Arrivò a New York con i capelli neri come l’inchiostro e uno sguardo che sembrava nascondere un patto segreto con il destino. Il suo nome non evocava nulla, non apparteneva ad alcuna dinastia artistica, non aveva mecenati potenti alle spalle. Era Theodosia Goodman, una ragazza ebrea di Cincinnati cresciuta in un contesto ordinario, lontanissimo dalle luci dei riflettori. Ma in lei ardeva un desiderio antico e feroce: quello di essere ricordata, di lasciare un segno che nessuno potesse cancellare.

Aveva quasi trent’anni, un’età che all’inizio del Novecento decretava già la fine delle speranze per molte aspiranti attrici. Hollywood non amava le donne mature: prediligeva volti freschi, innocenti, figure pronte a incarnare purezza e sottomissione. Ma Theodosia non apparteneva a quella categoria. Bussava alle porte senza maschere né compromessi, decisa a reclamare il proprio spazio.

Nel 1914 ottenne un ruolo microscopico nel film The Stain. Compariva appena sullo sfondo, una figurante anonima. Eppure, chi guardava con attenzione notava già qualcosa: un volto magnetico, una disciplina d’acciaio, un talento silenzioso capace di farsi strada anche senza parole.

Un anno dopo, accadde l’improbabile. Venne scelta come protagonista in A Fool There Was (1915), un melodramma basato sulla poesia di Kipling. Non si trattò di un semplice debutto, ma di una deflagrazione. Il personaggio della Vampira – una donna letale, seducente e distruttiva – prese vita in lei con una potenza che sorprese tutti. Non recitava quel ruolo: lo incarnava.

Fu in quel momento che nacque Theda Bara, la leggenda. Per consacrarla, Hollywood inventò per lei una biografia immaginaria. La giovane di Cincinnati sparì, sostituita da un mosaico di misteri: figlia di una concubina egiziana e di un artista francese, nata nel deserto sotto le stelle della maledizione. Il suo nome, dicevano, era un anagramma di “Arab Death”, “Morte araba”.

La verità non contava più. Il pubblico voleva credere al mito, e Theda non smentì mai. Anzi, alimentava il fuoco: appariva in abiti trasparenti, circondata da serpenti, teschi e fiamme. I suoi occhi scuri sembravano promettere estasi e rovina. In un’epoca che esigeva dalla donna dolcezza e sottomissione, lei impose un archetipo opposto: libero, oscuro, temibile.

Con A Fool There Was, Theda Bara inaugurò una figura destinata a dominare l’immaginario del Novecento: la Vamp, abbreviazione di “vampire”. Non un mostro assetato di sangue, ma una donna capace di sedurre e distruggere gli uomini con la sola forza della propria sessualità.

Il suo celebre motto nel film – “Kiss me, my fool” – divenne manifesto di un’era. Il pubblico maschile tremava e sognava di fronte a quella presenza fatale, mentre le donne riconoscevano in lei una ribellione, un desiderio proibito di emancipazione. La Vamp incarnava il lato oscuro della femminilità repressa dall’etica vittoriana, e Theda Bara ne divenne il simbolo assoluto.

Tra il 1915 e il 1919 recitò in oltre 40 film, quasi tutti ormai perduti. Le pellicole venivano stampate su supporti infiammabili e spesso distrutte per ricavarne materiali. Questa perdita ha contribuito ad accrescere il mito: di lei restano frammenti, fotografie, manifesti, ricostruzioni. Più che un’attrice, Theda Bara è diventata un fantasma immortale.

La carriera di Theda Bara fu fulminea e breve. Nel giro di pochi anni conquistò l’immaginario collettivo, ma agli inizi degli anni ’20 la sua figura venne progressivamente oscurata dall’avvento di nuove star, come Clara Bow e Pola Negri. Il cinema si trasformava, e l’immagine della Vamp cominciava a sembrare eccessiva, persino anacronistica.

La Fox, il suo studio di riferimento, cercò di reinventarla con ruoli diversi, ma il pubblico non volle vedere in lei altro che la donna fatale. Senza il suo archetipo, Theda perdeva parte della sua forza. Quando il sonoro arrivò, la sua carriera era già in declino. Nonostante ciò, aveva inciso un segno indelebile.

Ciò che rende Theda Bara unica è il fatto che la sua leggenda non dipende tanto dai film che ha interpretato – quasi tutti perduti – quanto dall’immaginario che incarnava. È sopravvissuta più come mito che come attrice in senso stretto. I suoi poster, le fotografie promozionali e gli articoli dell’epoca hanno alimentato una memoria più potente della realtà stessa.

Hollywood, nel costruire la sua identità fittizia, aveva intuito qualcosa di profondo: il pubblico non cerca soltanto intrattenimento, ma simboli. E Theda Bara, figlia della classe media americana, divenne simbolo eterno del desiderio, della paura e della fascinazione per l’ignoto.

La figura della Vamp introdotta da Theda Bara ha lasciato una traccia profonda nella cultura popolare. Nei decenni successivi, il cinema e la letteratura hanno moltiplicato le incarnazioni della donna fatale: da Greta Garbo a Marlene Dietrich, da Rita Hayworth a Sharon Stone. Ogni femme fatale porta dentro di sé un’eco di Theda, la prima a incarnare sullo schermo la potenza distruttrice e liberatoria della femminilità.

Oggi, a distanza di oltre un secolo, la Vamp di Theda Bara continua a parlarci. Non è solo un’icona di sensualità, ma un archetipo che riflette la tensione eterna tra desiderio e paura, libertà e condanna, fascino e rovina.

Theodosia Goodman partì da Cincinnati senza protezioni né privilegi. Hollywood la trasformò in Theda Bara, la donna che non esisteva, un costrutto di menzogne e suggestioni. Ma in quell’inganno, in quella maschera, si nascondeva una verità più grande: il bisogno universale di miti che travalicano la realtà.

Non fu un grande sovrano come Tutankhamon, non fu un’eroina della politica né una scienziata: fu un’attrice che recitò un ruolo così intensamente da diventare immortale. La sua carriera durò pochi anni, ma la sua ombra si allunga ancora oggi sul cinema e sulla cultura pop.

Theda Bara non era lì per compiacere. Era lì per dominare, sedurre e spezzare. Era lì per diventare leggenda. E ci riuscì.