Nel mondo dell’illusione cinematografica, nulla è mai davvero come sembra. Dai set finti ai cieli dipinti, dal fumo generato da macchine all’effetto della luce artificiale sulle espressioni umane, tutto è calibrato per ottenere un impatto visivo e narrativo. E tra gli elementi più sottovalutati di questa alchimia, vi è senza dubbio l’arte del trucco. Un’arte che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ha sempre riguardato anche gli attori maschi. Non è una moda recente né un vezzo vanitoso: è un’esigenza tecnica. Una necessità che affonda le radici nella storia stessa del cinema.
Sin dagli albori del muto, agli inizi del Novecento, quando il cinema si muoveva ancora senza voce e a passo incerto, il trucco era già parte integrante dell’industria. Non solo perché mutuava le pratiche del teatro — dove i volti dovevano essere visibili anche a metri di distanza — ma per ragioni più pragmatiche: le pellicole ortocromatiche dell’epoca e le prime luci da studio erano impietose. Le "luci kleeg", intense e implacabili, bruciavano letteralmente i lineamenti sullo schermo. Un viso non truccato, anche se virile e scolpito, rischiava di apparire piatto, slavato, persino spettrale. Da qui l’uso diffuso di fondotinta, ciprie, e sopracciglia evidenziate — anche sui volti più maschili dell’epoca.
La verità, spesso trascurata nel mito della virilità cinematografica, è che attori leggendari come Rudolph Valentino, Douglas Fairbanks e Clark Gable portavano regolarmente il trucco. Non si trattava di mascherare imperfezioni, ma di assicurarsi che ogni sfumatura del volto — ogni sguardo, ogni smorfia, ogni tensione — fosse leggibile dall’obiettivo. E il trucco, in questo, era un alleato silenzioso ma fondamentale.
Il colore non cambiò le regole, semmai le complicò. Con l’avvento del Technicolor, i truccatori dovettero reinventarsi: la pelle umana, se non trattata, poteva riflettere tonalità sgradevoli o innaturali sotto le nuove luci. Persino John Wayne, la quintessenza del maschio “all’americana”, ricorse regolarmente al trucco, sebbene con una preferenza per l’abbronzatura naturale. Era risaputo che trascorresse molto tempo all’aperto, spesso in ambienti desertici, per ottenere quel tono bronzeo che riduceva la necessità di una base artificiale. Ma ciò non escludeva l’uso di prodotti cosmetici per le sopracciglia o per definire meglio lo sguardo.
Il caso di George Hamilton, noto per la sua abbronzatura perenne, rappresenta una svolta quasi ironica in questa storia. Dopo aver appreso che una carnagione scura attenuava l’effetto schiarente delle luci da studio, decise di fare del sole il suo truccatore personale. L’effetto era talmente efficace — e distintivo — che divenne il suo marchio di fabbrica. Ma anche questo, lungi dall’essere un caso di naturalismo, fu il risultato di un’intuizione calcolata e consapevole: sfruttare un metodo alternativo per ottenere lo stesso risultato estetico che il trucco aveva sempre garantito.
Oggi, nell’era della CGI, della color correction digitale e dei filtri ottici, si potrebbe pensare che il trucco sia divenuto superfluo. Eppure, la realtà è più sfumata. Anche se molte imperfezioni possono essere corrette in post-produzione, i truccatori professionisti restano una componente essenziale del set. La texture della pelle, il modo in cui la luce si rifrange su un volto umano, la coerenza visiva tra un’inquadratura e l’altra — tutto questo continua a dipendere da interventi mirati e sapienti eseguiti prima che la cinepresa inizi a girare.
Il trucco maschile non è mai stato, dunque, un tabù o un’eccezione, ma parte integrante del linguaggio cinematografico. Una forma di artigianato invisibile, che ha permesso a generazioni di attori di apparire naturali sul grande schermo, proprio grazie all’artificio.
E così, mentre il pubblico si perdeva negli occhi intensi di un giovane Marlon Brando, o seguiva le battute taglienti di Humphrey Bogart, non sapeva — o forse non voleva sapere — che quegli sguardi erano stati “incorniciati” da mani esperte armate di pennelli e pigmenti.
Il cinema è finzione, eppure ci appare reale. E in questa sottile ambiguità, il trucco — anche quello degli attori più “maschi” — ha sempre avuto un ruolo da protagonista.
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