due anni circa 150 miliardi
di play sul proprio portale.
Lista di etichette discografiche
Le major
Secondo il rapporto IFPI del 2005 le
case discografiche principali hanno una quota mercato, a livello
mondiale, pari al 71,7%. Un tempo note come Big Five, a
seguito della fusione tra Sony Music e Bertelsmann Music Group le
"major" sono diventate Big Four, e poi dal novembre
2011 Big Three a seguito dell'assorbimento di EMI da parte di
Sony e Universal:
- Universal Music Group (quota mercato del 25,5%), che include Interscope-Geffen-A&M, Decca, Deutsche Grammophon, Interscope, Island, Def Jam, Mercury, Motown, Philips Records, PolyGram ed altre.
- Sony Music (quota mercato del 21,5%), che include RCA Records, Columbia, Epic, Jive, BMG, Syco Entertainment ed altre.
- Warner Music Group (anche detta WEA) (quota mercato dell'11,3%), che include Atlantic, Elektra, Sire, Reprise Records, Rhino ed altre.
- EMI (aveva un quota mercato del 13,4%), ed includeva etichette come Blue Note, Capitol, Chrysalis, Parlophone, Virgin ed altre.
Le indipendenti
Le etichette indipendenti, slegate alle
multinazionali (anche se talvolta legate ad esse da accordi di
distribuzione fisica, non digitale) detengono a livello mondiale una
quota mercato del 68,3% e sono moltissime. In Italia, sommando tutte
le iscritte alle 3 maggiori associazioni di categoria (AFI, PMI,
Audiocoop), troviamo oltre 200 etichette indipendenti.
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