La
volta, conosciuta anche nelle varianti di volte, lavolta, la
volta, levalto o levolto, è una danza rinascimentale in tempo
ternario e di andamento mosso, che conobbe il suo massimo splendore
in tutta Europa durante il XVI e il XVII secolo. Si pensa che essa
abbia dato origine al passo di valzer e, secondo alcune fonti (molto
controverse), probabilmente anche a quello di polka.[
Il nome della danza deriva dal latino
volgare volvĭta, volta, derivati del latino classico: volvĕre, in
italiano volgere.
La
tradizione colloca la nascita della danza in Provenza. Dalle Mémoires
di Margherita di Valois sappiamo che i provenzali danzavano la volte
con i cimbali. Qui fu introdotto nella corte parigina dei Valois nel
1556 dal conte di Sault,[5] ed ebbe un gran successo grazie alla
preferenza di Caterina de' Medici, ma soprattutto, di Enrico III.
Gaston Vuillier parla di quest'ultimo così:
(FR)
«Henri III dansa la premier valse à trois temps sous le nom
de Volte» |
(IT)
«Enrico III fu il primo a ballare il valzer in tre tempi,
sotto il nome di Volte» |
(Gaston Vuillier, La danza, 1899) |
|
Questa citazione pone un dubbio
sull'origine della danza. Infatti, secondo alcune fonti, essa sarebbe
di origine italiana: Rinaldo Corso attesta la pratica della danza in
Italia già nel 1555. Inoltre il nome stesso della danza suggerirebbe
l'origine italiana, benché anche l'ipotesi che derivi dal provenzale
voute non sia da escludere. Secondo altre fonti, la danza sarebbe di
origine tedesche. Come afferma Curt Sachs, la volta era stata
raffigurata già nel 1538 da Heinrich Aldegrever (incisore della
Vestfalia, regione dove la danza era già presente molti decenni
prima). Quel che è appare certo è che questa danza ha origini
contadine.
Nel 1600, tramite i francesi, la volta
aveva già raggiunto l'Inghilterra dove conobbe un gran successo e la
stessa regina Elisabetta I la annoverava tra le sue danze preferite.
Inoltre era presente stabilmente nelle lezioni di danza, come William
Shakespeare attesta nell'Enrico V:
(EN)
«They bid us to the English dancing-schools,And teach lavoltas high and swift corantos» |
(IT)
«E ci invitano a fare da maestri nelle scuole di ballo in
Inghilterra,a insegnargli le audaci piroette della lavolta, e l’agile corrente» |
(William Shakespeare, Enrico V, traduzione di
Goffredo Raponi, 1999) |
|
E in Troilo e Cressida (IV.4),
Shakespeare fa dire a Troilo:
(EN)
«I cannot sing,Nor heel the high lavolt» |
(IT)
«Non so cantare,né alzare ritmicamente il tallone nella lavolta» |
(William Shakespeare, Troilo e Cressida,
traduzione di Goffredo Raponi, 1998) |
|
Nello stesso periodo è attestata la
presenza della volta in anche Italia come per esempio in un dipinto
del pittore Federico Zuccaro e nelle composizioni di Cesare Negri: Le
gratie d'amore e Nuove inventioni di balli. In quest'ultimo la danza
è chiamata La nizzarda ma, vista la presunta provenienza della danza
e la forte somiglianza dei passi, si può affermare che l'autore si
riferisca alla volta.
La danza fu molto criticata, in quanto
era ritenuta «indecente» per il «modo vergognoso» di tenere la
dama, «oscena» e poco igienica:
«Essa dovrebbe essere attentamente sorvegliata da una bene
ordinata forza di polizia e dovrebbe essere proibita con più
severità [...] tanto più perché questa danza è portatrice di
disgrazie e origine di innumerevoli delitti e aborti.» |
(Guillame Bouchet, in Edmond Bonnafé, Notes sur
la vie privée à la Renaissance, Parigi, 1896, p. 380) |
(FR)
«La volte, la courante, la fissaye, que les sorciers ont
amenées d'Italie en France, outre les mouvemens insolens et
impudiques, ont cela de malheur qu'une infinité d'homicides et
avortemens en adviennent, faisant mourir et tuant tous ceux qui ne
sont point en vie» |
(IT)
«La volta, la corrente, la fissaye, che gli stregoni hanno
portato dall'Italia in Francia, oltre i movimenti insolenti e
impudenti, hanno questa disgrazia[:] che un'infinità d'omicidi e
aborti colpiscano, facendo morire e uccidere tutti coloro che sono
in vita» |
(Guillame Bouchet, in Edmond Bonnafé, Notes sur
la vie privée à la Renaissance, Parigi, 1896, p. 380) |
|
Altre critiche lamentano il forte senso
di vertigini che la danza porta e il fatto che questa non è
assolutamente adatta per le dame. Inoltre, il sollevarsi delle vesti,
dovuto al continuo girare, era considerato come una cosa molto
volgare:
(FR)
«En faisant volleter la robbe, monstroit toujour quelque chose
agréable à la veue» |
(IT)
«Facendo svolazzare i costumi, mostravano sempre qualcosa di
piacevole alla vista.» |
(Brantôme, La vie des Dames Galantes) |
|
La danza fu fortemente osteggiata e a
causa delle critiche cadde in disuso: già nel 1636 abbiamo una delle
ultime menzioni della danza in un piccolo dialogo del El maestro de
danzar di Félix Lope de Vega: un personaggio domanda cosa sia La
nizzarda, senza però avere una risposta, il che può essere
interpretato come un segno di declino. L'ultima attestazione
letteraria della volta compare nel poema eroico di Bartolomeo Corsini
(morto nel 1675):
(DE)
«Usz dantzen vil unratts entspringt» |
(IT)
«Dalla danza nascono molti danni» |
(Sebastian Brant, La nave dei folli) |
|
La volta era una danza in tempo
ternario di movimento rapido, scritta solitamente in 3/4 o in 6/8.
Non abbiamo la suddivisione esatta della battuta, ma possiamo
affermare che questa sia stata non tanto differente dalla gagliarda e
che abbia avuta una struttura regolare ma che, comunque, si poteva
adattare. Riguardo agli strumenti utilizzati per accompagnare la
danza, troviamo scritto, nelle Notes sur la vie privée à la
Renaissance, che la volta provenzale veniva accompagnata con il suono
del cimbalo.
Nell'esempio di volta presente
nell'Orchésographie di Thoinot Arbeau, l'autore non riporta l'unità
di tempo, ma scrive che questa è ternaria e mette le spezzabattute
ogni sei minime: quindi si può dedurre che l'unità di tempo sia il
6/2. Lo spartito non presenta accidenti, è scritto in notazione
mensurale, ma non cita per quale strumento questa sia stata scritta.
Lo spartito è molto breve ed è composto da quattro misure e da una
melodia molto semplice. Curt Sachs, sulla base di questo spartito, è
riuscito a creare un'ipotetica suddivisione della battuta. Secondo la
ricostruzione, la battuta sarebbe stata in 3/4 e composta da sei
crome oppure dallo schema sincopato: semiminima-croma,
semiminima-croma.
Esempi di volte si trovano nelle suite
del XVII secolo, dova questa occupava a volte il ruolo di danza
finale (come in Thomas Simpson, Opusculum newer Pavanen, 1610). Le
volte appaiono in arrangiamenti per liuto, strumenti a tastiera ed
insiemi orchestrali. Adrian Le Roy include nella sua opera
Instruction (1568) l'arrangiamento per liuto di una delle più
antiche melodie provenzali conosciute chiamata La volte, essa appare
nel volume di Jean d'Estrées Tiers livre de danseries (1559), nelle
intavolature per liuto dell'italiano G. C. Barbetta (1585) e di G. A.
Terzi (1599). Nell'opera Terpsichore di Michael Praetorius (1612)
sono presenti quarantotto volte. Il primo e il secondo libro di
Robert Ballard (1611 e 1614) ne contiene sette. Troviamo delle volte
nelle collezioni di musiche virginali: due esempi si trovano nel
Fitzwilliam Virginal Book, uno di William Byrd e uno di Thomas
Morley. Louis Couperin la utilizza in una composizione per cembalo.
Cesare Negri, nel capitolo sulla
nizzarda del suo trattato Le Gratie d'amore (1602), scrive che è una
danza allegra, caratterizzata da salti e giri, alla quale non si può
dare una regola precisa perché è danzata differentemente secondo il
paese. Di questa abbiamo differenti descrizioni, tra cui soprattutto
quella presente nell'Orchésographie di Thoinot Arbeau (1589).
(FR)
«Les mouvements & pas de ceste dance, se font en tornant
le corps, & consistent en deux pas, un souspir pour le sault
majeur, une assiette de pieds joincts, & en fin deux souspirs
ou pauses» |
(IT)
«I movimenti e i passi di questa danza, si fanno girando il
corpo, e consistono in due passi, un sospiro per il passo
maggiore, un equilibrio a piedi uniti, e infine due sospiri o
pause» |
(Thoinot Arbeau, Orchésographie) |
|
Nella volta i danzatori ballano a
coppia chiusa, ossia a stretto contatto. L'uomo con il braccio
sinistro prende la dama sul suo fianco destro e appoggia la mano
destra sotto alla stecca del busto di lei. La dama, a sua volta,
appoggia la mano destra sulla spalla o sul collo del suo cavaliere e
con la mano sinistra sostiene un lembo della gonna, per evitare che
questa si sollevi eccessivamente.
Durante tutta la durata della
danza la coppia non cambia mai di partner. La danza inizia con un
passeggio, durante il quale i ballerini compiono alcuni passi saltati
simili a quelli della gagliarda, e infine si posizionano uno davanti
all'altro e si prendono nella posizione descritta sopra. I passi che
eseguono i ballerini, e che caratterizzano la volta, sono saltati e
girati. Infatti, i ballerini incominciano con un primo saltello sul
piede interno e, allo stesso tempo, alzano quello esterno e girano di
90°. Dopo fanno un pas assez long (passo abbastanza lungo) sul piede
destro senza saltare, quindi girano per un quarto di giro. Infine
eseguono un salto più alto girando di un quarto e cadendo a piedi
uniti. Per ritornare alla posizione iniziale, i danzatori dovevano
eseguire per quattro volte lo schema qui descritto. Sempre
nell'Orchésographie compare un esempio di spartito della volta nel
quale l'autore fa corrispondere a ogni nota un passo, secondo questo
ordine:
- Saltello iniziale
- Passo lungo (prende due note)
- Salto maggiore
- Caduta a piedi uniti
Nel trattato di Cesare Negri Le Gratie
d'amore (poi ristampato col titolo Nuove inventioni di balli), ci è
data un'altra descrizione della danza sotto il nome di nizzarda.
Questa si balla in coppia chiusa e l'uomo prende per mano la dama con
la mano destra; la donna, a sua volta, mette la mano destra sulla
gonna. La danza inizia con un inchino, poi con una camminata.
Successivamente, questi eseguono un passo in avanti con il piede
sinistro seguito da un saltello terminato sul piede destro. Nel suo
trattato, Negri dà anche un esempio di intavolatura per liuto de La
nizzarda.
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