C’era una volta una Golf verde. Ma non un verde qualsiasi: un verde elettrico, impensabile, quasi offensivo per gli occhi. Era l’auto di Giacomino, l’infermiere di Legnano che aveva lasciato il camice per inseguire un sogno. Quel sogno nacque da un buco — letteralmente — tra l’acceleratore e il freno, da cui d’inverno entrava un freddo della madonna, e da una serie di giornate vuote a Villa Cortese, riempite soltanto di risate, improvvisazioni e speranze.
Con lui c’era Aldo, momentaneamente senza casa, ex operaio della Stipel, ma pieno di un’irrequietezza contagiosa. I due, amici e coinquilini, non avevano né soldi né certezze, ma condividevano una visione: far ridere la gente. A dare forma a quell’energia c’era Giovanni, l’unico con un lavoro “serio”, insegnante di acrobatica alla scuola Paolo Grassi di Milano, che la domenica li raggiungeva a Verghera di Samarate. E fu lì, tra nebbia, vino e battute improvvisate, che nacque il trio destinato a rivoluzionare la comicità italiana: Aldo, Giovanni e Giacomo.
Maurizio Castiglioni, fondatore del mitico Caffè Teatro, ricorda bene quei giorni:
“Quando li vedevo improvvisare, capivo che c’era qualcosa. Mi divertivano come pochi. Così dissi: ‘Venite a farlo sul palco. Vi do la domenica, il giorno più morto. Cinquemila lire a biglietto, ve le tenete voi. Io guadagno con le consumazioni. Ma sul palco dovete portare la vostra follia quotidiana.’”
Fu così che, la seconda domenica del 1991, il trio salì per la prima volta sul palco con Marina Massironi. Il loro nome? “Le Galline Vecchie Fan Buon Brothers”. Una trovata che suonava come un manifesto: nonsense, ironia, spirito surreale. Sulla locandina apparivano come Giacomo Sugar Poretti, Aldo Dexter Baglio e Giovanni Esagerato Storti. I nomi dei futuri poliziotti di Busto Garolfo Cops sarebbero nati proprio lì, quella prima sera.
All’inizio, il pubblico era scarso: una ventina di persone. Ma bastarono poche settimane perché la voce si spargesse in tutto il Varesotto. Ogni domenica, le sedie del Caffè Teatro si riempivano fino all’ultima.
“Non avevamo uno spettacolo vero,” raccontano. “Ci guardavamo in faccia e ci chiedevamo: che inventiamo stasera? A volte non volevamo nemmeno uscire da dietro il separé. Ma la gente rideva. Ci capivano. Si divertivano quanto noi.”
Dopo un anno e mezzo di domeniche folli, con guadagni che a malapena coprivano la benzina, arrivò la chiamata di Giancarlo Bozzo, direttore artistico dello Zelig di Milano. Era la svolta: dal piccolo teatro di provincia al palcoscenico della comicità nazionale.
Ma il cuore restò sempre lì, a Villa Cortese e a casa Storti, dove il trio passava ore nel sottotetto a scrivere, discutere, provare. È lì che nacque Ajeje Brazorf, lo sketch immortale del controllore e del biglietto pluritimbrato.
“Lo sketch nasce da una storia vera,” spiegano. “Aldo, da ragazzo, prendeva i mezzi per andare a lavorare in officina. Un biglietto al mese, e via di strategia: salire vicino all’obliteratrice e sperare che il controllore non salisse. Alla fine è diventato un esperto di scuse e sguardi evasivi. E quella tensione quotidiana, anni dopo, è diventata comicità pura.”
Nel quadernetto di appunti di Aldo, la realtà milanese si trasformava in satira: i controllori pignoli, i furbetti terrorizzati, le scene metropolitane che tutti avevano vissuto almeno una volta. Giovanni, con la sua precisione maniacale, e Giacomo, con la sua calma riflessiva, completavano il quadro.
Poi arrivò Tre Uomini e una Gamba (1997). Un film girato con pochi mezzi, tanta passione e ancora più coraggio. La scena della partita “Italia-Marocco”, con Aldo che sbuca dalla sabbia per colpire di testa, fu ripetuta ventotto volte.
“Pioveva, non avevamo tempo né soldi,” ricorda il regista Massimo Venier. “Il direttore della fotografia se n’era già andato, il budget era finito. Giovanni voleva fare il cross perfetto, e non mollava. Ventotto tentativi, e alla fine la scena è diventata una delle più amate.”
Il set era un campo di battaglia. Per la scena di Dracula, volevano orecchie a punta da teatro: la produzione rispose che non c’erano soldi. “O vi diamo le orecchie o la finestra finta di zucchero.” Scelsero la finestra, ma alla fine non ebbero né l’una né l’altra. Aldo si gettò da una finestra vera. “Eravamo nessuno,” diranno poi, “ma ridevamo anche di quello.”
Quando il film uscì, nessuno si aspettava il miracolo. Ma una sera, entrando di nascosto in un cinema, i tre capirono tutto: la sala scoppiava dalle risate.
“Era la prima volta che vedevamo la gente ridere per noi, in un film. Ridevano davvero. È stato come toccare il cielo.”
Da lì, la storia è nota: Così è la vita, Chiedimi se sono felice, La leggenda di Al, John e Jack, Tu la conosci Claudia?, e poi gli spettacoli teatrali, le tournée, le repliche televisive. Ma la vera essenza di Aldo, Giovanni e Giacomo non è mai cambiata: tre amici normali, che continuano a prendersi in giro come trent’anni fa.
Aldo è rimasto l’eterno disordinato, senza cellulare (o con il cellulare spento), ancora confuso sul cambio lira-euro, capace di girare senza soldi e finire in situazioni surreali come quelle dei suoi personaggi. Giovanni, il più metodico, si dedica all’agricoltura, ara la terra nei weekend e corre tra i campi, ironizzando sul proprio passato sedentario. Giacomo legge quattro quotidiani al giorno, perfino Il Sole 24 Ore, va alle mostre, colleziona libri antichi e tiene viva quella parte intellettuale del trio.
Tre anime diverse, perfettamente complementari.
Tre uomini
normali che, con un’auto verde improbabile e una manciata di lire,
hanno costruito un pezzo di storia italiana.
E quando tornano, ogni cinque anni, al Caffè Teatro, per uno spettacolo “di casa”, lo fanno per ricordare da dove tutto è iniziato: da un freddo in macchina, da una stanza di Villa Cortese e da un sogno che sembrava troppo grande per tre ragazzi di provincia.
Oggi, a più di trent’anni da quel debutto improvvisato, il loro nome è sinonimo di comicità intelligente, di teatro popolare, di ironia quotidiana. Hanno cambiato il modo in cui l’Italia ride, trasformando la semplicità in arte e l’amicizia in un mestiere.
E forse è proprio questo il loro segreto: non aver mai dimenticato da dove vengono. Perché, come dice Aldo con la sua voce inconfondibile, “se non hai paura di buttarti, anche senza orecchie a punta, prima o poi il pubblico ti prende al volo.”