Risultati immagini per La cover del nuovo album di Drake fa schifo, oppure spacca



Questa è decisamente la cosa più Drake che Drake abbia mai fatto in vita sua.
Quella roba che vedete qua sopra è la copertina di Nothing Was the Same, il nuovo album di Drake la cui uscita è stata rimandata al 24 settembre, forse perché Drake si è voluto tenere una settimana libera dalla campagna di promozione pubblicitaria per giocare a GTA 5 senza interruzioni. O, forse, perché non l’aveva ancora finito. In ogni caso, si è comunque sentito in dovere di mostrare alle masse almeno la copertina dell’album. Fa schifo, stando al parere degli espertoni di internet. La grafica faccia-con-dietro-le-nuvole non è certo una cosa nuova, anzi assomiglia vagamente all’illustrazione di una carta di Magic. Oserei dire che è ridicola, e prova che Drake ha il buon gusto di un paio di pantaloni di velluto a coste.
O forse no?
Mettiamo le cose in chiaro.
Numero uno. Drake ha sicuramente fatto un bell’affare rivelando in anticipo la copertina dell’album. Nothing Was the Same sarà senza ombra di dubbio uno dei dischi più venduti dell’anno e, se si considera come sono stati accolti i singoli usciti fino ad ora, sarà anche tra i più apprezzati dalla critica. Il fatto che siamo qui a scrivere della sua copertina, fosse anche solo per prenderlo per il culo, è la prova di quanto hype si sia creato.
Numero due. La gente aveva voglia di prendere per il culo la copertina di Drake ancor prima di averla vista. Drake è il rapper più adatto a fare da ricettacolo al nostro scherno, ma in realtà le considerazioni su di lui non sono dettate da cattive intenzioni. Lo prendiamo per il culo semplicemente perché lo amiamo.
Numero tre. Drake è uno dei pochi rapper che riesce a far litigare la gente su una copertina. In realtà la maggior parte delle copertine di album sembrano appiccicate lì per caso, come fossero una cosa in più, specialmente nell’era del download digitale. La verità è che diamo così tanto peso alla questione perché abbiamo ormai etichettato Drake come un “artista”, alla stregua di persone come Kanye West, e quindi accettiamo la sua rappresentazione dell’arte come una parte del suo lavoro.
Tuttavia, consideriamo Drake un “artista” nella stessa misura in cui lo riteniamo uno un po’ pienotto di sé. Questo significa che ogni volta che Drake fa qualcosa–qualsiasi cosa–la prima reazione del nostro subconscio tende ad essere “In che modo posso prenderlo per il culo stavolta?” Drake potrebbe aver disegnato la copertina più figa di tutti i tempi e avremmo riso del suo darsi troppa pena, se invece avesse fatto qualcosa di davvero stupido avremmo schernito la sua poca voglia di lavorare. Credo che Drake abbia capito questo gioco, che in fin dei conti lo lascia libero di fare qualsiasi cosa voglia. Sappiamo che tutta la storia del passaggio dall’infanzia al mondo dei grandi ha per lui una grandissima importanza, pensate al video di “Started from the bottom”. Quindi, personalmente, ritengo lodevole il fatto che sia riuscito a stampare la copertina esattamente come aveva deciso di farla.
Inoltre, spero di non essere il solo ad essere un po’ turbato quando mi accorgo che l’opinione comune ritiene che un artista di talento come Drake non abbia alcun contatto con la realtà. Drake ha una connessione internet proprio come tutti noi. Sa perfettamente di tutto il circo che si è creato attorno a lui, e chi si convince del contrario sta mentendo a se stesso. Sembra quasi che fosse a conoscenza del casino che avrebbe scatenato con questa copertina, ma che dopo un bel “Vaffanculo” abbia deciso di fregarsene. Non è nemmeno così improbabile che sia anche consapevole del lato un po’ sfigato di quell’immagine, ma l’abbia ritenuta comunque di qualità. Solo un ubriaco potrebbe pensare che un artista non possa produrre qualcosa, investendoci tempo e risorse, pur trovandolo in un certo senso divertente. “Divertente” non è da intendersi come l’opposto di “serio”, e la copertina di Nothing Was the Same ne è la prova provata.
Alla fine la copertina di Nothing Was the Same risulta epica in un modo che la maggior parte dei dischi non osa nemmeno immaginare. Drake potrà anche aver ideato un’immagine un po’ strampalata, ma riesce comunque a evocare una consapevolezza, un peso e un’evidente aspirazione alla grandezza. Cosa c’è di più appropriato per Drake di questo?


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Secondo gli esperti la musica ad alto volume esacerba l'effetto dell'ecstasy nel cervello.


Ecstasy e musica, cocktail ad alto rischio
Secondo gli esperti la musica ad alto volume esacerba l'effetto dell'ecstasy nel cervello.
Quanto è determinante l'ambiente circostante durante l'assunzione di una droga? Gli effetti possono essere diversi? Pare proprio di sì, almeno per l'ecstasy. In un recente studio è stato infatti dimostrato che assumere ecstasy in ambienti con musica ad alto volume sarebbe 5 volte più dannoso (in termini di riduzione dell'attività cerebrale) rispetto all'assunzione della droga in un luogo tranquillo.

Quando i topi ballano.
Michelangelo Iannone, neurologo dell'Istituto di neuroscenze di Catanzaro, ha somministrato a 20 ratti alcune dosi di ecstasy. In seguito metà di loro è stata messa in un ambiente molto rumoroso mentre l'altra metà in uno tranquillo. L'attività cerebrale delle cavie è stata monitorata tramite l'elettrococleografia (EcoG), uno strumento che registra le risposte encefaliche a uno stimolo acustico.
Alzando il volume fino a 95 decibel (il massimo grado di rumore consentito dalla legge italiana), i ratti a cui è stata data un'alta dose di ecstasy hanno reagito con un drastico calo dell'attività cerebrale rispetto a quelle cavie che, a parità di dose, sono rimaste in un ambiente silenzioso. L'attività cerebrale di queste ultime è tornata normale dopo un solo giorno dall'assunzione della droga, rispetto ai cinque giorni dei topi che l'hanno assunta durante la simulazione di un “rave”.

Overdose di musica e droga.
È dunque possibile rapportare questo risultato anche sulle persone? Secondo John Mendelson del California Pacific Medical Center's Addiction Pharmacology Research Laboratory di San Francisco, i risultati sono molto approssimativi in quanto l'ecstasy è stata somministrata ai ratti in dosi molto più massicce di quanto non si sarebbe fatto con una persona. Anche Linda Cottler, della Washington University School of Medicine in St. Louis (Missouri), ha dubbi a riguardo, affermando che questo tipo di droga viene usata spesso anche fuori da discoteche o rave e che un fattore come l'alto volume non può determinare i danni cerebrali tanto quanto l'uso abituale di questa droga.
La cosa assolutamente certa è che l'ecstasy, come tutte le droghe sintetiche, provoca danni permanenti al cervello se usata costantemente e senza moderazione.

Nome in codice MDMA.
Ma che cos'è esattamente l'ecstasy? E quali sono gli effetti e le conseguenze di una sua assunzione prolungata? L'MDMA (3-4 methylenedioxymethamphetamine) è una droga sintetica che agisce in particolare sulle cellule che rilasciano la serotonina, il neurotrasmettitore che, oltre ad essere legato strettamente alla memoria, mette in collegamento tra loro i neuroni e regola il comportamento, l'attività sessuale, il sonno e la sensibilità al dolore.
Assunta a lungo termine ed in elevate dosi l'MDMA può danneggiare la memoria, interferire con la temperatura corporea, aumentare il battito cardiaco e la pressione del sangue. In alcuni casi e in particolare per le persone cardiopatiche, l'assunzione può essere letale.


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L'editoria a pagamento (in inglese, vanity press; in francese, édition à compte d'auteur) è il segmento del mercato editoriale in cui la pubblicazione di un libro è pagata dall'autore, direttamente o tramite l'acquisto di un numero prefissato di copie. L'espressione inglese è caustica nei confronti della "vanità" degli autori, solitamente di poesie o di romanzi, mentre quella francese sottolinea maggiormente il fatto che l'editore non si assume il rischio d'impresa, che ricade interamente sull'autore: l'attività dell'editore è in questo caso una mera prestazione d'opera (si intende invece per "editore a doppio binario" quell'editore che pubblica gratuitamente alcuni autori e a pagamento altri).
In Italia il fenomeno per cui è l'autore a pagare l'editore perché pubblichi il libro, diffuso già nell'Ottocento (ma allora si parlava di pubblicazione su commissione), è da decenni sempre più diffuso e noto anche con l'acronimo APS (cioè autore a proprie spese), inventato e reso di uso comune nella lingua italiana da Umberto Eco nel suo romanzo Il pendolo di Foucault, in un capitolo del quale narra le vicende di uno scaltro editore che, oltre alla normale attività imprenditoriale, pubblica anche aspiranti romanzieri e poeti, facendosi pagare per questo e mettendo in campo una serie di artifici e raggiri volti ad ingannarli rispetto alle effettive prestazioni che fornisce loro in cambio.
Afferente alla categoria dell'editoria a pagamento, ma con caratteristiche diverse, è il fenomeno dell'autoedizione, o autopubblicazione (self-publishing), che avviene rivolgendosi a una tipografia, o ricorrendo ai nuovi strumenti del print on demand ("stampa su richiesta") o book on demand. Nel caso dell'editoria a pagamento, lo stampatore ricopre anche il ruolo di editore, offrendo all'autore il servizio di correzione (editing), impaginazione e vendita nei canali commerciali; invece, nel caso dell'autoedizione, l'autore è anche editore di se stesso e l'unica prestazione professionale è quella della stampa del libro da parte di uno stampatore, commissionato direttamente dall'autore.
In tempi successivi è stata offerta anche una soluzione diversa: l'editore offre i servizi editoriali fino alla realizzazione del libro in formato .pdf, mentre la stampa è curata dall'autore tra le tipografie convenzionate, o, volendo, anche con una di sua fiducia. È l'autore stesso, poi che decide quante copie stampare e a curare le vendite e gli incassi.

Diffusione
Il fenomeno degli autori a proprie spese è sempre esistito, ma con la diffusione delle tecnologia di stampa digitale il costo "primo" per la pubblicazione di libri ha avuto un drastico ridimensionamento, rendendo perciò possibile la stampa di testi che prima "rimanevano nel cassetto". Innanzitutto il costo di composizione del testo si è quasi azzerato, perché in genere l'autore lo fornisce in formato digitale. La stampa digitale permette poi, pressoché agli stessi costi unitari, di produrre anche poche copie. A questo aumento del numero dei testi forniti dal mercato ha tuttavia corrisposto un aumento di difficoltà di essere presenti sul mercato tradizionale della diffusione commerciale. Molte delle librerie sono legate a grandi catene e anche quelle indipendenti sono sature di offerte, e se un testo non ha successo nel breve periodo viene subito ritirato dal mercato.
Se perciò da un lato la cosiddetta "soglia di ingresso" nel mercato si è abbassata sotto l'aspetto dei costi, dall'altro il concreto contatto con il grosso pubblico è diventato ancor più difficoltoso. Il sistema tradizionale di distribuzione dell'editoria cartacea non può sostenere tale enorme quantità di titoli. L'assorbimento degli stessi diventa invece più agevole con la distribuzione on line, che segue logiche diverse. Questa situazione ha visto il proliferare di centinaia di piccole case editrici che propongono contratti di edizione. Alcuni editori a pagamento bandiscono falsi concorsi, che vengono "vinti" da tutti coloro che vi partecipano, i quali poi ricevono il medesimo contratto di pubblicazione "con contributo".

Inquadramento del fenomeno
Per quanto sia legittima l'aspirazione a pubblicare una propria opera, anche quando questa non susciti interesse commerciale o culturale, e per quanto sia comprensibile il ricorso a un editore a pagamento, che pubblichi l'opera con qualità tipografica adeguata, fornendo all'autore la necessaria consulenza affinché il suo libro sia presentabile e apprezzabile, pur con una diffusione modesta anche soltanto tra amici e conoscenti, l'editoria a pagamento non gode di buona reputazione.
Ancora peggiore è la situazione che viene a crearsi quando l'editore a pagamento non offre servizi editoriali adeguati a fronte del contributo richiesto, ad esempio editing e correzioni testuali che portino il dattiloscritto al meglio delle proprie potenzialità, presentazioni dell'opera pubblicata, partecipazione a fiere del libro e ad eventi culturali in genere, distribuzione almeno minima in libreria, apposizione del codice ISBN. Anche volendo ammettere il ricorso all'editoria a pagamento, occorre comunque equilibrio tra contributo versato da parte dell'autore e l'effettiva prestazione dei servizi di consulenza redazionale, grafica e tipografica sopra descritti. Quando ciò non accade, il rapporto rasenta, e talvolta supera, i limiti della truffa commerciale.
Miriam Bendìa, nel suo saggio Viaggio di una giovane scrittrice tra editori a pagamento, ha analizzato il fenomeno proprio dal punto di vista delle offerte poco chiare e truffaldine. Stessa cosa ha fatto Antonio Barocci nel saggio Manuale per non farsi pubblicare.

Editoria a pagamento e autori famosi
È capitato, in epoche passate, che alcuni autori poi divenuti affermati e famosi abbiano iniziato la propria carriera pubblicando a pagamento le loro prime opere: sono celebri i casi di Moravia, che nel 1929 ha pubblicato a pagamento Gli indifferenti; di Umberto Saba, che nel 1911 pubblicò a proprie spese con lo pseudonimo di Saba il suo primo libro, Poesie, con la prefazione di Silvio Benco; o ancora di Italo Svevo, che pubblicò a sue spese i primi due romanzi, Una vita nel 1893 e Senilità nel 1898. Anche quando ebbe una grande notorietà, Marcel Proust ricorse all'édition à compte d'auteur, perché non sopportava alcuna ingerenza da parte dell'editore. Relativamente recente è il caso di Federico Moccia, che nel 1992 pubblicò a proprie spese la prima edizione di Tre metri sopra il cielo. Al di là di questi casi eccezionali, sono però pochissimi gli autori di successo che hanno cominciato la loro carriera in questo modo, poiché generalmente la pubblicazione a pagamento viene considerata una macchia sul curriculum, una sorta di "peccato originale".

Editoria a pagamento ed editoria "sostenuta"
Un caso di editoria che in qualche modo potrebbe essere ricondotto al concetto di editoria a pagamento, ma che si differenzia in modo sostanziale da questa, è la cosiddetta "editoria sostenuta".
Quando un'opera è di alto livello culturale, ma anche estremamente specialistica (ad esempio un saggio approfondito su tematiche particolari), può accadere che nessuna casa editrice sia disposta a pubblicarla, poiché commercialmente avrebbe la certezza di ricavarne soltanto perdite. Allora sono enti e istituzioni (ad esempio fondazioni, o centri studi, o le stesse Università), che spesso ritengono meritevole di pubblicazione una monografia di un giovane ricercatore o di un autore ancora sconosciuto e decidono di contribuire alla spese di stampa. Questo tipo di sostegno ha un'elevata importanza culturale, poiché salvaguarda una parte della cultura di nicchia, promuovendone la diffusione e la circolazione e permettendo altresì la produzione di libri di alto livello scientifico e non soltanto di successi editoriali di largo consumo. Nel caso dell'editoria sostenuta è dunque l'istituzione che eroga il contributo a svolgere una funzione fondamentale che tradizionalmente spetta all'editore, quella di sottoporre al vaglio il libro da pubblicare (vaglio che invece viene completamente a mancare nell'editoria a pagamento).
Tuttavia l'asserita distinzione tra editori puri che si reggono sulle vendite ed editori che usufruiscono del contributo di autori o di terzi, spesso non è così netta. E talvolta anche grandi editori ricevono un contributo da parte di enti pubblici per l'edizione di opere in molti volumi di autori importanti per la storia della cultura patria, oppure di opere specialistiche e settoriali rilevanti, ma che non avrebbero sul mercato una vendita di copie sufficiente a pagare tutte le spese di stampa.

Edizioni nazionali
Di un livello e un interesse culturale assai più alto e generale, ma non dissimile nelle motivazioni, è la produzione delle Edizioni nazionali, in cui lo sponsor è addirittura un ministero. In Italia il Ministero per i Beni e le Attività Culturali si assume l'onere di retribuire i curatori dei testi critici e finanziare la stampa di voluminose opera omnia, che altrimenti ben difficilmente vedrebbero la luce, se dipendessero dalle richieste del mercato. Persino l'edizione nazionale di Tutte le opere di Gabriele d'Annunzio, pubblicate in 49 volumi dal 1927 al 1936 dal nuovo astro nascente dell'editoria italiana Arnoldo Mondadori, lungi dal reggersi solo sulle vendite, prevedeva un apporto di un milione e mezzo di lire da parte del Provveditorato generale dello Stato, contro un apporto di soltanto un milione da parte dell'editore Mondadori. A fronte di ciò lo Stato si riserva il diritto d'autore delle edizioni critiche per 20 anni.

Pubblicazioni specialistiche
Per il mercato scientifico o di alta specializzazione culturale, i testi scritti in italiano, quando non sono adottati in corsi universitari frequentati da un alto numero di allievi, in genere non hanno un sufficiente mercato. Diventa perciò prassi comune da parte anche dei più qualificati editori, richiedere un contributo, che può essere offerto o dall'autore, o dall'istituto culturale a cui è legato oppure da sponsor esterni.
Non è solo l'interesse degli autori alla diffusione del contenuto delle proprie idee o delle ricerche scientifiche: il più delle volte è la necessità di poter disporre di opere a stampa da presentare nei concorsi o comunque per fare carriera accademica. Peraltro gli editori di saggistica di livello elevato devono organizzare un sistema di revisione paritaria, che comporta evidentemente uno sforzo organizzativo, quando non addirittura spese vive.
Allo stesso modo se un testo in italiano vuole essere conosciuto all'estero, dove è più facile trovare un mercato di acquirenti, deve essere tradotto in inglese. Tuttavia gli editori internazionali, anche quelli di primissimo rango, esigono che il testo sia fornito, appunto, in lingua inglese di standard accademico. Se l'autore non è in grado di provvedere alla traduzione, deve procurarsi un contributo che copra le spese di traduzione.
Correlata a tale fenomeno vi è l'esigenza, negli ambienti accademici, di accumulare un certo numero di pubblicazioni, per cui la pubblicazione a pagamento può soddisfare esigenze di carriera anche al di là degli aspetti di mera vanità.

Parametri
Non è possibile fornire parametri esatti circa l'ammontare dell'intervento economico che permette la pubblicazione del libro. Ogni pubblicazione può avere caratteristiche diverse, quanto a formato, numero delle pagine, rilegatura, presenza di illustrazioni in bianco e nero o a colori in copertina e nelle pagine interne. Una pubblicazione di pregio di un migliaio di pagine su carta vergata o patinata, con tavole a colori, elegantemente rilegata con copertina rigida e sovraccoperta, differisce sostanzialmente da un tascabile in brossura, di un centinaio di pagine, stampate in bianco e nero su carta ordinaria. Rientrano poi nei costi la correzione e l'editing del testo, le presentazioni e la promozione in genere. In linea di massima, i rapporti di costo fra le varie fasi di realizzazione di un'opera, cioè gli elementi che concorrono alla formazione del prezzo finale di copertina, possono essere schematicamente suddivisi in tre parti:
  • redazione e composizione del volume, 25 per cento
  • stampa tipografica e legatoria, 25 per cento
  • promozione e distribuzione organizzata, 50 per cento
È chiaro che si tratta di uno schema semplicistico. I costi reali che un editore affronta possono variare notevolmente: i costi di stampa per un tascabile economico di grandissima tiratura sono inferiori a quando indicato, mentre saranno superiori per un'opera di pregio. Ma questo parametro, applicato alla valutazione dell'editoria a pagamento, rappresenta un utile discrimine per capire se l'offerta che l'autore o l'ente riceve è coerente con il prodotto e i servizi che lo hanno reso tale. In pratica il processo economico base dell'editoria, secondo cui lo scrittore scrive, l'editore vende e il lettore compra, con l'azzeramento del rischio d'impresa viene ribaltato in uno schema nel quale l'editore vende e lo scrittore compra (ed eventualmente, se ci riesce, rivende ai propri conoscenti).

Chi offre il servizio
Gli editori che offrono servizi di editoria sostenuta, ovvero la possibilità di pubblicare opere di scarsa o nulla valenza commerciale, ma d'elevato contenuto e valore culturale, quando sia presente uno sponsor istituzionale che ne sostenga i costi, non devono essere confusi con gli editori a pagamento.
Gli editori a pagamento non svolgono alcuna selezione e accettano tutti i manoscritti che vengono loro sottoposti, chiedendo poi all'aspirante autore contributi diretti per la pubblicazione, oppure richiedono l'acquisto di quantità considerevoli di copie come prerequisito per la stampa del libro.
Un'ulteriore fascia di mercato legata all'editoria a pagamento, anche se apparentemente presentata come disintermediazione, è rappresentata dai servizi di autopubblicazione del tipo print on demand, o book on demand, che sono espressamente e dichiaratamente dedicati alla stampa su richiesta, nei quali è l'autore a provvedere personalmente alla confezione editoriale della propria opera, a fronte di un impegno economico più ridotto (spesso con acquisti minimi di 30/50 copie del libro o anche meno). Questo tipo di servizio è in genere offerto direttamente sul Web a prezzi più o meno concorrenziali.

Tendenze future
Se il ricorso all'editoria a pagamento, in seguito a una maggiore copertura giornalistica del fenomeno, è oggi più largamente riconosciuto come un errore per un aspirante autore, anche a causa del fatto che, non correndo rischi, le case editrici di editoria a pagamento accettano tutti i manoscritti che vengono loro proposti e la pubblicazione con una di esse non costituisce dunque alcun titolo di merito, dall'altro lato sta crescendo la ricerca di forme di disintermediazione della figura dell'editore tradizionale. Il fenomeno sta assumendo aspetti rilevanti specialmente riguardo alla riconsiderazione del fenomeno di autoproduzione dei libri.





E' una definizione che non ha molto senso: ci sono molte più analogie tra Claudio Villa ed i Metallica che tra Bach e Alban Berg.
Un articoletto apparso sul Venerdì di Repubblica a firma di Claudia Nuzzarello riporta il discutibile esperimento effettuato dagli “esperti” dell'Imperial College di Londra in cui con un programma sul sito [i]http://darwintunes.org/[/i] hanno testato i gusti di migliaia di utenti giungendo alla conclusione che l' evoluzione della musica segue i principi Darwiniani.
L'incipit dell' articolo è: “Perché la musica classica è sopravvissuta attraverso i secoli, mente altri generi sono continuamente cambiati o, peggio ancora, si sono estinti?” Andiamo ad analizzare alcune imprecisioni di questa domanda.
Innanzi tutto l' eterna annosa questione: per “musica classica” cosa si intende? Quella del periodo classico (Haydn, Mozart e Beethoven per intenderci), oppure quella suonata da musicisti vestiti di tutto punto in cui non si sa mai quando si deve applaudire?
Bach finché non fu “riscoperto” da Mendelssohn era stato completamente dimenticato dal pubblico Europeo e lo stesso Mozart non era poi tanto conosciuto al di fuori dell' ambito scolastico musicale.
Per noi quella è “musica classica”, ma per coloro che l'ascoltavano quando veniva prodotta era musica contemporanea.
I compositori erano specializzati nei loro generi. Ad eccezione di Mozart, chi scriveva Opere non brillava nella musica strumentale e viceversa e così anche per la musica sacra eo quella da danza. Il pubblico era perfettamente in grado di riconoscere lo stile Veneziano, Napoletano o Francese esattamente come oggi chiunque coglie la differenza tra un brano hip-hop ed uno di Gigi d'Alessio.
Anzi a voler ben sentire sono molto maggiori le analogie strutturali e sintattiche tra Claudio Villa ed i Metallica che non quelle tra Bach e Alban Berg. E allora perché perpetrare ancora una volta questo fraintendimento?
Ritengo che una definizione accettabile di “musica classica” possa in realtà essere “musica pensata per essere tramandata a mezzo di scrittura”. E' un po' laborioso, ma coerente. Quando all'incirca dopo duemila anni di civiltà greco-giudaico-cristiana nel Rinascimento si trovò un sistema abbastanza accettabile per scrivere non solo l'altezza, ma anche la durata delle note, si svilupparono nel corso dei secoli delle regole per permettere di gestirle insieme. E' vero che nel corso del secolo scorso i compositori erano ben consci del fatto che si sarebbero registrati dei dischi con le loro opere, ma è anche vero che tutta la loro esperienza e cultura si appoggiava sul sapere sviluppato nei secoli precedenti.
Gli schiavi africani venuti in contatto con i nostri strumenti e dovendoli suonare per accompagnare il lavoro nei campi, avevano poche probabilità di essere edotti di quelle regole e così elaborarono nuovi sistemi (come dice Levi-Strauss del “Crudo e il cotto” nel frammento più citato in tutti i testi di estetica musicale) che influenzano tutta la musica dotata di batteria e percussioni, per creare aspettative e ricompensarle e deluderle “sulla scorta di un progetto che l' uditore crede di indovinare, ma che in realtà è incapace di penetrare".
Il problema è che prima che il buon T.A. Edison inventasse il fonografo era assai più complicato trasmettere un pensiero musicale senza scriverlo. Provate per esempio ad immaginare di trascrivere una linea vocale di Muddy Waters tipo questa o un assolo di Jimi Hendrix.
Per cui l'unica verità è che con la possibilità di registrare è stato possibile trasmettere un pensiero musicale senza bisogno di scriverlo e non è assolutamente vero che la “musica classica” non si sia estinta: nessuno al tempo di Mozart suonava Bach e nessuno al tempo di Rossini suonava Monteverdi, esattamente come ora è difficile ascoltare un brano di Jerry Lee Lewis su Radio Dimensione Suono.
Non è così fuori luogo immaginare tra qualche tempo, quando andrà di moda la “musica mentale fatta di luce”, una sala da concerti in cui seriosi musicisti vestiti di tutto punto eseguiranno un programma composto da musiche di Beach Boys, Earth Wind and Fire, Led Zeppelin e Aqua... no, speriamo che mi sbagli ed almeno gli Aqua vengano dimenticati e non riscoperti da qualche noioso funzionario che insegna Estetica della musica Pop nel secolo XX.


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Il video on demand (termine mutuato dall'inglese che tradotto letteralmente significa "video su richiesta"), in acronimo VOD, è un servizio interattivo della televisione. Il servizio permette agli utenti di fruire, gratuitamente o a pagamento, di un prodotto di intrattenimento (musica, film, Serie TV...) in qualsiasi momento e luogo tramite una connessione internet. Si basa sul concetto informatico di on-demanding.

Un nuovo concetto di televisione
Il video on demand rappresenta un vero e proprio ribaltamento del concetto stesso di televisione, la quale è nata ed è diffusa prevalentemente fino ad oggi come fruizione di programmi televisivi senza possibilità immediata per l'utente di richiedere uno specifico programma televisivo.
Prima dell'avvento del video on demand, il palinsesto, cioè il programma televisivo e l'orario in cui è possibile fruirne, era stabilito dal provider televisivo e l'utente aveva solo la possibilità di scegliere tra i vari programmi televisivi messi in onda contemporaneamente dalle varie emittenti televisive.
Con il video on demand è invece l'utente che definisce il palinsesto secondo i propri desideri e le proprie necessità, e non il provider televisivo come con il sistema tradizionale. Le uniche limitazioni sono date dalla varietà dei programmi televisivi tra cui poter scegliere, cioè dalla ricchezza degli archivi dei programmi televisivi messi a disposizione dai provider televisivi.
Visti i significativi cambiamenti per l'utente nelle possibilità di fruizione del programma televisivo con il video on demand, in riferimento a questo si parla di televisione on demand o TV on demand.

Aspetti tecnologici
Da un punto di vista tecnologico la differenza più rilevante tra il video on demand e la normale televisione è che nel video on demand il programma televisivo è trasmesso solo se l'utente lo richiede mentre nella normale televisione il programma televisivo è trasmesso anche se l'utente non lo richiede.
Per fornire il video on demand è necessario che la rete per telecomunicazioni con cui lo si fornisce stabilisca una connessione di tipo punto-punto bidirezionale tra il provider televisivo e l'utente, e che il canale di trasmissione sia a banda sufficientemente larga (banda larga) per trasportare un segnale televisivo con qualità accettabile.
Per tali motivi il video on demand è realizzabile più facilmente sulle reti per telecomunicazioni proprie della televisione via cavo e di Internet, e molto più difficilmente sulle reti per telecomunicazioni proprie della televisione satellitare o terrestre, in virtù delle peculiarità di tali reti. Per quanto riguarda in particolare Internet, per soddisfare la necessità di un canale trasmissivo sufficientemente ampio da trasportare un segnale televisivo con qualità accettabile, serve una linea a banda larga in fibra ottica o tecnologia ADSL evoluta (ADSL2, ADSL2+ e VDSL).
Un esempio di tecnologia televisiva in grado di fornire il video on demand è l'IPTV.

Modalità di trasmissione
Le modalità di trasmissione dati all'utente possono essere:
  • lo streaming: il device dell'utente riceve e decodifica i dati in tempo reale (in base al bitrate occorre una connessione a banda elevata e stabile);
  • il download streaming: il device dell'utente inizia a decodificare i dati dopo che una parte è stata ricevuta;
  • il download: il device dell'utente inizia a decodificare i dati dopo che tutti sono stati ricevuti.
Con lo streaming l'utente dopo aver richiesto il programma televisivo può fruirne immediatamente. Con il download streaming l'utente dopo aver richiesto il programma televisivo per fruirne deve attendere di riceverne una parte. Con il download l'utente dopo aver richiesto il programma televisivo per fruirne deve attendere di riceverlo tutto.


Video on demand in Italia
In Italia il video on demand è fornito da Infostrada TV (via ADSL), da TV di Fastweb (via fibra ottica e ADSL), da Alice Home TV (via ADSL), da Mediaset Premium grazie al decoder Premium On Demand e Premium On Demand HD col servizio Premium Play, da Sky grazie al decoder My Sky e My Sky HD col servizio Sky On Demand e TIMvision (di Telecom Italia via ADSL), tutti in tecnologia IPTV. Fino al 2008 anche Tiscali offriva questo servizio nell'ambito dell'offerta Tiscali TV, ma il servizio è stato dismesso ad inizio 2009. Anche la RAI ha la sua offerta on demand, accessibile dal sito Rai.tv, sul quale è disponibile anche lo streaming in diretta dei suoi canali. Disponibile dal 19 novembre 2008 anche il Video On Demand attraverso la console Xbox 360 e dal 2009 su PlayStation 3 tramite VidZone, da settembre 2010 è possibile acquistare e noleggiare film sul PlayStation Store. Da novembre 2010 è possibile acquistare e noleggiare film sull'iTunes Store.
I più importanti fornitori disponibili in Italia sono:
  • Netflix (dal 22 ottobre 2015)
  • Amazon Prime Video (da dicembre 2016)
  • TIMvision
  • Infinity
  • NowTV
  • Facebook Watch
  • YouTube Premium
  • DAZN

I fornitori più importanti all'estero sono:
  • Apple TV+
  • Disney+
  • Hulu
  • HBO Max

Fornitori minori sono:
  • DC Universe
  • VVVVID
  • Philips Net TV
  • Sony Entertainment Network


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Il pay-per-view (PPV), traducibile dall'inglese come "paga per vedere", è un mezzo di distribuzione dei programmi televisivi via cavo consistente nella fruizione di uno o più programmi televisivi ben determinati e di cui l’utente paga un tanto a programma.
I programmi televisivi di un pay per view e preregistrati possono essere disponibili anche in video on demand o in near video on demand.

Acquisto dei programmi
L'acquisto dei programmi televisivi è eseguito mediante il televisore, o gli apparecchi televisivi in caso sia necessario anche un set-top box, oppure via telefono, SMS e web. Il costo può essere addebitato su un'apposita carta prepagata, su una carta di credito o su un conto personale da pagare in genere una volta al mese o ogni due mesi. A esclusione della carta pregata, se l'acquisto avviene mediante apparecchio televisivo, questo è dotato del cosiddetto "canale di ritorno", cioè di un canale di comunicazione tra l'utente e la piattaforma televisiva che normalmente è una linea telefonica o un accesso a internet, ma può anche essere di altro tipo.

Tecnologia
Perché un operatore possa realizzare un sistema PPV è necessario che possa attivare o disattivare la ricezione del segnale per un particolare evento per ogni singolo fruitore. È quindi necessario che il segnale sia criptato con un algoritmo (possibilmente sufficientemente sicuro da evitarne la violazione), che il cliente possieda un apparecchio in grado di compiere l'operazione di decrittazione e uno strumento di identificazione personale.
Solitamente gli operatori di televisione satellitare o via cavo forniscono al cliente che sottoscrive un apposito contratto un set-top box, ovvero un apparecchio che collegato alla parabola satellitare o al cavo è in grado di decodificare il segnale. Nel caso della televisione satellitare e talvolta anche di quella via cavo all'apparecchio è abbinata una smart card che identifica univocamente il cliente. Questa riceve dall'operatore un segnale che le comunica di attivare la decodifica dell'evento che il cliente ha acquistato.
Da parte sua l'operatore si deve dotare di una struttura di gestione dei pagamenti che integri gli acquisti effettuati tramite call center, internet, SMS o direttamente dal set-top box collegato alla linea telefonica. Deve inoltre poter fornire al cliente un dettaglio degli eventi acquistati in modo da controllare le frodi, oltre a provvedere ad aggiornare abbastanza frequentemente i codici di codifica dei segnali per evitarne la forzatura da parte di utenti poco onesti.

Pay-per-view in Italia
I pay per view di Sky, la piattaforma satellitare per il mercato italiano più diffusa e ricca di contenuti, sono Sky Primafila e Sky Calcio, cinquantacinque canali in totale e acquisto tramite decoder proprietario, telefono, SMS o internet. Per poter usufruire dei PPV di Sky è necessario sottoscrivere un abbonamento a uno dei pacchetti di canali televisivi. Per quanto riguarda la televisione digitale terrestre Mediaset offriva Premium Calcio, sei canali in totale visibili con tessera prepagata senza necessità di sottoscrivere un'offerta di canali televisivi a pagamento, erano disponibili fino al 31 luglio 2018; tuttavia la propria zona deve essere coperta dal segnale ed è necessario possedere un televisore o un decoder digitale terrestre con tecnologia MHP. Un'offerta simile a quella di Mediaset è Cartapiù. Per quanto riguarda infine la televisione via cavo le piattaforme TVdiFASTWEB e Alice Home TV offrono i PPV in video on demand, quindi i programmi televisivi sono visibili a qualsiasi orario non appena l'utente li richiede, possibilità non disponibile con i PPV della televisione digitale terrestre e satellitare citate.

Storia
Negli Stati Uniti d'America i pay-per-view hanno mosso i primi passi alla fine degli settanta quando la squadra di pallacanestro dei Portland Trail Blazers l'adottò dopo aver vinto il campionato del 1977. Il termine si diffuse negli anni novanta quando compagnie del calibro di HBO e Showtime iniziarono a vendere eventi e film.
Inizialmente utilizzata esclusivamente dagli operatori di televisioni via cavo e poi di televisioni satellitari, sono ora utilizzate anche per la trasmissione via internet o via telefono cellulare. In Italia i primi eventi in pay-per-view vennero trasmessi dalla piattaforma satellitare DStv. I servizi erano chiamati +Calcio (nato il 31 luglio 1996) e Palco (nato il 1º settembre 1997). Un altro servizio di pay-per-view venne offerto dalla concorrente Stream TV; il servizio, chiamato Primafila, nacque nel maggio 1998. Il 31 luglio 2003 le due piattaforme si fusero nella piattaforma Sky, tuttora disponibile con il suo servizio Sky Primafila.


Risultato immagini per Visual journalism




Con visual journalism (lett. "giornalismo visivo") s'intende il complesso di attività d'informazione realizzate attraverso la combinazione di testo e immagini, in cui si privilegia "l'espressività di quest'ultime".
Questa tipologia di giornalismo si è diffusa in modo particolare negli ultimi anni, con la crescita esponenziale dell'informazione via web e la conseguente diminuzione dei tempi medi di lettura, dovuti alla "tendenza a una forma di comunicazione più rapida".
Come diretta conseguenza della grande diffusione dell'informazione nel web, il visual journalism ha sempre più privilegiato l'utilizzo delle immagini, intese in senso lato (fotografie, illustrazioni, infografica, per citare solo le principali), grazie anche alle potenzialità espresse dall'elaborazione digitale.
Seguendo queste dinamiche, il layout di una pagina web e "le pagine della stampa possono anche essere progettate cercando di attirare l’attenzione del lettore prima sulle immagini e poi su titoli e testo, invertendo la priorità tradizionale". Per questi motivi il visual journalism, essendo una disciplina crossmediale, può essere svolto in un team di lavoro, composto dalla sinergia di "giornalisti, disegnatori, grafici".
Storicamente, le immagini sono state da sempre utilizzate per corredare o narrare fatti di cronaca, in particolare le fotografie hanno dato vita al fotogiornalismo fin dal primo Novecento. Tuttavia il visual journalism si presenta come un'estensione e al tempo stesso una declinazione moderna della professione giornalistica, in quanto utilizza tutte le componenti grafiche e multimediali a disposizione e non solo quelle di matrice fotografica.