Questione di vulnerabilità.

Usiamo come esempio la serie Squid Game.

Il protagonista, Seong Gi-hun, è uno stronzo da manuale. Nella prima puntata ci viene presentato come un parassita mantenuto dalla madre anziana, a cui ruba i soldi per andare a scommettere ai cavalli. Non riesce nemmeno a risparmiare due spicci per comprare un regalo di compleanno alla figlia che non vede mai, va subito a buttarli al gioco come un cretino. Appena mette le mani su un po' di soldi, arrivano gli strozzini a gonfiargli la faccia di sberle. Uno sfigato, un perdente, uno che sembra aver sempre voltato le spalle alla vita per inseguire quella che gli pareva la via più facile per tirare su quattro spicci.

Ma ci sono tre momenti, nella prima puntata, che ci fanno capire che Seong Gi-hun vale più di così:

1) quando sbatte contro Sae-byeok mentre sta scappando dai creditori e trova comunque il tempo di fermarsi per aiutarla a rialzarsi;

2) quando dà da mangiare al gatto, dopo aver preso del pesce per cena;

3) quando gioca a ddakji con il reclutatore e vince la prima partita: ha ormai dimenticato di farlo per soldi, è diventata una questione di principio, di rivalsa, e di istinto alza la mano per poter finalmente essere lui, a dare un bel ceffone in faccia all'avversario.

Ci saranno poi altri momenti di questo tipo nelle puntate successive, ma fate caso a come tutte queste siano premesse necessarie, nella prima puntata, per far sì che il pubblico empatizzi con il protagonista al punto da pensare "Okay, sarà anche uno stronzo, ma sotto sotto…". Se non lo mostrassero nella prima puntata, il pubblico potrebbe non trovare la forza di dare il beneficio del dubbio e di guardare le puntate successive.

Aggiungiamo anche l'effetto del contrasto.





Gi-hun sicuramente non è un eroe senza macchia e senza paura: ha dimostrato di avere poca spina dorsale e più debolezze che capelli in testa. Tuttavia, se lo confrontiamo con altri concorrenti, improvvisamente ci sembra che i suoi, di difetti, siano molto più tollerabili.

Gi-hun sarà anche un debole, ma Jang Deok-su è un violento e un prevaricatore. Cho Sang-Woo è un tale manipolatore che fa di gran lunga preferire la brutalità manifesta di Deok-su, che almeno, se ti deve accoppare, lo fa rendendosi un pericolo evidente.

Gi-hun avrà un sacco di difetti, ma quelli più spaventosi, quelli senza possibilità di riscatto o redenzione, vengono sapientemente distribuiti su altri personaggi.

Il contrasto funziona anche nella direzione inversa, però. Per creare una zona di grigio ancora più interessante, anche le virtù brillano in realtà sui volti altrui, non su quello di Gi-hun.




È grazie a questo che Gi-hun diventa un centro del bene relativo. È circondato da personaggi peggiori di lui e migliori di lui; in questo modo, i suoi pregi e i suoi difetti ci sembrano più onesti. Gi-hun si muove in una zona di grigio in cui ci appare più accessibile e più umano. È un povero diavolo, dopotutto — come noi spettatori che lo guardiamo.

La sua vulnerabilità, questa intrigante via di mezzo, ci permette di affezionarci a lui: consapevoli dei suoi limiti, testimoni dei suoi valori.