Web radio o
radio on line è il termine che designa emittenti radiofoniche
che trasmettono in forma digitale il proprio palinsesto attraverso
Internet, sulla rete telematica, risultando accessibili con qualsiasi
strumento in grado di accedere in rete.
In alcuni casi si tratta di radio
tradizionali, ricevibili via etere in modulazione di frequenza, che
ampliano il proprio raggio di ascolto ripetendo le trasmissioni in
linea; in altri casi si tratta di emittenti, amatoriali o meno, che
mettono a disposizione i propri programmi esclusivamente per una
fruizione su Internet.
L'audio delle trasmissioni viene
inviato sotto forma di flusso dati audio compresso che viene definito
stream e che deve essere decodificato sul computer ricevente da
un'apposita applicazione, solitamente un lettore multimediale.
Web radio, in senso più ristretto del
termine, sono definite per convenzione tutte le radio che trasmettono
unicamente per il web un programma in streaming (il metodo di
trasmissione di file audiovisivi in tempo reale su Internet). Gli
utenti possono direttamente fruire online dei file senza previo
scaricamento su computer personale. Si simula, pertanto, in tal modo
la trasmissione di programmi radiofonici e televisivi.
Il primo formato audio che ha reso
possibile ciò è stato RealAudio, realizzato da Rob Glaser
nell'aprile del 1995, subito seguito dalla piattaforma Microsoft
Media Services.
Su internet i siti possono essere
aperti e chiusi con estrema facilità e non è perciò possibile
tenere una statistica: il Massachusetts Institute of Technology, nel
2002, calcolò 27 000 web radio stabilmente funzionanti sul web, ma
ora si stima che si siano moltiplicate.
Dall'epoca dell'introduzione delle Web
radio 1995 all'epoca attuale il quadro legale è molto mutato. Da un
lato c'è stata la focalizzazione delle tematiche dei diritti
d'autore, specialmente in campo musicale, vedi Napster ma
correlativamente anche il copyleft, dall'altro l'introduzione degli
MP3 e l'enorme sviluppo di Internet.
Solitamente il carattere di massima
economicità nella realizzazione di una web radio può permettere, a
chi la pensa e la realizza, di fornire una programmazione altamente
specializzata per un pubblico di estrema nicchia. L'esempio italiano
è Musicazione, radio on-line interamente dedicata alla musica
alternativa ed al Rock Identitario, nata nel 1998 su ispirazione di
una web radio scandinava dedicata al Viking Rock, la quale
trasmetteva esclusivamente canzoni in svedese e che contava già nel
1997 ben oltre 50 000 visite. Per spiegare un fenomeno del genere
occorre accettare il fenomeno che caratterizza la rete internet: la
glocalizzazione (crasi di globalizzazione e di locale).
La trasmissione radiofonica via
Internet è il modo più semplice per diffondere un proprio
programma: bastano pochi clic per ascoltare una radio sul web, ma
soprattutto ne bastano pochissimi per crearne una propria. La radio
via Web ha notevoli vantaggi: arriva in ogni angolo del mondo con una
spesa irrisoria, è semplice da realizzare e gestire. Secondo un
recente studio americano dal 2000 ad oggi il numero degli ascoltatori
via Internet è cresciuto di oltre il 240%, ma la crescita è
destinata ad aumentare in maniera esponenziale.
Per glocalizzazione si intende l'unione
di globale e locale: è un termine figlio della net-economy usato
nell'e-business per descrivere la capacità delle aziende che
competono su internet di restare fortemente radicate nella realtà
locale, pur essendo capaci di affrontare con successo il mercato
globale. Una delle caratteristiche delle comunità virtuali del web è
quello di essere globali, ovvero essere lontane geograficamente ma
vicine come luogo di interessi, il tutto rapportato ad una web radio
si traduce in una globalizzazione del luogo di fruibilità della
radio (ovvero un computer connesso al web in una qualunque parte
dell'Italia o del mondo) e una forte localizzazione dell'ascoltatore.
Tecnicamente, la musica viene trasmessa da un server (paragonabile in
questo caso ad un ripetitore terrestre), con possibilità di
trasmissioni dal vivo o in differita.
La web radio americana, Live365 (per
esempio), ha rappresentato l'estremizzazione di tale concetto
fornendo a chiunque la possibilità di trasmettere, con una propria
stazione individuale. Anche se per paradosso, il titolare della radio
ne è anche l'unico utente.
Molto probabilmente per questo motivo,
nel 2001, i discografici americani, rappresentati dal RIAA
(l'equivalente americana dell'italiana S.C.F.), che da tempo
perseguivano il file sharing o meglio, il sistema di scambio-file
come ad esempio Napster, imposero a tutte le web-radio il pagamento
di royalties per la musica da loro trasmessa. Il RIAA, nella sua
nuova crociata, poteva contare sull'appoggio dell'Ufficio americano
del copyright che emise un parere formale secondo cui le emittenti
web non sono esenti dal pagamento dei diritti d'autore quando
trasmettono musica via Internet.
Altri preziosi alleati per la RIAA, in
questa battaglia, furono le net-company che aspettavano di poter far
decollare i propri business su Internet non appena fosse cessata la
distribuzione o lo scambio di musica on-line, che ancora oggi avviene
in modo per lo più illegale o incontrollato. Ovvio che per le Web
Radio americane dell'epoca si trattò di un duro colpo, ma la storia
certamente non si fermò in quel quasi lontano 2001, anzi, quasi come
le nostre emittenti libere degli anni settanta, anche negli Stati
Uniti si assistette ad un dimezzamento delle emittenti. In ogni caso,
nel 2003, a Londra, venne stipulato un nuovo accordo che prevedeva
una licenza unica per poter trasmettere musica in streaming.
L'accordo, si pensava, ponesse fine ad anni di incertezze riguardo
allo status giuridico delle radio internet e avrebbe dovuto rendere
più trasparenti i rapporti tra queste ultime e i detentori dei
diritti di proprietà intellettuale.
Fino al 2005, le web radio pagavano
all'associazione una somma per ogni canzone trasmessa oppure un
forfait in base ai brani trasmessi finora moltiplicato per il numero
di utenti. Le radio prive di pubblicità e che trasmettevano senza
scopo di lucro, pagavano tra i 500 e i 2 500 dollari all'anno.
Con la riforma del 2007, tutti gli
operatori dovranno pagare per ogni canzone in base al numero di
utenti che la scaricano in streaming, da un minimo di 0,0008 dollari
nel 2007 ad un massimo di 0,0019 dollari nel 2010 per ogni
scaricamento di canzone/utente.
La decisione alza molto i costi del
copyright e penalizza in primo luogo le emittenti prive di
pubblicità, che fornivano un servizio migliore e senza interruzioni,
paragonandole alle radio commerciali.
I discografici, che vollero l'accordo
con RIAA, hanno sottolineato come le attività di web casting
rappresentino un settore economico emergente che contribuisca allo
sviluppo del business sul nuovo medium. «Questa - dichiarava a
proposito della licenza unica Jay Berman, presidente e amministratore
delegato dell'associazione internazionale del settore IFPI – è
un'altra pietra miliare nello sviluppo dei servizi di musica su
internet. Nel passato, ottenere licenze per la trasmissione
multiterritoriale su Internet, per esempio in Europa, era difficile e
richiedeva molto tempo. Era inoltre importante, per le società di
collecting nazionali, strutturare un sistema che rimuovesse questi
ostacoli».
Tutto questo, naturalmente,
entusiasmava i discografici da lungo tempo a caccia di nuovi modelli
di business che potessero rivelarsi vincenti nell'era digitale,
un'era che ha fin qui visto crescere in modo straordinario la
condivisione, senza controllo, di musica e altri contenuti tra
milioni di utenti internet e, solo negli ultimi tempi, un mercato
legale dello scaricamento e dello streaming. Da questo si può
iniziare a intuire e perché no, anche sospettare, che la licenza
unica sia stata voluta anche per trovare rimedio allo scaricamento
illegale da parte di utenti sconosciuti nei confronti dei
discografici e di conseguenza la web radio è stata presa di mira
come buon mezzo per rimediare a danni causati da terzi, e non certo
dagli editori del web la cui unica colpa è stata quella di avere una
passione infinita per il mezzo di comunicazione «radio» e le nuove
tecnologie.
Per creare una web radio basta avere a
disposizione un buon computer, una normale scheda audio, qualche
centinaio di file MP3, scaricare e installare il poco software
necessario gratuitamente reperibile, dotarsi di un microfono e una
cuffietta. Il tutto in pochissimo tempo e praticamente senza nessuna
spesa. Per le radio già affermate, ovviamente, l'on-line rappresenta
un buon canale per la diffusione dei programmi da affiancare
all'etere.
Uno dei sistemi di diffusione dello
streaming più diffusi ed economici è SHOUTcast.
A prima vista i due mezzi si presentano
con delle caratteristiche per certi versi antitetiche. La differenza
fondamentale riguarda in primo luogo il grado di copertura
dell'utenza, cioè il numero di utilizzatori e fruitori,
indubbiamente (almeno in questa fase) molto maggiore per la radio
tradizionale. Ma questo, fortunatamente, vale solo su scala
geograficamente limitata. Estendendo il discorso su scala planetaria,
la presenza in rete assicura un allargamento della possibile fascia
d'utenza che, teoricamente, si estende a tutto il mondo connesso.
Così, un programma radiofonico in lingua italiana, grazie ad
Internet, può facilmente riuscire a superare i limiti geografici ed
essere ascoltato (con i soliti limiti della comprensione della
lingua) da utenti sparsi praticamente in tutto il mondo.
Mentre i media generalisti, come radio
e televisione, non possono individualizzare i contenuti, le nuove
tecnologie della comunicazione, come Internet, consentono la
costruzione di palinsesti a misura di utente e soprattutto campagne
pubblicitarie selezionate e ben definite per lanci di prodotti mirati
a target ben specifici.
Le web radio appaiono in Italia nel
1997. La richiesta di un riconoscimento legale è stata respinta a
lungo. In virtù dell'Accordo di Londra del 2003 anche le web radio
italiane possono trasmettere musica coperta da diritto d'autore, con
la tecnologia streaming. Il ministero delle Comunicazioni non
riconosce ufficialmente l'esistenza delle web radio, preferendo
attendere una normativa europea che disciplini la materia. Da
rilevamenti effettuati nel 2013 risulta che in Italia vi siano oltre
200 emittenti attive, con un pubblico variante tra gli 8 000 e i 150
000 ascoltatori (ad esclusione delle web radio delle emittenti più
conosciute in FM).
La
Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) regolamenta le web
radio che intendano utilizzare opere da essa tutelate, tramite la
stipula di un contratto chiamato in gergo «modulo AWR». Tale modulo
suddivide le web radio in amatoriali, istituzionali e commerciali,
imponendo alle prime e alle seconde di non avere pubblicità di
nessun tipo, dove per nessun tipo si intende né remunerativa, né
gratuita, né nel flusso audio, né sul sito che ospita la web radio.
I vincoli imposti dalla SIAE, a prescindere dalla filosofia che muove
i broadcaster, sono considerati pesanti da quasi la totalità di
questi ultimi. La SIAE prevede, poi, speciali forme di abbonamento
per gli esercizi commerciali che diffondono musica di sottofondo
La Società Consortile Fonografici, che
riunisce le case discografiche, regolamenta le web radio in modo
sostanzialmente simile alla SIAE. È recente la modifica al contratto
per le web radio amatoriali, che annulla il vincolo di massima banda
passante.
Nel novembre 2016 la guardia di finanza
ha segnalato alla magistratura che una nota web radio, diffusa in
oltre 300 esercizi commerciali, non avrebbe rispettato la legge sul
diritto d'autore.
In questo quadro confuso dal punto di
vista legislativo e nello stesso tempo di rapida evoluzione tecnica
le Web radio hanno trovato un momento unificante in forme
associazionistiche. Oltre alla specifica e già menzionata W.R.A, che
conta tra le proprie iscritte circa 100 emittenti, l'Associazione
Aeranti Corallo evidenzia che tra i propri iscritti vi sono 10 realtà
di radiotelevisione via internet. Inoltre l'Associazione RadUni,
(associazione radiofonici universitari italiani), che raggruppa soci
fra più di 20 web radio italiane. A livello internazionale, su
spinta soprattutto dei Paesi francofoni si è dato vita alla European
Thematic Channels Association (ETCA).
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