Ci sono film che rivelano un talento in modo così netto da cambiare per sempre la percezione di un artista. Per molti spettatori, questo accade con Paul Newman in The Verdict (Il verdetto, 1982), il dramma giudiziario diretto da Sidney Lumet e scritto da David Mamet. Non che Newman non fosse già un colosso di Hollywood: era il volto carismatico di una generazione, l’uomo dagli occhi azzurri che sembrava nato per il grande schermo. Ma The Verdict mostra un Newman diverso — profondo, sconfitto, vulnerabile, eppure capace di una dignità feroce.
Qui Newman interpreta Frank Galvin, un avvocato di Boston alla deriva, dipendente dall’alcol, che campa sfruttando i funerali per trovare clienti. La sua reputazione è distrutta, la fiducia in sé stesso a pezzi. Quando gli capita un caso di negligenza medica contro una struttura della Chiesa cattolica, Galvin capisce che potrebbe essere l’ultima occasione per riscattarsi come uomo e come professionista.
Niente glamour. Nessuna sicurezza da protagonista. Solo un uomo fragile che tenta di rialzarsi.
Fino ad allora Newman era noto per ruoli energici, ribelli e affascinanti — da Butch Cassidy a Nick Mano Fredda. In The Verdict, invece, si spoglia di ogni patina divistica:
il volto segnato dal tempo
i movimenti lenti, quasi pesanti
lo sguardo smarrito di chi ha ampiamente conosciuto la sconfitta
Non c’è più il mito, resta solo l’attore. E l’attore è immenso.
È come se Newman, attraverso Galvin, accettasse finalmente di interpretare non solo ciò che tutti amavano vedere in lui, ma anche ciò che temevano: un uomo fallibile.
Il film stesso ha avuto una lunga gestazione:
il romanzo di Barry Reed fu adattato da Mamet, ma la sceneggiatura fu inizialmente addolcita dai produttori
altri attori, tra cui Robert Redford, erano stati valutati per il ruolo
solo con l’arrivo di Lumet si tornò alla versione più cruda e realistica della storia
E Newman si immerse completamente in questa atmosfera ruvida e drammatica. La sua interpretazione è un corso magistrale di misura e intensità: non cerca pietà, non cerca complicità. Offre verità.
Le scene in aula, soprattutto il monologo finale, sono un esempio lampante del suo talento: Newman non declama, supplica. Non interpreta un eroe della giustizia: interpreta un uomo distrutto che per la prima volta in molto tempo sceglie di fare la cosa giusta.
E proprio attraverso questa imperfezione, conquista la grandezza.
The Verdict è il film che dimostra definitivamente che Newman non era solo un volto da poster, ma un attore di una versatilità drammatica straordinaria. Fu nominato all’Oscar, non vinse — ma da quel momento il mondo non guardò più Paul Newman allo stesso modo.
Per alcuni fu una sorpresa. Per chi lo ammirava già, una
rivelazione attesa.
Per tutti, la prova che anche una leggenda può
reinventarsi e superare sé stessa.
A volte è necessario cadere per risorgere.
E Newman, in quel
tribunale, risorse come artista.
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