Avendo appena finito di scrivere il mio quinto libro, penso di poter dare un’opinione ponderata.
Parti da un presupposto: scrivere un libro è sfinente. Qualcosa di una difficoltà difficilmente stimabile per chi non l’ha mai fatto. Dalla raccolta dei materiali alla sindrome del foglio bianco, al combattere il nostro naturale abuso di frasi e parole sempre simili, al giusto mix tra leggerezza e profondità. Agli errori. Alle frasi che non funzionano. Alla bibliografia. A interi paragrafi da togliere. Al limare, limare, limare senza fine. E qui evito di parlare di creare la copertina, la sinossi, pubblicarlo, lanciarlo, gestirlo. Se ci pensi, manco inizi.
Quindi tutte le attività sono maledettamente difficili. Anche al quinto libro.
C’è qualcosa di particolarmente arduo in questo oceano di fatica? Una specifica attività che svetta?
Per me sono due.
La prima stesura. Cioè quando devi trasformare i tuoi milioni di schemi e appunti nella prima schifezza esposta in linguaggio lontanamente comprensibile. È sorprendentemente difficile rinunciare all’istinto di livellare e sistemare tutto già a questo punto. Scrivere di getto e male (necessario, poi spiego perché) è semplicemente fuori dalla nostra programmazione. Anche quando sei come me, cioè abituato a scrivere una montagna di roba sui social e in fretta, ti trovi in un altro territorio. Un libro ti manipola l’inconscio al punto tale che devi violentarti la testa per andare rapido e non stare attento ai dettagli nella prima fase. Io ci riesco poco.
Perché la prima stesura va fatta di getto e male? Sembra una sciocchezza, no?
Invece è necessario. Perché nessuna mente umana ha l’intelligenza e la capacità cognitiva di simulare al proprio interno la resa di una catena molto lunga di concetti espressi in fila, cioè un libro. E chi pensa di saperlo fare, è un segaiolo (sorry). Perché confonde la realtà con la sua teoria. Devi invece umilmente scrivere e buttare giù tutto male e in fretta, così vedi come viene. Vedi i buchi logici, vedi le cavolate che hai dato per scontato o scritto, vedi i pesi errati, vedi i differenti stili espositivi e quelli cognitivi, vedi se manca il flusso e dove, vedi se ti annoia o è una figata. È come con gli MVP per una startup: ogni ragionamento e ogni business plan valgono zero. Devi vedere il prodotto reale se funziona e piace o no. Anche se è una schifezza fatta rapidamente e accroccata.
Falsificare. Sempre!
La seconda parte superlativamente difficile è la copertina. Se te la fai per tuo conto, si intende. E visto che io sono maniaco del controllo, la creo per mio conto. Anche perché quella che mi aveva fatto l’editore in un libro precedente era orrenda.
Meglio se inizi appena cominci a scrivere il libro a pensare a una decina di concetti per la copertina. Trust me. Faranno tutti schifo nella loro versione grafica. Ma ti daranno stimoli per arrivare a quello giusto. Che ti chiederà parecchio lavoro, anche se hai occhio grafico.
Nella copertina del mio nuovo libro ho perso due giorni per i colori, 4 ore per “BTC” sulla targa (volevo un certo effetto pacchiano ma credibile). E non so quanto per testare font, stili, allineamenti. La quarta di copertina non mi usciva. Ne ho provate di tutte. Poi ho avuto l’intuizione, ho girato la forma a nuova di 90 gradi, e ho trovato la quadra.
In sintesi. Se non siete pazzi come me e non volete investire mesi e mesi di lavoro, non scrivete libri di 300 pagine.
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