Nessuna delle attuali, perchè nessuna odierna attrice ha una eleganza innata come l’avevano Vivien Leigh & co.
Nessuna delle attuali, perchè nessuna odierna attrice ha una eleganza innata come l’avevano Vivien Leigh & co.
Non si sa se la creatività sia una dote innata o ereditata, però di certo possiamo stimolarla ed allenarla in qualche modo.
Molti giorni capita di restare a corto di idee e non riuscire ad essere creativi quanto vorremmo.
Se siete colti da crisi creativa potete però provare a seguire questi consigli per stimolare il vostro “pensiero creativo”.
1. Sogna ad occhi aperti
1. Sognare ad occhi aperti stimola la creatività
Se siete sognatori di natura vi sarà più facile farlo, ma anche se avete una visione più pragmatica della vita questo banale consiglio può aiutare la vostra creatività.
Visitare solo idealmente altri mondi o ad immaginare cose e situazioni surreali è un esercizio alla portata di tutti, basta solo un po’ di fantasia e allenamento.
Sognare ad occhi aperti apre nuove prospettive, aiuta nei momenti di scoraggiamento e finisce così per stuzzicare il processo creativo.
2. Cambia la routine
Anche i più creativi e sregolati vivono comunque nella routine quotidiana.
Il tran tran giornaliero parte già dalla mattina: il percorso che percorriamo per andare a lavoro, gli orari, il bar dove facciamo colazione, per non parlare poi del lavoro.
In un certo senso la routine rilassa, perchè richiede poco sforzo cognitivo e di conseguenza anche le energie spese sono minori.
Di contro rende tutto un po’ più monotono, monotematico e prevedibile, bloccando un po’ la nostra mente.
Provate a stravolgerla, a cambiare le vostre abitudini, i vostri piccoli riti, anche per un giorno: la vostra mente si attiva e anche la prospettiva di vedere le cose può cambiare rapidamente.
3. W il disordine
Il disordine può stimolare la creatività
Chi dice che il disordine sia una negatività? Anzi, il disordine è un tratto tipico degli artisti, degli estroversi, di chi sa improvvisare e non si fa coinvolgere troppo negli schemi.
Se la vostra scrivania è ordinata come un’azienda farmaceutica svizzera provate un po’ a metterla a soqquadro; se fate tutto con estrema linearità e precisione, uno stravolgimento può aiutare il pensiero creativo in modo non indifferente.
4. Cambia il tuo ambiente di lavoro
Se sei abituato a lavorare in ambienti di lavoro movimentati oppure, al contrario, sei sempre da solo nel tuo ufficio, prova a cambiare anche questo approccio.
La solitudine e ambienti con poca luce e molto silenziosi aumentano la capacità di concentrazione, ma possono rivelarsi poco stimolanti in certi casi.
Se invece sei abituato al confronto, agli stimoli e ad ambienti più dinamici potresti non soffermarti sufficientemente in profondità su cose che un isolamento “creativo” potrebbero nascere in maniera più spontanea.
5. Limita i tuoi mezzi
Può essere un buon esercizio creativo per trovare nuove soluzioni.
Limita i colori della tua palette, oppure utilizza solamente immagini in bianco e nero.
Spesso l’essenzialità stimola nuove soluzioni e nuovi modi di interpretare le cose proprio per la limitatezza delle possibilità.
6. Prendi carta e penna
Prendi carta e penna e metti sul foglio i tuoi pensieri
Spengi il tuo computer o il tuo tablet, o per lo meno abbandonali per qualche minuto.
Prendi carta e penna e comincia a disegnare, scarabocchiare, scrivere. Fai un disegno a matita, scrivi parole chiave, crea delle associazioni.
Se vuoi puoi anche cimentarti in esercizi più difficili, come giocare con le frasi, creare rime o metafore, o addirittura scrivere il testo di una canzone.
7. Innalza il tuo pensiero
Se vuoi qualcosa di più impegnativo, potresti anche pensare a qualcosa di molto più complesso per stimolare la tua creatività.
Pensa ai misteri della vita, alle coincidenze, alle assurdità, alla connessione delle cose: in una parola medita e comincia a vedere le cose in maniera diversa.
Certo, non è una cosa immediata e non per forza troverai l’illuminazione, ma col tempo la tua creatività e la tua apertura mentale ne beneficeranno.
8. Ascolta musica
Ascoltare musica stimola la creatività
La musica è un potente strumento per stimolare la creatività.
Prova ad ascoltare una melodia o un motivo anche nel momento lavorativo, entrando in sintonia con quello che trasmette e stimolando quelle parti del cervello responsabili della creatività.
Trova il tuo stile, oppure stravolgi i tuoi gusti, passa dalla musica classica al rock, l’importante e che la musica ti faccia aprire mente e cuore.
9. Immergiti nella natura
Ricarica le energie e distaccati per un po’ dal mondo moderno.
Prova per un po’ di tempo ad immergerti nella natura, ad ascoltare il vento, ad ammirare un paesaggio.
Il lavoro, lo stress, gli impegni quotidiani sono nemici della creatività, anche quando non ce ne rendiamo conto limitano fortemente la nostra capacità artistica.
10. Diventa cittadino del mondo
Diventa cittadino del mondo e viaggia
“The last but not the least” per sviluppare e stimolare la creatività è quello di aprirsi al mondo e alle sue meraviglie e diversità.
Abbandona campanilismi, modi di vedere le cose in maniera troppo tradizionale, cerca di valutare prospettive nuove.
Fa che il mondo sia la tua città, visita paesi con una cultura diversa dalla tua, acquisisci nuove culture, scopri come gli altri vivono la loro vita.
Ogni paese ha i suoi colori, il suo stile, le sue abitudini, la sua comunicazione: viaggiare ed immergersi in una cultura diversa può essere veramente interessante e dare impulso alla creatività di ognuno di noi.
Vamos a la Playa, 1983
La cronistoria di un'apocalisse nucleare travestita da tormentone:
Vamos a la playa, oh oh oh oh oh.
Vamos
a la playa, oh oh oh oh oh.
Vamos a la playa, oh oh oh oh
oh.
Vamos a la playa oh oh.
Vamos a la playa,
la
bomba estalló (scoppiò),
bagliori nucleari
ci abbronzano di
blu.
Vamos a la playa, oh oh oh oh oh.
Vamos
a la playa, oh oh oh oh oh.
Vamos a la playa, oh oh oh oh
oh.
Vamos a la playa oh
Vamos a la playa,
tra statue di
robot.
legioni
di mutanti
combattono sui surf.
Vamos a la playa, oh oh oh oh oh.
Vamos
a la playa, oh oh oh oh oh.
Vamos a la playa, oh oh oh oh
oh.
Vamos a la playa oh
Vamos a la playa,
la nuova onda è
là.
con
pizze radioattive
ci si alimenterà.
Vamos a la playa, oh oh oh oh oh.
Vamos
a la playa, oh oh oh oh oh.
Vamos a la playa, oh oh oh oh
oh.
Vamos a la playa oh
Di tutte le arti la musica è quella più capace di evocare emozioni. Che sia gioia, commozione, serenità, eccitamento, malinconia, nessuna emozione è assente dalla tavolozza della musica, e non vi è nessuno che non abbia provato uno speciale sentimento all’ascolto di uno speciale brano. La musica può arrivare a coinvolgere il corpo, a suscitare voglia di muoversi: il ballo, le marce militari, le danze tribali non esistono a caso. L’associazione di musica e poesia in una bella canzone può farci piangere come bambini. Nessun’altra arte – pittura, scultura, poesia o letteratura, per quanto apprezzata e seguita, s’avvicina neanche lontanamente alle capacità emotive della musica. Perché? Cos’ha di speciale questa arte? A quali parti di noi parla così forte? E come fa?
Certi brani musicali suscitano emozione in quanto legati a momenti significativi della nostra vita. Questo caso è semplice da spiegare: la musica rievoca i ricordi, e questi a loro volta evocano le emozioni. Sono i ricordi, più che la musica, a suscitare l’emozione. Questo non è molto interessante, e non ne parleremo ulteriormente.
Ma una musica può evocare emozioni anche quando la sentiamo per la prima volta: le evoca “per come è”, non perché già legata a nostre precedenti esperienze. Avviene anche spesso che ascoltatori diversi senza background comune giudichino nello stesso modo – allegra o triste, serena o angosciosa, consonante o dissonante, ecc. – una medesima musica ascoltata per la prima volta. Tutto ciò suggerisce che la musica “parla” a parti di noi che abbiamo in comune semplicemente in quanto esseri umani, indifferentemente da etnia, genere, esperienza, conoscenze, scolarità, censo, educazione musicale, gusti, tendenze, ecc. È questo il caso più interessante, e di cui parlerò in questa risposta. Cominciamo da qualche premessa sulle emozioni.
Emozioni
Le emozioni sono risposte automatiche del sistema nervoso a stimoli potenzialmente rilevanti per la sopravvivenza o la riproduzione. Le emozioni più potenti sono innate, universali, comuni a tutte le popolazioni umane, indipendenti dalla cultura e dalla esperienza di vita individuale. Queste sono comunemente dette emozioni primarie. Sono abbastanza poche: paura, tristezza, gioia, rabbia, disgusto, sorpresa, e alcune altre ancora non universalmente ammesse fra le emozioni primarie (serenità/tranquillità, curiosità, attrazione sessuale, amore). Altre emozioni sono acquisite, apprese, legate all’esperienza individuale e alla cultura sociale. Di queste non ci occuperemo, poiché la musica riguarda essenzialmente le emozioni primarie.
Comunicazione emotiva
Oltre al “compito” di produrre una rapida risposta adatta in situazioni critiche, negli animali sociali come l’uomo varie emozioni hanno anche lo scopo di suscitare negli altri emozioni, e quindi azioni, di risposta vantaggiose per chi le suscita. Ad esempio, l'espressione dell’emozione tristezza suscita compassione e possibili azioni di accudimento; la rabbia suscita attenzione e azioni di correzione; la paura suscita azioni di protezione; la gioia rassicura sull’assenza di emozioni negative e rinforza il legame sociale. Questa comunicazione interindividuale a doppio senso avviene a un livello non verbale, non volontario e non conscio, che “passa” attraverso la postura, la mimica, e i suoni non verbali. Attraverso queste vie i sistemi limbici di due individui comunicano direttamente e indipendentemente dalla coscienza, evocandosi reciprocamente emozioni e relativi comportamenti. I contenuti veicolabili da una tale comunicazione sono naturalmente pochi e necessariamente importanti: essenzialmente cosa vorremmo dall’altro, cosa possiamo aspettarci da lui, e cosa lui può aspettarsi da noi. Pochi e importanti come le emozioni primarie.
Questo collegamento non verbale ha rappresentato un mezzo di comunicazione essenziale per centinaia di migliaia d’anni d’evoluzione umana, e per milioni d’anni d’evoluzione animale che li ha preceduti. Gli effetti emotivi dei suoi suoni, e di suoni della natura, sono quelli su cui si basa gran parte degli effetti emotivi della musica.
Musica
Gli effetti emotivi della musica sono prodotti, con meccanismi diversi, dal ritmo e dalle note.
Gli effetti del ritmo sono semplici, e dipendono essenzialmente dalla velocità (in termini musicali il “tempo”) della musica. Questa si misura in battiti al minuto, dove, per dirla nel modo più semplice e meno esatto possibile, i battiti sono quelli con cui batteremmo le mani ascoltando la musica. Tempi inferiori a 60 battiti al minuto hanno effetto tranquillizzante, che sotto i 40 diventa addirittura rattristante/deprimente, tanto da essere utilizzati per marce funebri. Al contrario, da 80-90 battiti al minuto in su l’effetto è attivante. La musica da discoteca si situa tipicamente da 120 in su, con una “fascia bassa” da 107 a 120 per una disco dance “tranquilla”.
Perché questi valori, e non altri? Perché l’attività cardiaca umana normale, in veglia a riposo, si aggira fra i 60 e gli 80 battiti per minuto, tipicamente 70-72. La frequenza cardiaca di una mamma ha effetto sullo stato d’animo del bambino che tiene abbracciato al petto, e che ode il cuore di lei. Il bambino è tranquillizzato da frequenze normali, o lievemente più lente, che gli comunicano che la mamma sta bene ed è tranquilla, o addirittura dorme, e tutto va bene. Frequenze più alte indicano che la mamma è all’erta, o in ansia, e il bambino risponde con analoga attivazione. Questa risposta emotiva alla frequenza di suoni ritmati, in particolare quando ricordano il suono dei battiti del cuore come i tamburi, il contrabbasso e il basso elettrico, ce la portiamo appresso per tutta la vita. Questa attivazione nasce nei piccoli come un’attivazione “da paura”, ma con l’abitudine e la persistente rassicurazione che in realtà poi non accade nulla di grave perde i connotati paurosi e mantiene solo quelli di attivazione (facilitata magari in questo da alcol, droghe o bevande tribali).
Gli effetti emotivi delle note sono più complicati, e per cercare di comprenderli dobbiamo innanzitutto chiederci perché certe note suonate insieme (armonia, “accordi”) o una dopo l’altra (melodia) le troviamo gradevoli, o addirittura allegre, e certe altre sgradevoli o tristi. Come vedremo meglio in seguito, i cosiddetti accordi “maggiori” sono generalmente percepiti come “allegri” e quelli “minori” come “tristi”. Questo è di origine in parte culturale, ma in altra parte innata, e quest’ultima è interessante nel rapporto fra musica ed emozioni. Approcciare questi argomenti presume però qualche nozione di fisica e fisiologia acustiche, oltre che di teoria musicale, che per chi non le possiede già cercherò ora di fornire nel modo più indolore possibile.
Ciò che sentiamo come suono consiste in onde di compressione-rarefazione dell’aria (“onde sonore”) prodotte dalla vibrazione dell’oggetto che produce il suono (“sorgente sonora”). Le corde vocali e gli strumenti musicali sono fatti per questo, ma praticamente ogni oggetto può vibrare e produrre suono, come l’aria stessa nel vento e nel tuono, il suolo e gli edifici che tremano per un terremoto, e persino il nostro torace e addome quando il medico visitandoci li “bussa” con la punta delle dita. La velocità di vibrazione (frequenza) determina l’acutezza del suono: tanto più veloce la vibrazione, tanto maggiore la frequenza ed acuto il suono. La forza della vibrazione (ampiezza) determina il volume. Una nota musicale è un suono di frequenza definita: ad es. un suono a 262 oscillazioni al secondo è un Do, uno a 440 è un La. Una frequenza doppia dà la medesima nota, ma più acuta; una frequenza dimezzata ancora la medesima nota, ma più grave. L’intervallo di frequenze fra una nota e la stessa nota a frequenza doppia è detto ottava, e contiene tutte le note intermedie.
Un punto cruciale per spiegare parte degli effetti emotivi dei suoni è che, come osservato fin dall’antichità, due o più note diverse suonate insieme o una dopo l’altra ci piacciono tanto più (le troviamo più “consonanti”) quanto più è semplice il rapporto fra le loro frequenze. Se dividiamo l’intervallo di un’ottava in modo da avere sette note che siano il più equidistanti possibile, ma le cui frequenze stiano anche con la prima nel rapporto più semplice possibile, abbiamo, dalla prima alla settima nota, i seguenti rapporti: 1/1, 9/8, 5/4, 4/3, 3/2, 5/3, 15/8 (e l’ottava è ovviamente a 2/1). Note così disposte costituiscono la cosiddetta scala naturale. È facile constatare che i rapporti più semplici corrispondono alle minori somme numeratore + denominatore nelle dette frazioni. Il rapporto più semplice di tutti è 3/2, cioè quello fra la nota fondamentale e la quinta, pertanto detto intervallo “di quinta”. La fondamentale e la quinta sono le due note che, se suonate insieme o una subito dopo l’altra, sentiamo più consonanti (esempi: Do-Sol, Mi-Si, Sol-Re). Il rapporto che si situa secondo nella scala delle consonanze è quello di quarta, 4/3 (Do-Fa, Mi-La, Sol-Do). È interessante notare che la maggioranza delle canzoni popolari di successo “facili” e orecchiabili è costruita proprio sui tre accordi le cui fondamentali stanno fra loro in rapporto di quinta e di quarta (es. Do, Sol e Fa; Mi, Si e La; La, Mi e Re; ecc.).
Se passiamo a tre note suonate insieme (“accordo”) il principio rimane lo stesso: le tre note stanno tanto meglio insieme quanto più semplici sono i rapporti fra loro; ma la faccenda si complica perché occorre considerare tre rapporti anziché uno. Se suoniamo insieme le tre note più consonanti, la fondamentale la quarta e la quinta, ci accorgiamo che il risultato non è molto gradevole. Questo avviene perché la quinta è seconda rispetto alla quarta, sicché il rapporto fra loro è 9/8. Un risultato migliore, anzi il migliore possibile, l’abbiamo prendendo come nota intermedia non la quarta, ma la terza (esempi: Do-Mi-Sol, Fa-La-Do, Sol-Si-Re). In questo caso infatti la quinta è terza rispetto alla terza, per cui i tre rapporti sono 5/4, 4/3 e ancora 5/4. Così l’accordo più gradevole di tre note è quello “fondamentale + terza + quinta”, e questa triade rappresenta l’accordo per antonomasia.
Fino a questo punto abbiamo considerato un’ottava divisa in sette note. Ma per una maggiore ricchezza espressiva della musica si può dividere in più note. La scala naturale di cui abbiamo finora parlato, quella più “naturale” e consonante per l’orecchio, utilizza in effetti 13 note, in rapporto con la fondamentale rispettivamente 1/1, 16/15, 9/8, 6/5, 5/4, 4/3, 45/32, 64/45, 3/2, 8/5, 5/3, 9/5, 15/8. Negli ultimi due secoli la musica occidentale utilizza invece prevalentemente una scala di 12 note ottenute suddividendo l’ottava in 12 parti logaritimicamente uguali, detta scala equabile 12-TET, che presenta il vantaggio che qualsiasi strumento può suonare in tonalità differenti (utilizzare come nota fondamentale della scala una qualsiasi delle 12 note) senza doverlo ri-accordare. Nessuna delle 12 note della scala 12-TET coincide esattamente con una delle 13 note della scala naturale; tuttavia per alcune (la seconda, la quarta e la quinta) la differenza è talmente piccola che l’orecchio umano non è in grado di avvertirla, e restano valide tutte le considerazioni che abbiamo fatto circa la gradevolezza o meno degli intervalli nella scala naturale. Per le altre note, quelle della scala 12-TET si situano lievemente sopra (sono crescenti) o sotto (calanti) rispetto alle corrispondenti note naturali. Queste differenze non sono tali da invalidare quanto detto finora, ma sono tali da aggiungere invece un ulteriore elemento importante rispetto agli effetti emotivi della musica: infatti le note crescenti suonano allegre, ravvivanti; quelle calanti suonano tristi, deprimenti. È questo il motivo per cui nella musica a cui siamo oggi abituati certi accordi hanno effetto rallegrante, attivante, e altri rattristante: la nota intermedia dell’accordo, quella dell’intervallo di terza, è crescente (“accordo maggiore”) o calante (“accordo minore”) rispetto alla nota che il nostro orecchio inconsciamente sente come “naturale” per quell’accordo, e questo ha effetti psicologici significativi.
Abbiamo elencato le più importanti relazioni fra le caratteristiche fisiche della musica e suoi effetti sulle emozioni. Dobbiamo ora chiederci: perché? Perché le note che sono in rapporti di frequenza semplici fra loro ci risultano più gradevoli di quelle con rapporti complessi? E perché una nota crescente rispetto a una nota “naturale” ha effetto rallegrante e attivatore, e una nota calante effetto rattristante e deprimente?
Per la prima domanda dobbiamo considerare le armoniche. In quasi tutte le vibrazioni naturali, alla vibrazione fondamentale che definisce la nota si sovrappongono anche vibrazioni a frequenze più alte, multiple della prima, dette armoniche, di ampiezze relative diverse secondo l’oggetto che produce il suono. In altri termini, la nota fondamentale è sempre accompagnata da altre note più acute, in proporzioni differenti secondo i differenti oggetti che producono i suoni. Sono queste – insieme alla variazione d’ampiezza del suono nel tempo, anch’essa caratteristica di ciascun oggetto e detta inviluppo – a dare ad ogni diversa sorgente sonora il suo timbro (o colore) caratteristico, a rendere diverso il suono di una chitarra da quello di un flauto.
I suoni che ci provocano istintivamente paura sono rumori prodotti in natura da eventi potenzialmente pericolosi come terremoti, frane, fulmini, esplosioni. Tutti questi sono suoni che contenengono un gran numero di armoniche, note che stanno fra loro in rapporti di frequenza qualsiasi, quindi anche in rapporti molto complessi e disordinati. Viene naturale ipotizzare che il nostro sistema nervoso sia predisposto a considerare allarmanti, sgradevoli, da fuggire, i suoni di questo tipo; e che per contrasto trovi gradevoli i suoni che stanno fra loro in rapporti semplici, e/o le cui armoniche siano semplici o comunque ben caratterizzate, non caotiche. È come se suoni di questo tipo dicessero “va tutto bene, nessun pericolo”.
Per ipotizzare una risposta alla seconda domanda dobbiamo ricordare quanto detto sopra circa i suoni non verbali nella comunicazione primordiale. I suoni calanti sono tipicamente emessi da animali sofferenti o moribondi; lo spegnersi del lamento nel rantolo è tipico della situazione agonica. È probabilmente su questo che il nostro sistema nervoso, prima d’imparare a parlare, ha imparato a utilizzare i lamenti per comunicare sofferenza, lamenti che tipicamente hanno una tonalità calante. Per il solito meccanismo del contrario, fonazioni gioiose, eccitate, attive, hanno tipicamente un andamento crescente. Anche nel canto una stonatura “calante” è più avvertibile e meno tollerata di quella “crescente”. È insomma probabile che gli accordi maggiori e quelli minori abbiano effetti emotivamente opposti in quanto rievocano a livello inconscio le emozioni connesse a questo tipo di comunicazione non verbale, spontanea e involontaria.
Conclusioni
In tutti i casi che abbiamo esaminato sono naturalmente i centri e circuiti “delle emozioni” nel cervello, il cosiddetto sistema limbico, a reagire istintivamente ai messaggi impliciti contenuti nella musica. I rapporti fra sistema limbico ed emozioni, emozioni e musica, sistema limbico e musica, sono ormai accertati e rappresentano un importante campo di ricerca in neuroscienze. Tuttavia, pur accertati e diffusamente considerati, restano ancora largamente oscuri nei loro meccanismi. In questa risposta ho descritto conoscenze e proposto ipotesi d’interpretazione di alcuni di questi meccanismi alla luce delle attuali conoscenze in fisica acustica, neurofisiologia e psicologia.
Starai probabilmente pensando a qualche formula magica di simpatia, d'immagine, di creatività autoriale, eccetera… Ma non è così.
Stallone - come tutte le star di Hollywood - ha bisogno dei produttori per fare un film a Hollywood.
Ne ha bisogno perché non è in grado di sborsare 50–90 milioni da solo, e rischiarli tutti su un SOLO film che potrebbe andare male (perché questa è un'industria dove i rischi non si eliminano MAI completamente). La gente spesso si concentra SOLO su quei 50 milioni, ma nessuno scommette 50 milioni se è tutto quello che ha in banca.
Quello che voglio dire, è che se te ne servono 50 per produrre un film, allora devi averne in banca… 250, okay? Così, giusto per essere sicuro di sopravvivere a un eventuale fiasco. E no, Stallone non li ha… Esattamente come non li ha nessun altro ATTORE a Hollywood.
Ma per restare sulla cresta dell'onda come ha fatto Stallone, bisogna continuare a lavorare con Hollywood.
Perché solo Hollywood fa film con un budget tale da essere tradotti e distribuiti in tutti i cinema di tutto il mondo. Dunque se non vuoi essere dimenticato da tutto il mondo, devi continuare a lavorare con Hollywood. E dunque, con i produttori di Hollywood.
E quando Hollywood un bel giorno non ti vuole più (magari perché sei vecchio o passato di moda) devi diventare allora anche produttore dei tuoi stessi film (come stanno facendo non a caso - per esempio - Tom Cruise e tanti altri attori DOPO il loro momento di gloria mondiale, come appunto Tom Cruise e Stallone, che erano le star 'assolute' degli anni '80).
Stallone è sempre riuscito a restare dentro Hollywood, spesso venendo a compromessi.
Per esempio, Stallone in questo momento sta usando i social in maniera molto aggressiva e piuttosto nuova, per una star di Hollwood: sta spoilerando tutta la trama di Rambo 5 su Instagram prima ancora che esca, una foto su instagram alla volta con cadenza mensile.
Ha recentemente venduto all'asta dei cimeli PAZZESCHI della sua vita (roba da matti, secondo me) tipo l'accappatoio di Rocky 1 ancora sporco di sangue finto, un coltello di Rambo 1 usato sullo schermo, ecc. Ha partecipato inoltre a vari incontri con il pubblico a prezzi folli (500 euro per farsi un selfie assieme a Sly).
In sostanza, Sly sta facendo al meglio delle sue possibilità quello che può e che deve fare per produrre il suo prossimo lavoro da protagonista a Hollywood, e mantenere dunque la sua immagine al centro dell'attenzione mondiale.
Ma andiamo un attimo indietro nel tempo.
Dopo la parentesi buia degli anni novanta, durante la quale ha cercato (senza successo) di reinventarsi come attore più poliedrico (commedie, noir e altro), Sly torna alla ribalta prima realizzando due incredibili ritorni ai suoi personaggi storici (ROCKY BALBOA, che venne recensito molto bene dalla critica, e RAMBO 4, che NON venne recensito altrettanto bene, ma andò piuttosto bene al botteghino e col pubblico in generale). A quel punto, Stallone convinse una valanga di produttori a partecipare a THE EXPENDABLES, una sorta di AVENGERS con vecchi attori d'azione al posto degli eroi di fumetti.
Expendables usa lo stesso meccanismo di marketing di Avengers: se riusciamo a portare al cinema tutti i fan di Chuck Norris, Van Damme, Dolph Lundgren, Jason Statham e chi più ne ha, più ne metta… ne verrà fuori un'ammucchiata anche al botteghino.
L'esperimento funzionerà, anche se il secondo dei due seguiti di EX. mostrerà putroppo delle crepe negli incassi - segno che la faccenda cominciava ad annoiare, ormai - e Sly non riuscirà a convincere i produttori a farne un quarto capitolo, nonostante le prospettive sul mercato cinese fossero tutt'ora molto allettanti.
Nel frattempo, Sly ha lavorato inoltre per ben 11 anni alla ricerca di produttori per Rambo 5, in modo da tornare a essere protagonista in un vero film di Hollywood (anche se a budget modesto, rispetto ai precedenti film, segno che il progetto non ha convinto i produttori a sufficienza).
Per riuscirci, Sly ha partecipato a un paio di film basso budget per l'home video (Backtrace e Reach Me, entrambi stroncati da pubblico e critica), cosa che secondo me ha fatto solo per fare un favore alle persone 'giuste' ("tu recita in un paio di film che dico io, e io ti produrrò sto cavolo di Rambo 5. Okay?").
Poi Sly è andato a Cannes a presentare il trailer di Rambo 5, e ha cercato di portare il film fuori concorso a Venezia pure (dove purtroppo verrà respinto perché troppo violento, diseducativo, destrorso… Boh).
Secondo me, Sly va letto così: come uno sportivo.
Il suo scopo è essere protagonista dentro film di Hollywood che abbiano più successo possibile. Quando un film ha successo e lui è protagonista, la sua immagine torna alla ribalta mondiale per altri 5–10 anni.
E tutto quello che conta per davvero - in questo frangente - avviene in realtà dietro le quinte, non sullo schermo.
Riguardo all'aspetto artistico, al suo immaginario e ai suoi personaggi e valori, bisognerebbe parlarne con lui, perché è l'unico in grado di motivare le sue scelte artistiche.
Tuttavia, come ho detto, quello che metti sul grande schermo conta molto poco… se sul grande schermo non ci arrivi proprio.
Ed è quella, purtroppo, la vera sfida.
Lo so, lo so…
Vi piace pensare di vivere in un mondo 'giusto', dove sono le idee 'a fae la vera differenza'… Ma non è così.
WALLACE LEE - l'Autore di Rambo Year One, grande fan di Sly da tutta la vita e, se questa risposta vi è sembrata cinica… Non lo è. E' il mondo che funziona così, non Sly. E chunque vi dica il contrario, sta mentendo.
Anzi.
Direi che Sly è riuscito a coniugare arte e necessità Hollywoodiane meglio di molti altri.
Mi permetto di essere molto diretto. Il nostro è l'ultimo paese che avrebbe mai dovuto meritarsi gente come Dante, Da Vinci, Buonarroti & ……, non meritiamo nulla di ciò che sia eterno, perché da un certo punto in avanti della nostra storia abbiamo deciso di farci réclame con tali facce da culo e Ministri/e del fancazzismo, del ghe pensi mi, meritiamo solo di andare a fondo!
Quando ascoltiamo il caratteristico suono del banjo, la nostra mente associa l’Irlanda e il Texas; in realtà il banjo, insieme al violino e la chitarra, è lo strumento caratteristico della cosiddetta “Country Music”, che deriva dall‘ “Old time music”, originaria della cultura afro-americana. Stranamente questo genere musicale viene interpretato da orchestre composte prevalentemente da musicisti “bianchi”. La “country music” nasce dall’interagire di emigranti provenienti dall’Europa, dal Mexico e dalle comunità di nativi americani, sistemati stabilmente in Texas. Il fiddle (violino irlandese), la chitarra spagnola, il mandolino italiano e la cetra tedesca fondono suoni e culture musicali, ognuno con le proprie caratteristiche tradizionali delle feste paesane dei loro paesi di origini, ed è così che nasce questo allegro esilarante “country”. In Italia non è stato mai “sufficientemente” apprezzato, in quanto nelle nostre regioni, esistevano musiche tradizionali, solo leggermente intaccate negli ultimi decenni dalla musica etnica, ma mai neanche scalfite dalla remota possibilità di invadere il mercato discografico italiano.
Jason, grande interprete della Country Music
Caratteristico accessorio “Country Music”
L’orchestra Country Music di Jason
El Dany, artista country italiano
Qualcuno mi farà notare che moltissimi brani del genere “country”, anche se cover, hanno avuto un notevole successo, vedi Gino Santercole che incise la cover di “South of the Border” (Gene Autry, 1939) , col titolo “Stella d’argento”; “La città del west” di Guidi, interpretata alla Bobby Solo; ma attualmente resta “insistentemente” convinto di tale possibilità il solo Zio Dany di radio city, che tuttora promuove le sua canzoni “country”, una più bella dell’altra. La verità è che non c’è mai stata promozione sufficiente per questo genere musicale, ostacolato dal “liscio” romagnolo e dalla “tarantella” napoletana, che per l’esistenza di migliaia di orchestrine, locali da ballo e gruppi folkloristici, ne impediscopo la benchè minima possibilità di successo. Se mi posso permettere di esprimere un giudizio strettamente personale, io credo che manchi la cultura musicale popolare, che giornaliermente va esaurendosi a favore del calcio scommesse, della sagra “de sasicchie e vruoccole”, del karaoke (termine giapponese, derivante dalle parole “vuota” e “orchestra”), che il grande Fiorello lanciò negli anni ’80/’90, creando un’ Italia canterina, distraendola dalla musica di qualità.