“Mi sono detta: prima di morire devo tentare la carriera che mi sono prefissata e lo devo fare.

Io vivo per la musica.

Non ho avuto paura di non avere un soldo, ma desidero intraprendere la strada che volevo seguire da quando ero bambina. E ci sono riuscita.

In canzoni come Morirò d’amore credo di esserci dentro, di essere nella verità di queste cose.”

- Giuni Russo Da Che tempo che fa



La storia è ben nota a tutti: quattro amici partono per Las Vegas in occasione di un addio al celibato. Dopo aver ingurgitato e fumato qualsoasi cosa, si risvegliano completamente disorientati e… dov’è finito Doug? Il celebre lungometraggio è tratto da una storia vera. Le vicessitudini di Doug, Phil, Stu e Alan sono infatti ricamate sulla falsariga di ciò che accadde a Tripp Vinson, amico e collega del produttore del film, Chris Bender, e 30 suoi amici. In occasione delle proprie nozze, infatti, Tripp organizzo un mega-party a Las Vegas. Al risveglio si ritrovo nudo in un letto, con i capelli rasati a zero, un canino rotto e sul comodino una fattura da 700,000 $ di un noto stripclub. Tutt oggi non ricorda minimamente che cosa sia accaduto quella notte.



Bill Haast era un addestratore di serpenti che intratteneva il pubblico con show durante i quali estraeva il veleno dai rettili.

Bill divenne leggenda negli Stati Uniti, per essere stato morso almeno 173 volte da serpenti velenosi, ed essere sempre sopravvissuto.

Non solo, ma ha contribuito a salvare molte vite umane.

Il suo sangue era pieno di anticorpi in grado di contrastare i veleni di diverse specie anche perché Haast, oltre ai morsi accidentali subiti durante gli spettacoli, iniettava ogni giorno nel suo sangue (per 60 anni di fila) una piccola dose contenente un mix di veleno di 32 specie.

Bill Haast era il direttore di un’azienda della Florida che produceva veleno di serpente. Estraeva la sostanza più di 100 volte al giorno, intrattenendo spesso il pubblico curioso. Alcune di queste sostanze erano di importanza essenziale per trattare le vittime dei morsi di serpente, ma erano anche ingredienti importanti per vari tipi di medicina.

Haast salvò la vita a 21 persone, donando il proprio sangue ricco di anticorpi e, in una di queste occasioni, il domatore volò fino in Venezuela per salvare un bambino.
Bill non soltanto godette sempre di buona salute, ma arrivò a vivere fino a 100 anni, e alcuni scienziati sospettano che fosse proprio il mix di veleni a contribuire al suo benessere.



“E adesso abbiamo la canzone numero quattro della categoria cantautori, si chiama Gianna e la canta Rino Gaetano. Ecco Gianna”. Con queste parole, Vittorio Salvetti introdusse Rino Gaetano sul palco del Teatro Ariston in occasione del Festival di Sanremo del 1978. Per l’esibizione Rino scelse un cappello a cilindro, regalatogli da Renato Zero, un frac, un papillon bianco, una maglia a righe, tante medagliette militari sul petto, che regalò in giro appena finito di cantare, e infine un ukulele.

È proprio da questa esibizione che Gaetano uscì dalla cerchia dei cantautori di nicchia per raggiungere il successo popolare. Per i suoi fan di lunga data fu quasi un tradimento la partecipazione a Sanremo, mentre i nuovi apprezzarono molto questo motivo orecchiabile e facile da canticchiare. Solo Gaetano e la commissione del Festival sapevano che in realtà Gianna fu soltanto la scelta di ripiego, comunque molto azzardata, perché fu la canzone che sdoganò la parola sesso al Festival di Sanremo e in televisione. Ciò che nessuno poteva immaginare, però, era che il successo di Rino Gaetano sarebbe finito bruscamente soltanto tre anni dopo. Prima di arrivare al 1981 facciamo un passo indietro.


Esibizione a Sanremo78


Salvatore Antonio Gaetano nacque a Crotone, in Calabria, il 29 ottobre 1950, dopo che la famiglia rientrò dal periodo di sfollamento in Veneto, dove nacque la sorella Anna, a causa della guerra. Fu proprio la sorella Anna a dargli il soprannome Rino, che userà per tutta la vita. Quando la famiglia si trasferì a Roma, Rino venne iscritto al seminario della Piccola Opera del Sacro Cuore a Narni, in provincia di Terni, non tanto per avviarlo alla carriera ecclesiastica quanto per assicurargli una buona istruzione. Già durante gli anni della scuola dimostrò il suo talento come scrittore componendo un poemetto intitolato “E l’uomo volò”.

Una volta completati gli studi tornò a Roma, dove si stabilì in via Nomentana con la famiglia, e cominciò a frequentare il Folkstudio, locale dove conobbe artisti come Antonello Venditti e Francesco De Gregori, mentre si dilettava a scrivere testi, ispirandosi ad artisti come Celentano, Jannacci, De André, Bob Dylan e i Beatles. In questo periodo le sue caratteristiche peculiari lo resero inviso a molti dei suoi contemporanei, che mal sopportavano le sue stramberie, e lo portarono a cimentarsi anche nel teatro. Nonostante il padre volesse per lui una carriera in banca, Rino non si arrese e cominciò a lavorare come paroliere per una casa discografica, la “IT”.

Vincenzo Micocci, presidente della IT, lo convinse, non senza difficoltà, a cantare da sé le sue canzoni, che all’inizio non ebbero successo. Come già detto la svolta avvenne con Sanremo e la sua Gianna, canzone odiata dallo stesso Gaetano, perché con un testo troppo semplice e troppo simile a “La Berta filava…”. La sua prima scelta era in realtà “Nuntereggae più”, canzone con un testo fortemente politico, che alludeva a nomi e fatti scomodi all’epoca.

La canzone uscì comunque dopo la fine del Festival, e Rino Gaetano dovette fare i conti sia con la censura sia con le critiche dei personaggi impegnati in politica. Vincenzo Mollica la descrisse così: “[Era] una canzone di grande divertimento, anche, però aveva il coraggio delle sue azioni, non si tirava mai indietro: nomi e cognomi per tutti e nei tempi in cui fare nome e cognome per tutti era molto difficile”.


Rino Gaetano


Il Festival di Sanremo lo fece uscire dal circolo di nicchia a cui apparteneva, rendendolo molto popolare, soprattutto con l’appellativo di “Quello di Gianna…”. Fu molto importante per lui l’incontro con Mogol, il quale scrisse delle canzoni per Gaetano che si differenziavano parecchio dallo stile graffiante e satirico del cantautore calabrese, arrivando anche a deludere le aspettative del grande pubblico che da Rino si aspettava solo nonsense o “buffonate” e non vederlo atteggiarsi come un cantante leggero. Purtroppo, però, per Rino Gaetano il Festival di Sanremo significò un aumento di attenzioni a cui non era pronto, un po’ per il carattere timido, un po’ perché inaspettato, e il risultato fu una totale perdita di controllo del suo stesso personaggio, che fu reso oggetto di attenzione per motivi sbagliati.

Negli ultimi anni, forse per ritrovare la serenità dopo le aspre critiche, il cantautore tentò di isolarsi, trasferendosi addirittura in Centroamerica, lasciandosi influenzare dalle melodie latino-americane, che, ancora una volta, lo resero bersaglio di feroci critiche in patria. Andò prima a Città del Messico nel 1979, e il risultato fu l’album “Resta vile maschio, dove vai?”, e poi in Ecuador nel dicembre 1980. In quegli anni fu molto importante per lui l’amicizia e collaborazione con Riccardo Cocciante, che culminò con il brano “A mano a mano”, scritto da Cocciante e cantato da Gaetano al Teatro Tenda di Roma nel 1981, mentre Cocciante reinterpreta “Aida”. Rino però non si fece mai abbattere, anzi decise di concentrarsi sulla sua vita privata, in particolare sul matrimonio con la fidanzata Amelia. L’8 gennaio 1979, mentre guidava, un fuoristrada aveva speronato la vettura del cantautore, una Volvo, facendolo finire contro il guardrail. Gaetano ne uscì illeso, e poco dopo cambiò macchina, acquistando una Volvo 343.

La sera a cavallo tra l’1 e il 2 giugno 1981 era una serata normale, che Rino Gaetano passò in un locale con alcuni amici. Si mise per strada per rientrare a casa verso le 3:30. Verso le 3:55, forse a causa di un colpo di sonno o di un malore, la Volvo invase la corsia opposta di via Nomentana, all’angolo con via Carlo Fea. Un camion si avvicinava sulla propria corsia di marcia quando si accorse della vettura che sopraggiungeva nel verso opposto. Il camionista provò a suonare il clacson, ma senza risultato.

Solo pochi secondi prima dell’inevitabile scontro vide gli occhi dell’automobilista spalancarsi all’improvviso. La Volvo si schiantò contro il mezzo pesante. Della parte anteriore e laterale destra della vettura ormai non restava nulla se non lamiera informe.

Quanto Antonio Torres, l’autista del camion, scese dal mezzo per prestare soccorso si trovò davanti una scena agghiacciante: la testa di Rino Gaetano aveva sfondato il parabrezza, mentre il torace era in una posizione con un’angolatura innaturale a causa del violento impatto con il volante e il cruscotto. I soccorsi arrivarono in fretta e Rino venne trasportato d’urgenza al Policlinico Umberto I, già in coma. Una volta arrivato si scoprirono le condizioni disperate nelle quali versava: frattura alla base cranica, diverse ferite sulla fronte, frattura dello zigomo destro e una sospetta frattura allo sterno. La struttura però non era in grado di affrontare operazioni a livello cranico tanto complesse, e vennero contattati altri ospedali per deviarlo su un ospedale più adatto: il San Giovanni, il San Camillo, il CTO della Garbatella, il Policlinico Gemelli e il San Filippo Neri. Nessuno aveva posti liberi a disposizione. Solo alle prime luci dell’alba il Gemelli diede disponibilità per un posto, ma, poco dopo essere arrivato in ospedale, Rino Gaetano morì. Due giorni dopo, i funerali vennero celebrati nella stessa chiesa dove si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio con la fidanzata Amelia.

Volvo Serie 300


Se da un lato la morte così precoce e inattesa innalzò Rino Gaetano nell’olimpo degli artisti di culto, dall’altro contribuì a innescare non poche polemiche. I fan del cantautore si scagliarono contro gli ospedali, che trovarono delle scuse per ritardare il ricovero e l’intervento, causando così volontariamente la morte. Le accuse vennero smentite successivamente da Anna Gaetano, la sorella di Rino, che dichiarò: “Non è vero che Rino fu rifiutato dagli ospedali. Questa è una leggenda. Quando il corpo di mio fratello venne estratto dalle lamiere venne portato al Policlinico Umberto I, semplicemente perché era il posto più vicino. La struttura non aveva una sala operatoria attrezzata per i craniolesi, ma non l’avevano neppure gli altri ospedali contattati telefonicamente”.

Le teorie non si fermavano alla negligenza degli ospedali romani: qualcuno, infatti, ipotizzò il suicidio premeditato. Nel 1971, Rino Gaetano compose una canzone intitolata “La ballata di Renzo” che recitava:

La strada era buia, s’andò al San Camillo

E lì non l’accettarono forse per l’orario,

si pregò tutti i santi ma s’andò al San Giovanni

e lì non lo vollero per lo sciopero.

Renzo, il protagonista della canzone, muore per un incidente stradale e gli ospedali lo rifiutano, qualcosa di ravvisabile nella morte del cantautore. Alcuni, dunque, ipotizzarono che Rino Gaetano andò volontariamente a scontrarsi contro il camion, restando fedele al testo della sua canzone. Ciò che distingue il testo della canzone dall’evento reale è che Renzo andò personalmente negli ospedali, venendo sempre rifiutato, mentre Rino Gaetano venne trasportato nell’ospedale più vicino e da lì cominciò la disperata ricerca di un posto in neurochirurgia, cosa abbastanza complicata all’epoca.

Qualcun altro invece ipotizzò addirittura l’omicidio: l’avvocato penalista Bruno Mautone, il quale scrisse tre libri sull’argomento (“La tragica scomparsa di un eroe”, “Chi ha ucciso Rino Gaetano” e “Rino Gaetano, segreti e misteri della sua morte”), afferma che Rino Gaetano non morì per una tragica casualità, bensì per chiaro volere dei servizi segreti italiani. Il cantautore citò spesso nei suoi testi nomi e fatti molto delicati considerando il periodo storico, il che significa che doveva avere degli amici fidati tra gli agenti segreti italiani, i quali gli passavano informazioni riguardo le varie indagini.

Come se ciò non bastasse, Mautone sostiene la tesi della vicinanza con la massoneria: a riprova di questo vi era l’amicizia con Elisabetta Ponti, figlia del medico personale di Licio Gelli, capo supremo della P2. Citando direttamente Mautone: “del resto quando Rino in Rai cantò la canzone “La Berta filava…” con lui c’era un cane, che era proprio di Elisabetta Ponti”. Nonostante Mautone dichiari di essere in possesso di prove schiaccianti a favore delle sue tesi, non si è conoscenza di nessuna di queste, dunque resta una semplice speculazione che strizza l’occhio al genere poliziesco.

La morte di Rino Gaetano viene anche spesso, e a ragione, paragonata alla morte di Fred Buscaglione, morto anche lui in un incidente automobilistico con un camion sulle strade della Roma notturna dopo un’esibizione musicale.

Quel che sappiamo per certo è che Rino Gaetano ci ha lasciato, nelle sue canzoni, uno spaccato della società italiana a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, tra i primi scandali politici e le proteste operaie.


Vediamo come va la mia memoria…

Intanto vi metto sull'avviso, alcuni di questi personaggi sono piuttosto inquietanti… giusto per usare un vago eufemismo……

Karl Ruprecht Kroenen, Ladislav Beran, in Hellboy





Noto anche come "brutto nazista del ca220…"



Pinhead, Doug Bradley, in Hellraiser



Dr. Phibes, Vincent Price, in L'abominevole Dr. Phibes



Freddy Krueger, Robert Englund, in Nightmare


Pennywise, Tim Curry, da It


Keyface, Javier Botet, da Insidious - L'ultima chiave



Pazuzu…



E Regan… Linda Blair, L'Esorcista


Angelo della Morte, Doug Jones, in Hellboy 2 - The Golden Army


Scegliete pure la vostra preferita…


Edit:

Fluffy, Creepshow


Kayako Saeki, The Grudge


Ed ora, qualche grande classico…

Boris Karloff, Frankenstein


L'on Chaney, Il fantasma dell'Opera



Max Shreck, Nosferatu



Edit 2:

Jeff Goldblum, Seth "The fly" Brundle


Quentin Tarantino, From dusk 'till dawn




Bruce Campbell, Evil Ash, Evil Dead 2



Di che materiale è fatta la statuetta degli Oscar?



Questo oggetto rappresenta l'apice della carriera nell'industria cinematografica, ma di cosa è fatto esattamente?

La statuetta non è d'oro massiccio, è alta 34 centimetri e pesa 4 kg.

È realizzata di una lega di rame, peltro, nickel e argento successivamente placcata in oro, ed ha un valore commerciale di circa 295 dollari.

Piccosa curiosità, in alcuni anni durante la seconda guerra mondiale venne realizzata in gesso e poi colorata poiché i metalli dovevano essere tutti utilizzati per l'industria bellica.


Nel 1936 il compositore mantovano Gorni Kramer incise “Crapa pelata”.



Era un brano costruito su un pezzo di Duke Ellington e una filastrocca milanese che riuscì a farsi beffe del regime.

Infatti portò sia al successo un brano jazz (genere che era stato bandito dal regime) che canzonare la testa pelata più famosa d’Italia, quella mussoliniana.

Non contento, Kramer scrisse tempo dopo la musica di “Pippo Pippo non lo sa”, pezzo swing accompagnato da un testo che poneva in ridicolo il gerarca fascista Achille Starace, solito girare impettito in camicia nera.

Ecco il testo di Crapa pelata:

Crapa pelada la fà i turtei

Ghe ne dà minga ai soi fradei

Oh! oh! oh! oh!

I so fradei fan la frittada

Ghe ne dan minga a Crapa pelada

Oh! oh! oh! oh!


Negli Stati Uniti (in particolare a Dallas), negli anni '40, c'era la tendenza dei cosiddetti "carhops". Si trattava di donne in hot pants o minigonna che servivano i clienti nei ristoranti e nei cinema drive-in.

I clienti le adoravano e anche le stesse ragazze carhops ci lavoravano volentieri, perché improvvisamente ricevevano mance molto alte.

Potevano arrivare a 25 dollari alla settimana, che a quei tempi era un sacco di soldi.




Ma quello che oggi è il politicamente corretto, allora lo erano i moralizzatori.

Le solite "governanti del villaggio" a volte correvano dalla polizia per denunciare queste indecenze.

C'erano anche, come oggi, donne che si arrabbiavano perché secondo loro le donne venivano "oggettivizzate".

Un tribunale ha persino valutato se vi fosse un rischio per la salute dei clienti a causa della permissività degli abiti.

Ma nessuno ha posto fine a questa attività spudorata.

Ma alla fine un reclamo è servito a qualcosa.

Una donna si è lamentata pubblicamente di dover sempre guardare le gambe delle donne quando va al cinema.

Voleva vedere le gambe degli uomini.

Questo suggerimento è stato immediatamente accolto e messo in pratica dai proprietari del drive-in.



E così ci furono i primi carhops uomini, di cui le donne erano felici, ma anche certamente alcuni gay che ora avevano un nuovo locale da andare con gusto.

Ma ora arrivarono delle nuove lamentele.

Quelle di ex donne carhops che si lamentavano del fatto che gli uomini stavano rubando loro il lavoro.

Non si può mai accontentare tutti.

Qualcuno brontola sempre.


È COME IMPAZZIRE IN UNA FARMACIA



Protagonista di commedie di successo, come la serie "Everybody Hates Chris" (2005-2009), Terry Crews si è sfogato, in un'intervista a un podcast americano, raccontando il trattamento a cui si è sottoposto per superare la dipendenza dalla pornografia.

"All'inizio non è stato facile, perché continuavo a pensare: 'Cos'altro posso fare?' Ho dovuto letteralmente scrivere le cose che potevo praticare invece di guardare la pornografia", ha detto, affermando che, "nei momenti di noia", quando era libero dal lavoro e dalle faccende domestiche, ha trovato molto difficile superare la dipendenza. .

Crews ha rivelato che la sua dipendenza dalla visione di filmati sessualmente espliciti è peggiorata progressivamente perché ha cercato di mantenere il segreto, anche con la moglie, l'attrice Rebecca King-Crews.

"La pornografia è come impazzire in un negozio di droga. Sei come un bambino a piede libero, che raccoglie ogni sorta di cose lì dentro e può essere seriamente danneggiato", ha dichiarato l'attore.


Qualche esempio:

Shirley MacLaine e Clint Eastwood (Due muli per la sorella Sara)



Sebbene il film sia eccezionale e abbia incassato un sacco di soldi al botteghino, a quanto pare MacLaine non andava d'accordo con nessuno che ci lavorasse, incluso Eastwod, un regista Don Siegel, i quali hanno entrambi dichiarato che non avrebbero mai più lavorato con lei. Come ho notato in un'altra risposta, Siegel è morto e Eastwood ora ha 92 anni, quindi sembra che entrambi manterranno la parola data.


Humphrey Bogart, William Holden e Audrey Hepburn (Sabrina)



Ironia della sorte, Bogart non andava d'accordo con nessuno, incluso il regista del film Billy Wilder. Bogart era arrabbiato per il fatto che la sceneggiatura non fosse stata completata, che la sua paga non fosse l'ideale e che Holden e Hepburn sembravano averlo messo in ombra. Il film è eccezionale anche se anche se la salute di Bogart non avesse portato alla sua morte tre anni dopo, è dubbio che avrebbe mai lavorato di nuovo con nessuno dei due attori.


Julia Roberts e Nick Nolte (I Love Trouble)


Nessuna delle stelle si è piaciuta l'un l'altra e sebbene siano riusciti a recitare a modo loro, la natura blanda del film e la loro incapacità di andare d'accordo trapelando al pubblico l'hanno ucciso al botteghino. Nei quasi 30 anni trascorsi da allora, nessuno dei due ha mai più lavorato con l'altro.


Sarah Jessica Parker e Kim Cattrall (Sex and The City 2)



Fondamentalmente, Kim Cattrall pensa di essere un'attrice eccezionale e odia Sarah Jessica Parker che era lì solo per ritirare un assegno. Cattrall è, ovviamente, scorretto e probabilmente Parker avrebbe dovuto fingere che ci stesse davvero provando. Ad ogni modo, si odiano a vicenda e Cattrall era un'idiota che apparentemente ha rinunciato a un assegno incredibilmente alto per Sex and The City 3 perché odia così tanto Parker.


Tommy Lee Jones e Jim Carrey (Batman per sempre)



Carrey ha cercato di andare d'accordo con Jones, che ha la reputazione di essere uno stronzo, ma Jones non ne aveva intenzione. Hanno lavorato insieme durante il film e Carrey è diventata una star del cinema di serie A, mentre la presenza di Jones come attore protagonista in ruoli importanti è diminuita poiché ha fatto incazzare ancora di più i suoi colleghi. Non hanno mai più girato un altro film nei 27 anni trascorsi da Batman Forever


L'idea che le celebrità possano ritrarre una vita falsa non è affatto nuova o così controversa: in alcuni casi essere falsi può sembrare una necessità (purtroppo), ad esempio, attori gay che fingono di essere etero a causa di pregiudizi hollywoodiani/sociali.

Detto questo, con i rapper che fingono di essere gangster, penso che sia un problema.

Glorificare uno stile di vita violento che non hai mai subito o sperimentato, creando una falsa percezione che porti al successo, porta i ragazzi impressionabili a pensare che sia legittimo e praticabile. La maggior parte delle persone che sperimentano quella vita e riescono a uscirne (una percentuale purtroppo piccola), avvertono fortemente che gli altri non dovrebbero seguire le loro orme poiché porta solo dolore, dolore e sofferenza per te e la tua famiglia.

Alimenta anche, per molti, l'unica percezione che hanno delle persone di colore (in particolare i neri), che corrode ulteriormente l'integrazione e l'uguaglianza della società.

Detto questo, non è del tutto colpa loro: la società/le case discografiche si aspettano che i rapper siano "gangsta" e una parte fondamentale della loro commerciabilità/credibilità si riduce a questo. Essere un rapper senza "credito di strada" è spesso una strada più difficile da percorrere, quindi capisco perché lo fanno.

In breve, lo esigiamo, quindi lo soddisfano. Se chiediamo di meglio, cambieranno.


Rick Ross, rapper e gangster autodichiarato. Nella vita reale, era un agente penitenziario prima del decollo della sua carriera rap.


 


Perché é una industria, e deve vendere il prodotto: quindi spende in quello che fa vendere, e dato che il pubblico di massa é di bocca buona, della storia importa meno che della "spettacolarità" di quello che vede. La maggior parte della spesa se ne va in "promozione": devono farti salire l'hype e convincerti a vedere il film; la seconda voce di spesa sono gli "attoroni" che non per forza devono essere bravi, ma richiamare il pubblico col loro nome. Ora, sulle centinaia di milioni che ormai costa una qualsiasi grande produzione, spendere un milione comprando la migliore storia tra mille bravi scrittori e pagare pure le spese a quelli scartati sarebbe buona cosa ma, a quanto pare, non frega nulla a nessuno.

Definire cinema un insieme di effetti speciali è un azzardo. C'è una evidente crisi degli sceneggiatori, che i produttori cercano di colmare riempendo di "effetti speciali" copioni molto poveri. Ma a ben guardare come si creano tali film si capisce che , operare su uno schermo bianco aggiungendovi con gli effetti ciò che la macchina da presa non può catturare ( poiché inesistenti), si conviene che tale operazione è molto più simile a ciò che fa un pittore con una tela bianca piuttosto che ad un regista che riprende ciò che accade sulla scena. Non è cinema. Per dirla con Bazin, viene meno l'ontologia del film. Il famoso complesso della mummia.

Per la "povertà" e la crisi di idee che c'è nell'industria cinematografica americana, gli effetti speciali sono un problema secondario visto che ormai non si vedono più idee originali ma solo sequel, universi condivisi, spin-off, midquel, prequel, reboot o remake.