Con l'arrivo del sonoro nel cinema alla fine degli anni Venti, molte carriere vennero stroncate. Ma il caso di Buster Keaton — uno dei più grandi innovatori del muto, autore di capolavori come The General e Sherlock Jr. — non fu tanto il risultato di limiti vocali o attoriali, quanto di un sistema che ne soffocò il genio. La leggenda che Keaton fosse “inadatto al parlato” è un mito da sfatare: ciò che davvero lo schiacciò fu la perdita di controllo creativo e la rigidità degli studios hollywoodiani.

Negli anni ’20, Keaton era un maestro assoluto della comicità fisica, con uno stile unico: sobrio, malinconico, fatto di espressioni contenute e acrobazie incredibili. A differenza di Charlie Chaplin, che costruiva personaggi poetici e teneri, Keaton era l'“uomo che non ride mai”, protagonista di un mondo che crollava intorno a lui mentre cercava di restare dritto.

Ma nel 1928, accettò un contratto con la Metro-Goldwyn-Mayer (MGM) — una decisione che lui stesso definì “il peggiore errore della mia vita”. La MGM lo costrinse a rinunciare alla libertà che lo aveva reso grande: niente più direzione personale, niente più montaggio in autonomia, niente più scrittura libera. In cambio, uno stipendio fisso… e una gabbia dorata.

Con Free and Easy, il suo primo film interamente parlato, Keaton si ritrovò improvvisamente a recitare dialoghi fitti, in un formato lontano dalla sua comicità visiva. Non era una questione di voce — chi ha ascoltato Keaton sa che la sua voce era perfettamente adatta al grande schermo. Il problema era che il suo tipo di umorismo non aveva bisogno di parole, e le sceneggiature MGM gli cucivano addosso ruoli che non gli appartenevano: goffi, parlanti, persino caricaturali.

Inoltre, la comicità MGM era codificata, “normata”, affidata a sceneggiatori esterni, spesso privi di comprensione del ritmo surreale che aveva fatto di Keaton un artista di rottura. I suoi film sonori apparivano stanchi, privi di scintilla, e lui sembrava fuori posto non per incapacità, ma per un’inadeguata cornice creativa.

Mentre la sua carriera crollava, anche la sua vita personale entrava in crisi. Il matrimonio si sfaldava, l’alcolismo peggiorava, e i dirigenti MGM — compresi Louis B. Mayer e Irving Thalberg — trattavano Keaton come una risorsa “da contenere”, non da valorizzare. Gli fu persino assegnato un “tutore” sul set, per impedirgli di improvvisare.

La sua emarginazione coincise con un cambiamento generale nel cinema americano: l’era dei grandi comici autori — Keaton, Chaplin, Harold Lloyd — lasciava il passo a produzioni più industriali, meno anarchiche, più narrative. In questo mondo, Keaton non trovava posto.

Negli anni ’40 e ’50, Keaton fu riabilitato lentamente come artista, partecipando a piccoli ruoli, programmi televisivi, pubblicità e anche qualche cortometraggio comico. Ma fu solo negli anni ’60, poco prima della sua morte (1966), che la critica e il pubblico iniziarono a riconoscere il genio assoluto del suo cinema muto. Oggi The General è considerato uno dei più grandi film della storia, e la sua influenza è visibile ovunque — da Jackie Chan a Wes Anderson.

Buster Keaton non era un attore scarso nel sonoro. Era un artista visivo, un regista-comico-autore, soffocato da un sistema che non sapeva più come usarlo. Non fu il suono a rovinarlo, ma la fine della sua indipendenza creativa. In un mondo che stava cambiando troppo in fretta, Keaton fu una vittima di Hollywood tanto quanto un suo artefice. Ma la sua eredità — silenziosa, ma potente — oggi parla più forte che mai.