20 - Tutti i membri dei Queen sono laureati. Difatti, i quattro non erano sicuri che la loro carriera musicale andasse a buon fine, così decisero di concludere i loro corsi di laurea e avere una rete di salvataggio in caso di fallimento del "progetto Queen"; precisamente, i componenti della band Inglese avevano conseguito una laurea in: Astronomia (Brian May), Biologia (Roger Taylor), Elettronica (John Deacon) e Fashion Design (Freddie Mercury).
19 - Il vero nome del cantante dei Queen era Farrokh Bulsara. Il cantante, difatti, era naturalizzato Inglese poichè trasferitosi giovanissimo a Londra a causa della Rivoluzione di Zanzibar, ma in verità è di origine Africane (essendo nato proprio a Zanzibar). Il suo nome d'arte era una combinazione di nomi: scelse Freddie poichè da piccolo veniva sempre chiamato così dai suoi amici e Mercury in onore del Dio Mercurio, il messaggero del pantheon degli dei Greci.
18 - Nel 1998 venne realizzato un videogioco sulla band intitolato: Queen: The eYe, la cui trama è molto simile a quella del musical We Wil Rock You. Al contrario delle loro produzioni musicali, di indiscutibile e pregevole fattura, il gioco fu prodotto con tecniche di scarto dell'epoca.
17 - Il logo dei Queen (quello usato come immagine d'apertura) è stato realizzato da Freddie Mercury, il quale è formato dei quattro segni zodiacali dei membri del gruppo.
16 - Tutti i membri dei Queen hanno inciso dei dischi da solista...tutti, ad eccezione del bassista John Deacon. La sua unica produzione esterna risale al 1986, quando compose con Robert Ahwai il brano No Turning Back per la colonna sonora del film Biggles e che suonò con il gruppo The Immortal (band in cui suonava il basso).
La sua carriera solista si concluse qui perché la band si sciolse poco dopo: alla faccia degli "Immortal".
15 - Sempre a proposito di Deacon, il bassista fu l'unico a non continuare la sua carriera musicale come fecero poi Brian May e Roger Taylor. Dopo la morte di Freddie e il mega concerto di tributo in cui parteciparono più gruppi e artisti (il Freddie Mercury Tribute del 1992), John si ritirò a vita privata e fece partire una piccola impresa.
14 - Quando fu rilasciata la canzone The Show Must Go On, si è inizialmente pensato che questo brano fosse un testamento di Freddie Mercury e che parlasse del suo stato d'animo prima di morire. Invece è una poesia triste e struggente nata dalla penna di Brian May, il quale attraverso il brano, decise di raccontare ed esorcizzare i ricordi del periodo in cui soffrì di una grave depressione che lo portò anche a pensare diverse volte al suicidio.
Nelle prime versioni demo della canzone diverse tonalità vocali sono in falsetto, perché troppo alte. Per questi motivi, inizialmente May nutriva alcuni dubbi sul fatto che Mercury potesse cantarla, a causa dell'AIDS. Con sorpresa dello stesso May, quando venne il momento di registrare le parti vocali, Mercury disse: "Cazzo se lo farò!", e interpretò il brano senza problemi (il tutto dopo aver bevuto un bicchiere di Vodka).
13 - Nel 1979, Rob Halford (cantante dei Judas Priest) che durante i concerti era solito entrare sul palco in sella ad una rombante Harley Davidson in tenuta da biker, vedendo Freddie Mercury riproporre quella situazione nel video Crazy Little Thing Called Love, si sentì "tirato in causa" e a mezzo stampa sfidò Freddie ad una corsa motociclistica sul circuito di Brands Hatch.
Freddie Mercury rispose che avrebbe accettato solo se Rob Halford si fosse esibito con il Royal Ballet (con il quale Freddie era solito esibirsi). La cosa però fu lasciata cadere e alla fine non se ne fece più nulla. Questo fatto non fece diminuire la stima fra i due artisti, visto che non assunse mai un tono sgradevole.
12 - La canzone Bicycle Race è ispirata al Tour De France e, per la realizzazione del video, vennero ingaggiate 50 ragazze per guidare delle biciclette in totale nudità.
Le biciclette furono prestate da uno sponsor, che però non rivolle indietro le selle.
11 - Freddie Mercury era un grande amante dei gatti e, in casa sua, ne possedeva ben dieci. Chiamò il suo preferito Mr. Bad Guy e gli dedicò pure una canzone, che fu (inoltre) il titolo omonimo del suo primo album solista.
Inserì pure una dedica che recitava: "To my cat Jerry — also Tom, Oscar, and Tiffany, and all the cat lovers across the universe — screw everybody else".
10 - Molti criticano la band perché, dopo la morte di Mercury e l'abbandono di Deacon, May e Taylor continuarono a suonare ed utilizzare il nome Queen. In verità, le cose non stanno proprio così. Se si fa attenzione, dopo il concerto di tributo del 1992, i restanti componenti della band inglese si esibirono si con il nome storico, ma accompagnato dal simbolo matematico "+" che sottolineava la collaborazione esterna con un musicista. Vedi il progetto Queen + Paul Rodgers, Queen + Adam Lambert e molti altri.
9 - La chitarra che Brian May suona usualmente è stata costruita artigianalmente da May stesso e suo padre; dato che tutte le chitarre più belle e appetibili erano economicamente al di fuori della portata della sua famiglia, il giovane Brian e il padre (un ingegnere appassionato di modellismo) ne costruirono una in casa con componenti di fortuna ricavati da legno di quercia e da parti dell'architrave di un caminetto in mogano per il corpo. Solo i pick-up furono acquistati in negozio, e successivamente modificati dal padre di Brian. Il suono della chitarra non soddisfaceva comunque l'intraprendente chitarrista, che fu completamente soddisfatto solo quando decise di usare come plettro, dopo innumerevoli prove, il lato zigrinato di una monetina da 6 pence. La Red Special, come fu battezzato lo strumento, risultò di fattura così pregevole che anche dopo aver raggiunto il successo May si rifiutò di usare, se non in rare occasioni, altre chitarre.


8 - I quattro membri della band sono stati ammessi nella Songwriters Hall of Fame, sia come gruppo, sia come solisti.
7 - Roger Taylor dei Queen è omonimo di quello dei Duran Duran: anch'egli batterista, e anch'egli Roger Taylor. L'unica differenza è che, quando dici "Roger Taylor", mica ti viene in mente quello dei Duran Duran.
6 - Nel 2009 i Muppets hanno registrato una versione "leggermente" rivisitata di Bohemian Rhapsody. Il video è stato pubblicato su internet il 25 Novembre, il giorno dopo il 18º anniversario della morte di Freddie Mercury.
5 - A proposito di re-interpretazioni, i Queen (assieme ai Beatles) sono il gruppo che è stato più soggetto a traduzioni in Italiano delle loro canzoni. Tra quelle più famose abbiamo: Somebody To Love (Un Uomo Per Me di Mia Martini), e Who Wants To Live Forever (Chi Mai Vivrà Per Sempre di Matteo Becucci) quest'ultima coverata pure da Giorgia.
4 - Vi siete mai chiesti perché i Queen si chiamano così? Idea di Freddie Mercury. Il loro nome equivale all'appellativo inglese per Regina, giocando sul doppio significato del termine, usato sia per indicare la Regina Madre, sia per indicare nel gergo inglese le prostitute...ma anche la parte passiva di un rapporto omosessuale.
3 - La collaborazione con David Bowie per il brano Under Pressure non fu intenzionale. E allora come successe? Per caso? Beh, si.
Bowie si trovò casualmente negli stessi studios dove la band stava registrando la canzone, il cantante si fermò a sentirla, da cosa nasce cosa e il resto è storia.
2 - Se oggi noi tutti possiamo godere del brano Another One Bites The Dust, lo dobbiamo a Michael Jackson.
La band aveva la canzone già pronta, ma non si sentiva ancora di usarla perché non era sicura che sarebbe piaciuta al pubblico. Così, ritrovatosi con il Re del Pop in un backstage di uno stadio di Los Angeles, Jackson si mise a parlare con i Queen dei reciproci progetti futuri e saltò fuori che il gruppo aveva in ballo questa canzone che non sapeva se pubblicare o meno. Quando Michael Jackson la sentì, consigliò caldamente la pubblicazione. Anche qui, il resto è storia.
1 - Forse molti di voi se lo sono chiesti, ergo, è il caso di rispondere. Oggi i Queen sono una band acclamata e che ha ispirato (e tutt'ora ispira) centinaia di migliaia di band e artisti (tra cui il sottoscritto, nelle sue limitate capacità, altrimenti mica avrebbe scritto questo post)...ma, quando ancora era sconosciuta, chi ha ispirato i Queen a loro volta? Beh, furono i Led Zeppelin. La band di Jimmy Page & Soci ispirò una delle più grandi band della storia perché Brian May ne era un fan sfegatato e il loro genere, nonché modo di suonare e comporre, era vicinissimo alla loro idea di musica; l'unica differenza che apportarono, oltre alle multitracce e alla presenza costante del pianoforte, fu nei vestiti, che si trasformarono in pittoreschi costumi di scena.





Ehm….no.
Per rispondere a questa domanda, sono andata a regalare un paio di visualizzazioni al Fedez. Premetto che questa è solo la mia opinione, ma comunque volevo essere sicura prima di esporla.
Allora, partiamo dal presupposto che il Fedez dei primi anni (2011) è quasi completamente diverso dal Fedez di adesso.
Inoltre, bisogna fare una distinzione fra pop e rap. Poiché se parliamo strettamente di rap, non ci siamo neanche lontanamente.
Le rime sono estremamente semplici, schema ab ripetuto all’infinito, altrimenti schema abab o aabb quando è in vena di sforzo. Il flow non è malissimo, ma il flow serve a ben poco se quello che dici non ha senso. La voce, a mio parere, del tutto mediocre.
Ciò nonostante, io qualche canzone la ascoltavo quando ancora era uno di noi, quando ancora non aveva quell'obbrobrio di tatuaggio sul collo. Ma non l'ho mai considerato "davvero bravo". Però, agli inizi, almeno trasmetteva dei messaggi, quello che scriveva si percepiva come vero; rifletteva il pensiero e lo sconforto di un'Italia sull'orlo del tramonto. E questo lo apprezzavo, nonostante comunque non lo trovassi in ogni caso eccezionale, solo diverso, una buona ventata d'aria fresca.
Sto parlando di canzoni ironiche come "Tutto il contrario" o con temi sociali, ad esempio "Anthem".
Poi non so bene cosa sia successo, ma ci siamo ritrovati con "21 grammi". E quindi con testi che, oltre ad essere semplici in termini di scrittura, a me personalmente non esprimono assolutamente nulla e, a differenza delle sue prime canzoni, non mi fanno ragionare nemmeno su nulla. Spesso, mi sembrano parole con suoni simili messe una vicina all'altra abbastanza a caso. Con melodie decisamente più pop rispetto a prima e temi più popolari. Insomma, ha cambiato strategia, dalla qualità, è passato alla quantità. E a quanto pare funziona alla grande per lui e per il suo conto in banca, suppongo.
In conclusione, ai miei occhi non è mai stato un grande artista, però in qualche modo è riuscito a diventare un gran venduto. Congratufuckinglations!



Tutti conoscono quest'uomo:


Famoso con i nomi di Slim Shady, Eminem e Marshall Mathers. Lo conosciamo per alcuni dei suoi testi folli, con rime da maniaco e borderline, con dettagli raccapriccianti su un'ipotetica uccisione di sua moglie, violentare sua madre e soffocare le donne.
"Slut, you think I won't choke no whore
"Troia, pensi che non voglia soffocare nessuna puttana
'Til the vocal cords don't work in her throat no more? (Ahh)
Finchè non gli funzionino più le corde vocali nella gola?!
These motherfuckers are thinkin' I'm playin'
Questi figli di puttana pensano che stia giocando
Thinkin' I'm sayin' the shit 'cause I'm thinkin' it just to be sayin' it (Ahh)"
Pensano che io stia dicendo roba perchè la penso solo per dirla"
Molte persone lo conoscono per la persona che interpreta nella sua musica. Il ragazzo bianco arrabbiato che è in missione per rovinare la giornata a tutti i suoi nemici. Vuole distruggerli, metterli tutti in fila e abbatterli. Ma pochi capiscono davvero che è una messa in scena...
Molti conoscono la sua unica figlia, Hailie Mathers, ma pochissime persone sanno che ha altri tre figli adottivi:
  • La sua seconda figlia, Whitney, è la figlia della sua ex moglie di un altro uomo.
  • La sua terza figlia, Alaina, è la figlia della sorella gemella della sua ex moglie.
  • Il suo quarto figlio, Nathan, è in realtà il fratellastro più giovane di cui ha la custodia legale.
Quindi ecco un pagliaccio inquietante (apparentemente) che canta nello stereo di droghe, omicidi e abusi, mentre dietro le quinte è solo un ragazzo che cerca di amare i suoi figli e di fare del bene.
Alcuni dicono che non aveva davvero bisogno della messa in scena. Potrei essere d'accordo con ciò, ma, tuttavia, non sono cresciuto nella capitale del crimine del mondo (secondo alcune stime, uno o più omicidi al giorno), e non sono passato dal vivere in una roulotte, o essere senzatetto, a valere centinaia di milioni di dollari. La cultura con cui è cresciuto e l'ambiente in cui si è formato lo hanno plasmato in modo diverso rispetto alla maggior parte di noi.
Direi per ogni essere umano con questo passato, che sta cercando di correggere i mali e di vivere una vita degna (o almeno ci sta provando), è un uomo da ammirare e a cui ispirarsi.



MANAGEMENT: segue l’artista a 360 gradi. Credo che sia un lavoro di profondo impegno legato soprattutto, alla sfera personale, oltre lavorativo. Parlando con un grande management nonché anche produttore, che ho davvero nel cuore chiedendogli delle varie esperienze mi diceva quanto è bello lavorare con una persona che stimi, ti trovi e con la quale poi si crea un rapporto comunque personale forte, di fiducia, soprattutto essendo basato su ciò. Mi spiegava come avesse lasciato grandi artisti (nomi importantissimi, i migliori italiani, credetemi) perché a detta sua ad un certo punto non si trovavano più sulla stessa linea di pensiero andando ad influenzare anche il lavoro.

Tiziano Ferro e il suo manager Fabrizio Giannini

COSA FA❓Pensa all’immagine: dai Social, quella sulla stampa alla televisione e per tutelare al meglio l’artista bisogna conoscere se quel giornalista va bene, se l’artista è pront* ad un confronto del genere. Organizza spostamenti, al disco, il suono, l’organizzazione di un repertorio (motivo per la quali i più bravi sono anche discografici), si occupa delle trattative tra l’artista e il mondo.

BOOKING: si occupano dei live dell’artista, facendo da mediatore con quest’ultimo e il direttore artistico o il luogo del concerto. Quindi sceglie quale proposte scartare, fare trattative sul pagamento e che tutti siano contenti, accertarsi che tutte le leggi e richieste siano rispettate. Come per esempio non duplicare il prezzo del biglietto concordato. Prendendosi poi una percentuale, di solito è il 10-15%. In più c'è Tour Book…
Management e Booking, esistono poche aziende in Italia che fanno entrambi: OTR, BMU music, Emme, European Music ecc.

Francesco Barbaro alla sinistra, a seguire Max Gazzè e Daniele Silvestri.

Anche se è un vero stress gestire entrambe le cose, quando incontrai Francesco Barbaro, non il mafioso ma bensì il fondatore di OTR un’agenzia romana che scoprì nomi come Max Gazzé, Carmen Consoli, Levante, Daniele Silvestri, Luca Barbarossa ecc. Rimasi prima di tutto affascinata ed ero lì a chiedermi se fosse possibile, lui e le agenzie citate lo fanno. Ma se sei uno solo: devi scegliere tra le due cose. Poi è diverso se apri un’agenzia e sviluppi anche il settore che ti manca. Ma ciò puoi permettertelo dopo anni di carriera, delegando anche le persone giuste, come attualmente vantano loro: sezione management e di Booking: OTRlive, OTRjazz&classic e OTRnext.


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Facendo.
Diffida di chi afferma di avere qualifiche di project management, a meno che non abbia meno di 30 anni (nel qual caso potrebbe essere qualificato ma é certamente inesperto): il project management é stato standardizzato solo nel 2012.
Fino al 2015–2016 semplicemente non esistevano offerte formative per la 21500:2012. Eppure i project manager sono sempre esistiti. Ridevamo di questa buffa constatazione un paio d'anni fa, con uno dei project manager di una delle maggiori aziende italiane. Un geometra che amministrava grandi progetti sui quali poi metteva la firma l'ingegnere capo.
Perché é così che é sempre funzionato il project management: il project designer si attribuisce anche il management, anche se de facto il suo progetto é sviluppato e diretto da altri. É un mondo crudele. Mannaggia.
Io sono diventato project manager una decina scarsa di anni fa. Facevo tutt'altro: la mia qualifica é di esperto in cooperazione finanziaria internazionale. La mia esperienza é nel patronage di contratti transnazionali ed internazionali, in particolare in partenariato pubblico privato. Il mio lavoro consisteva principalmente negoziare contratti per la realizzazione di progetti, non certo quello di amministrarli o svilupparli. E cercare di risolvere problemi quando questi inevitabilmente si verificano.
Insomma nella celebre scena di Pulp Fiction dove Vincent Vega ed il suo compagno incasinano tutto, io sono Mr. wolf. Ma guardate la scena…
Ora immaginatevi di arrivare alla porta nel ruolo di Harvey Keitel e scoprire che il padrone di casa (Q. Tarantino) é non vedente e bloccato su una sedia a rotelle e che John Travolta e Samuel Jackson non ci siano. Chi pulirà la macchina? Chi sposterà entrambe le vetture? Chi penserà a lenzuola ed asciugamani e chi farà il caffè? "Ma che cazzo!" direbbe una persona di buone maniere.
Ecco cosa vuol dire diventare project manager: non mi hanno gettato in acqua dicendomi di nuotare. Mi hanno lanciato da una rupe dicendomi di muovere le braccia e volare. E ovviamente se continuo a farlo é perché ce la feci: 80% culo, 15% talento e 5% infarinata di nozioni base. Ecco cosa vuol dire diventare project manager.
E la gente mi voleva. Io lo spiegavo che era stata ampiamente fortuna, ma era anche peggio: "ragazzi! Questo porta fortuna!" La gente é matta.
Lo esponevo sempre: "presidente, mi perdoni, io non sono un project manager" facevano orecchie da mercante e mi mettevano il dossier in mano. Lo ribadivo: "Ciccio, io no project manager! Niet! Nein! Iie! No!" Annuivano e di dossier me ne mollavano due. E soldi, che sono come un mazzo di rose rosse per una fanciulla… non ci fai nulla, ma ti lusingano e alla fine che devi fare? Gliela dai e amen. Si, sono uno zoccolo.
Comunque gira che ti rigira, sono stato costretto a studiare, sperimentare, sbagliare e imparare. Per cui se vuoi diventare project manager…



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La domanda ha una risposta complessa a seconda che la si consideri dal punto di vista della produzione cinematografica italiana oppure statunitense. Le regole sono diverse come sono diversi gli organismi che sovraintendono alla correttezza dell’uso di tali definizioni (Ministero Beni Culturali e Turismo - MiBACT, in Italia, Producers Guild of America - PGA, negli Stati Uniti).
Premetto pertanto che la risposta sarà lunga, ma preferisco fare chiarezza in tanti fraintendimenti che spesso circolano nel settore.
Alcuni titoli infatti (produttore esecutivo, produttore associato, ecc.) assumono significati diversi a seconda dell’ambito in cui vengono utilizzati.

In Italia:
In Italia, il produttore di un film ai sensi dell’art. 45 della L. 22 aprile 1941 n. 633 (Legge sul Diritto d’Autore) è colui che “ha organizzato la produzione stessa”. Si presume produttore chi sia indicato nei titoli della pellicola cinematografica o che sia registrato come tale al Pubblico Registro Cinematografico, il registro in cui vengono registrati tutti i film di produzione ufficiale italiana (la cui produzione sia stata comunicata al Ministero del Beni Culturali e del Turismo attraverso la c.d. “Denuncia di Inizio Lavorazione”, in gergo “D.I.L.”).
Organizzare la produzione” significa che il produttore debba:
  • occuparsi dell’acquisizione dei diritti d’autore appartenenti ai quattro autori dell’opera cinematografica (ai sensi dell’art. 44 della Legge sul Diritto d’Autore), ovvero autore/i del soggetto, autore/i della sceneggiatura, autore/i della regia (regista/i) e compositore/i della colonna sonora;
  • occuparsi del finanziamento del film, vale a dire:
    • determinare il budget (costo del film);
    • determinare il piano finanziario, ovvero identificando le fonti di finanziamento (risorse proprie, investitori, finanziamenti bancari, crediti d’imposta, contributi regionali, prevendite di diritti cinematografici all’estero ed in Italia, ecc.);
    • determinare il cash-flow, della produzione, ovvero come e quando le singole voci di finanziamento entreranno in cassa e come e quando verranno spese;
  • occuparsi della produzione del film: contrattualizzando il produttore esecutivo (v. oltre), il regista (per la sua prestazione, ulteriore rispetto all’acquisto diritti di cui sopra), il direttore della fotografia, il compositore delle musiche (come sopra per il regista), il capo costumista, il capo scenografo, gli attori principali, i capi reparto, prendendo accordi per l’accesso a determinate locations, ecc. In una parte di questa attività il produttore è coadiuvato dal produttore esecutivo (v. oltre);
  • occuparsi della distribuzione del film, quantomeno nella parte iniziale, consistente nell’identificare il distributore nazionale (che si occuperà poi della distribuzione del film in sala e della negoziazione con gli esercenti delle sale cinematografiche) e negoziare il relativo contratto di distribuzione, e negoziare i diritti del film per l’estero (direttamente con acquirenti stranieri o affidandosi a un agente di vendita o sales agent);
Al produttore spetta l’esercizio dei diritti di utilizzazione economica del film, vale a dire lo sfruttamento cinematografico dell'opera prodotta (art. 46 Legge sul Diritto d’Autore).
Il produttore può produrre il film da solo oppure insieme ad altri produttori che possono partecipare sia al solo finanziamento del film, sia coadiuvare il produttore nelle sue attività. In tal caso di parla di produttori associati o co-produttori. Solitamente questo ultimo termine viene utilizzato nel caso di co-produzioni internazionali, ove due o più produttori appartengono a nazioni diverse. Trattati internazionali (trattati bilaterali sulle co-produzioni) o convenzioni (es: Convenzione Europea sulle Coproduzioni - Strasburgo 1992) consentono alle co-produzioni di ottenere particolari vantaggi finanziari (contributi da fondi nazionali e internazionali per le co-produzioni, fondi MEDIA, Eurimages, ecc.). Quando più co-produttori devono produrre insieme un film, nominano fra loro un produttore delegato, ovvero colui che fra i co-produttori porterà avanti effettivamente la produzione, incaricando un produttore esecutivo.
L’attività effettiva di produzione viene infatti solitamente affidata a un produttore esecutivo. Il produttore esecutivo segue (esegue, da qui il termine “esecutivo”) le indicazioni del produttore ed è specializzato nel gestire le riprese vere e proprie del film, contrattualizzare gli attori minori, le maestranze, i fornitori, ecc. A volte lo stesso produttore svolge anche il ruolo di produttore esecutivo, tuttavia, nelle produzioni più importanti, i due ruoli sono distinti.

Negli Stati Uniti:
La figura del producer anglosassone ricalca, più o meno, quella del produttore di stampo italiano, con la differenza che mentre in una società di produzione italiana vi è solitamente un produttore, nelle società di produzione anglosassoni (più grandi e strutturate) possono esserci più produttori, ciascuno responsabile di uno specifico progetto produttivo.
Inoltre, acquisiscono il titolo di producer (e la menzione “produced by”) anche quelli che in Italia vengono chiamati produttore associato e co-produttore (sono in effetti produttori di pari grado del producer).
Il produttore esecutivo italiano è invece - nella prassi e nel linguaggio anglosassone - definito come line producer, ovvero “produttore di [prima] linea”, nel senso che - con una terminologia quasi militare - il suo lavoro consiste, seguendo (eseguendo) le indicazioni del produttore, nell’occuparsi della prima linea di fuoco, della trincea, svolgendo dunque il ruolo del produttore esecutivo (italiano).
Viceversa, l’executive producer NON È un produttore esecutivo. L’ambiguità della traduzione è determinato da ciò che in linguistica viene definito un caso di “falsi amici” o “false friends”: termini che suonano nello stesso modo ma hanno significati diversi in due lingue diverse (si pensi al significato di “bravo” in italiano, diverso dal significato nella lingua spagnola, ove significa “selvaggio”).
Mentre infatti in italiano “esecutivo” ha il significato di “che ha la facoltà di eseguire (…) che attende all’esecuzione, che si limita ad eseguire” (Diz. Treccani), in inglese il termine ha un significato più ampio ed elevato di “a person with senior managerial responsibility in a business organization” (“una persona che ha responsabilità di gestione superiore in una struttura aziendale”). Per questo motivo, nel mondo anglosassone, l’Executive Vice President è superiore al Vice President, ecc.
L’executive producer (in breve: EP) è solitamente un soggetto diverso dal producer e si occupa di affiancare il producer occupandosi alcuni specifici aspetti della produzione: reperire, ottimizzare, strutturare i finanziamenti e/o la struttura legale della produzione (EP in charge of financing, EP in charge of legal) oppure alcuni aspetti creativi come il reperimento dei diritti o la gestione del talent pool (regista, attori, ecc.) tramite, solitamente, una grande attività di relazione (EP in charge of creative, anche definito come creative producer).
Alcune volte, il titolo viene dato a chi sia stato in qualche modo “determinante” per il film: ad es. a chi abbia assicurato l’acquisto dei diritti necessari a produrre il film (si pensi alle grandi “franchise” come Star Wars, James Bond, Harry Potter, ecc.), oppure a chi abbia fornito una parte rilevante del finanziamento (si pensi ai gestori di fondi, ecc.).
Secondo le regole della PGA (Producer’s Guild of America, il sindacato dei produttori), può essere infatti definito “executive producer” colui che:
“has made a significant contribution to the motion picture and who additionally qualifies under one of two categories:
  • Having secured an essential and proportionally significant part (no less than 25%) of the financing for the motion picture; and/or
  • Having made a significant contribution to the development of the literary property, typically including the securement of the underlying rights to the material on which the motion picture is based.
(“ha fornito un contributo significativo alla produzione del film e ulteriormente si qualifica in base ad una delle seguenti categorie:
  • ha assicurato alla produzione una parte essenziale e significativa (non inferiore al 25%) del finanziamento del film, oppure
  • ha fornito un contributo significativo allo sviluppo della proprietà letteraria, tipicamente assicurandosi i diritti [letterari o di altro tipo] sui quali il film si fonda.”)
In Italia non vi è alcuna figura che corrisponda all’executive producer, il che spesso crea problemi non solo nella traduzione dei titoli ma anche nell’attribuzione dei ruoli ufficiali in caso di co-produzioni internazionali (spesso viene erroneamente tradotto come produttore esecutivo o, viceversa, il produttore esecutivo viene tradotto come executive producer nei titoli inglesi).
A fianco del producer possono anche essere riconosciute altre posizioni, quale quella dell’associate producer (diverso dal produttore associato italiano che per gli anglosassoni è un producer).
Il titolo di associate producer è (PGA Code of Credits) concesso “solely on the decision of the individual receiving the Produced By credit, and is to be granted sparingly and only for those individuals who are delegated significant production functions.”
(“solo per decisione del soggetto che abbia ricevuto un credito di “prodotto da” e deve essere usato con parsimonia e solo a quei soggetti ai quali siano state delegate importanti funzioni di produzione”), mentre il titolo di co-producer, che nel sistema anglosassone spesso si identifica con il line producer, viene dato a “the individual who reports directly to the individual(s) receiving "Produced By" credit on the theatrical motion picture” (“il soggetto che riporti direttamente al soggetto che abbia ricevuto un credito di “prodotto da” nel film”, cioè il producer) e dunque co-producer è (PGA Code of Credits) “the single individual who has the primary responsibility for the logistics of the production, from pre-production through completion of production; all Department Heads report to the Co-Producer / Line Producer.” (“il soggetto che ha la responsabilità primaria della logistica della produzione dalla pre-produzione al completamento della produzione; tutti i capi-dipartimento riportano al co-producer/line producer”).
BONUS:
Mentre, come detto sopra, in Italia non vi è una figura paragonabile allexecutive producer anglosassone, in Francia il produttore di un film è definito producteur, il produttore esecutivo è definito producteur exécutif e l’executive producer è definito producteur délégué. In italiano però non possiamo tradurre il ruolo di producteur délégue (che sarebbe l’executive producer) come produttore delegato, in quanto quest’ultimo è quello, fra i co-produttori, che fa da capofila e incarica il produttore esecutivo.
Semplice no?


No, io direi invece tutto il contrario. Io direi che è un problema di aiuti economici che andrebbero tolti.


Un film cupo, disturbante, allarmante, che usa una icona pop per parlare del problema della malattia mentale in un mondo iper-competitivo, ma lo fa con una morale volutamente ambigua. Il fatto che il mostro abbia delle ragioni per essere quello che è, non giustifica comunque le sue azioni. Ecco un film che non avrebbe mai e poi mai potuto essere prodotto in Italia, e che invece ha avuto un successo incredibile anche tra gli Italiani.
Joker a parte (caso estremo) ho una laurea in economia, e a me hanno insegnato che quando un settore è in crisi, le cose andrebbero fatte più commerciali, non più intellettuali.
Purtroppo invece la RAI aiuta i film 'ad alto valore culturale' invece che i film 'ad alto valore commerciale', quindi in sostanza, con le nostre tasse aiutiamo i film che non vanno. Il finanziamento premia i film che non funzionano.
Lo dimostra il fatto che PRIMA degli aiuti economici avevamo film polizieschi, western, erotici, musicali (i film con Nino D'angelo), commedie di alto e basso livello, film horror: avevamo di tutto e ANCHE i film di altissimo livello (Perché è quando un'industria va BENE che ti puoi permettere di rischiare un po' di più, non quando va MALE. Giusto?)
Ora come ora gli aiuti al cinema italiano andrebbero aboliti in toto.
Bisogna tornare ai produttori di una volta: quei miliardari che cacciavano un sacco di soldi di tasca loro, e la decisione se finanziare Cristian De Sica o Fellini era una loro sacrosanta decisione e di nessun altro, perché ne avrebbero pagato le conseguenze di tasca loro.
E poi, quando il film usciva, i produttori rischiavano un infarto nell'attesa di scoprire se tale film avrebbe guadagnato tanto o poco. Ovvero: se si sarebbero rifatti dell'investimento speso, o se avrebbero perso dei soldi, e soprattutto quanti.
Questo è il cinema come si fa in tutto il resto del mondo, altro che lavorare SOLO per convincere la commissione RAI a sganciare il dinero.
E non si capisce perché da noi invece debbano essere le tasse degli italiani a finanziare le solite storie banal-autobiografico-esitenziali con le solite vicende comuni di gente comune, e poi ci lamentiamo se la gente snobba il cinema italiano perché mentre noi parliamo di divorzi, corna e crisi di coppia, gli Americani ci sparano JOKER.
Basta.
Datemi un cavolo di thriller ambientato in Italia, che di gente cazzuta ce n'è anche qui in Italia e sarebbe bello raccontare anche le loro storie, qualche volta.
POST SCRIPTUM
Più di qualcuno nei commenti ha obbiettato che senza finanziamenti statali non è possibile scoprire ‘il nuovo Fellini’ / ‘il nuovo Antonioni’.
Ta-daaaa!!!!
Entrambi questi due nomi hanno esordito con fim commerciali nel senso stretto del termine, prima di passare ai loro progetti ‘personali’.






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Un conto è scrivere o leggere le note su un pentagramma. Un'altro è conoscere gli accordi di chitarra; anche i più semplici. D'altronde uno spartito non è così difficile da leggere. Non lo era neanche per loro, pur non avendo studiato musica.
Il problema più grande dei Beatles nei primi anni era che non avevano tempo per annotarsi le varie canzoni che componevano a orecchio o in bozze volanti, dato che erano praticamente in una tournée continua. A volte 2 spettacoli in un giorno! Molte canzoni dei Beatles andarono perse così. Quelle che potevano ricordare a memoria riuscirono a salvarle, altre no. Anche per questo nei primi anni scrivevano canzoni orecchiabili e non troppo difficili. Difatti, una volta dismesse le tournée, i film e i vari impegni mondani, dedicando più tempo allo studio di registrazione, il livello della loro musica si alzò enormemente, fino a vette inarrivabili.


I Kiss diventarono celebri perché fin dall'inizio quello è stato l'obbiettivo dei loro 2 frontman, Paul Stanley e Gene Simmons: fondamentalmente, Paul non aveva altro nella sua vita che la musica, attraverso la quale cercava un riscatto per la propria infanzia e adolescenza sfigata. Gene invece voleva semplicemente rimorchiare, ed è il motivo per cui ha iniziato a suonare, perché sapeva che all'epoca i musicisti piacevano a tutte le ragazze.


Le maschere, o meglio i make-up, e ovviamente i travestimenti, sono nate in maniera graduale: prima di tutto, Gene adorava i Beatles, e la sua idea era quella di crearne una versione "anabolizzata" I Beatles infatti puntavano molto sull'iniziale impatto visivo, erano tutti vestiti uguali, in bianco e nero, con la stessa pettinatura. Gene inoltre leggeva tantissimi fumetti di supereroi, così tutte queste cose sono confluite in una band che aveva la stessa formazione dei Beatles, che come loro aveva vestiti in bianco e nero e capelli identici.


Il look dei Kiss è stato inoltre una graduale evoluzione dello stile Glam Rock che si stava affermando in quel periodo a New York: principale fonte di ispirazione è stata la band dei New York Dolls, musicisti dal look estremamente androgino e impattante, ma non molto preparati a livello tecnico, infatti la loro carriera non è stata tra le più fortunate.


I primi Kiss infatti, avevano il viso truccato con fard bianco, matita e rossetto sugli occhi, e accessori colorati addosso: mano a mano, Paul sviluppò l'idea di eliminare progressivamente tutti i colori dal loro look, arrivando quindi gradualmente a degli outfit in cui le uniche tinte fossero bianco, nero e grigio.


Sempre a Paul, se non ricordo male, venne l'idea che ognuno dei componenti della band avesse un suo personaggio ben preciso e riconoscibile, un vero e proprio alter-ego supereroistico, come nei fumetti che piacevano a Gene. Così nacquero The Demon, lo Starchild, Catman e Spaceman, ovvero i Kiss che tutti oggi conoscono, e che grazie a dei concerti "circensi" pieni di effetti speciali e dall'enorme impatto e visivo e sonoro, ma soprattutto grazie ad un album dal vivo che pubblicarono nel 1975, riuscirono a diventare una delle band più famose al mondo.


(in questa foto, i pantaloni blu di Paul erano se non ricordo male stati confezionati da sua madre)