Autopubblicazione, alcune riflessioni




Autopubblicare un libro è una lotteria. Puó andare incredibilmente bene o incredibilmente male.
Le piú grandi difficoltà che uno scrittore autopubblicato affronta sono relative alla promozione e alla vendita del proprio libro dato che, in linea generale, non ha accesso a piattaforme e a competenze tali da permettegli una grande diffusione del proprio titolo.
L'avvento di Kindle (e altre piattaforme come kobo, bookwire etc) ha sdoganato l'autopubblicazione rendendola alla portata di tutti ma, allo stesso tempo, rendendo molto difficile la consultazione e la ricerca di un libro di alta e media qualità da parte dei lettori.
Nel momento in cui si pubblica un libro su Kindle (per esempio), ci si inserisce in un mercato saturo con milioni di titoli che fanno da "concorrenza" e dove difficilmente si trovano libri autopubblicati nelle top chart né nelle ricerche organiche.
Per far si che un libro appaia nelle prime posizioni delle varie keyword di ricerca ci sono vari strumenti (Kw planner, KDP Rocket KDPSpy, etc), strategie da applicare (Funnel di lancio, automazioni, costruzione di una mailinglist, chatbot, integrazioni con social networks, etc), piattaforme a cui attingere (AMS, Piattaforme di distribuzione POD, etc.) Il problema è che uno scrittore autopubblicato difficilmente ha la possibilitá di accedervi.
Vi sono poi anche altri aspetti relativi a correzione del testo, beta reading, disegno della copertina, distribuzione etc.
Nella maggiorparte dei casi, gli scrittori che decidono di autopubblicare il proprio libro si occupano in prima persona di tutti gli aspetti della pubblicazione e preparazione del manoscritto. Spesso, questo, genera dei risultati controproducenti in termini di vendita.
Risparmiare per non affidarsi a dei professionisti, dei correttori, dei grafici si paga nel momento in cui si mette in vendita un prodotto non attraente o contenente errori grammaticali o strutturali.





Il club dei presunti evasori dall'ugola d'oro allunga la sua lista. Dopo Pavarotti, Tiziano Ferro, Marcella Bella, Umberto Tozzi, Renato Zero, Vasco Rossi, Zucchero Fornaciari, ecco la new entry Gianna Nannini.
La Guardia di Finanza ha sequestrato la bella villa senese con magazzini, autorimessa e scuderia (anche i cavalli?) perché è accusata di evasione fiscale per circa quattro milioni di euro. I dettagli sono stati snocciolati dal Corriere della Sera secondo cui la cantante avrebbe sottratto al fisco 3 milioni e 750mila euro interponendo tra la sua società milanese, una società di diritto irlandese e un'altra di diritto olandese. Questo in modo da non pagare al fisco italiano le royalties dei dischi e dei concerti, delocalizzandole in paesi in cui la tassazione è più favorevole. Una quota di questa evasione (126mila euro) sarebbe stata realizzata detraendo dalle dichiarazioni dei redditi costi «inerenti attività canora» e che invece (dopo che la Gdf ha sentito fornitori e operai), secondo l'accusa sarebbero serviti non per i palcoscenici dei concerti ma per arredi e decorazioni di una casa della Nannini. Con parte della somma evasa, la cantante avrebbe comperato anche un appartamento nel quartiere londinese di South Kensington.
Fin qui i fatti, tutti ovviamente da verificare. La cantante – tranquilla a detta del fratello Alessandro - non si sente per niente un evasore tanto che ricorrerà immediatamente contro il sequestro e farà valere le proprie ragioni. Ci sarà da aspettare secoli prima di capire come andrà a finire. Così come non si capisce come si siano conclusi i processi a carico di tanti artisti italiani che sono stati sbattuti in prima pagina al pari di delinquenti di primo pelo.
Ma il nome famoso attira l'occhio. Ti fa pensare che nessuno può evitare la scure della legge, che il nostro fisco ci strangola ma è anche bravo a scovare gli evasori, che anche quelli famosi prima o poi devono pagare. E ci sentiamo meno oppressi. In realtà, di queste mediatiche operazioni antievasori poco resta attaccato all'osso. E molti di questi vip la spuntano con l'Agenzia delle entrate. Hanno soldi e bravi professionisti da sfoderare a differenza dei poveri diavoli che invece devono pagare fior di sanzioni se sbagliano qualche riga della dichiarazione dei redditi.
Ma da che parte sta il giusto? È corretto dare il messaggio che i nostri cantanti sono degli evasori quando ancora è tutto da verificare? Oppure sono le leggi da rifare?
Silvio Ceci, noto fiscalista che ha difeso il comico Luca Laurenti con successo contro le accuse del Fisco, ammette che l'attuale normativa si presta a diversa interpretazione. «La verità è che operazioni come quelle compiute dalla Nannini sono formalmente legittime. È il nostro legislatore e la Cassazione che le qualificano come “elusive“, parificandole all'evasione fiscale».
Il limite è molto sottile. E quando una società trasferisce all'estero la sede legale per pagare meno tasse si pensa subito al peggio. «In realtà lo ha fatto anche la Fiat trasferendo in Olanda la sede per evidenti vantaggi fiscali– aggiunge Ceci – e quindi che facciamo arrestiamo anche Elkann e Marchionne?» Ceci parla di «pianificazione fiscale» e il nome la dice lunga sul ginepraio di leggi e leggine esistenti. «Purtroppo, ammette il fiscalista, ci sono troppe differenze di aliquote nei diversi paesi europei che andrebbero armonizzate: se la Ue esiste deve esistere per tutti».
Del resto, finché non cambia qualcosa in Italia, l'elusione e l'evasioni cresceranno a dismisura.



Risultato immagini per Punk (cultura)



Punk è un termine inglese (che come aggettivo significa di scarsa qualità, da due soldi) nato per identificare una subcultura giovanile emersa negli Stati Uniti e nel Regno Unito a metà degli anni settanta.
Il termine nacque dalla musica punk, o meglio punk rock, una musica rozza, rumorosa, poco complessa, ribelle e diretta, nata a metà anni settanta tra Stati Uniti e Gran Bretagna con gruppi come The Stooges, Ramones, Sex Pistols, Dead Boys, The Damned o Clash e portata avanti ancora dopo negli anni a venire fino a oggi con le relative evoluzioni.
La storia molto complessa del movimento punk ha influenzato numerose forme d'arte e aspetti culturali in genere, dalla musica alla letteratura, dalle arti visive alla moda.

Storia
Origine (1974-1976)
Per essere precisi, la musica punk cominciò a emergere nei primi anni settanta nella East Coast degli Stati Uniti, in particolare a New York e Detroit. La corrente però non era ancora conosciuta come punk rock, poiché il termine nacque qualche anno dopo. Questo movimento musicale era quindi identificato come una continuazione del garage rock degli anni sessanta, genere la cui caratteristica era, appunto, un'essenza grezza e assai diretta, rispetto ad altri generi di rock & roll. Il genere poteva però essere definito anche come hard rock, infatti gruppi come MC5, The Stooges o Patti Smith erano musicisti che si rifacevano in parte a questo stile. Tra i più noti gruppi proto-punk vanno annoverati The Stooges, MC5, Iggy Pop, New York Dolls, Talking Heads, Television, Blondie, Devo, Patti Smith e molti altri.
I gruppi in questione erano quindi riconosciuti come garage rock, hard rock, glam rock o semplicemente rock & roll. Alcuni gruppi dei primi anni settanta infatti, incorporavano tipici elementi glam rock, su tutti i New York Dolls, poi Iggy Pop, ma anche David Bowie, Roxy Music e altri. Questa prima fase sarà chiamata "proto-punk", poiché questi gruppi connotavano elementi stilistici tipici del punk rock, ancora prima della sua nascita e quindi del suo riconoscimento.
Il termine punk rock nacque verso i metà anni settanta, tra i primi a essere definiti in tal modo saranno i Ramones, nati nel 1974. Come molti altri gruppi della corrente, i Ramones incorporavano elementi tratti dal garage rock, surf, british invasion e più generalmente rock & roll, uniti a sonorità grezze, distorte e prive di tecnica strumentale. Emergeranno anche altre band come The Heartbreakers di Johnny Thunders (ex membro dei New York Dolls), Dead Boys e i The Voidoids di Richard Hell (vero inventore dell'abbigliamento punk britannico). Questa ondata, riconosciuta come la prima ondata di punk rock, verrà identificata come Punk 77, ovvero l'ondata di gruppi punk rock, sviluppati verso la seconda metà degli anni settanta. Questa ondata comprenderà gruppi di diverse nazionalità, ma soprattutto statunitensi e britannici.

Punk britannico (1975-1982)
Il punk rock poco dopo migrò anche nel Regno Unito, ma gruppi "proto-punk", erano già presenti anche nel Regno Unito, ad esempio 101'ers (dove militava Joe Strummer prima di approdare nei Clash), David Bowie, Roxy Music o The Who. Questi però erano più vicini ad altre correnti, come glam rock, progressive rock, pub rock o british invasion, e in questo senso, non furono considerate band seminali per lo sviluppo del punk rock, non più importanti dei loro colleghi statunitensi che già in precedenza connotavano le sonorità tipiche.
Il punk musicalmente non nacque nel Regno Unito ma vi sviluppò il look e più tardi l'ideologia vera e propria. Tralasciando i gruppi precedenti, la versione classica del punk britannico nacque grazie alla collaborazione di un manager, Malcolm McLaren. McLaren era già stato manager dei New York Dolls nei primi anni settanta negli Stati Uniti, ma tornò in patria poco dopo aprendo un negozio d'abbigliamento con la moglie stilista Vivienne Westwood. Il negozio, chiamato "Sex", proponeva però articoli particolari, sadomaso, alternativi e in controtendenza. Nel 1975 McLaren ebbe la geniale idea di raggruppare alcuni ragazzi tra commessi del posto, frequentatori e conoscenti, teppistelli di quartiere, per fondare un nuovo gruppo musicale dalle caratteristiche provocatorie e grezze. Assieme alla moglie, studiò l'abbigliamento per la band, e verso la fine del 1975 nacquero i Sex Pistols.
Il loro look era composto da vestiti strappati, capelli corti, spettinati e spesso colorati, indumenti sadomaso-fetish, giubbotti e pantaloni in pelle, catene, borchie, spille da balia, lucchetti usati come collane, collari borchiati, svastiche (al solo scopo di scandalizzare), lamette, tutto appariscente e provocatorio.
Venne poi fuori che il look era stato copiato da quello del meno noto Richard Hell & The Voidoids. Non a caso, il punk rock era ispirato anche al glam rock - come detto, McLaren aveva già collaborato con i New York Dolls, tra i gruppi glam rock statunitensi più noti e tra i primi a connotare gli stilemi tipici del punk rock.
I Sex Pistols esordirono quindi nel 1975, iniziando concerti attorno a Londra e introducendo testi, elementi e atteggiamenti provocatori, probabilmente in parte su commissione del manager. Il loro look non era da meno dei loro atteggiamenti e il loro modo di essere, erano infatti conosciuti per la bizzarra abitudine di sputare continuamente e di fare dello sputo addirittura un proprio simbolo, erano inoltre famosi per la loro attitudine violenta, una violenza diretta non solo contro gli altri ma anche contro se stessi, secondo veri e propri atteggiamenti autolesionisti e nichilisti come il tagliarsi il corpo con lamette senza un preciso motivo se non quello di causare shock tra la gente che assisteva a tali scene. Il gruppo inventò anche il "pogo", un particolare ballo che si basava tutto su salti e spintoni, e che fu successivamente imitato o anche esplicitamente copiato da tantissime altre sottoculture giovanili.
I Sex Pistols, scandalizzando l'Inghilterra e il mondo, cambiarono radicalmente l'immagine del punk. Se prima il genere rappresentava semplicemente una musica più grezza e leggermente provocatoria, ma non più di altri gruppi rock & roll, dopo il loro passaggio divenne sinonimo di nichilismo, teppismo, caos, disordine ecc. Secondo l'opinione comune, i punk ormai incarnavano perfettamente l'immagine di "giovani teppisti", e così spesso nei film o nei libri degli anni ottanta i teppisti e i vandali che infestano le metropolitane e le strade durante la notte saranno raffigurati come dei Punk.
«Essere punk vuol dire essere un fottuto figlio di puttana, uno che ha fatto del marciapiede il suo regno, un figlio maledetto di una patria giubilata dalla vergogna della Monarchia, senza avvenire e con la voglia di rompere il muso al suo caritatevole prossimo.»
(Johnny Rotten)
Nonostante ciò, il Regno Unito proponeva molti altri gruppi punk dalle caratteristiche più moderate, non sostenendo atteggiamenti nichilisti. Tra i numerosi esponenti del punk rock britannico, troviamo i Damned, Stranglers, Clash, Sham 69, The Adicts, The Vibrators, Buzzcocks, The Jam, Siouxsie and the Banshees, Stiff Little Fingers, Generation X ecc, che seppur in minima parte imitavano l'attitudine dei Pistols, non seguirono appieno il loro esempio. Ormai però le masse erano state condizionate dall'immagine dei Sex Pistols, e il significato del punk, per molti esterni al movimento rimarrà quello del nichilismo, caos e teppismo.

Punk & Skins
Il movimento skinhead cominciò a riemergere con l'ondata di punk rock britannica. Questa sintonia tra i due movimenti nacque appunto con la nascita nel punk britannico nella seconda metà degli anni settanta, dove il movimento skinhead, sviluppato negli anni sessanta ma decaduto qualche tempo prima, riemerse promuovendo il neonato punk rock come la nuova musica eletta, al contrario dei precedenti skinheads (skinhead original), che erano indirizzati sulla musica nera giamaicana (Ska, Rocksteady, Reggae ecc..).
I due movimenti, promuovendo quindi la stessa musica, condividendo spesso la stessa filosofia, e originando dalla stessa nazione, cominciarono ad avvicinarsi (non a caso skinhead e punk condividono alcuni tipi di abbigliamento). Nacque così anche il motto "Punx & Skins" promosso da diversi gruppi Street punk e Oi!. Non a caso, il genere street punk indica sia il genere sostenuto dagli street punx sia quello sostenuto dagli skinheads, ovvero l'Oi! (indicato in ogni caso anche come una forma di street punk).

Punk americano (1978-1986)
Come reazione alla nascita del punk britannico, verso i fine anni settanta, anche negli gli Stati Uniti il punk cominciava a distaccarsi sempre più dalle radici del rock & roll. La prima area statunitense sottoposta a questo cambiamento fu l'area di Los Angeles e California, dove i gruppi cominciarono a indurire le sonorità, tra questi Circle Jerks, The Germs, The Weirdos, The Dickies, Black Flag, Dead Kennedys e molti altri. Molti di questi imitarono il look e lo stile di vita nichilista tipico di una parte del punk britannico.
La svolta nel punk americano arrivò con lo nascita dello Straight Edge, uno stile di vita derivante dalla subcultura punk, che prevedeva l'astinenza da tabacco, alcol, droghe, rapporti sessuali occasionali per non alimentare il sistema e la schiavitù dai suoi prodotti. Questa filosofia si sviluppò quindi in controtendenza al punk nichilista e autolesionista, soprattutto britannico. Esso era stato introdotto dalla hardcore punk band dei Minor Threat durante i primissimi anni ottanta, e per certe sue posizioni anti-nichiliste aveva similitudini con la filosofia dell'Anarcho punk britannico.

Anni successivi (1985-oggi)
Ideologie
Risulta impossibile però collocare l'"ideologia" punk odierna in un'unica corrente di pensiero, dato che col tempo, il movimento si è suddiviso in un'infinità di diverse classificazioni, che vanno dall'anarchismo al comunismo fino al nazismo, oppure semplicemente la neutra apoliticità.
A unire tutti gli appartenenti al movimento punk sotto un'unica causa è il rifiuto per qualsiasi forma di controllo, tra cui il controllo sociale esercitato dai mass-media e dalle organizzazioni religiose.

Punk 77
Durante la prima ondata (Punk 77), il punk non aveva indirizzamenti politici e atteggiamenti specifici; vi erano gruppi che esponevano un abbigliamento glam rock, altri vicini al movimento mod, altri si basavano puramente sulla provocazione, altri ancora riprendevano un'attitudine rock & roll, non era una filosofia specifica e la politica non era presente, come nel resto della scena rock & roll. In sostanza era un movimento molto vario e considerato generalmente come parte del rock & roll, ma con caratteristiche relativamente più grezze.
Il passaggio dei Sex Pistols influenzò e ispirò molti gruppi, che tentarono poi di imitarli. Anche se il gruppo assumeva atteggiamenti provocatori promuovendo l'anarchia, il nichilismo, la droga, la ribellione, infine si rivelò unicamente come un metodo per attirare attenzione, pubblico e pubblicità, e non come una seria posizione politica contro le istituzioni; quello che il gruppo promuoveva, non era certo a scopo propagandistico. Nonostante ciò, i Sex Pistols furono essenziali poiché diedero al punk l'immagine di un genere contaminato dalla politica. Sarà infatti dopo il loro passaggio, che molti gruppi punk successivi, gradualmente manifesteranno la propria politica solitamente vicina a posizioni anarchiche. Anche se molti successori dei Pistols, criticheranno i loro già citati atteggiamenti "falsi", sarà proprio grazie a questi ultimi che il punk verrà identificato nella maggior parte dei casi, come appartenente alla fazione anarchica, o comunque vicino alla politica indipendentemente dalla posizione (poco dopo infatti, una parte verrà presa dall'estrema destra).
Ma dopo l'ondata punk 77, che andava ritirandosi verso la fine degli anni settanta anche a causa del declino e lo scioglimento dei Sex Pistols (1979), la moda del punk era terminata. Il genere entrerà nell'underground e al di fuori del mainstream. Assistiamo così allo sviluppo dell'hardcore punk, ovvero un genere di punk, in origine underground, che perdeva le influenze rock & roll del primo punk rock, per lasciare spazio a sonorità più dure, dirette, e nella maggior parte dei casi, pesantemente influenzato dalla politica. Questo genere non poteva riscuotere successo proprio a causa delle sonorità totalmente caotiche e inorecchiabili, e delle visioni contro la società moderna. Esso quindi si sviluppò per ovvi motivi al di fuori della portata dei media e delle major discografiche. Esso si sviluppò sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito a cavallo tra gli ultimissimi anni settanta, per poi svilupparsi completamente e venire riconosciuto negli anni ottanta. Sarà proprio dall'hardcore punk che cominceranno a emergere le diverse filosofie relative al punk, corrente che assumerà un'identità precisa proprio in questi anni, proprio attraverso questo nuovo sottogenere chiamato "hardcore punk".

Street punk
La corrente punk continuava a evolversi, diramarsi e dividersi. Una delle principali nuove correnti sarà lo "street punk", ovvero il movimento che si proponeva come continuo della corrente punk britannica fondata dai Sex Pistols, sia nel look con creste multicolori (creste emerse proprio con questo movimento), borchie e giubbotti di pelle, generalmente molto vistosi e curati, sia nell'attitudine, spesso e volentieri libera da ogni influenza politica e votata esclusivamente al disordine, caos e all'ubriacarsi. Gli street punks rappresentavano il lato peggiore della gioventù, spesso non erano legati a nessun genere di politica ed erano dedicati principalmente alla provocazione, alla trasgressione e spesso all'Anarchia (intesa però solo come caos e disordine, non in senso politico). Tra i primi gruppi street punk notiamo i Funeral Dress, Abrasive Wheels, Anti-Pasti, Special Duties, Exploited e molti altri.
Anche se la versione "classica" dello street punk è vista comunemente come anarchica, esistono street punk più o meno politicizzati, la maggior parte seguono appunto la filosofia anarchica, votata però al caos, chiaramente ispirati ai Sex Pistols, diversamente dall'interpretazione di Anarchia promossa dagli Anarcho punk. Alcuni si promuovono invece apolitici, riproponendo la prima visione apolitica del Punk 77. Altri ancora si promuovono apolitici, ma simpatizzanti per la sinistra, o addirittura appartenenti a quest'ultima, alcuni ancora si proclamano apolitici ma oppositori del Comunismo, e spesso anche simpatizzanti per l'estrema destra, venendo chiamati Punk's Not Red. Altri si promuovono esplicitamente nazisti, venendo definiti semplicemente Nazi punk. In ogni caso, il classico stereotipo del punk da copertina, viene definito anarchico, come nella maggior parte del movimento.

Nazi punk
Sid Vicious durante il periodo di carriera nei Sex Pistols, era solito esporre simboli di estrema destra a scopo scandalistico, e provocatorio. Egli fu inoltre imitato da altri gruppi punk dell'epoca come Siouxsie Sioux dei Siouxsie and The Banshees, e Captain Sensible dei The Damned ma anche Wattie Buchan degli Exploited. Fu proprio il loro gesto interpretato erroneamente, che avvicinò alcuni giovani punk al neonazismo, provocando le formazioni di veri e propri punk neonazisti, ufficialmente già nel 1978. La storia di questa fazione all'interno della subcultura del punk risale appunto al 1978, con un'organizzazione nata in Inghilterra conosciuta come Punk Front. Questo gruppo era una divisione del National Front, partito di estrema destra inglese. Anche se l'organizzazione durò soltanto un anno, riuscì a reclutare numerosi punk inglesi, così da formare diverse Punk Band razziste. L'organizzazione del "Punk Front" ebbe breve vita, ma il movimento continuava a espandersi.
Successivamente infatti, il movimento si allargò anche all'estero fino ad arrivare negli Stati Uniti verso l'inizio degli anni ottanta, durante gli anni d'oro della scena Hardcore punk americana.

Anarcho punk
Mentre il primo movimento punk britannico, e poi il suo continuo street punk, erano interessati all'anarchismo per il suo valore provocatorio, durante i fine anni settanta, l'Anarcho punk capeggiato dalla band Crass, si ispirò a idee più profondamente anarchiche e pacifiste, rivelandosi più coerente nei confronti dal significato stesso di anarchia. Essi posero così le basi per lo sviluppo di questa ideologia, ed ebbero una notevole influenza sui movimenti di protesta dei successivi due o forse più anni. In pratica fu la prima punk band a mettere in atto il vero significato che stava dietro all'anarchia.
Molti anarcho punk sono sostenitori di idee come l'animalismo, l'anti-sessismo, il pacifismo e il vegetarismo e hanno posizioni anti capitaliste ecc. Gli Anarcho punk adottarono un look leggermente distinto da quello del classico punk; se da una parte era composto da toppe, spille e scritte come quello Street punk o punk classico, non era così appariscente e curato, raramente sfoggiavano creste alzate, ma comprendeva abiti per la maggior parte neri, per contrastare il look variopinto e appariscente degli Street punk. Anche se non in tutti i casi, gli Anarcho punk prediligevano una filosofia animalista, questi individui quindi per coerenza, non vestivano indumenti di pelle.

Straight Edge
Nei primi anni ottanta negli Stati Uniti, comincia a emergere la filosofia Straight Edge (abbreviato in sXe, xXx o Edge). Questa etica, analogamente all'anarcho punk nel Regno Unito, si contrapponeva alla visione nichilista e autodistruttiva del classico punk britannico.
Esso infatti è uno stile di vita che prevede l'astinenza dall'uso di tabacco, alcol, e droghe, e dai rapporti sessuali occasionali, rifiutando tutto ciò che ritenevano essere un veleno materiale e psichico imposto dalla società capitalista (medicine, mass media ecc...). Il movimento fu iniziato nei primi anni ottanta da Ian MacKaye, leader del gruppo hardcore punk dei Minor Threat, e prendeva il nome da un loro famoso brano omonimo.

Il punk in Italia
Il movimento punk si affacciò presto anche in Italia, già alla fine degli anni settanta si notavano i primi rari esponenti. Nei primi anni ottanta esso emerse con maggiore evidenza, soprattutto nel nord, e in particolare a Pordenone, Bologna, Milano, Pavia, Torino, Padova e Venezia.
Il genere si sviluppò in diverse frange: sotto un profilo non ideologico nascevano band che facevano del divertimento la loro filosofia. Dove le sonorità erano più orecchiabili e i testi spesso demenziali, o critici nei confronti della società, ma sempre con una vena ironica e implicita. Questo filone ebbe origine con gruppi come Skiantos, HitlerSS, Tampax, Kandeggina Gang, Mercenary God ecc. e fanzine-punkzine (giornaletti autoprodotti dai punk stessi) come Dudu, Xerox, Pogo, Punkreas, Leave Home, T.V.O.R. Teste Vuote Ossa Rotte, Attack punkzine ecc.
Parallelamente, il punk si sviluppava anche in Italia nella sua parte ideologica, anticommerciale e anticonformista. Una parte di questo, l'anarcho punk, era molto forte in Italia già nei primi 80. Anche lo straight edge cominciò a migrare in Italia in questo periodo. Secondo il filone "ideologico", sorsero quindi gruppi hardcore punk come Bloody Riot, Klaxon, Traumatic, Wretched e Nabat (questi ultimi diventati quasi subito Skinhead), tralasciando altre esperienze come quella dell'anarcho punk che hanno rivestito pur loro dei ruoli molto importanti, ma al di fuori dall'ottica punk tradizionale. La scena Punk italiana di questi anni era fra le più ferventi al mondo. Gruppi come Total Chaos o i Negazione si ricordano anche negli Stati Uniti per le loro tournée americane.
Un discorso a parte meritano i CCCP Fedeli alla linea di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, che si definivano "emiliani e filosovietici".
Un altro gruppo che influenzò una buona parte dei gruppi hardcore punk italiani furono i Nerorgasmo, tra le più radicali punk band italiane proponevano un hardcore punk cupissimo e nichilista, proprio in opposizione all'anarcho punk.
Attualmente, il punk rock italiano "non ideologico", diversamente dall'hardcore/anarcho punk, è molto in voga tra i giovani, ed è attivo con gruppi come Cattive Abitudini, Pornoriviste e Derozer; anche se è spesso molto più indirizzato sulla melodia, toccando quindi gli stilemi del pop punk e non connotando alcun tipo di ideologia relativa al punk, se non alcuni leggeri accenni impliciti all'anticonformismo, il più delle volte indirizzato a sinistra.
La prima canzone definibile punk, in Italia, è stata "Mamma Dammi La Benza" dei Gaznevada, saliti su di un palco a Bologna nel settembre del '77. Il primo disco punk italiano è l'EP Tampax-HitlerSS.





Amplio una risposta a una domanda che ho dato qualche tempo fa, aggiungendo una premessa: il mercato dell’editoria avrà sempre bisogno di libri per funzionare e dobbiamo allontanarci dall’idea che solo i grandi scrittori pubblicano. Mi dispiace dirlo così, ma diciamo che per pubblicare non bisogna essere i novelli Joyce, anche se tutti sperano di esserlo.
Certo bisogna essere credibili e soprattutto dimostrare di essere competenti. Ma bisogna capire anche che cosa si intende con “essere uno scrittore”.
Forse al giorno d’oggi è un po’ vaga come professione: i giornalisti, ad esempio, non sono scrittori? E d'altro canto basta scrivere libri per essere scrittori? Ci sono imprenditori che pubblicano libri, o anzi persino libri sulle storie delle aziende: i loro autori sono per queso scrittori? No, palesemente si tratta di marketing.
Sicuramente la differenza risiede nella professionalità. Senza aver pubblicato un libro o dimostrare a tutti i costi di essere un topo di biblioteca, significa almeno restare al passo con le tecnologie e con i tempi, per dimostrare al colloquio con un editore di non avere portato semplicemente un manoscritto, ma il risultato di un lavoro professionale costante.
Insomma, per cominciare ad essere scrittori potrebbe essere un bene fare così:
  • Avere un blog curato su cui si pubblica regolarmente, almeno su base settimanale.
  • Avere un tema preciso. Scrivere di qualunque cosa ci passa per la mente, dalla politica al commento di fatti accaduti al cinema, è molto vago e non fa sembrare impegnati ma scrittori occasionali.
  • Avere una mailing list di contatti a cui inviare i pezzi pubblicati in maniera molto discreta, senza che li cerchino sul blog.
  • Aggiornare di conseguenza i propri profili social. È un po’ banale ma probabilmente converrebbe fare un account Twitter, anche se lì la userbase o punta solo ad accrescere il numero di fan senza badare ai contenuti o è fatta da spam. Probabilmente LinkedIn sarebbe un posto dove pubblicare i pezzi, ovviamente se inerenti ai temi del network. Ad esempio, va bene pubblicare pezzi di politica o di storia magari recente, ma non storielle o che.
C'è chi dirà che anziché tirarsi addosso la fatica di fare un blog (che comunque sono tutte ottime competenze da acquisire) si può aprire un account su Medium, che per dirla semplice è come WattPad ma viene usato da gente più seriosa (non ho ancora trovato fan fiction o storielle varie). Medium è stato ideato dal fondatore di Twitter e ha alcune meccaniche simili, la più visibile delle quali è la possibilità di seguire e taggare gli utenti. Crescere il proprio profilo Medium e diventare seguiti può essere un’ottima cosa.
Se però punti anche ad esempio a racimolare qualche soldo dalla pubblicità o comunque non vuoi dipendere dalle policy di un social network ti consiglio proprio di curare un blog. Sembra un aspetto non indifferente, che comunque tocca soprattutto gli utenti più seguiti, ma il cambiamento di alcune politiche o talvolta del funzionamento di un social network può davvero mandare in aria tutto.
Medium, ad esempio, ha incluso un piano di abbonamento mensile per avere dei contenuti diversi. LinkedIn ha praticamente limitato il numero di follower che un utente può avere e gli “scrittori” si sono ritrovati da un giorno all’altro talvolta con un pubblico ridotto di diverse decine di migliaia di utenti. Questi sono alcuni tipi degli inconvenienti che potrebbero stravolgere il lavoro di uno scrittore o almeno autore su un social. Su un blog personale ce ne saranno altri sicuramente, ma sarà solo il titolare a doverli gestire.
Si può anche partecipare al National Novel Writing Month o NaNoWriMo, se si vuole tentare di pubblicare un libro o un tuo primo manoscritto.
Scrivere non è una vocazione, non più di qualunque altra professione. Richiede competenze ed esercizio costante, che con le risorse di cui disponiamo al giorno d’oggi rimpiazzano il “talento” o meglio la fortuna di essere nati benestanti che avevano molti degli scrittori della letteratura. Molta più differenza la farà sempre la sensibilità e l’empatia. È troppo facile parlare di “doti” “doni” o quant'altro: a fare la differenza è il modo con cui si racconta il mondo, che non è frutto di alcuna dote speciale o innata, se non dell’esercizio costante della comprensione degli altri e del loro punto di vista. Per questo motivo non esiste una ricetta per diventare scrittori, né tantomeno una scuola, né corsi online.



Risultato immagini per Cypherpunk



Un cypherpunk è un attivista libertario che sostiene l'uso intensivo della crittografia informatica come parte di un percorso di cambiamento sociale e politico, ad esempio violando archivi riservati per rendere pubbliche alcune verità scomode. Originariamente i cypherpunk comunicavano attraverso una mailing list, in gruppi informali con l'intento di ottenere la privacy e la sicurezza informatica degli account personali, attraverso l'uso della crittografia, contro governi e gruppi economici. I cypherpunk sono organizzati in un movimento attivo dalla fine degli anni '80, con influenze della cultura punk. Esempio di attivismo cypherpunk è il sito Wikileaks di Julian Assange. Nel Manifesto Cypherpunk di Eric Hughes si legge tra l'altro che: «La privacy è necessaria per una società aperta nell'era digitale. Non possiamo aspettarci che i governi, le aziende o altre grandi organizzazioni senza volto ci concedano la privacy. Dobbiamo difendere la nostra privacy se ci aspettiamo qualcosa. I cypherpunk scrivono il codice. Sappiamo che qualcuno deve creare i software per difendere la privacy, e ... lo stiamo facendo».


Risultati immagini per Il documentario su Justin Bieber


Guardare "Never Say Never", tre anni dopo che è stato girato rivela un sacco di cose tristi su Justin Bieber e sul patto col diavolo che ha firmato da giovanissimo, senza nemmeno saperlo.
Esattamente come milioni di ragazzine dagli otto ai sedici anni in tutto il mondo, ho guardato il documentario su Justin Bieber, Never Say Never. La sua première aveva tutta l’aria di un vero “evento televisivo”, fenomeno sempre più raro in un’epoca in cui l’alienante velocità con cui l’informazione ci gira attorno fa sì che nessuno si sincronizzi mai sulle stesse notizie. A parte questo, il documentario—girato circa tre anni fa—si pone come una sorta di capsula del tempo che isola uno specifico momento nella vita della più grande giovane popstar americana, facile quindi la messa a confronto con il piccolo uomo che è ormai diventato.
In quanto ibrido tra documentario e film-concerto, ambientato in un nulla culturale, Never Say Never è carino—come potrebbe fare schifo visto il budget e il brand di Bieber in gioco? - ma parla anche di un’amara verità sul Justin Bieber sedicenne, ovvero di come a quell’età così spaventosamente tenera, Bieber rimanga coinvolto in una vicenda Faustiana che lui stesso non si è ancora ben spiegato. Nel film viene costantemente seguito—da un vocal coach, dal suo manager, dalla madre, dalle schiere di giovani fan, dalle stesse telecamere. A un certo punto, il suo vocal coach si rivolge alla camera: “A volte Justin fa discorsi sul voler essere normale, e noi diciamo ‘Hai smesso di esserlo. Questa è la tua normalità’”. Avete mai pensato a quanto faccia cagare dire una cosa del genere a un sedicenne?
Justin Bieber entrò nella macchina del teen pop all’età di quattordici anni, prima che potesse effettivamente capire le conseguenze a lungo termine del diventare ricco e famoso. Arrivare ad avere la di fama di Justin Bieber è come entrare in una stanza dalla quale non si può più uscire. Never Say Never mostra un ragazzino incredibilmente talentuoso, che solo ora sta cominciando a rendersi conto delle difficoltà in cui si è messo da solo. Nonostante sia la star, è costantemente al lavoro per altri, che siano i fan o quelli che, all’apparenza suoi dipendenti e al servizio della sua “macchina”, gli controllano ogni singola mossa e si occupano di mercificare la sua persona al fine di tutelare il brand. Durante i tour è sempre accompagnato da adulti, gli unici momenti in cui interagisce con altri coetanei in vesti non professionali è quando torna al paese natio e si vede con i vecchi amici, risalenti al periodo pre-celebrità. Anche lì l’interazione è solo apparenza, forse addirittura tutta recitata.
In ogni caso Bieber fa un po’ lo stronzo con i suoi amici, deridendoli spietatamente per non essere bravi quanto lui a basket e vantandosi di aver incolpato il loro amico Nolan di aver rotto la zampa a un animale imbalsamato.
Pare che di recente Bieber si sia rivelato un coglione di prim’ordine, abbandonando scimmie in Germania, pisciando nei secchi, andando di matto se i suoi amici non riuscivano a entrare nei locali, e in generale comportandosi da impunito. Ma può davvero essere considerato una testa di cazzo quando Never Say Never ci dà uno scorcio di quella che è stata la sua adolescenza? Justin Bieber ha più a che fare con il protagonista di Ender’s Game di Orson Scott Card’s che con altre popstar prima di lui, realizzando le conseguenze delle sue azioni solo dopo aver estinto l’umanità intera. Ora che ha scoperto di essere solo un bullone di quel colossale macchinario chiamato “Justin Bieber”, non mi stupirei se si odiasse del tutto. Magari vorrebbe uscirne, ma ci sono troppi soldi da fare, troppe vite in ballo, troppa gente verrebbe delusa se lui si fermasse. Allora va avanti. Quando ho visto il suo live ho notato un chiaro senso di distacco nella sua esibizione, come fosse un fantoccio desideroso solo di superare lo spettacolo, montare sul suo autobus e riflettere.

Il Justin Bieber di Never Say Never era precoce; quello del 2013 sembra precocemente esaurito. Certo, milioni di ragazzine lo amano, ma vuole o ha davvero ancora bisogno di quell’amore? Bieber avrebbe bisogno di seguire l’esempio della collega/presunta nuova fiamma Miley Cyrus e registrare qualcosa in stile “We Can’t Stop”. Ciò che è bastato a Miley per sconvolgere la sua immagine originaria è stato un video di tre minuti e mezzo sbattuto in faccia al mondo con impunità. Justin può anche compiere un taglio morale del genere, ma l’unica mossa in grado di farlo crescere sarebbe il Justin Bieber di Never Say Never che si accorge di quanto lo spiccato senso del business, la superfama e il dover operare più per interesse altrui che per il proprio, siano tutte robe da dover mandare all’inferno.

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Noi non siamo nessuno per decidere chi è un genio, chi un idiota, chi macabramente matto o con chi non dobbiamo lasciare i nostri figli perché non gli venga avvelenato l’Estathè. Non siamo in grado. Però siamo sicuri che Micheal Zuk rientra in una di queste categorie. Almeno lo possiamo sospettare dopo aver letto un po’ sui suoi piani futuri, in particolare quelli che riguardano il VOLER CLONARE JOHN LENNON A PARTIRE DA UN DENTE CADUTO. Già.
Zuk, un dentista originario del Canada, ha trascorso diversi anni sfregandosi le mani, desideroso di portare a termine il suo progetto: prima ha sborsato 30,000 dollari per un vecchio dente del cazzo di John (eviteremo di commentare il fatto che l’ex Beatle abbia regalato il suo dente al suo vecchio padrone di casa).
Dopodiché, dato che il dente era talmente rovinato che se ne potevano trarre informazioni genetiche, è stato rimesso a nuovo e fortificato con quei metodi astrusissimi da film di fantascienza. Allora Zuk lo ha mandato a fare i relativi esami, in modo da sequenziare il DNA di Lennon, primo passo per poter clonarlo e farlo tornare tra i vivi.
“Essere partecipe del ritorno della stella più grande del rock sarebbe meraviglioso”, ha detto questo fuori di testa al The Guardian, solo per riservarci un altro paio di sorprese in più: sta già vendendo le copie del dente del Bitol, ha registrato un sottilissima parodia intitolata “Love Me Tooth” e, per tenerci aggiornati sui suoi avanzamenti, ha aperto un sito dal criptico nome “John Lennon Tooth”.