Ventinove anni dopo la sua uscita, "Mio cugino Vincenzo" è il tipo di film che non si può smettere una volta che si inizia a guardare.

Il film rimane una delle commedie più divertenti e acute con uno dei migliori gruppi comici di tutti i tempi.



Joe Pesci nei panni di Vinny Gambini, l'uomo di Brooklyn facilmente irritabile, è scontroso, irascibile, completamente fuori dalla sua portata, ma non si può fare a meno di amarlo e tifare per lui.

Marisa Tomei interpreta l'altrettanto roboante fidanzata di Pesci, Mona Lisa Vito, al massimo del suo valore: urlante, pestante, combattiva, vivace.

Le loro battute e la loro relazione sono la linfa vitale del film.

Fatevi un favore, guardate questo film, lasciatevi ipnotizzare da una commedia di qualità e ben scritta.



C'è la chimica che si vede una volta in tutta la vita tra due attori che non hanno mai più fatto squadra.

Vinny Gambino: "Vostro Onore, posso avere il permesso di trattare Ms. Vito come testimone ostile?

Mona Lisa Vito: "Se pensi che io sia ostile ora, aspetta di vedermi stasera".

Giudice Haller: "Voi due vi conoscete?"

Vinny Gambini: "Sì, è la mia fidanzata".

Giudice Haller: "Beh, questo spiegherebbe certamente l'ostilità".


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Un essere umano virtuale o clone digitale indica la creazione o la ricreazione di un essere dalle sembianze e dalla voce umana utilizzando immagini e suoni creati a computer. Il processo di creazione di un umano virtuale da utilizzare in un film per sostituire un attore esistente è una pratica che, dopo il libro del 1992, è conosciuta come Schwarzeneggerizzazione e in generale gli uomini virtuali utilizzati nei film vengono definiti sintespiani, attori virtuali, vattori, star cibernetiche o attori silicentrici. Ci sono diverse ramificazioni legali relativamente alla clonazione digitale di attori reali, per quanto riguarda il copyright e i diritti di personalità. Tra le persone che sono già state virtualmente clonate vi sono Bill Clinton, Marilyn Monroe, Fred Astaire, Ed Sullivan, Elvis Presley, Anna Marie Goddard, e George Burns. Coincidenza, i dati di base di Arnold Schwarzenegger per creare un Arnold digitale (la testa per lo meno) sono già stati elaborati.
Il nome Schwarzeneggerizzazione proviene dal libro del 1992 Et Tu, Babe di Mark Leyner. In una scena, pag 50-51, uno dei personaggi chiede alla commessa di una videoteca di sostituire con un Arnold Schwarzenegger digitale vari attori di diversi film quali, tra gli altri, Rain Man - L'uomo della pioggia (sostituendo sia Tom Cruise che Dustin Hoffman), My Fair Lady (sostituendo Rex Harrison), Amadeus (sostituendo F. Murray Abraham), il Diario di Anna Frank (sostituendo Anna Frank), Gandhi (sostituendo Ben Kingsley) e La vita è meravigliosa (sostituendo James Stewart). Schwarzeneggerizzazione è il nome che Leyner ha dato a questo processo. Solo 10 anni dopo, la Schwarzeneggerizzazione è diventata realtà.
Nel 2002, Schwarzenegger, Jim Carrey, Kate Mulgrew, Michelle Pfeiffer, Denzel Washington, Gillian Anderson, e David Duchovny si erano tutti fatti scannerizzare la testa per creare modelli digitali al computer di loro stessi.

L'inizio della storia
I primi visi animati generati da computer si trovano nel film del 1985 Tony de Peltry e nel videoclip della canzone di Mick Jagger "Hard Woman" (tratta da She's the boss). Le prime persone vere ad avere un doppione digitale sono state Marilyn Monroe e Humphrey Bogart in un film del 1987 creato da Nadia Magnenat Thalmann e Daniel Thalmann per il centenario della Engineering Society of Canada (la società degli ingegneri). Nel film, che è stato creato da sei persone nel giro di un anno, si vedono la Monroe e Bogart incontrarsi in un bar a Montréal. I personaggi sono presentati in 3 dimensioni e sono in grado di parlare, mostrare emozioni e stringersi la mano.
Nel 1987, la società Kleizer-Walczak Construction Company ha avviato il suo progetto Synthespian (da "synthetic thespian" = attore sintetico), con l'obiettivo di creare "personaggi che sembrano vivi sulla base di animazioni digitali di modelli in argilla".
Nel 1988, Tin Toy è stato il primo film completamente creato a computer a vincere un Premio oscar (miglior cortometraggio animato). Nello stesso anno Mike the Talking Head (Mike la testa parlante) una testa animata la cui espressione facciale e postura del cranio erano controllate in tempo reale da un "burattinaio" usando un controller apposito, fu sviluppato dalla Silicon Graphics, e debuttò dal vivo al SIGGRAPH. Il film del 1989, The Abyss, diretto da James Cameron, conteneva una scena in cui si vedeva un volto generato al computer su uno pseudopodio acquoso.
Nel 1991, Terminator 2, anch'esso diretto da Cameron, ormai fiducioso, dopo la sua esperienza con The Abyss, delle possibilità offerte dagli effetti generati al computer, utilizzò un corredo di attori sintetici animati sul momento, compresi dei modelli virtuali della faccia di Robert Patrick. The Abyss conteneva solo una scena con grafica informatica foto-realistica (che venisse rappresentata realisticamente su pellicola). Terminator 2, invece,contiene oltre 40 sequenze del genere, sparse in tutto il film.
Nel 1997, la Industrial Light & Magic lavorò sulla creazione di un attore virtuale composto da parti del corpo di vari attori reali.
Il film S1m0ne (2002) parla proprio di un regista (interpretato da Al Pacino) che ricorre ad un'attrice interamente creata al computer (ma basandosi sulle caratteristiche di attrici reali, che possono essere modificate a piacimento), chiamata Simone (Da "Simulation One"), per sostituire nei suoi film le attrici in carne ed ossa e non dover sopportare e far fronte ai loro capricci. Il successo di Simone sarà però tale da offuscare completamente il regista, che alla fine si vedrà costretto a trovare un modo per eliminarla. Simone era interpretata da una vera attrice (Rachel Roberts), che, per alcune scene, era stata digitalizzata al computer, ma, per creare più mistero, durante la lavorazione, venne fatto credere che Simone fosse stata veramente interamente creata al computer; inoltre, quando il film uscì nei cinema, nei crediti l'attrice non veniva citata, ma veniva riportato "Nel ruolo di se stessa - Simone".

L'ascesa delle macchine
A partire dal XXI secolo gli attori virtuali sono diventati realtà. Il volto di Brandon Lee, morto nel 1994 nel corso della realizzazione del film Il corvo - The Crow, è stato sovrapposto in digitale su un doppione del suo corpo, in modo da completare le parti della pellicola che dovevano ancora essere girate. Nel film Final Fantasy del 2001 sono stati utilizzati degli umani tridimensionali molto realistici ma realizzati a computer e nel 2004 un Laurence Olivier virtuale ha recitato nel film Sky Captain and the World of Tomorrow.
Critici come Stuart Klawans del The New York Times hanno espresso la loro preoccupazione relativamente alla perdita "dell'unica cosa che l'arte dovrebbe preservare: il nostro punto di contatto con la persona vera e insostituibile". Situazione ancora più problematica è quella del copyright e dei diritti personali. Un attore ha ben poco controllo legale sul suo clone digitale e deve affidarsi alle leggi della privacy per poter esercitare quel poco controllo che gli rimane. (Il Database e l'Archivio degli Atti di Appropriazione indebita di informazioni proposto dagli USA rafforza queste leggi). Un attore non detiene il copyright del proprio clone digitale a meno che non ne sia il creatore stesso. Robert Patrick, per esempio, avrà quel poco controllo legale sul luminoso cyborg metallico, clone di lui stesso, creato per Terminator 2.
L'uso di un clone digitale per sostituire la professione primaria della persona clonata rappresenta una difficoltà da un punto di vista finanziario, perché può portare ad una diminuzione dei ruoli per l'attore oppure può essere uno svantaggio nella negoziazione dei contratti, dal momento che il clone può essere utilizzato dai produttori del film per sostituire l'attore in quel dato ruolo. Rappresenta anche un ostacolo alla carriera, dato che un clone può essere utilizzato per ruoli che l'attore stesso, conscio dell'effetto che tali ruoli potrebbero avere sulla sua carriera, non accetterebbe mai. Un'identificazione errata dell'immagine di un attore con il ruolo che interpreta danneggia la carriera e gli attori, consci di ciò, scelgono attentamente i ruoli da interpretare. (Bela Lugosi e Margaret Hamilton vengono principalmente identificate con i loro ruoli nei panni del Conte Dracula e della malvagia Strega dell'Ovest, mentre Anthony Hopkins e Dustin Hoffman hanno ricoperto diversi ruoli). Un clone digitale può essere utilizzato nel ruolo per esempio di un assassino o di una prostituta, cosa che influenzerebbe l'immagine pubblica dell'attore e, di conseguenza, le sue possibilità di casting future. Sia Tom Waits che Bette Midler hanno vinto delle cause per danni contro persone che avevano utilizzato le loro immagini in pubblicità per cui loro stessi avevano rifiutato di prestarsi.
Negli USA l'uso del clone digitale in ambito pubblicitario in relazione alla performance della professione primaria di una persona è trattato nell'articolo 43 (a) del Lanham Act, che prevede come condizione per gli spot pubblicitari l'accuratezza e la verità di quanto dichiarato e che pone un divieto sulla confusione creata deliberatamente. L'uso dell'immagine di una celebrità implica che quella persona sia d'accordo con il messaggio che pubblicizza. La Corte distrettuale di New York ha deliberato che una pubblicità con un finto Woody Allen violerebbe l'atto a meno che non venga chiaramente espresso nel messaggio che l'attore non ha sottoscritto il prodotto.
Altri problemi nascono dall'uso postumo di un clone digitale. Barbara Creed sostiene che "la famosa minaccia di Arnold Schwarzenegger 'Tornerò' potrebbe ora assumere un nuovo significato". Ben prima che Brandon Lee venisse virtualmente rianimato, il Senato della California ha redatto la bozza di legge Astaire Bill, in risposta alla lobby costituita dalla vedova di Fred Astaire e dal sindacato degli attori che cercavano di restringere l'uso dei cloni digitali di Astaire. Gli studios cinematografici si sono opposti alla legislazione, che nel 2002 doveva ancora essere completata ed entrare in vigore. Diverse società, tra cui Virtual Celebrity Productions nel frattempo hanno comprato i diritti per creare ed utilizzare i cloni digitali di diverse celebrità defunte, come Marlene Dietrich e Vincent Price.

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Per musica afroamericana (chiamata anche black music, e un tempo nota come race music) si intende un termine generico usato per una varietà di generi musicali derivanti o influenzati dalla cultura degli afroamericani, dai generi Spiritual, Gospel, Blues, Jazz, Swing, Rhythm and blues, Rock and roll fino al Soul, Funk, Rap, Reggae e Dancehall, che per molto tempo sono stati una minoranza etnica rispetto alla popolazione degli Stati Uniti.
Questi vennero originariamente portati nel Nord America come schiavi nelle piantagioni di cotone, portando con sé tipiche canzoni polifoniche da centinaia di gruppi etnici dell'Africa occidentale e sub-Sahariana.
Negli Stati Uniti, le varie tradizioni culturali si unirono con le influenze europee della polka, dei valzer e della musica classica. In periodi successivi vi furono molte innovazioni e cambiamenti e, nel XXI secolo, i generi afro-americani sono divenuti tra i più importanti e più seguiti di tutta la scena musicale.
L'influenza degli afroamericani nel mainstream musicale americano inizia nel XIX secolo con l'avvento degli spettacoli detti Blackface Minstrels, infarciti di stereotipi e scene comiche, ed interpretati da attori bianchi con volti dipinti di nero per rappresentare gli afroamericani. Si trattava di spettacoli da un lato infarciti di razzismo, ma che furono capaci di svelare agli americani, aspetti tipici della cultura popolare dei neri d'America.
Il banjo diventò così strumento popolare, ed i ritmi derivati dalla cultura africana furono incorporati nelle canzoni di Stephen Foster ed altri musicisti dell'epoca. Negli anni '30 del secolo, il Grande Risveglio (Great Awakening) portò la nascita di un fondamentalismo, specialmente tra gli afroamericani, che ripresero i canti degli schiavi una ampia varietà di Spiritual ed in generale in vari aspetti della musica sacra cristiana. Diverse di queste canzoni erano messaggi in codice per sovvertire il potere padronale sugli schiavi, o segnalare la via di fuga.
Nel periodo successivo alla guerra civile americana, la diffusione di musica afroamericana continuò. I Fisk Jubilee Singers iniziarono il loro primo tour nel 1871. Artisti come Morris Hill e Jack Delaney contribuirono a rivoluzionare la musica afroamericana del dopoguerra negli Stati Uniti centrali ed orientali. Negli anni successivi, gli Hampton Students ed altre Jubilee troops (gruppi di canto cristiano) sorsero ed iniziarono a percorrere l'America in tour. La prima compagnia di commedia musicale nera, Hyers Sisters Comic Opera Company, fu organizzata nel 1876.
Alla fine del secolo, la musica afroamericana era già una parte integrante di cultura americana tradizionale. I performer di Ragtime come Scott Joplin diventarono popolari ed alcuni presto furono associati alla rinascita di Harlem ed ai primi attivisti per i diritti civili.
La parte iniziale del XX secolo vide un aumento costante nella popolarità del Blues e del Jazz, due stili tipici degli afroamericani. Così come gli sviluppi nel campo delle arti visive, l'Harlem Renaissance dell'inizio di XX secolo, condusse agli sviluppi nella musica.
Vi erano anche musicisti latinoamericani e bianchi d'America dei generi blues e jazz, e già all'epoca vi era una comunicazione interculturale tra le varie etnie (bianchi, latinoamericani, afroamericani). La musica ebrea Klezmer, ad esempio, ebbe notoriamente un'influenza sul jazz, mentre Jelly Rolly Morton spiegò che una tinta latina era componente necessaria per una buona musica. La musica afroamericana fu spesso "rivista" pesantemente per il pubblico bianco, che non avrebbe accettato prontamente musicisti neri, conducendo così a generi musicali quali lo Swing e le conseguenze basate sul pop del jazz.
Sul palco, i primi musical scritti e prodotti dagli afroamericani a comparire a Broadway debuttarono nel 1898 con A Trip to Coontown di Robert Cole e Billy Johnson. Nel 1901, la prima registrazione di musicisti neri di cui si abbia conoscenza fu quella effettuata da Bert Williams e George Walker. La prima opera scritta da un afroamericano fu rappresentata nel 1911: Treemonisha di Scott Joplin. L'anno seguente, ci fu il primo di una serie di concerti annuali di musica dell'orchestra sinfonica nera a Carnegie Hall.
Per il ritorno del musical nero a Broadway occorre aspettare il 1921 con Shuffle Along di Sissle & Blake. Nel 1927, fu effettuato un concerto di musica nera a Carnegie Hall comprendente jazz, spiritual e musica sinfonica della W.C. Handy's Orchestra, ed altri cantanti del genere religioso. Il primo musical cinematografico prodotto da una major con un cast afroamericano fu Hallelujah di King Vidor nel 1929. La prima sinfonia di un compositore nero effettuata da un'orchestra importante fu Afro-American Symphony di William Grant Still con la New York Philharmonic. Diversi esecutori afroamericani furono poi invitati a partecipare ad opere come Porgy and Bess, ed a Four Saints in Three Acts di Virgil Thompson. Inoltre Negro Folk Symphony di William Dawson del 1934 diventò il secondo lavoro di un compositore afroamericano a ricevere le attenzioni di un'importante orchestra, con l'esecuzione da parte della Philadelphia Orchestra.
Intorno agli anni quaranta le cover delle canzoni afroamericane ebbero una grande diffusione e spesso scalarono le classifiche, mentre i musicisti originali ebbero minor successo. In quel periodo si coniò un termine in inglese per indicare la musica afroamericana, Rhythm and blues, che in seguito passò a designare un genere musicale ben preciso, molto melodico e spesso fatto da gruppi che cantavano a cappella. Da questo stile musicale derivò alla fine del decennio quello che sarebbe stato chiamato Rock and roll, i cui esponenti principali sono stati Little Richard e Ike Turner: quest'ultimo incise con i Kings of Rhythm quella che è considerata la prima canzone Rock and roll nel 1951, Rocket 88, sotto lo pseudonimo di Jackie Brenston & His Delta Cats.
Durante il decennio seguente si diffuse anche il Rockabilly di Bill Haley e Elvis Presley, una fusione di Rock and roll e musica Country (nel gergo dell'inglese americano: Hillbilly music), mentre artisti di colore come Chuck Berry (inventore della scala pentatonica, quella su cui si basa l'intera metrica rock) e Bo Diddley ebbero un successo senza precedenti. In particolare Presley rappresentò uno spartiacque nella musica americana e segnò l'inizio dell'accettazione di gusti musicali che erano comuni tra il pubblico al di là delle barriere etniche, essendo il primo bianco a fare generi musicali tipicamente afroamericani. Negli anni cinquanta si vide anche la diffusione dello stile Doo-wop, che fonde elementi del Rhythm and blues con, tra gli altri, Spiritual, Gospel, Blues e Swing.
Alla fine di quel decennio ebbe grande popolarità sia in America che in Inghilterra anche il blues di inizio secolo. Sempre in quel periodo si sviluppò inoltre una forma secolarizzata della musica Gospel con elementi propri del Rhythm and blues chiamata musica Soul, i cui maggiori rappresentanti sono stati Ben E. King, Sam Cooke e Otis Redding, come anche Diana Ross (proveniente dalle Supremes), Aretha Franklin e Dionne Warwick. La musica Soul rimase sempre popolare tra i neri, e quando lo fu anche tra i bianchi essa rivoluzionò la musica afroamericana con canzoni intelligenti e filosofiche, spesso di contenuto sociale ma anche aventi tematiche d'amore: la canzone di Marvin Gaye What's Going on è forse la canzone più rappresentativa di questo genere.
Negli anni sessanta si sviluppò anche uno stile di Rock and roll che celebrava la balneazione estiva, il Surf rock, i cui principali esponenti furono gruppi maschili come i Beach Boys e i Trashmen, ma anche gruppi femminili (molti dei quali di colore) come le Angels e le Shangri-Las, tutti provenienti dagli Stati Uniti. Sempre nello stesso decennio in Inghilterra il British blues divenne gradualmente un fenomeno di massa che ritornò negli Stati Uniti con il fenomeno della British invasion, un gruppo di musicisti dai vari generi musicali ma tutti riconducibili al o derivanti dal Rock and roll, i più famosi dei quali furono i Beatles, la cui Musica beat, dei quali loro sono stati i massimi rappresentanti, mescolava il Rock and roll britannico al Doo-wop, al Rhythm and blues, al Pop e allo Skiffle (fatto dai Quarrymen, ovvero il nome dei Beatles negli anni cinquanta), consistente in un misto di Folk, Blues, Jazz e Country.
Nella seconda metà del decennio si affermò un altro genere musicale, sempre afroamericano: la musica Funk, che accoglieva influenze sia dal Soul che dalla Musica psichedelica e che ebbe tra i suoi massimi artefici cantanti di colore come James Brown (proveniente dal gruppo dei Famous Flames), George Clinton con i suoi gruppi (i Parliament, nati come gruppo Doo-wop, e i Funkadelic) e Patti LaBelle (che proveniva dal gruppo femminile delle Labelles). Uno stile molto in voga sempre nella seconda metà degli anni sessanta, il Folk rock, era fatto da gruppi per lo più statunitensi come i The Mamas & the Papas (tra i pochi gruppi a resistere alla British invasion), i Byrds, i Turtles, i Buffalo Springfield, e da solisti come Bob Dylan, Joan Baez e la Cher degli inizi; così come un altro genere di fusione in voga nella seconda metà del decennio era il Blues rock, fatto da gruppi per lo più inglesi come i Rolling Stones, gli Yardbirds, gli Animals, i Cream, i Fleetwood Mac (anglo-americani), da solisti inglesi come Eric Clapton e da bluesmen afroamericani come B.B. King.
Gli anni settanta videro un generale declino della popolarità dei gruppi musicali afroamericani. Album di genere Soul continuarono a godere di un certo successo, mentre musicisti come Smokey Robinson aiutavano lo stile a spostarsi su sonorità più lente e rilassate dette Quiet Storm (dal nome di una sua canzone intitolata Quiet Storm del 1976). Il Funk ebbe un'evoluzione che seguì principalmente due strade: la prima era un percorso tradizionale che riprendeva sonorità Pop e Soul tipico del genere, portata avanti da gruppi come Sly & the Family Stone; mentre la seconda tendeva a fonderlo con altri tipi di musica, come la psichedelica, sviluppata da musicisti come i già citati George Clinton con i suoi gruppi Parliament e Funkadelic, promotori di quel sottogenere che verrà definito come P-Funk.
I musicisti neri giunsero generalmente a successi limitati nell'ambito del grande pubblico, benché gli afroamericani fossero stati il fulcro dell'invenzione di tipi di musica come la Disco music ed alcuni artisti, come Gloria Gaynor e Kool & the Gang, avessero un pubblico musicalmente eterogeneo. Il pubblico bianco preferiva i gruppi Country rock, i cantautori e, in alcune culture, generi come l'Heavy metal ed il Punk rock, anche se vi erano rare eccezioni in entrambi i versanti.
Gli anni settanta videro inoltre l'invenzione della musica Hip hop, in un primo momento in fase underground: gli immigrati giamaicani come DJ Kool Herc e poeti come Gil Scott-Heron sono spesso citati come i maggiori contributori del giovane genere, nato dai block parties di Harlem, e presentatosi nel tempo come un'ampia subcultura con elementi di ribellione e progressismo, dai testi aventi temi sociali. Ai block parties, i DJs selezionavano dischi di genere solitamente Funk, mentre gli MCs introducevano le canzoni al pubblico danzante. Con il tempo, i DJ iniziarono ad isolare e ripetere i Breaks contenenti percussioni, grazie ai mixer audio e a due dischi diversi, producendo un costante beat molto adatto al ballo, su cui gli MCs iniziarono ad improvvisare elaborate introduzioni e, successivamente, intere liriche. Le prime incisioni Hip hop coprono un arco di tempo che va dal 1979 al 1986, chiamato dai musicologi Old school hip hop, e la prima canzone famosa a scalare le classifiche fu proprio nel 1979 Rapper's Delight, dei Sugarhill Gang; l'Hip hop uscì dalla sua città natale, New York, per diffondersi in tutti gli Stati Uniti, e nel contempo diversificarsi, lungo tutto il decennio grazie ad un DJ destinato a divenir famoso: Afrika Bambaataa.
Nei primi anni ottanta un genere di EDM che ebbe sicuramente una larga popolarità fu la Musica house con i suoi vari sottogeneri: la Miami bass, l'Hip house di Chicago, l'Hardcore hip hop di Los Angeles e la musica Go-go di Washington D.C.; tra queste solo la Miami bass raggiunse un certo successo nel mainstream musicale. Negli anni successivi, la Miami bass fu relegata soprattutto agli stati sudorientali degli Stati Uniti, mentre la Hip house prese piede nei Campus Universitari ed in quelli che successivamente verranno ribattezzati raves; la Go-go, così come la Miami bass, rimase essenzialmente un genere a carattere regionale incapace di avere un buon audience al di fuori della propria scena locale.
Tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli ottanta gli artisti di maggior successo del periodo che salirono alla ribalta sono stati afroamericani come Michael Jackson, Prince, Whitney Houston e Lionel Richie, provenienti da gruppi o debuttanti già come solisti, fautori di un altro genere Electronic dance music che mescolava elementi Bubblegum pop alla Disco, alla House, al Synthpop e alla New Wave chiamato Dance pop, che diede origine al New Jack Swing nella seconda metà del decennio. Uno stile musicale sempre da discoteca dei primi anni ottanta fu anche la musica Electro, che mescolava la Musica elettronica con il Funk, ma non ebbe popolarità se non tra il pubblico che frequentava i nightclub.
L'House, nata a Chicago col contributo di vari DJ il più famoso dei quali è Frankie Knuckles, si espanse nella seconda metà del decennio mutando il proprio suono in una direzione maggiormente elettronica, creando, nella seconda metà del decennio, stili come la Techno, nata a Detroit grazie a DJ come Juan Atkins. In risposta a questi generi sperimentali, orientati soprattutto al DJing fatto prevalentemente proprio da neri, suoni con prevalente presenza della Disco, che ebbe come centro il pubblico multietnico di New York, degli anni settanta ed ottanta iniziò ad essere particolarmente apprezzata in discoteche di Chicago, New York, Los Angeles, Detroit e Boston. Successivamente, il pubblico europeo ha abbracciato questo tipo di musica dance elettronica con addirittura maggior entusiasmo della controparte statunitense.
Sempre nella seconda metà del decennio, tuttavia, due gruppi musicali Hip hop sono stati capaci di giungere anche al pubblico bianco in maniera massiccia: le liriche rivoluzionarie dalla connotazione politica dei Public Enemy si dimostrarono molto più controverse della precedente produzione hip hop, mentre gli N.W.A fecero salire alla ribalta il West Coast hip hop contribuendo a far conoscere contemporaneamente il sottogenere Gangsta rap. Sebbene abbiano dimostrato la medesima animosità a livello discografico, i due gruppi hanno avuto due differenti approcci allo stile musicale: i Public Enemy hanno registrato diversi brani criticando l'Esercito Statunitense e la presenza di droga nelle comunità urbane, mentre gli N.W.A hanno preferito pezzi di tributo alle gangs, criticando soprattutto l'atteggiamento della polizia e del governo federale; ma la maggior differenza rimane l'utilizzo da parte degli N.W.A di massicce dosi di "oscenità" nei dischi, caratteristica quasi assente nei Public Enemy. Il principale successo commerciale degli N.W.A fu un metro di paragone per il Rap nei successivi sei anni: in questo periodo, infatti, il Gangsta rap fu quasi l'unica forma di musica rap trasmessa dalle stazioni radio. Ma accanto ad esso stavano andando in voga altri artisti Hardcore hip hop e Old School Hip Hop con influenze nelle sonorità dal Jazz al Rock al Funk, in particolare Eric B. & Rakim, Boogie Down Productions, Cypress Hill, Gang Starr, Pete Rock & CL Smooth. In genere questi però si differenziavano per un tipo di rapping più soft e liricamente più elaborato rispetto agli ascendenti artisti del Gangsta rap.
L'Hip hop e la Contemporary R&B furono i più popolari generi musicali neri tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo.
Negli anni novanta l'Hip hop vide un periodo d'oro, grazie allo sviluppo di artisti con stili e temi diversi, impegnati dalla politica, alla strada, alla spiritualità e tanto altro, e si venne delineando quella tradizione, consolidatasi nei decenni successivi, attraverso la quale le canzoni Hip hop/Contemporary R&B sono cantate da due rappers o da un rapper e una cantante R&B. La popolarità è durante tutto il decennio prettamente dominata dal East Coast rap, grazie ad artisti di grande calibro come Public Enemy, Wu-Tang Clan, Kool G Rap, The Roots, A Tribe Called Quest, De La Soul, Black Moon, Nas, Big Pun, The Notorious B.I.G., Mos Def, Das EFX, Naughty By Nature, Masta Ace, Onyx, Mobb Deep, M.O.P. Gravediggaz, Capone-N-Noreaga. La West Coast rap era già conosciuta grazie ad artisti come gli N.W.A e i Cypress Hill, ma dal 1992 circa raggiunge l'apice della popolarità sul piano mainstream, grazie all'affermazione definitiva e all'uscita di artisti quali MC Eiht, Dr. Dre, Ice Cube, Eazy-E, Tupac Shakur.
Il Contemporary R&B, conosciuto così come una versione Post-disco della musica Pop con elementi Soul e Funk, nacque negli anni ottanta e rimase popolare dai novanta in poi. Gruppi musicali maschili in stile soul come The Temptations e The O'Jays furono particolarmente conosciuti, ad essi vanno aggiunti New Edition, Boyz II Men, Jodeci, BLACKstreet e, più tardi, Dru Hill e Jagged Edge. Analoghi gruppi femminili, comprese le TLC, le Destiny's Child e le En Vogue, raggiunsero un ottimo successo, tanto che le seconde diventarono poi il gruppo femminile con le più alte vendite di tutti i tempi.
Durante gli anni novanta popolari furono anche cantautori Hip hop come R. Kelly, Montell Jordan, D'Angelo e Raphael Saadiq dei Tony! Toni! Toné! ed artisti come Mariah Carey, Mary J. Blige e i BLACKstreet, che hanno istituito nella cultura popolare la musica R&B, diffusero un nuovo genere di fusione denominato Hip hop soul. La musica di D'Angelo, ispirata alle composizioni di artisti Soul come Marvin Gaye e Stevie Wonder, guidò lo sviluppo del Neo soul, diventato popolare nei tardi anni novanta ed all'inizio dei duemila grazie ad artisti come Lauryn Hill (proveniente dai Fugees, un gruppo che faceva proprio Hip hop e Soul), Erykah Badu, Maxwell, India.Arie e Musiq Soulchild.
Il XXI secolo, ha visto l'R&B spostare la propria attenzione verso artisti solisti come Usher ed Alicia Keys, e nonostante questo, gruppi come i B2K e le Destiny's Child hanno continuato ad avere grande successo. La linea di demarcazione fra hip hop ed R&B è andata diventando sempre più vaga ed incerta soprattutto grazie a produttori musicali come Timbaland e Lil Jon, e ad artisti come Lauryn Hill, Nelly, ed André 3000: quest'ultimo, assieme a Big Boi, ha contribuito in maniera decisiva alla diffusione (grazie agli OutKast, il loro gruppo degli anni novanta) del Southern hip hop, già fatto conoscere alla metà degli anni ottanta grazie a gruppi quali i Geto Boys. Per quanto riguarda l'Hip hop negli anni duemila si è vista la rapidissima affermazione del Dirty South hip hop (altro nome per indicare il Southern rap) in più forme, grazie ad artisti di grande impatto commerciale, come Lil Wayne, T.I., Flo Rida, Rick Ross, G-Unit, Pitbull e altri.
Il termine Urban music è invece privo di connotazione razziale, sinonimo di Hip hop ed R&B, ed altri generi associati alla cultura hip hop originatasi a New York. Il termine riflette inoltre il fatto che questi generi musicali sono particolarmente popolari nelle aree urbane degli Stati Uniti, dove si riscontra un'alta concentrazione di comunità di colore, e di pubblico giovanile.
Nel febbraio 2004, è stata annunciata la costruzione di un Museo della Musica Afro-Americana a Newark in New Jersey. L'apertura era prevista per il 2006.

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Abū ʿAbd Allāh Muḥammad ibn ʿAlī ibn Muḥammad ibn ʿAbd Allāh ibn al-Ḥajj al-Ishbīlī (in arabo: ﺍﺑﻮ ﻋﺒﺪالله ﻣﺤﻤﺪ ﺍلاﺷﺒﻴﻠﻲ‎; Siviglia, ... – Fès, 1314) è stato un architetto originario di al-Andalus (Spagna islamica), che servì il sultano merinide del Maghreb al-Aqsa (Marocco) Abū Yūsuf Yaʿqūb ibn ʿAbd al-Ḥaqq. Le opere principali per cui è conosciuto sono le fortificazioni e l'arsenale della città portuale di Salé.
La "Bab Lamrissa", la porta delle fortificazioni del porto di Salé.
La porta monumentale della "Dār al-ṣināʿa", il grande arsenale navale.
Parte della grande fortezza chiamata "Borj Adoumoue".
Nel settembre del 1260, con un attacco a sorpresa, una forza navale castigliana, sbarcò sulla costa atlantica del Marocco e conquistò la città di Salé, cogliendo la città alla sprovvista, mentre gli abitanti musulmani della città stavano festeggiando la ʿīd al-fitr. Metà degli abitanti fu massacrata, mentre l'altra metà venne riunita nella Grande Moschea della città, quindi schiavizzata e deportata a Siviglia.
Il sultano merinide Abū Yūsuf Yaʿqūb riconquistò la città dopo quattordici giorni di assedio. Si trattò del primo scontro diretto tra Merinidi e regni cristiani della Penisola iberica.
Abū Yūsuf decise di aspettare prima di partire per un raid punitivo contro la Castiglia, decidendo di focalizzare piuttosto le sue forze contro gli Almohadi, che continuavano a resistere nel sud dell'attuale Marocco, asserragliati nella loro capitale Marrakesh.
Pochi mesi dopo aver riconquistato Salé, il sultano Abū Yūsuf chiamò l'architetto Muḥammad ibn ʿAlī, commissionandogli il potenziamento del porto, e delle fortificazioni della città che intendeva rendere il principale porto commerciale del regno merinide e il punto di partenza per la guerra in al-Andalus.
Opera sua sono le attuali mura della medina (città vecchia) e quelle del porto, compresa la monumentale porta chiamata, secondo la pronuncia francese, "Bab Lamrissa" (in arabo Bāb al-Marsā, "Porta del porto"). Altra sua opera fu la struttura chiamata oggi, secondo la pronuncia francese, "Dar Assinaa" (in arabo Dār al-ṣināʿa, "Sede della produzione") e la sua porta monumentale. La struttura era un gigantesco cantiere per la produzione di navi. Progettò per conto del sultano anche la gigante fortezza detta Borj Adoumoue (Borj al-Dumūʿ, "Torre delle lacrime", a ricordare il massacro compiuto dai Castigliani), oggi nota come "Borj Sidi ben Ashir" (Torre di Sidi ben Ashir) o "Skala Lakdima".

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Con arte digitale (detta anche digital art o computer art) si indicano le forme d'arte elaborate in forma digitale. Il termine viene usualmente riservato per l'arte che è stata modificata in maniera non banale attraverso un computer: testi, registrazioni audio e video non sono normalmente considerati digital art, in quanto il computer serve solo come mezzo di immagazzinamento.
La computer art nasce nel 1950 grazie alla sperimentazione di Ben Laposky (USA) e Manfred Frank (Germania) due matematici e programmatori, non artisti, ma con delle sensibilità artistiche che vanno però verso la grafica. B. Laposky e M. Frank si rifanno al costruttivismo e al razionalismo del Bauhaus. Ben Laposky nel 1950 realizza un “oscillogramma”: lavora con l'oscilloscopio, scrive una funzione matematica (quindi non un'immagine) nel processore ed ottiene la base per una proiezione grafica, poi prende l'oscilloscopio con il quale varia la lunghezza d'onda dei raggi luminosi del tubo catodico e crea delle distorsioni.
La digital art può essere generata completamente dai computer, come per i frattali, o presa da altre sorgenti, come la scansione di una fotografia o un'immagine disegnata con l'ausilio di un software di grafica vettoriale, usando un mouse o una tavoletta grafica. La disponibilità e la popolarità di software per il fotoritocco e la manipolazione delle immagini ha prodotto una vasta e creativa libreria di immagini altamente modificate, che hanno poco o nulla a che vedere con le immagini originali. Usando versioni elettroniche di pennelli, filtri e ingrandimenti, questi "neografi", producono immagini non ottenibili attraverso i convenzionali strumenti fotografici. Inoltre, gli artisti digitali possono manipolare scansioni di disegni, dipinti, collage o litografie, o usare le tecniche sopra menzionate in combinazione.
La grafica tridimensionale viene creata attraverso il processo di disegnare immagini complesse a partire da forme geometriche, poligoni o NURBS, per creare forme tridimensionali realistiche, oggetti e scene utilizzabili in diversi media, come film, televisione, stampe ed effetti speciali visivi.
I principali mass media usano molta digital art nelle pubblicità, e i computer sono impiegati abbondantemente nei film per produrre effetti speciali. Il desktop publishing ha avuto un grande impatto nel mondo dell'editoria, anche se è più correlato alla grafica (graphic design).
Cionondimeno, la digital art deve ancora guadagnarsi l'accettazione e il riguardo concessi a forme d'arte storicamente consolidate come scultura, pittura e disegno, forse a causa dell'erronea impressione da parte di molti che "a farla è il computer". Ad ogni modo, gli artisti digitali dispongono di un'ampia gamma delle tecniche di cui sopra per esprimere creativamente loro stessi.
I computer vengono usati comunemente anche per creare musica, specialmente musica elettronica, in quanto forniscono una maniera facile e potente per arrangiare e creare campioni sonori. È possibile che l'accettazione generale del valore della digital art aumenterà allo stesso modo in cui è aumentata l'accettazione della musica prodotta con l'elettronica durante gli ultimi tre decenni.
A poco a poco il mondo dell'arte digitale ha fatto progressi e ha tentato di cercare una sua collocazione e a stabilire una sua nicchia di mercato; a tal proposito sono state organizzate numerose mostre e assegnate dei premi in Italia e all'estero, proprio con lo scopo di sensibilizzare verso questo nuovo tipo di arte. Sebbene l'arte digitale in Italia non abbia ancora attecchito come in altri paesi, ci sono numerosi artisti digitali.

Campi della digital art
Fotografia digitale
Digital imaging
Electronic Literature
Computer poetry
net art
Musica elettronica
Arte elettronica; ha un significato più ampio di Digital art, in quanto coinvolge molte interrelazioni tra arte e tecnologia.

Pixel art

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La videoarte – in inglese video art – è un linguaggio artistico basato sulla creazione e riproduzione di immagini in movimento mediante strumentazioni video.
Attualmente lo sviluppo della tecnologia, cui è legata questa forma di espressione, rende particolarmente vivace la produzione nel campo della videoarte, che in modo esteso si avvale di ogni tipo di piattaforma e di supporto disponibile: basti pensare all'utilizzo di schermi al plasma e LCD, di proiezioni sempre più luminose e di supporti digitali, del personal computer, del web, dei minischermi LCD di cui sono muniti gli smartphones, fino alle possibilità date dalle nuove tecnologie HD, con evoluzioni in direzione di una qualità sempre maggiore.
La stretta interazione tra arte e scienza/tecnologia ha imposto specifici parametri di fruizione rispetto all'arte tradizionale e riaperto la riflessione sull'incontro tra produzione creativa e processo tecnologico, che Walter Benjamin aveva individuato in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, del 1936, con riferimento alla fotografia e alla questione dell'originalità delle opere fotografiche prodotte in più esemplari. La problematica è condotta alle estreme conseguenze dalla riproducibilità totale dell'opera digitale, in cui le copie sono identiche all'originale e possono essere modificate.
Il termine videoarte (coniato dal mercato dell'arte newyorkese) segue cronologicamente la definizione di Nam June Paik (tra i pionieri, assieme ai Vasulka e a Godfrey Reggio, della prima epoca della videoarte), che intitolava una sua personale del 1968 a New York Electronic Art, dando una prima definizione di utilizzo del mezzo video, in particolare in questo caso corrispondente all'uso di televisori.
Nel 1958 Wolf Vostell realizzò Das schwarze Zimmer, una installazione che incorporava un televisore e nel 1963 realizzò 6 TV Dé-coll/age una installazione che incorporava 6 televisori nella Smolin Gallery di New York e realizzò il video Sun in your head.
Possiamo identificare nella seconda metà degli anni sessanta il momento della nascita della videoarte. Nel 1963 Nam June Paik realizza Exposition of Music-Electronic Television, considerato oggi il primo atto concreto di pratica della videoarte. La svolta decisiva e il riconoscimento ufficiale di questa nuova sperimentazione artistica è comunque nel 1968 con la mostra curata da Pontus Hulten al MOMA di New York The machine as seen at the end of the mechanical age che segna il passaggio dall'epoca della macchina a quella della tecnologia. In questa mostra Nam June Paik utilizza per la prima volta un primitivo videoregistratore e nello stesso anno, dall'altra parte dell'oceano, all'Institute of Contemporary Art di Londra Jasia Reichardt realizza il progetto espositivo Cybernetic serendipity insieme ad un esperto di tecnologia ed uno di musica: i visitatori vengono avvertiti che non avrebbero capito con facilità se le opere erano state realizzate da un artista o da uno scienziato. Il binomio arte e tecnologia è stato incalzante fin dall'inizio, se pensiamo che nel gennaio del 1969, all'Armory di New York, viene organizzata la serie di eventi 9 evenings dal gruppo di artisti Eat – Experiments in art and technology, che ha iniziato a riunirsi già nel 1966.
Lontana da un utilizzo passivo del mezzo tecnologico, la videoarte si serve del medium per precise finalità comunicative e non si ferma ad una pura documentazione della realtà. La sua capacità di intervenire sul reale e sulla sua percezione si traduce nella messa in discussione della posizione dello spettatore. Questo avviene in particolare nelle opere interattive. Ne sono un esempio l'installazione Videoplace dei primi anni settanta di Myron Krueger che riproduceva col colore su un monitor i movimenti dello spettatore, e l'intervento a circuito chiuso di Dan Graham che in una sua mostra riprendeva il pubblico e lo mostrava nella sala successiva. In questo caso, soggetto e fruitore corrispondono, come del resto avviene con la Tv, che rimanda alla società le immagini della società stessa. Questo meccanismo autoreferenziale è stato anticipato e sintetizzato perfettamente da Nam June Paik nell'opera del 1974 Tv Buddha in cui una statua della divinità osserva la propria immagine ripresa e trasmessa nella TV che sta di fronte. La videoarte ha, infatti, in più occasioni messo in discussione i meccanismi televisivi che si avvalgono dei medesimi mezzi tecnologici, ma solo in rari casi la videoarte è riuscita a raggiungere, con questo punto di vista critico, la diffusione propria della televisione: è riuscito a farlo ad esempio Jan Dibbets che ha sostituito per alcuni istanti le trasmissioni con l'immagine di un fuoco, di un'intimità domestica che solitamente lo spettatore perde guardando la TV.
La videoarte si articola in molteplici forme espressive, che vanno dalla registrazione di azioni e performance (videoperformance), a strutture complesse multimediali, come:
installazioni, video-installazioni e installazioni interattive
videoscultura
videoambienti
sistemi video che interagiscono in vari modi in tempo reale con la performance
cortometraggi, e talvolta lungometraggi, d'arte, immagini in movimento, arte digitale
videopoesia, poesia elettronica
La concomitanza tra l'avvento del video e un clima di attivismo e agitazione sociale assicura al mezzo un inizio esplosivo. Negli anni sessanta, il video mette in discussione l'oggetto artistico ancora più drasticamente di quanto facciano forme d'arte come l'happening o la performance. Un fattore comune di queste esperienze consiste nella cosiddetta "dematerializzazione" dell'oggetto artistico, la possibilità di un'arte fondata sul tempo anziché sullo spazio, presagio delle Avanguardie Storiche (si pensi alla quarta dimensione di Picasso o all'attenzione dei Futuristi per la radio e il cinematografo). Rapporto ambiguo intrattiene poi la videoarte con la televisione, alla quale è legata dalla medesima tecnologia. "VT is not TV", il videotape non è televisione, si rimarcava negli anni sessanta ma con il tempo i videoartisti cominciano a nutrire la speranza di diffondere le proprie ricerche sul mezzo di comunicazione di massa per eccellenza. Parimenti, le forme televisive entrano nella videoarte attraverso la pratica del Found footage (letteralmente, "pellicola ritrovata"). La ristrutturazione delle immagini televisive crea dei messaggi divertenti e sovversivi, come dimostra l'esempio italiano di Blob. Del film d'artista, invece, la videoarte rappresenta l'erede ideale. La maggiore accessibilità (tecnica ed economica) del video rispetto alla tecnologia cinematografica ha reso quest'ultimo il mezzo privilegiato per la sperimentazione. Una delle caratteristiche fondamentali di questa duttilità è il particolare rapporto del video con la dimensione sonora. A differenza del cinema, nato muto accompagnato da un'orchestra in carne e ossa, nel video i suoni provengono dalla stessa sorgente, sono entrambi tensioni e frequenze. Particolarità che i primi videoartisti, provenienti in larga parte dal mondo della musica (v. Paik, Vostell, Viola), non hanno mancato di sottolineare nella loro pratica. In Violin Power opera del 1978, ad esempio, Steina Vasulka genera con la sua musica distorsioni nell'immagine trasformando il suo violino «in una macchina per la ri-presa e la trasformazione - emotiva e fisica - della realtà» (Marco Maria Gazzano).
Tra i maggiori pionieri ed esponenti della videoarte internazionale ricordiamo, Nam June Paik, Wolf Vostell, Peter Campus, Bill Viola, Robert Cahen, Gary Hill, Bruce Nauman, Laurie Anderson, Dara Birnbaum, Marina Abramović, Fabrizio Plessi, Vito Acconci. Tra gli artisti più giovani, affermatisi sullo scenario internazionale: Shirin Neshat, Pipilotti Rist. Alcuni videoartisti hanno operato specificamente nella videopoesia, creando opere legate alla dimensione testuale e poetica, tra questi: Laurie Anderson, Gary Hill, Gianni Toti, che negli anni 80 ha coniato il termine "poetronica", Arnaldo Antunes, Caterina Davinio. Altri esempi storici di videoarte italiana: Gianfranco Baruchello, Alberto Grifi, Fabio Mauri, Luca Maria Patella, Vincenzo Agnetti, Vettor Pisani, Ketty La Rocca, Giuseppe Chiari, Franco Vaccari, Anna Valeria Borsari, Pier Paolo Calzolari, Maurizio Camerani; e dagli anni Ottanta Studio Azzurro (Milano, installazioni interattive), Mario Canali e Correnti Magnetiche (Milano, arte della realtà virtuale, animazioni), Ernst Pantofalo (Bologna), Giovanotti Mondani Meccanici (Firenze), creatori di installazioni interattive, citati nei saggi sopra riportati. Dalla fine degli anni 90 ad oggi il video si è affermato come medium trasversale e la produzione è molto vasta. Nel variegato panorama italiano ne citiamo alcuni: Francesco Vezzoli, Vanessa Beecroft, Stefano Cagol, Filippo Porcelli, Chiara Passa. Altre artisti legati alla videoarte sono Bas Jan Ader, Aldo Tambellini, Matusa Barros, Toshio Matsumoto, Marc Lee, Michel Chion...
Per quanto riguarda i primi sviluppi della videoarte, anche se da molti storici è stato ignorato o dimenticato, in Italia sorsero ben presto importanti centri di produzione, di rilievo internazionale, in cui iniziarono ad operare alcuni di quelli che sono ora riconosciuti come i maggiori esponenti storici della videoarte. In particolare: la Galleria del Cavallino, a Venezia, diretta da Paolo e Gabriella Cardazzo, dal 1972 al 1979 ha prodotto video di artisti che operavano costantemente con la galleria, come Claudio Ambrosini, Guido Sartorelli, Michele Sambin, Luigi Viola, e di altri come Vincenzo Agnetti, Marina Abramovic, Anna Valeria Borsari, Stephen Partridge; il Centro Video Arte di Palazzo dei Diamanti, a Ferrara, diretto da Lola Bonora poi da Carlo Ansaloni, ed attivo dal 1972 al 1994 con finanziamenti pubblici, ove tra gli altri fecero i loro primi video Fabrizio Plessi, Ricci Lucchi e Yanikian, Cristina Kubisch; art/tapes/ 22, a Firenze, operativo tra il 1973 ed il 1976, diretto da Maria Gloria Bicocchi, ove si produssero video di artisti locali come Alberto Moretti, Ketty La Rocca e Maurizio Nannucci ed ove un giovanissimo Bill Viola iniziò a lavorare come tecnico alle riprese. Notevole iportanza ha avuto anche la collezione di videotape di Luciano Giaccari, che tra le sue varie iniziative, nel progetto Televisione come memoria, del 1968, ha documentato in tempo reale le 24 ore di Non stop teather, manifestazione da lui organizzata a Varese.



Era un gruppo rock gotico, sono saliti sul palco nudi, hanno avuto rapporti sessuali tra loro, e anche con il pubblico del concerto: è stata una vera follia. Nel caso in cui non sapessi di questa band, si chiamavano "Rockbitch".

Era una rock band britannica con tocchi di metal, a tutti i loro concerti lanciavano molti preservativi sul palco, ma se tu fossi stata fortunata a prendere il "preservativo d'oro" avresti potuto fare sesso con i membri del gruppo dopo lo spettacolo.

Sia per le loro politiche sessuali che per la loro nudità penso che questa fosse una band piuttosto controversa a suo tempo.



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Nell'antichità e nel Medioevo il cantor, detto anche psalmista, era il termine generico che designava un cantore di musica sacra o profana (in greco, psaltēs).
A differenza dei lettori, i cantori non erano normalmente annovati tra gli ordini clericali minori, e dunque non conseguivano l'ordinazione di diacono o presbitero. Tuttavia, Isidoro di Siviglia (560 ca. - 636) assegnò al cantore un posto intermedio tra il portiere e il lettore.
Secondo un canone del IV Concilio di Cartagine del 419, un prete poteva assegnare l'incarico di cantore senza l'approvazione del vescovo, purché lo ammonisse che doveva credere in cuor suo alle parole che cantava («quod ore cantas, corde credas»), frase ripetuta nel successivo pontificale (Pontificale Romanum: De officio psalmistatus). Alcuni pontificali francesi prescrivono per il vescovo che benedice il nuovo cantore di mettere nelle sue mani un Antifonario, simbolo del suo ufficio.
Nei monasteri e nelle cattedrali l'ufficio di cantore acquisì un'importanza crescente, sino ad assumere responsabilità nella supervisione della liturgia e la formazione di giovani cantori.
I trattati del periodo medievale indicavano con il termine cantor il cantante che eseguiva la melodia, alla quale il discantor aggiungeva un contrappunto. Va comunque detto, che i teorici medievali tendevano a descrivere il cantore come una figura poco edotta circa la complessa conoscenza teorica, posseduta, invece, dal musicus. Uno degli esempi più celebri in proposito, si trova nelle Regulae Rhythmicae di Guido, che inizia il suo trattato assimilando il cantore alla bestia: «Musicorum et cantorum magna est distantia: Isti dicunt, illi sciunt, quae componit musica. Nam qui facit, quod non sapit, diffinitur bestia».
Nel secondo Quattrocento, Johannes Tinctoris definì semplicemente il cantore: «cantor est qui cantum voce modulatur».
Durante il Medioevo, il cantore principale di molte cattedrali inglesi divenne noto come precentor, e ancora oggi continua a svolgere una funzione fondamentale nelle formazioni corali anglicane.
Nella chiesa luterana il compito del cantore (Kantor) era tradizionalmente abbinato a mansioni educative con responsabilità musicali.
Nella chiesa cattolica romana, il Concilio Vaticano II ha ripristinato il ruolo tardo-antico del cantore come guida del canto congregazionale, ma la maggior parte di coloro che assumono tale ruolo, oggi purtroppo ha solo una modesta preparazione musicale.

Quella di "40 anni vergine"

Ok, la scena stessa è stata ovviamente sceneggiata, ma ogni linea di dialogo che esce dalla bocca di Carrell è solo lui che improvvisa, niente nel personaggio.




Il Professor Moriarty.



Arthur Conan Doyle, stanco di scrivere Sherlock Holmes, dovette creare un personaggio in grado di ucciderlo. Una cosa non facile da fare.

"È il Napoleone del crimine, Watson. È l'orchestratore di metà di ciò che è malvagio e di quasi tutto ciò che passa inosservato in questa grande città. È un genio, un filosofo, un pensatore astratto. Ha un cervello di prim'ordine. Se ne sta seduto immobile, come un ragno al centro della sua ragnatela, ma quella ragnatela ha mille diramazioni, e lui conosce bene ogni fremito di ciascuna di esse."

―Sherlock Holmes al dottor Watson, mentre parla del professor Moriarty.


 


Ti consiglio di dedicare parte del tuo tempo a questa, non sacrificando il tempo dello studio:

  1. Studiare.

  2. Trovarti un vero lavoro nel tempo libero per aiutare i tuoi genitori e imparare a vivere nel mondo reale (oltre che fare esperienza e CV).

  3. Divertirti. Innamorarti. Socializzare. Fare casino. Imparare fuori dalla scuola.

  4. Vivere la tua età.

  5. Consumare meno materiale e concetti stupidi e confusi, e più materiale scelto con maggiore oculatezza. La capacità di filtrare e ignorare le sciocchezze di chi vuole venderti idee omicide perché ne ha beneficio (ad esempio perché così compri i suoi corsi o lo segui), è una delle skill più importanti degli umani funzionanti in questo periodo storico.

Per la "carriera online" (qualsiasi cosa voglia dire), avrai tempo.

E arriverà naturalmente se è coerente con le tue attitudini, con i desideri del mercato, con ciò che ti piace fare (anche gratis).




Innanzitutto, un'industria con un vantaggio competitivo in termini di manodopera qualificata: scrittori/registi/attori/produttori/personale di supporto.

Hollywood negli ultimi 100 anni è arrivato a simboleggiare:

1 - Cultura e creatività americana.

2 - Uno spazio creativo per registi, produttori, distributori.

3 - Una preziosa fonte di profitto.

4 - Un veicolo politico per propagare i valori socio-economici americani.

5 - Un luogo ricco di opportunità e potenzialità economiche.

6 - Una "qualità stellare" che cattura e affascina il pubblico di massa in tutto il mondo.

7 - Una rete simbiotica di college/università, scuole di cinema/dramma a sostegno del vantaggio competitivo mondiale di Hollywood.