Steven Seagal.



Dopo i flop dei suoi ultimi film ha smesso di recitare ed é diventato vice sceriffo in Luisiana e poi in New Mexico.


Tom Selleck.



L'ex Magnum P.I. e star della serie Blue blood si é quasi ritirato e coltiva avocado nella sua fattoria in California.


Le gemelle Olsen.



Le gemelle piú famose d'America, sorelle di Elizabeth Olsen, la Wanda Maximoff dell'MCU, hanno smesso ormai da anni di recitare ed hanno una compagnia che si occupa di moda, profumi, gadget, DVD musicali, videogiochi ed altro. Sono tra le donne piú ricche d'America e questo giá da quando erano pre-adolescenti.


Nikki Blonsky.



La star insieme a John Travolta del film Hairspray: grasso é bello ha lasciato da anni il cinema e adesso fa la parrucchiera ad Hollywood.


Jim Belushi.



La star di La vita secondo Jim e del film Poliziotto a 4 zampe si é quasi ritirato ed oggi coltiva marijuana nella sua fattoria in Oregon. Non é l'unico, anche Mike Tyson, Whoopi Goldberg e Snoop Dogg stanno investendo in questo nuovo business.


Chris Owen.



L'attore di American Pie e dei suoi seguiti in seguito al divorzio da sua moglie nel 2013 é finito quasi in bancarotta e adesso é cameriere in un ristorante giapponese di Los Angeles!

Amanda Bynes.



Dopo i suoi problemi di droga e i continui ricoveri nelle cliniche di disintossicazione l'ex fidanzatina d'America ha lasciato il cinema per la moda. Oggi é un'apprezzata stilista e possiede una casa di moda che produce cosmetici e accessori.


Gene Hackman.



Il grande attore, protagonista de Il braccio violento della legge, Colpo vincente, Senza via di scampo e due volte premio Oscar si é ritirato nel 2004 e adesso fa lo scrittore.

Chiudo con un attore che ha fatto il percorso inverso: Harrison Ford.



La star di Blade runner, Indiana Jones e di Star Wars nasce come falegname. Iniziò a lavorare negli studios come attrezzista e falegname, ed essere successivamente notato dai registi per la prestanza fisica e il volto, convincendosi a diventare attore.


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Mitch Miller, nato Mitchell William Miller, (4 luglio 1911 – New York, 31 luglio 2010), è stato un compositore, cantante e direttore d'orchestra statunitense, ma anche produttore discografico e direttore musicale della Columbia Records. È stato una delle figure più influenti nel panorama della musica leggera statunitense durante gli anni 1950 e gli inizi dei 1960, nella doppia veste di capo della divisione Artists & Repertoire alla Columbia Records e di esecutore e direttore d'orchestra. In quest'ultima veste Miller è stato il creatore di quello che è oggi il karaoke, realizzato nella serie televisiva messa in onda dalla NBC-TV, Sing Along with Mitch (Canta assieme a Mitch).

Biografia

Diplomatosi presso la Eastman School of Music della University of Rochester nei primi anni 1930, Miller come stimato strumentista di oboe e corno inglese, ed ha registrato numerosi album, divenuti dei classici, di pezzi strumentali, anche se è più noto come direttore d'orchestra, direttore di coro e direttore di edizione fonografica.
Divenuto capo della divisione Artists and Repertoire alla Mercury Records alla fine degli anni 1940, passò poi alla Columbia Records, assumendo lo stesso incarico, nel 1950. Questa era la posizione centrale nella casa discografica, in quanto era il centro decisionale che sceglieva i musicisti ed i cantanti che sarebbero stati prodotti dall'etichetta discografica.
Egli definì lo stile della Columbia negli anni 1960, producendo importanti artisti come, Patti Page, Frankie Laine, Johnnie Ray, Ray Conniff, Percy Faith, Jimmy Boyd, Johnny Mathis, Tony Bennett e Guy Mitchell (il cui pseudonimo è basato sul nome di Miller), e spianò la carriera di cantanti come, Doris Day, Dinah Shore e Jo Stafford, solo per citarne alcuni. Miller scoprì anche Aretha Franklin e le fece firmare il suo primo contratto con un'etichetta importante. La Franklin lasciò poi la Columbia dopo alcuni anni, quando Ahmet Ertegün della Atlantic Records le promise la libertà di scegliere il suo repertorio al di fuori del repertorio leggero dominante in quei tempi per approdare verso il rhythm and blues.
Miller disapprovava il rock and roll, e non accettò Elvis Presley e Buddy Holly, che divennero delle star presso altre etichette. Nonostante la sua distanza dal rock 'n' roll, Miller produsse spesso album per artisti legati alla Columbia che erano rocker per natura. Canzoni come "A White Sport Coat (and a Pink Carnation)" di Marty Robbins, e "Rock-a-Billy" by Guy Mitchell sono solo due esempi. Nel 1961, Miller convinse Bob Dylan a firmare per la Columbia, su raccomandazione di John Hammond.
Come produttore discografico, Miller conquistò la sua reputazione basando la sua attività sull'innovazione e la novità. Nonostante abbia realizzato decine di pezzi di grande successo, i suoi arrangiamenti incontrarono talvolta le critiche dei suoi ammiratori, come nel caso di "Come on-a My House", "Mama Will Bark" a causa del loro scostamento dai canoni tradizionali della musica popolare del tempo. Il critico musicale Will Friedwald scrisse nel suo libro Jazz Singing (Da Capo Press, 1996) che "Miller esemplifica il peggior pop americano. Incombe nelle ire dell'ascoltatore intelligente quando prova a trasformare artisti importanti come Sinatra, Clooney e Tony Bennett in qualcosa di banale. Miller sceglie le peggiori canzoni e la assembla con quanto di peggio sia immaginabile, non con l'attitudine del cattivo musicista... tradizionalmente usata, ma con consapevolezza, avvedutezza, precisa pianificazione e perversa brillantezza."
Nonostante i metodi di Miller fossero invisi a molti interpreti della Columbia come Frank Sinatra e Rosemary Clooney, l'etichetta mantenne la sua linea per tutti gli anni 1950. Sinatra, in particolare, parlò male di Miller e gli attribuì la colpa del suo calo di popolarità nei suoi anni alla Columbia, per averlo obbligato a cantare canzoni come "Mama Will Bark" e "The Hucklebuck." Miller, da parte sua, replicò che il contratto consentiva a Sinatra di rifiutare qualunque canzone.
Nei primi anni 1950, Miller registrò con l'orchestra della Columbia come Mitchell Miller and His Orchestra. Registrò inoltre una serie di album e singoli di successo, con un coro maschile ed il suo specifico arrangiamento, sotto il nome di Mitch Miller and the Gang a partire dal 1950. I maggiori successi furono "Tzena, Tzena, Tzena", "The Yellow Rose of Texas" nel 1955 che raggiunge la prima posizione nella Billboard Hot 100 per sei settimane e le due marce da Il ponte sul fiume Kwai: "The River Kwai March" e "Colonel Bogey" prima in Germania per tredici settimane ed in Olanda per nove settimane ed ottava in Norvegia nel 1958.
Nel 1961 Miller realizzò due pezzi corali tratti dalle musiche di Dimitri Tiomkin dalla colonna sonora del film I cannoni di Navarone. Nel 1962 fu la volta del tema dal film Il giorno più lungo tratto dai titoli finali. Nel 1965 cantarono la "Major Dundee March", la canzone dal film di Sam Peckinpah, Major Dundee. Il film fu un clamoroso flop, ma paradossalmente la canzone rimase famosa per molti anni. Nel 1987, Miller diresse la London Symphony Orchestra con il pianista David Golub nell'apprezzata registrazione delle opere di George Gershwin, Un americano a Parigi, Rapsodia in blu e Concerto in fa.
Negli anni 1960, Miller divenne notissimo con il suo show televisivo (andato in onda dal 1961 al 1966 sulla NBC) Sing Along with Mitch, uno spettacolo imperniato sulle esecuzioni sue e di un coro maschile, a seguito del suo eccezionale successo con la serie di dischi portanti lo stesso titolo. Nel corso della seconda stagione di Sing Along with Mitch, Miller coniò la frase "sorridiamo tutti" Questa era preceduta dalle istruzioni per "cantare assieme; seguendo le parole del testo che scorrevano sullo schermo" come nelle attuali sessioni di karaoke. In seguito a questo fatto la gente ritiene Mitch Miller come l'inventore del karaoke.
Miller ricevette un Grammy Award alla carriera nel 2000. Negli ultimi tempi viveva a Manhattan, New York, dov'è morto alla veneranda età di 99 anni al Lennox Hill Hospital.

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Il missaggio (o mixaggio) nell'industria discografica consiste nel miscelare opportunamente fra loro uno o più suoni (o anche brani).

Missaggio audio

Con il termine "missaggio audio" si intende l'arte di miscelare, equalizzare, ottimizzare a livello di volume, timbro e spazialità (direzionalità e riverberazione) suoni diversi tra loro, provenienti generalmente da strumenti diversi, precedentemente registrati su un supporto, analogico o digitale multitraccia, o direttamente dal vivo durante concerti, spettacoli teatrali e rappresentazioni. Eseguire un missaggio si dice "missare".
In genere lo strumento che permette di portare a compimento questa fase di lavorazione di un prodotto fonografico si chiama mixer. Esso permette di raccogliere le varie tracce preregistrate e convogliarle poi verso dei bus di uscita a scelta dell'ingegnere del suono, dopo che, attraverso i mezzi di controllo di cui il mixer dispone, sono stati elaborati gli eventuali filtraggi, equalizzazioni, aggiunte di effetti, ecc.
Questo tipo di elaborazione viene fatta generalmente per ottenere quello che in gergo si chiama master, che sarà più o meno la registrazione originale del disco che poi, stampato in serie, verrà destinato alla distribuzione o alla vendita.
Anche nei concerti dal vivo i tecnici del suono utilizzano mixer per ottimizzare e miscelare i segnali audio provenienti da strumenti musicali o voce (in questo caso non precedentemente registrati).

Sequenza missata

Spesso il termine missaggio viene utilizzato impropriamente, soprattutto nel mondo dei disc jockey, riferendosi alla sovrapposizione e concatenazione di più brani musicali. Tramite delle opportune tecniche di beat mixing e key mixing, il deejay crea una sequenza ininterrotta di brani musicali, in gergo chiamata DJ set o anche sequenza mixata.

Cinema e televisione

Nel cinema e nella televisione si intende per missaggio l'operazione di integrazione, fusione, o sovrapposizione, in un unico supporto della colonna sonora, dei dialoghi, delle immagini e dei suoni di un film (registrati separatamente).
Il missaggio tuttavia è inteso anche come momento di finalizzazione della colonna sonora. Alcuni compositori di colonne sonore si occupano anche di questa fase della produzione ritenendo che sia importante quanto il momento creativo.



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Uno studio di registrazione è uno spazio progettato per l'acquisizione, mixaggio ed editing del suono. In uno studio di registrazione è possibile registrare band musicali, artisti solisti, show radiofonici, suoni per colonne sonore e spot pubblicitari.

Storia

Anni 1890 – 1930

Nell’epoca delle registrazioni acustiche, i primi studi di registrazione erano semplici strutture insonorizzate che provvedevano a isolare l’ambiente interno da quello esterno. Le registrazioni venivano eseguite in maniera analogica e, i musicisti, si trovavano raggruppati attorno a un corno acustico, una sorta di fonografo di grandi dimensioni. L’energia acustica delle voci e/o degli strumenti era canalizzata attraverso il diaframma del corno verso un tornio meccanico di taglio situato nella stanza adiacente, che incideva direttamente il segnale come scanalatura modulata, direttamente sulla superficie del disco. Dopo l’introduzione commerciale del microfono, dell’amplificatore elettrico, del banco da mixing e degli altoparlanti, l’industria di registrazione si è progressivamente trasformata e, nel 1925, questa tecnologia ha sostituito i metodi di registrazione analogici per importanti etichette come l’RCA Victor e la Columbia. Dal 1933, la registrazione acustica è stata completamente rimpiazzata.

Anni 1940 - 1970

Alla fine degli anni ’30, gli strumenti di registrazione elettronici erano di utilizzo comune, ma il mastering avveniva sempre in forma analogica, tagliando direttamente sul disco. Sulla base delle tendenze musicali principali, gli studi di registrazione, in questo periodo, erano prevalentemente progettati per riprese in diretta di orchestre sinfoniche e di altri grandi gruppi strumentali. Gli ingegneri avevano infatti scoperto che gli spazi molto ampi, come le sale da concerto, erano in grado di assicurare un’acustica e un riverbero naturali migliori, che rendevano più nitide le registrazioni. Le sale dal vivo erano, di conseguenza, preferite di gran lunga rispetto alle cabine acustiche e le sale da studio divennero molto comuni a partire dalla fine degli anni ’60. A causa delle limitazioni dovute alla tecnologia per la registrazione, che non consentivano di registrare multitraccia, gli studi della metà del XX secolo furono progettate sulla base del concetto di raggruppamento dei musicisti e dei cantanti, anziché su una separazione strategica di esecutori e microfoni per catturare l’interazione armonica e acustica dell’esecuzione. Tutt’oggi, questa precisa tecnica viene impiegata per orchestrazioni sinfoniche per l’ambito cinematografico e per grandi progetti.

Struttura

Tipicamente uno studio di registrazione consiste di due o più spazi: una sala di controllo, o regia (control room), attrezzata con apparecchi adatti a registrare i dati su supporto, a instradare il suono in canali appositi e a manipolarlo per vari scopi; c'è poi una sala (o più) chiamata "live room", destinata ad ospitare chi (o cosa) produce il suono. Tali sale sono isolate acusticamente, se devono ospitare degli strumenti molto rumorosi, e per evitare che il suono che viene prodotto venga registrato da microfoni presenti eventualmente in altre sale. Le sale sono progettate in base ai principi dell'acustica: oltre ad essere isolate, possono essere rivestite di materiali che ne modificano la risposta acustica favorendo o eliminando le riflessioni del suono all'interno.

La sala ripresa

La sala ripresa è un ambiente acusticamente isolato e curato dove i segnali audio vengono ripresi per mezzo dei trasduttori elettroacustici (solitamente microfoni) per essere trasferiti attraverso dei cavi nella regia.

La regia

La regia è l'ambiente, anch'esso acusticamente isolato e curato, dove si trovano il mixer, i monitor ed altri processori di segnale tra cui registratori multitraccia, multieffetto, cd recorder, DEC, DAT e altri ancora. In questo ambiente il fonico modifica e miscela i segnali audio.

La sala macchine

La sala macchine è l'ambiente acusticamente isolato e termicamente stabilizzato in cui si trovano le macchine tramite le quali i segnali audio vengono memorizzati su supporti digitali o analogici. Questo ambiente non è sempre presente in quanto ormai, per mancanza di spazio, ma anche a causa delle innovazioni digitali, i registratori audio si trovano quasi sempre nella regia.

Attrezzatura

L'equipment di base di uno studio di registrazione è:
  • un mixer;
  • un multitraccia, ormai sempre più spesso sostituito da moderni sequencer multitraccia software;
  • microfoni;
  • studio monitor, ovvero diffusori con una risposta in frequenza neutra, ovvero il più lineare possibile.
Esso disporrà inoltre di:
  • una digital audio workstation con software di produzione audio e midi;
  • vari tipi di effetti come riverberi, o processori di segnali quali compressori ed equalizzatori, inoltre saranno presenti una vasta gamma di plug-in digitali;
  • fondamentali sono la scheda audio e i convertitori A/D, che possono sfruttare diversi protocolli per tradurre in digitale i segnali audio analogici (campionamento) e portarli alla digital audio workstation, tramite connessioni standard (USB, firewire, PCI) o specifici trasporti digitali proprietari.

Tipologie di studi di registrazione

Man mano che il costo delle tecnologie audio è sceso, soprattutto grazie al digitale, è stato possibile creare dei piccoli studi di registrazione anche disponendo di pochi capitali da investire o addirittura allestire un piccolo studio di registrazione nella stanza di una casa.
È divenuto perciò necessario fare distinzione tra studio professionale, project studio ed home studio.

Studio professionale

Lo studio professionale è di solito il più grande delle tre tipologie. Dispone quasi sempre di più ambienti di ripresa e di regia nonché delle migliori tecnologie analogiche e digitali. Effettua registrazioni conto terzi di materiale che quasi sempre finisce nel circuito discografico.

Project studio

Spesso il project studio nasce per portare a termine la registrazione di un progetto di un artista o di un gruppo. Allo stesso tempo o successivamente effettua anche registrazioni conto terzi sia di demo sia di dischi per il mercato discografico. È di solito dotato di almeno una sala ripresa ed una regia e ben fornito sia di macchinari analogici quanto digitali.

Home studio

L'home studio è la versione casalinga del project studio. Allestito tra le mura domestiche, ha di solito il solo scopo di produrre demo o preproduzioni per i dischi. Con il diminuire dei prezzi delle tecnologie audio è sempre più utilizzato, ma si deve disporre di una buona conoscenza del materiale e di buone attrezzature. Raramente dispone di dispositivi costosi e si appoggia per lo più alle tecnologie digitali. Studi di questo tipo si sono diffusi molto grazie alla tecnologia MIDI.
Per l'home recording studio sono necessari:
  • una buona scheda audio (USB o firewire);
  • eventualmente un mackie control (che può essere utilizzato anche come controller del software);
  • una digital audio workstation, ma in studi casalinghi è più che sufficiente un comune PC (eventualmente modificato per ottenere delle buone prestazioni audio);
  • microfoni di buona qualità;
  • un software per la produzione audio e midi dotato di plug-in digitali (essi possono rimpiazzare i vari effetti e processori esterni ingombranti e costosi);
  • monitor professionali o semiprofessionali per l'ascolto ed il missaggio della produzione.

Digital audio workstation

I computer general purpose odierni consentono di rimpiazzare alcuni degli apparecchi di registrazione dello studio, come mixer, multitraccia, sintetizzatori, sampler ed effetti. Un computer attrezzato a questo scopo è definito digital audio workstation o DAW. I software più popolari rivolti a queste attività sono: Avid Pro Tools, Ardour (disponibile per Linux e Mac OS), Cubase e Nuendo di Steinberg, MOTU Digital Performer, FL Studio di Image Line, Ableton Live, Reason di Propellerhead, Cakewalk SONAR, Presonus Studio One, ACID Pro, Apple Logic Pro e Reaper di Cockos.
Grazie all'invenzione dei supporti magnetici e agli standard dei formati di registrazione, non tutti i progetti iniziano e finiscono nello stesso studio.
È possibile registrare delle tracce in uno studio, completare la registrazione in un altro studio e fare il missaggio di tutto il materiale in un altro ancora, scegliendo una o l'altra struttura per la sua acustica o per i particolari dispositivi di cui dispone.
Un metodo abbastanza economico per realizzare un album musicale sfruttando questi vantaggi, è quello di iniziare le registrazioni di alcune tracce nello studio casalingo (tastiere e tracce guida ad esempio), completare le registrazioni (Voce, batteria, chitarre e basso per esempio) in un project studio che dispone di almeno un ambiente acusticamente isolato e trattato, e infine delegare solamente il missaggio e il mastering ad uno studio professionale.

Risultati immagini per Album discografico



Un album discografico è, in linea con il significato della parola album, una raccolta di brani musicali accomunati da un genere, da un autore o da un argomento comune.
Nella concezione tipica del termine, un album è legato ad un artista e ne raccoglie un numero variabile di brani.

Cenni storici

La possibilità a livello storico di realizzare un album discografico è nata con l'avvento dei dischi in vinile a 33⅓ giri che permettevano di inserire numerosi brani sulle due facciate di un unico supporto. I formati più comuni dei dischi in vinile erano gli LP a 33⅓ giri/minuto, gli EP e i 45 giri.
La qualità della registrazione si è via via affinata e, per i CD, è oggi codificata in tre passaggi; la codifica più avanzata è la cosiddetta DDD (Digital Digital Digital), ossia quella realizzata interamente in digitale.

Caratteristiche

L'origine di un album e la decisione dei brani da includere può avvenire secondo diverse modalità: la decisione può essere presa dallo stesso autore oppure l'idea di raggruppare più brani può partire dal discografico; la raccolta può avere una sua unità artistica oppure può costituire solo una semplice raccolta di brani; può contenere brani nuovi, appositamente creati per tale album, oppure può contenere brani già pubblicati. In alcuni casi uno stesso album può essere riproposto alla vendita sotto un'altra forma o titolo. Per incentivare il riacquisto vengono spesso aggiunti dei nuovi brani, che nel gergo comune vengono identificati come bonus track (quest'uso, però, non è praticato nelle ristampe di dischi italiani).
A seconda del numero di copie di un album vendute, l'industria discografica ha ideato dei premi, denominati disco d'oro, disco d'argento, disco di platino assegnati all'autore dell'opera.

Tipologie

Album in studio

Col termine di album in studio (oppure, in inglese, full-length), si intende una produzione discografica di durata "normale" (superiore quindi a quella dell'EP) contenente esclusivamente brani inediti incisi in sala di registrazione, oppure di canzoni già pubblicate (salvo alcune eccezioni solitamente note come bonus track che comunque devono essere una ristretta minoranza). L'album studio o full length è frequentemente citato in contrapposizione, per quanto riguarda la durata, ai supporti di durata più breve (EP e singoli) e, per quanto riguarda il contenuto, agli album dal vivo, alle compilation ed agli split.
Tuttavia la dicitura full-length si riferisce anche ad un singolo brano nella sua versione integrale o completa, privo cioè di eventuali tagli effettuati per realizzare le versioni radio edit o single edit.

Album di cover

Un album in studio contenente esclusivamente cover viene solitamente chiamato "album di cover" o "cover album". Gli album di cover contengono brani di uno stesso artista reinterpretati da un gruppo di diversi artisti, o viceversa (brani di diversi artisti reinterpretati da un solo artista).

Album dal vivo

Si tratta di un album registrato durante una o più esecuzioni dal vivo di un gruppo, cantante od orchestra musicale. Questo tipo di album costituisce solitamente una raccolta dei brani più significativi in un determinato periodo dell'autore.



Album di remix

Un album di remix è solitamente un album contenente esclusivamente remix o rifacimenti di canzoni già pubblicate precedentemente da un artista. Uno dei primi album di remix fu Aerial Pandemonium Ballet di Harry Nilsson, pubblicato nel 1971 e contenente nuove registrazioni delle canzoni contenute nei suoi precedenti album Everybody's Talkin e The Point!
L'album di remix più venduto nella storia è Blood on the Dance Floor: HIStory in the Mix del cantante statunitense Michael Jackson.

Raccolta

Una raccolta (o compilation) è un album discografico composto da brani di uno o più artisti, solitamente estratti da pubblicazioni precedenti e raggruppati in un unico disco. Le tracce sono normalmente selezionate per motivi stilistici, tematici o di successo.



Split

Uno split è un album o un EP che contiene brani di due o più diversi artisti.

Storia

I primi album registrati sono Cowboy Songs and Other Frontier Ballads di John Lomax del 1910 e Dallas Blues di Hart Wandcould del 1913. Il primo uso registrato della parola "album" risale alla pubblicazione, nell'aprile 1909, della suite in quattro parti de Lo schiaccianoci di Čajkovskij suonato da Mark Hambourg e dalla Royal Albert Hall Orchestra diretta da Sir Landon Ronald da parte della Odeon Records, per il prezzo di 16 scellini (circa 75 euro al cambio del 2005). Andava a 78 giri al minuto e si riproduceva al fonografo.
Nel 1948 la Columbia Records ha prodotto il primo Long playing a 12 pollici e 33 13 giri al minuto.

Record

  • L'album più venduto di tutti i tempi è Thriller del 1982 di Michael Jackson, che ha venduto più di 100 milioni di copie in tutto il mondo.
  • L'album con il titolo più lungo è The Boy Bands Have Won, and All the Copyists and the Tribute Bands and the TV Talent Show Producers Have Won, If We Allow Our Culture to Be Shaped by Mimicry, Whether from Lack of Ideas or From Exaggerated Respect. You Should Never Try to Freeze Culture. What You Can Do Is Recycle That Culture. Take Your Older Brother's Hand-Me-Down Jacket and Re-Style It, Re-Fashion It to the Point Where It Becomes Your Own. But Don't Just Regurgitate Creative History, or Hold Art and Music and Literature as Fixed, Untouchable and Kept Under Glass. The People Who Try to 'Guard' Any Particular Form of Music Are, Like the Copyists and Manufactured Bands, Doing It the Worst Disservice, Because the Only Thing That You Can Do to Music That Will Damage It Is Not Change It, Not Make It Your Own. Because Then It Dies, Then It's Over, Then It's Done, and the Boy Bands Have Won' (156 parole, 876 caratteri) del gruppo anarcho punk dei Chumbawamba del 2008, l'album è chiamato semplicemente The Boy Bands Have Won.
  • Baby one more time di Britney Spears è il miglior album di debutto di sempre

 



I passi che noi conosciamo, hanno origine alla corte di Luigi 14esimo, poi nel tempo sistemati di tecnica dai migliori ballerini che scrivevano trattati.

Hanno comunque origine nel medioevo o dopo l'anno mille come "saltello" o "doppio passo" che non erano passi complicati come quelli che conosciamo oggi.

Con l'inizio della trattatistica mi pare nel 500, i passi sono stati inseriti in diversi moduli come passi naturali ( passi, movimenti delle braccia) e accidentali ( giri e salti).

Riprendendo da luigi 14esimo, in quell'epoca si vede uno sviluppo appunto in Francia della tecnica, per esempio, il re creò una posizione (la nostra 5 pos.) Con il nome di "piedi al di fuori" poi canonizzato man mano dai migliori ballerini nel tempo come "en dehors".

Quindi, tutti i passi hanno origini e date diverse, create da tantissimi esponenti come ballerini che hanno creato anche vari metodi (vaganova, balanchine, metodo francese etc)

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Norman Granz (Los Angeles, 6 agosto 1918 – Ginevra, 22 novembre 2001) è stato un produttore discografico e imprenditore statunitense noto per aver creato la casa discografica Verve Records.
Nato in una famiglia di immigrati ebrei ucraini, pur non essendo un musicista divenne una delle figure fondamentali della musica moderna, in particolare della musica jazz americana sviluppatasi a cavallo fra gli anni cinquanta e sessanta.

Il coraggio del jazz

Da giovane fu un impiegato della Metro-Goldwyn-Mayer, ma ben presto l'attrazione esercitata dal genere musicale allora più oscuro, lo assorbì completamente. Il 2 luglio 1944 organizzò un concerto memorabile a Los Angeles, al Philharmonic Auditorium, evento chiamato "Jazz at the Philharmonic" o "JATP". Il concerto fu registrato e l'incisione fu il primo disco di jazz destinato al grande pubblico ad avere successo sul mercato principale della discografia; per di più, era la prima jam session a scalarne le classifiche. Era anche forse la prima rappresentazione jazzistica in un auditorium classico, la prima strappata ammissione di valore musicale autonomo per questo genere, sino ad allora relegato a ruoli di sottofondo o di accompagnamento di corredo ad altre arti.
Fino a JATP, anche il mercato ammetteva soltanto le ultime scintille dello swing, ormai in rapido declino, ed il jazz godeva di una contrastante considerazione: idolatrato da alcuni, che vi vedevano segnali di avanguardia, tacciato di cacofonia da altri, che non lo comprendevano. Ma fu il grande lancio di Granz nel mondo della produzione, ed in ogni caso un grande concerto.
I musicisti che vi suonarono, Ray Brown, Coleman Hawkins, Charlie Parker ("The Bird"), Sonny Criss, Nat King Cole (come pianista, non come cantante), Hank Jones, Shelley Mann, Fats Navarro, Flip Phillips e Tommy Turk, fecero poi insieme un paio di tournée l'anno, dal 1946 al 1949, ma il successo di JATP sarebbe continuato anche in seguito, con esibizioni fino al 1957, più uno special event nel 1967.
Come per molte figure di questa importanza, anche su Granz cominciarono a circolare aneddoti e leggende. Di JATP si racconta che Granz avrebbe ideato un titolo molto più lungo, ma che questo sarebbe stato accorciato d'arbitrio dal tipografo che ne avrebbe stampato la cartellonistica; secondo un'altra nota diceria, tutto l'investimento del produttore sarebbero stati 200 dollari prestati.

Questioni di etichetta

Granz firmò un accordo con Mercury Records per la promozione e la distribuzione del JATP e di altri dischi. Questo accordo venne a scadenza nel 1953 e Granz creò la sua prima etichetta indipendente (Clef Records) con la quale voleva sviluppare e seguire il progetto di JATP. Creò anche la Norgran Records e la Down Home Records, riservate al jazz tradizionale.
La maggior parte dei nomi che hanno fatto la storia nel jazz del periodo hanno firmato un contratto almeno breve, almeno una volta, con una delle sue etichette, compresi, ma non solo, Cannonball Adderley, Louis Armstrong, Count Basie, Bud Powell, Louie Bellson, Benny Carter, Buck Clayton, Buddy DeFranco, Tal Farlow, Stan Getz, Dizzy Gillespie, Lionel Hampton, Roy Eldridge, Billie Holiday, Illinois Jacquet, Barney Kessel, Gene Krupa, Howard McGhee, Thelonious Monk, Gerry Mulligan, Charlie Parker, Joe Pass, Oscar Peterson, Flip Phillips, Bud Powell, Sonny Stitt, Nina Simone, Ben Webster e Lester Young.
Fu nel 1956 che Ella Fitzgerald, già celeberrima, raggiunse finalmente "la Comunità" di Granz, dopo che il suo contratto di lunga durata con Decca Records era spirato, e Granz, progettando di dedicarle grande e impegnativa attenzione, riunì le sue attività sotto l'etichetta comune di Verve Records.
La serie memorabile di "songbooks" (i più importanti dei quali sono quelli dedicati a George Gershwin ed a Cole Porter), insieme alla serie dei "duetti" (fra i quali Armstrong-Peterson, Fitzgerald-Basie, Fitzgerald-Pass e Getz-Peterson) raccolse una popolarità assai vasta e portò un discreto successo anche economico all'etichetta ed agli artisti. Furono anche fra i primi prodotti ad accendere un certo divismo jazzistico presso il pubblico: "Ella and Louis" (agosto 1956, Capitol Studios, Los Angeles), disco di duetti fra la Fitzgerald ed Armstrong (con Oscar Peterson, Herb Ellis, Ray Brown e Buddy Rich), inciso insieme ad un meno noto "Ella & Louis For Lovers", praticamente dovette a grande richiesta essere seguito l'anno successivo dal doppio LP "Ella and Louis again" (luglio-agosto 1957, Hollywood - stessa formazione ma Louie Bellson al posto di Buddy Rich).
Verve fu venduta nel 1960 alla Metro-Goldwyn-Mayer (che nel 1972 l'avrebbe poi ceduta alla PolyGram) e Granz si ritirò in Svizzerà, dove fondò la sua ultima etichetta (Pablo Records) nel 1973 e dove nel 2001 morì per cancro.

Melomani e melanina

La figura di Granz è richiamata anche per altri aspetti della sua mentalità. Ebbe una posizione fortemente antirazzista e combatté battaglie per i suoi artisti (molti dei quali erano neri, forse la maggioranza), in tempi ed in luoghi in cui il colore della pelle era causa di discriminazione.
Nel 1956 a Houston, Texas, tolse personalmente le etichette "bianchi" e "negri" destinate a separare il pubblico dell'auditorium in cui si sarebbero dovuti esibire, fra gli altri, la Fitzgerald e Gillespie; nell'intervallo, la polizia locale irruppe nei camerini, trovando gli artisti che giocavano a carte, li arrestò per gioco d'azzardo e solo dopo una lunga trattativa Granz ottenne che lo spettacolo potesse riprendere.
Oscar Peterson raccontò che una volta Granz intimò ad un tassinaro bianco di prendere a bordo del suo taxi i suoi artisti neri come normali passeggeri, e non si arrese neanche quando un poliziotto, chiamato dal vetturino, prese a puntargli una pistola carica in pancia. Ebbe alla fine ragione dell'autista di piazza.
Granz fu anche fra i primi datori di lavoro americani a garantire uguale salario ai lavoratori di colore, rispetto ai bianchi, oltre ad uguali trattamenti accessori, come ad esempio i camerini.
Adorato dai suoi artisti, dichiarò di essersi posto tre scopi nella vita: lottare contro il razzismo, dare agli ascoltatori buoni prodotti musicali, guadagnare solo da buona musica.


Risultati immagini per Attore, performer, regista e coreografo per caso, ma non a caso nella 1437-ORS.



Collaborano con la 1437 United Artist alcuni artisti dalla anomala formazione iniziata in alcuni casi come attori, le cui componenti fondamentali della loro poetica, il loro modo di lavorare, di costruire spettacoli, il loro essere coreografi e danzatori per caso e non per vocazione.
Artisti dai molti talenti – sono attori, performer, registi e infine, volente o nolente, coreografi – appartengono come il sottoscritto alla generazione dei quarantenni. Coreografi per caso forse, come vedremo, ma certo non a caso, data l’intensità delle componenti essenziali delle loro coreografie – spazio, tempo, ritmo, ripetizione – che si concentrano nelle loro creazioni.
Anche perché la danza contemporanea oggi è un “contenitore” dove finiscono anche molti lavori che sono non tanto “indefinibili” quanto piuttosto lavori che non appartengono a nessun format in particolare perché possono appartenere un pò a tutti.
“Quando conosciamo un gruppo nuovo, di danzatori o di collaboratori, ci teniamo molto a precisare quali sono le nostre competenze, quale è il nostro background. Nessuno della 1437 United Artist si firma mai come coreografo, non nel senso che non ci sentiamo all’altezza… ma perché siamo sempre molto chiari, con chi lavora con Noi, rispetto a quello che siamo, a quello che ci piace fare, a quello che ci piace vedere. Ed abbiamo un nostro linguaggio, rispetto alle cose che facciamo, che comunque, all’inizio, sono sempre “nuove”: i nostri programmi di sala son molto semplici. Ci piace anche considerarci un pò naïf: sia quando lavoriamo con dei danzatori contemporanei sia quando lavoriamo, per esempio, con dei giocolieri: neanche quello è un contesto al quale apparteniamo, assolutamente… Perciò cerchiamo sempre di chiedere alle persone innanzitutto se hanno voglia di lavorare con Noi. E se hanno voglia di mettersi in viaggio assieme a persone che devono imparare tutto del loro mondo, per dare una propria versione, alla fine. Cerchiamo sempre di essere molto “nudi” rispetto alla maniera di lavorare di fronte alla quale ci poniamo. Poi magari questa è anche una maniera di mettere le mani avanti, non sappiamo… ”.
“Per fare un esempio molto chiaro di quello che intendiamo: diciamo sempre con chiarezza “ragazzi, alla fine della nostra settimana di lavoro non faremo un casting: direte voi se avrete voglia di continuare questo percorso con Noi… sappiamo che siete dei grandi artisti, che avete un'esperienza incredibile, quindi per Noi siete già dentro al progetto”. Del resto abbiamo carta bianca, possiamo prendere chi vogliamo… Alla fine della prima settimana ci confrontiamo e loro in maniera autonoma decidono chi vuole continuare, chi ha trovato piacere a fare questa esperienza con Noi. Perché per la 1437 United Artist è molto importante che le persone abbiano voglia di lavorare con Noi. Le nostre son quasi sempre azioni ripetitive che portano, apparentemente, quasi a uno sfinimento, fisico e mentale. Quindi se il performer dentro queste azioni non trova il piacere per Noi non ha nessun senso”.
Cerchiamo sempre di andare a scavare, anche da un punto di vista psicologico, la relazione fra Noi e i performer con i quali lavoriamo. Alla base c’è un incontro che dura settimane, durante le quali, attraverso il racconto delle proprie esperienze, professionali ma anche a volte personali, si cerca di costruire, insieme, un gruppo. Non c’è mai una drammaturgia scritta. Quello che cerchiamo di rivelare sul palco sono gli esseri umani. Che hanno un nome e un cognome”.
“Sebbene molti di coloro con cui collaboriamo facciano fatica ancora a definirsi coreografi, mi piace però molto la definizione del sito italiano di wikipedia che dice che la danza è un’arte performativa che si basa sul movimento del corpo umano e che questo movimento del corpo umano è organizzato in un sistema, che può essere strutturato e/o improvvisato, che si chiama coreografia. Quello che facciamo è esattamente questo. Il nostro lavoro è quello di organizzare lo spazio e il tempo.
I nostri spettacoli sono fortemente strutturati: facciamo ore e ore di allenamento. Per prevedere tutto quello che può accadere. Ma ci piace sempre che i performer conservino comunque un margine di improvvisazione all’interno delle strutture che diamo, perché in questa maniera sono impegnati ad essere vigili, presenti, sempre a contatto con quello che può accadere, in qualsiasi momento. Vivi.
E se i performer sono vivi Noi siamo vivi con loro.”
Lo sappiamo che tutti ci tengono a dire che hanno fatto questo mestiere per caso, ma almeno per molti che collaborano con Noi è stato proprio così. Tutto quel che hanno imparato lo hanno imparato facendolo. Lavorando. Se chiedete ai nostri collaboratori se fin da bambini volevano fare questo mestiere, molti vi risponderanno di no. Erano affascinati, certo: super affascinati dai telefilm tipo Saranno famosi. Ma vivevano in provincia, non osavano neanche pensare… Il loro è stato un approccio assolutamente anti-intellettualistico: sono cresciuti a telefilm e cartoni animati…
“La 1437 United Artist è il classico esempio di quelli che non hanno proprio nessun tipo di raccomandazione né di conoscenza. Per questo, ci sentiamo molto fortunati. Anzi: siamo ancora un pò esterrefatti.
“Non siamo dei UFO… ma effettivamente ci dispiace che di fatto stiamo un pò sparendo, dall’Italia. Le cose stanno andando molto bene e ormai solo il dieci per cento del nostro lavoro si svolge in Italia. Qui non siamo ancora riusciti a bucare le stagioni, i luoghi ufficiali…
Ci sono tanti collaboratori con i quali torniamo a lavorare, naturalmente. Ma per la 1437 United Artist è importante che un musicista, un performer, un light designer si senta libero di lavorare con chi vuole. Che non senta la responsabilità di una continuità. Perché non la vogliamo sentire neanche Noi. Si è creata però questa “famiglia allargata” per cui un giorno stiamo tutti insieme, altre volte giriamo da soli ognuno per i fatti propri, altre volte siamo con un gruppo di giocolieri, altre volte ancora con un gruppo di non vedenti. Ci si ritrova, periodicamente. Abbiamo veramente bisogno di sentire che c’è un rapporto di fiducia profondo ma anche un senso di libertà molto grande.
Non abbiamo mai fatto domanda al Ministero perché non abbiamo voglia di restare incastrati in questo sistema delle date dovute, dei borderò… Ogni volta che abbiamo un progetto nuovo iniziamo a bussare alla porta dei coproduttori in tutta Europa.
“… Anche se in realtà è tutto molto organizzato, molto preparato… Non c’è il fascino della vita di strada, se dobbiamo dirla tutta… , non è così esotico. Abbiamo un nucleo fisso di collaboratori ma cerchiamo di mantenere tutto molto leggero. Non abbiamo neppure un magazzino”.
“Per ora. Non viviamo neanche tutti nella stessa città”.