Quando Star Trek: Enterprise debuttò nel 2001, molti fan della saga spaziale nutrivano grandi aspettative. Dopo il successo delle precedenti serie – The Next Generation, Deep Space Nine e Voyager – il pubblico sperava in un prequel capace di combinare avventura, filosofia e sviluppo dei personaggi. Tuttavia, nonostante la qualità narrativa sia migliorata nelle stagioni successive, Enterprise non riuscì mai a conquistare un pubblico sufficientemente ampio, portando alla sua cancellazione nel 2005. Ma cosa c’è dietro questo fallimento, oltre al comune richiamo alle prime due stagioni?

Uno dei fattori principali è la natura episodica delle prime due stagioni. In un’epoca in cui la registrazione digitale e i DVR stavano trasformando il modo in cui gli spettatori seguivano le serie TV, il pubblico cominciava a prediligere archi narrativi complessi e continui, capaci di premiare la fedeltà. Enterprise si presentava invece con storie autonome e una continuità minima: ogni episodio era una missione isolata, con pochi riferimenti al quadro più ampio della Federazione nascente. Questo modello, che aveva funzionato negli anni ’80 e ’90 con TNG, risultava ormai datato e poco stimolante per un pubblico in evoluzione.

A differenza di Deep Space Nine, che conquistò i fan con i Dominion e un arco narrativo intenso, Enterprise mancava di un villain centrale nelle prime stagioni. Le minacce arrivavano a intervalli irregolari e non c’era un filo conduttore che mantenesse alta la tensione. I Klingon, i Romulani e gli Xindi apparivano episodicamente, senza creare quella pressione narrativa che spingeva il pubblico a tornare settimana dopo settimana. La mancanza di un antagonista “emotivamente significativo” ha contribuito a rendere le prime stagioni meno coinvolgenti.

Enterprise si collocava temporalmente prima della fondazione della Federazione, mostrando una tecnologia più rudimentale e un equipaggio meno esperto. Per molti fan, questo rappresentava un passo indietro rispetto al futuro ottimista di TNG e DS9. La nave e il suo equipaggio non avevano ancora la sicurezza, la disciplina e il carisma delle serie successive, e questo creava una barriera psicologica: il pubblico faticava a identificarsi con personaggi “ancora in fase di costruzione” e con una narrazione meno affascinante tecnologicamente.

Il nome stesso, Enterprise, suggeriva una celebrazione della nave più che una serie focalizzata sui personaggi e sull’evoluzione della Federazione. Le reti non riuscirono a chiarire al pubblico cosa distinguesse la nuova serie dalle precedenti, creando aspettative contrastanti: alcuni spettatori cercavano una storia di esplorazione simile a TOS, altri una narrativa complessa come DS9. Questo problema di comunicazione ha reso difficile attrarre sia i fan tradizionali che nuovi spettatori.

Solo nelle stagioni successive, con l’arco degli Xindi e una maggiore attenzione alla serializzazione, Enterprise riuscì a trovare un suo ritmo narrativo. Tuttavia, a quel punto, la base di spettatori era già troppo limitata per garantire la sostenibilità della serie. Il miglioramento qualitativo arrivava quando la finestra per catturare un pubblico ampio si era chiusa.

E sì, per chi vuole ridere un po’, Wesley Crusher non ha certo aiutato. Ma la verità è che il problema non era un singolo personaggio: era un insieme di fattori strutturali, di contesto e di marketing che ha impedito alla serie di trovare il suo spazio.

Il fallimento di Star Trek: Enterprise non può essere ricondotto esclusivamente a una qualità iniziale incostante. La combinazione di una narrativa episodica inadatta al contesto, l’assenza di un villain memorabile, la percezione del prequel come “passo indietro”, un marketing poco chiaro e il miglioramento tardivo della serie ha portato a una base di fan troppo ridotta. La storia di Enterprise è un esempio lampante di come anche una produzione con grandi potenzialità possa essere penalizzata dal timing e dalla struttura narrativa.

Enterprise resta una testimonianza affascinante di un esperimento che cercava di unire la tradizione di Star Trek con le nuove esigenze di un pubblico moderno. Il suo cuore c’è, ma è arrivato troppo tardi per catturare il grande pubblico che meritava.


Herman Munster, il celebre personaggio della serie televisiva The Munsters, era impiegato presso un’impresa di pompe funebri chiamata Gateman, Goodbury e Graves. L’azienda si occupava di servizi funebri e gestione di tutto ciò che riguardava la morte, dai funerali alla preparazione delle salme. Il suo ruolo all’interno dell’impresa rifletteva una combinazione di forza fisica e resistenza: Herman, costruito come un uomo mostruoso assemblato da parti di altri uomini, possedeva l’energia necessaria per affrontare i compiti pesanti e le mansioni più impegnative del lavoro.

Il suo capo diretto era il signor Gateman, cofondatore e titolare dell’azienda. La relazione tra Herman e il signor Gateman era quella tipica di un datore di lavoro e un dipendente: Herman timbrava il cartellino, eseguiva le mansioni richieste e, pur lamentandosi occasionalmente dei metodi o delle direttive del suo capo, portava regolarmente a casa il suo stipendio, contribuendo al benessere della famiglia Munster. La routine lavorativa di Herman era dunque caratterizzata da puntualità, affidabilità e dedizione, elementi che ne definivano il profilo come lavoratore modello, sebbene fosse anche un mostro dai tratti grotteschi.

L’ambiente lavorativo stesso rappresentava una dimensione di silenzio e rispetto, in netto contrasto con la vita domestica di Herman. Ogni giorno, il personaggio si confrontava con la morte in un contesto professionale regolamentato e sobrio, tra bare, cappelle e stanze funerarie, mantenendo un atteggiamento serio e diligente. Tuttavia, terminata la giornata lavorativa, Herman tornava a casa nella vivace e rumorosa residenza dei Munster, dove la vita familiare e le dinamiche interne offrivano un marcato contrasto con l’atmosfera del cimitero e della casa funeraria.

Questo doppio registro – lavoro rispettabile ma legato alla morte e vita domestica colorata e caotica – contribuiva a delineare il personaggio di Herman come una creatura che, pur essendo fuori dall’ordinario, incarnava le caratteristiche di un uomo comune: responsabilità, dedizione al lavoro e cura della famiglia. La forza fisica e la resistenza del mostro erano strumenti essenziali per il compito che svolgeva, rendendo plausibile la sua presenza in un’impresa di pompe funebri senza compromettere la comicità e la dimensione surreale della serie.

Herman Munster rappresentava quindi una figura archetipica di lavoratore, inserito in un contesto professionale insolito per il pubblico televisivo degli anni ’60. La sua professione come addetto ai servizi funebri presso Gateman, Goodbury e Graves, sotto la supervisione del signor Gateman, conferiva al personaggio un senso di realtà quotidiana: ogni mostro può avere un lavoro, svolgere le proprie mansioni e contribuire alla vita familiare, pur vivendo in un mondo popolato da stranezze e bizzarrie.

Il contrasto tra l’ambiente di lavoro silenzioso e rispettoso e la casa dei Munster, rumorosa e vivace, enfatizzava inoltre la duplice natura del personaggio. Da un lato, Herman affrontava la morte con competenza e serietà, mostrando rispetto per i defunti e per il mestiere che esercitava. Dall’altro, al rientro a casa, partecipava a una vita domestica piena di energia, affetto e caos, dove le regole sociali convenzionali erano spesso sovvertite dall’assurdità e dall’umorismo tipici della serie.

In definitiva, Herman Munster, lavorando presso Gateman, Goodbury e Graves sotto la guida del signor Gateman, incarnava il concetto di creatura fuori dall’ordinario inserita in un contesto quotidiano riconoscibile. La sua professione era funzionale alle sue caratteristiche fisiche, ma anche narrativa: permetteva di mostrare come il personaggio, nonostante la natura mostruosa, potesse vivere la vita di un uomo comune, affrontando le responsabilità del lavoro e gli obblighi familiari, pur in un contesto che mescolava la normalità alla comicità e al grottesco.

Il mestiere di Herman non era soltanto una fonte di reddito, ma anche un elemento di coerenza narrativa: collocarlo in un’azienda di pompe funebri dava senso al suo aspetto, alla sua forza e alla sua resistenza fisica, spiegando perché fosse adatto a maneggiare oggetti pesanti e a lavorare in un contesto che la maggior parte delle persone avrebbe trovato inquietante o scomodo. Allo stesso tempo, la supervisione del signor Gateman manteneva un ordine gerarchico, assicurando che Herman svolgesse i suoi compiti con disciplina e puntualità, contribuendo alla stabilità della narrazione e alla credibilità interna alla serie.