Il mastering (più
correttamente il pre-mastering)
è il processo fondamentale per creare il master originale di
un album musicale partendo dalle tracce ottenute dopo
il missaggio. Il master è quindi la copia dalla quale verranno
stampate tutte le altre.
Prima dell'invenzione del mixer e
dei microfoni, i dischi venivano registrati mediante l'uso di un
diaframma di cera che, posizionato nella sala ripresa, vibrando
trasmetteva l'energia acustica ad un tornio posto in una stanza
adiacente il quale creava direttamente il master incidendo in tempo
reale l'esecuzione musicale sotto forma di solchi più o meno
profondi in un disco master. Anche dopo l'invenzione dei mixer e dei
microfoni, sebbene la qualità audio ne trasse notevole vantaggio, il
master veniva scritto in tempo reale poiché mancava un supporto
affidabile su cui registrare momentaneamente l'esecuzione per essere
scritta successivamente sul master.
Agli albori, le fasi del processo di
registrazione e di masterizzazione venivano eseguite interamente in
modo analogico e meccanico. Gli artisti cantavano e suonavano in un
grande corno acustico e il mastering veniva eseguito direttamente dal
trasferimento acustico, dal diaframma del corno di registrazione al
tornio di masterizzazione, generalmente posto in una stanza vicina.
La testa di taglio, guidata dall’energia proveniente dal corno
acustico, inscriveva una scanalatura modulata sulla superficie di un
disco o cilindro rotante. Il master era generalmente realizzato o in
lega di metallo o in cera.
Dalla metà degli anni ’20, dopo
l’introduzione del microfono e dell’amplificatore elettrico, il
processo di mastering divenne elettromeccanico. Dei torni di
masterizzazione venivano, infatti, azionati elettricamente per il
taglio dei master e, fino all’introduzione della registrazione a
nastro, tutti i master venivano tagliati direttamente su disco. Le
registrazioni masterizzate sfruttando il materiale registrato in
precedenza, e proveniente da altri dischi, erano la minoranza.
Alla fine degli anni ’40, l’industria
di registrazione fu rivoluzionata dall’introduzione del nastro
magnetico. Il nastro magnetico fu inventato per le registrazioni da
Fritz Pfleumer, in Germania, nel 1928, il quale si basò
sull’invenzione della registrazione a filo magnetico di Valdemar
Poulsen, del 1898. Questa nuova tecnologia fu disponibile al di fuori
della Germania solo a partire dalla fine della Seconda Guerra
Mondiale. L’introduzione del nastro magnetico rese possibile il
taglio separato dei master, rispetto al processo di registrazione.
Sebbene i nastri e gli altri progressi
tecnologici abbiano drasticamente migliorato la qualità audio delle
registrazioni commerciali, a partire dal dopoguerra, i vincoli del
mastering elettromeccanico rimasero i medesimi e le limitazioni
fisiche dei principali supporti commerciali per la registrazione (il
78 giri, il 45 giri in seguito e l’LP), rappresentavano dei limiti
per la qualità audio, la gamma dinamica e il tempo di esecuzione dei
master, rispetto ai mezzi futuri come, ad esempio, i compact disc.
Dagli anni ’50 fino all’avvento
della registrazione digitale, degli anni ’70, il processo di
masterizzazione si suddivideva in varie fasi. Una volta completata la
registrazione multi-traccia in studio, veniva preparato un mix
finale, rimandato al master, generalmente un nastro stereo singolo o
a doppia traccia. Prima del taglio del master, il nastro veniva
trattato elettronicamente ulteriormente da un ingegnere
specializzato. In particolare, per migliorare a qualità del disco,
veniva regolata l’ampiezza del suono su diverse bande di frequenza
(equalizzazione), prima di tagliare il master.
Il mastering divenne così un elemento
indispensabile e molto ricercato nell’industria musicale, che
poteva sancire il successo, o meno, di un prodotto pop. Nacquero,
così, numerosi studi indipendenti per la masterizzazione e, i primi
ingegneri indipendenti, furono Doug Sax, Bob Ludwig, Bob Katz, Bernie
Grundman e Danny Purcell.
Il Mastering ha fondamentalmente due
scopi:
- Amalgamare i brani presenti su un album (a meno che non si tratti di un singolo brano) decidendone la scaletta, le pause tra i brani e uniformandone i volumi, la risposta in frequenza e l'immagine stereofonica.
- Ottimizzare la resa sonora dei brani rispetto al supporto su cui verrà stampato l'album (cd, DVD, vinile o altro) facendo sì che il disco riesca a suonare al meglio su qualsiasi supporto venga riprodotto.
Grazie allo sviluppo del digitale
nell'audio, è aumentata la possibilità di intervenire a posteriori
su un qualsiasi aspetto di una registrazione senza alcuna perdita
qualitativa, anzi, spesso ottenendo risultati migliori del materiale
di partenza. Sempre più fonici di ripresa cominciarono a
trascurare l'accuratezza della ripresa microfonica pensando di poter
colmare eventuali lacune in fase di editing e di missaggio. Al loro
pari anche in fase di missaggio si tendeva a trascurare alcuni
dettagli produttivi pensando che sarebbe stato il mastering, ultimo
anello della catena, a dover da solo definire o stravolgere
completamente il suono di un brano.
Dopo l'avvento dell'audio digitale,
sappiamo perfettamente che è fondamentale che ogni stadio della
catena produttiva di un disco lavori al suo meglio se si vogliono
ottenere buoni risultati, inoltre è risaputo che l'anello più
debole della catena è sempre il primo, quindi nel nostro caso la
registrazione della sorgente sonora. Il Mastering non ha la
possibilità di stravolgere completamente il lavoro fatto in
precedenza; d'altro canto è vero che partendo da tracce ben
registrate e ben mixate è possibile ottenere un ottimo suono finale
con un buon mastering. Gran parte delle leggende
metropolitane legate al mastering sono nate alla fine dello
scorso decennio quando si è iniziato ad attuare dei bruschi
interventi di compressione dinamica in fase di mastering. Queste
scelte operative erano dettate dalle case discografiche che volevano
che i loro brani suonassero a volumi più sostenuti.
Era più facile che un brano con un
volume maggiore attirasse l'attenzione degli ascoltatori di una
stazione radio. In effetti, psicoacusticamente parlando,
risulta che le persone in genere trovino inconsciamente più
piacevoli i brani con una pressione sonora maggiore. Il risultato fu
l'appiattimento dinamico dei dischi dell'epoca. Andando ad analizzare
la forma d'onda di un brano dai primi anni novanta in poi,
scopriremmo che essa non presenta picchi ma rimane perlopiù vicina
agli 0 dB, limite invalicabile dell'audio digitale. È fondamentale
precisare che quanto descritto è appannaggio quasi esclusivamente
della musica pop. Per quanto concerne la musica jazz,
quella classica ed altri generi di musica perlopiù
acustici, questo problema non è mai sorto in quanto gli interventi
di mastering su questi generi tendono a non snaturare il carattere
spettrale e dinamico della registrazione, ma si limitano solamente ad
adattare al meglio i brani al supporto.
Lo studio di mastering professionale di
solito ha una dotazione di macchine minima, confrontata con quella di
uno studio di registrazione professionale. In realtà le poche
macchine presenti sono più che sufficienti a svolgere il lavoro di
mastering. Inoltre è possibile che si siano investite cifre molto
più grandi per le poche macchine presenti nello studio di mastering,
dato che si tratta di dispositivi costosissimi, spesso artigianali o
costruiti su misura per lo studio, in ogni caso non di strumentazione
facilmente reperibile.
D'altro canto, oltre ai supporti
necessari per leggere il premaster, la strumentazione base è di
solito costituita da un compressore (spesso multibanda), un
limiter, un equalizzatore ed un processore dell'immagine
stereofonica. Un altro motivo per il quale lo studio di mastering ha
un arredamento più essenziale rispetto a quello di registrazione
risiede in ragioni di ordine acustico. In uno studio di mastering
l'ambiente d'ascolto, al pari dei diffusori, è la cosa che
conta di più; l'acustica della stanza deve essere curata al massimo
al fine di permettere un ascolto quanto più lineare possibile. Il
suono, emesso da monitor di estrema qualità, non deve
avere la possibilità di essere riflesso da oggetti presenti nella
stanza, quindi anche l'arredamento sarà minimale e ben studiato. Il
fonico di mastering (ingegnere di mastering per gli anglofoni), al
pari del fonico di registrazione, ma ancora più di questo, deve
avere un'ottima conoscenza tecnica unita ad uno spiccato senso
estetico.
Al fonico di mastering tocca l'ultima
parte tecnico-creativa per la realizzazione dell'album. Il fonico di
mastering non ha le orecchie affaticate dai continui ascolti in fase
di missaggio quindi è più facile individuare al primo ascolto le
possibili pecche all'interno del missaggio. È fondamentale disporre
di tracce ben missate poiché il mastering non è in grado di
stravolgere totalmente gli equilibri all'interno di un brano. Una
volta presa nota di quello che deve essere corretto, il fonico
lavorerà affiancato dal produttore del disco il quale, avendo in
mente il suono definitivo dell'album, supervisionerà le scelte del
fonico per raggiungere il risultato finale.
Di solito le operazioni base del
mastering sono le seguenti:
- Trasferire le tracce audio registrate su una Digital Audio Workstation. Questo è opzionale in quanti molti preferiscono eseguire il mastering analogico dal nastro.
- Mettere in sequenza le tracce interponendo tra esse le pause desiderate.
- A questo punto è possibile eseguire tutta una serie di operazioni sull'audio ove necessario:
- Livellare i volumi
- Editare piccoli difetti
- Ridurre i fruscii di fondo
- Limitare i picchi dinamici delle tracce
- Comprimere la dinamica
- Espandere la dinamica
- Regolare l'ampiezza dell'immagine stereofonica
- Aggiungere un'ambienza
- Effettuare assolvenze ad inizio brano e/o dissolvenze a fine brano
- Uniformare lo spettro delle diverse tracce
- Uniformare la dinamica delle tracce e far sì che sfruttino al massimo tutta la gamma dinamica messa a disposizione del supporto.
Tipicamente la catena di processori nei
quali passa l'audio è così costituita:
Equalizzatore>Riverbero>Compressore>Eccitatore
Armonico>Processore di immagine stereofonica>Limiter>Dither
Ovviamente è possibile tanto invertire
l'ordine dei processori (fatta eccezione per il dither che deve
chiudere la catena) quanto bypassare l'utilizzo di alcuni di questi,
secondo le esigenze. nfine si dovrà t rasferire l'audio nel formato
finale del master effettuando, se necessario, il dithering delle
tracce.Riveste particolare interesse ai fini della bontà del
mastering, la creazione dell'opportuna ambienza, anche per simulare
virtualmente lo spazio dove l'ascoltatore debba immaginare che si
stia eseguendo la riproduzione. A tal fine sono di ausilio i
processori DSP di immagine stereofonica, che elaborando
opportunamente il segnale, riescono, tramite ritardi temporali,
differenziazione di livello e variazioni di fase, a generare una
olografia sonora comunque complessa, e secondo le necessità imposte
dal tecnico del suono, determinando una collocazione spaziale dei
suoni che coinvolge gli spazi anteriori e posteriori oltre che quelli
laterali, dei diffusori stessi.
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