Nel grande mosaico di Hollywood, il talento non è sempre il pezzo che determina il successo. Talvolta, è il tempismo. Altre volte, il tipo giusto di volto, il ruolo giusto nel momento giusto, o la capacità — o volontà — di incarnare una determinata figura pubblica per il resto della carriera. A fronte del successo planetario di Star Wars, è inevitabile chiedersi: perché Harrison Ford è diventato una delle più grandi icone del cinema americano, mentre i suoi colleghi Mark Hamill e Carrie Fisher sono rimasti figure molto meno visibili sul grande schermo?

La risposta, per quanto si voglia trovare una formula semplice, è tanto sfaccettata quanto impietosa. È una lezione sull’industria dell’intrattenimento e sulle sue regole non scritte, dove la popolarità di un franchise può essere tanto un trampolino quanto una gabbia dorata.

Harrison Ford, ai tempi di Star Wars, non era esattamente un novellino. Aveva lavorato con George Lucas già in American Graffiti (1973), e prima ancora aveva svolto lavori umili per mantenersi, compreso quello di carpentiere per set cinematografici. Ma è con Han Solo che esplode: il suo personaggio è l’unico che non ha bisogno di magia o destino per imporsi — solo carisma, cinismo disilluso e un sorriso storto. È, per certi versi, il più umano della saga.

Ford, più di ogni altro, ha incarnato l’eroe americano “sporca camicia, pistola pronta” che Hollywood cercava negli anni Ottanta: lo ritroviamo in Indiana Jones, in Blade Runner, in Witness e The Fugitive. Sempre l’uomo d’azione riluttante, ma determinato, capace di attraversare epoche e generi. Se la sua gamma attoriale può sembrare limitata, ciò che gli mancava in flessibilità lo compensava con presenza scenica. E questo, a Hollywood, è oro.

Mark Hamill, al contrario, ha pagato un prezzo alto per essere diventato Luke Skywalker. Il volto pulito del ragazzo di provincia chiamato al destino cosmico si è impresso talmente nella memoria collettiva da rendere difficilissima ogni altra identificazione artistica. Dopo Il ritorno dello Jedi, Hollywood non sapeva cosa farsene di Hamill, se non per ruoli secondari o sperimentali. Lo stesso Hamill, del resto, non pareva interessato a lottare per un’immagine diversa.

Ma c'è un'altra carriera, parallela, che molti dimenticano: quella del doppiatore. Hamill è stato per decenni la voce del Joker in produzioni animate della DC Comics, un'interpretazione considerata da molti come la più profonda mai offerta del personaggio. Nel mondo del voice acting è una leggenda, e nel settore del teatro ha sempre mantenuto un profilo attivo. Non ha raggiunto i picchi di Ford, ma non è scomparso: ha semplicemente scelto un’altra via, meno luminosa ma artisticamente gratificante.

Carrie Fisher, da parte sua, ha vissuto un'esperienza ancora più complessa. Il suo ruolo di Leia Organa ha infranto barriere nel rappresentare donne forti e capaci in un genere dominato da eroi maschili, ma Fisher non ha mai goduto dello stesso livello di considerazione per il suo lavoro come attrice. Questo, però, non vuol dire che sia stata artisticamente inattiva.

Dietro le quinte, Fisher ha firmato sceneggiature, fatto script-doctoring su decine di film di successo (inclusi Hook, Sister Act, The Wedding Singer) ed è diventata una voce pungente e lucida del suo tempo, specie nella narrativa autobiografica (Postcards from the Edge, su tutte). Le sue battaglie personali contro la dipendenza e la salute mentale hanno reso il suo percorso meno lineare, ma molto più umano e, col tempo, profondamente rispettato.

Ciò che i percorsi divergenti di questi tre attori insegnano è che non esiste un solo tipo di successo. Hollywood può spingere un volto al centro del mondo e ignorarne un altro, per ragioni che poco hanno a che fare con il merito o il potenziale.

La sorte di Jerry Seinfeld e del cast della sua celeberrima sitcom ci racconta qualcosa di simile. Dopo la fine di Seinfeld, lo stesso Jerry è tornato alla stand-up comedy, con successo. Julia Louis-Dreyfus ha continuato a lavorare in televisione, culminando nel trionfo di Veep. Jason Alexander è rimasto attivo, ma lontano dai riflettori più grandi. Michael Richards si è ritirato quasi del tutto dopo un incidente pubblico rovinoso. Ancora una volta: i successi condivisi non garantiscono successi futuri. Sono solo porte aperte. E tocca all’individuo attraversarle, decidere se restare o andarsene, e soprattutto chi diventare dopo.

Il pubblico vede ciò che vuole vedere, e la memoria collettiva tende a semplificare. Harrison Ford è diventato il volto del cinema americano d’azione, Hamill la voce dietro un sorriso maligno, Fisher un talento letterario e una figura di coraggio silenzioso. Nessuno di loro è scomparso: hanno solo camminato su strade diverse.

Alla fine, l'industria dell'intrattenimento è anche questo: un riflesso delle scelte, delle capacità e delle circostanze di chi la abita. Alcuni cavalcano l’onda fino alla vetta. Altri si ritirano prima. Altri ancora trovano una corrente tutta loro.

Ford, Hamill e Fisher sono tre risposte diverse alla stessa domanda: “Che succede dopo la galassia lontana lontana?”. Nessuna è sbagliata. Tutte, in fondo, sono umane.