Se uno scrittore pubblicasse solo gli scritti che riconosce 'facilmente' come propri, sarebbe un cattivo scrittore.


Perché per scrivere bene, bisogna andare molto più in là di così.
Scrivere narrativa non c'entra nulla con te, con chi sei, con l'esprimere te stesso, eccetera.
Solo i dilettanti ragionano così.
I professionisti invece creano. E creare, per definizione, significa andare oltre se stessi.
Non si tratta né di lanciare messaggi al lettore, né di metterlo al corrente delle tue riflessioni, della tua vita, eccetera.
Si tratta di
a) creare qualcosa
b) portare il lettore là dove non è mai stato prima e
c) dove non sarebbe mai in grado di andare da solo.
Ma per riuscirci, devi imparare a fregartene di cosa vorresti e cosa non vorresti scrivere… Per seguire solo i risultati.
E le cose migliori che scrive uno scrittore di fiction sono in genere proprio quelle che (rilette col senno di poi) egli sente come estranee. Sono potentissime, ma non ha la minima idea di come diavolo gli siano arrivate in testa.
A quel punto il bravo scrittore non solo le tiene, ma le mette in risalto.
E nel farlo, arriva addirittura a cestinare i pezzi in cui si rivede di più, perché sono quelli dove ha creato di meno.

Alexandre Dumas | Breguet



Un’associazione professionale per la didattica della scrittura?
- Attualmente esistono una quantità di iniziative private nell’ambito dell’insegnamento della scrittura e della narrazione. (D’ora in poi userò sempre la parola “scrittura”, includendovi tutto ciò che viene presentato con vari nomi: scrittura creativa, tecniche di narrazione, scrittura narrativa, scrittura poetica ecc. ecc.). Alcune di queste iniziative hanno ormai anni di storia alle spalle e sono consolidate; altre sono nuove; altre hanno l’aria un po’ improvvisata; eccetera. Alcune di queste iniziative sono molto qualificate (cioè: hanno qualifiche da esibire, a es. un parterre di docenti noti e stimati ecc.), altre non lo sono (ma ciò non comporta che siano iniziative di bassa qualità). La maggior parte di queste iniziative (per quel che ho capito girellando per la rete) si rivolgono a un pubblico di principianti, o comunque di persone che non sono intenzionate a fare della scrittura il centro della loro vita. Molte si rivolgono alla scuola (direttamente agli studenti, o agli insegnanti). Molte hanno l’aspetto di attività dopolavoristiche, e si svolgono a es. in sedi nelle quali si svolgono anche corsi di ceramica, di dizione, di acquarello e così via.


- Mi pare che, tranne rarissime eccezioni, in queste iniziative vi sia una netta centralità del docente. A fare la differenza tra un’iniziativa e l’altra, appena ci si alza di solo una spanna al di sopra dell’attività dopolavoristica, è il docente: il suo nome, la sua notorietà, la controllabilità delle sue capacità, eccetera.
Non mi pare che le diverse attività si differenzino per metodi didattici dichiarati e riconoscibili. Mi pare (sottolineo questi mi pare: questo post serve anche per controllo) che il più delle volte l’utente non scelga la tale o talaltra iniziativa “perché lì lavorano in un certo modo”, ma piuttosto “perché lì ci insegna il tale).
Questo mi pare, benché descritto approssimativamente, un dato di fatto.


- Peraltro, ho la sensazione che abbondino le iniziative-fuffa. Corsi che costano un occhio, il cui programma è dichiarato in dieci parole generiche, né è dato di sapere chi sia o chi siano i docenti. Corsi che promettono cose del tipo “Faremo di te uno scrittore” (sto parodiando per dare l’idea). Corsi i cui contenuti, a quel che si capisce dai programmi proposti, non sono niente di più di ciò che si può trovare in un qualsiasi economicissimo manualetto. Magari sono cose onestissime (l’onestà si vede nel rapporto tra prezzo e offerta, nonché nella descrizione dell’offerta: più è altisonante, più io m’insospettisco), ma spesso non mi sembrano cose onestissime. Il guaio è che la diffusione delle iniziative-fuffa da una parte, e dall’altra la diffusione delle iniziative rivolte ai “principianti” (cosa, quest’ultima, di per sé tutt’altro che negativa) generino un po’ di confusione e finiscano col rendere più difficile da comunicare le iniziative serie e rivolte a un pubblico più “avanzato”.

- Mi càpita abbastanza spesso che qualcuno mi telefoni o mi scriva chiedendomi di fare – presso un’associazione, una scuola, una biblioteca ecc. – un “corso di scrittura creativa”. Quasi sempre le mie domande sui contenuti specifici desiderati non trovano risposta. Spesso, man mano che parlo con la persona, mi rendo conto che sotto l’etichetta di “scrittura creativa” vengono messi, alla rinfusa, la narratologia e i giochi di parole, gli esercizi per l’autoespressività e e le scritture ludiche e così via. Mi vien da pensare che anche sul fronte della domanda vi sia assai poca chiarezza di idee (il che spiega il proliferare di iniziative generiche e il credito che trovano le iniziative-fuffa).

-Va detto che l’espressione “scrittura creativa” mi pare ormai piuttosto screditata. Per un verso non me ne importa molto: neanche a me piace. Da altri versi è un problema: intitolare un corso “Teoria e tecnica della composizione del testo narrativo, argomentativo, drammatico e/o poetico”; o, peggio, come piacerebbe a me, “Retorica dell’argomentazione, della narrazione ecc.”; è – temo – un ottimo sistema per non riuscire a vendere il corso.

- Dicevo (al punto 2) della centralità del docente. Peraltro, sembra non sia ancora chiaro come si possa distinguere preventivamente (cioè: prima di acquistare un corso) un insegnante di scrittura affidabile da uno non affidabile. Il fatto di aver pubblicato delle opere narrative o saggistiche ecc. potrebbe essere un elemento di qualificazione: ma io stesso ho presente ottimi scrittori che, messi alla prova, risultano essere pessimi insegnanti di scrittura (mentre sono, magari, ottimi insegnanti di storia della letteratura). Vero è che molti autori di opere letterarie interpretano spesso le comparsate in corsi di scrittura come dei momenti autopromozionali (forse basterebbe pagarli meglio). Sono pochissimi coloro che insegnano scrittura e che rendono pubblico il loro lavoro. Intendo: che pubblicano articoli di didattica della scrittura, che pubblicano manuali di scrittura o saggi sulla scrittura eccetera; oppure che mettono materiali a disposizione in rete.

- Considerate tutte queste cose, e presumendo che se ne possano considerare anche molte altre, il sospetto che mi viene è questo: che forse avrebbe senso costituire una associazione tra persone che insegnano scrittura, allo scopo di valorizzare il lavoro di chi fa queste cose da più tempo, con maggiore professionalità, con maggiore trasparenza.
Immagino che l’associazione dovrebbe, così a occhio:
– essere ristretta. Non può essere una cosa per cui ci si paga un’iscrizione e si è dentro: devono essere ben chiari i requisiti necessari per farne parte;
– (al limite si potrebbero immaginare degli iscritti senior e degl iscritti junior, o qualcosa del genere);
– avere le caratteristiche di un network, con scambio di materiali e conoscenze tra gli iscritti;
– pubblicare in rete, gratuitamente o a pagamento (secondo i casi) materiali didattici;
– essere abbastanza seria da garantire che se una persona è dentro, è un insegnante affidabile;
– realizzare attività di formazione all’insegnamento della scrittura (rivolta a es. a insegnanti della scuola pubblica, ma anche agli stessi insegnanti di scrittura);
– avviare contatti e relazioni con l’ambiente accademico;
– ed eventualmente altro che ora mi sfugge.

- Libero il campo da qualche equivoco già visto all’opera in più di una conversazione:
– un’associazione non è un ordine professionale;
– l’associazione non si dà lo scopo di distinguere i “buoni” dai “cattivi”, ma mettendo in mostra il lavoro degli associati permette al potenziale frequentatore di corsi di valutare l’affidabilità degli associati (e, per converso, di notare come chi non mette in mostra il proprio lavoro si sottragga alla valutazione);
– se nasceranno diverse associazioni, ben venga;
– alla domanda: “Chi vi credete di essere, voi che credete di essere i migliori insegnanti di scrittura della piazza”, et similia, si risponde: noi mettiamo in mostra il nostro lavoro, se siamo buoni insegnanti o no lo valuteranno altri.

- Ovviamente ho voglia di fondare una simile associazione, e addirittura di farne parte (i requisiti per l’ammissione saranno appositamente studiati per fare di me il candidato ideale). Avevo già provato ad avviare qualcosa di simile, tempo addietro; molto in penombra; e la cosa non si è sostenuta per mancanza di energie o, più probabilmente, per non buona definizione di scopi e obiettivi.

- Come tutte le associazioni, anche questa avrà bisogno di un nome, Io propongo il Club Dumas.












Spike Lee è un ottimo regista.
Il regista che ammira di più è Chuck Jones.
Chi è Chuck Jones? È responsabile di cose come questa


Perché Lee lo ammira così tanto? Perché i cartoni animati durano sempre circa otto minuti. Lee non riesce a capire come un regista potesse prevedere quanto sarebbe stato lungo il prodotto finito. Lee non ha idea di quando inizierà la durata del film e, sinceramente, non gliene importa. La sceneggiatura è solo un suggerimento. Quando ci mette le mani sopra, taglia le scene che non gli piacciono e ne aggiunge altre che pensa possano aiutare.
Ricordi questa famosa scena di Speed?


Questo non era nella sceneggiatura originale di Graham Yost. È stato aggiunto dal regista Jan de Bont. È diventata un momento decisivo nel film.
La televisione non funziona così. Il tuo lavoro deve rientrare in una "fascia oraria" fissa. 44 minuti per una fascia oraria di 60 minuti in modo che possano essere inserite pubblicità. Inoltre, ci devono essere interruzioni negli "Atti" in momenti precisi in modo che gli annunci pubblicitari non si avvicinino troppo. In genere, queste interruzioni arrivano a intervalli di 12 minuti.
Inserisci lo sceneggiatore televisivo. Una persona che ha un'intima familiarità con il ritmo della televisione e può produrre una sceneggiatura che si adatta a quei rigidi vincoli.
Quindi passa al supervisore dello script che organizza una lettura. Se è corto o lungo, ritorna allo sceneggiatore con un'istruzione: taglialo o allungalo.
Quindi, il regista riprende quella sceneggiatura. Nessuna aggiunta Nessuna sottrazione. Potrebbero sistemare un piccolo dialogo qui o là, ma è tutto.
Se sei uno scrittore e lasci cadere uno script di 120 pagine per uno spettacolo di 30 minuti sulla scrivania del supervisore dello script, non lo trasformeranno in cinque parti. Finiranno il loro rapporto con te.
E i registi hanno il lusso del tempo. Hanno 3-4 mesi per girare un film. Un regista televisivo sarà fortunato ad avere sette giorni.
Ciò non significa che i registi televisivi non proveranno cose nuove, ma devono lavorare con gli sceneggiatori per farlo funzionare.


Il numero "Get Happy" di Dr House, M.D. Dopotutto sono solo soldi. Le canzoni, a quanto pare, sono facili: possono essere facilmente cronometrate.
È per questo che "Saturday Night Live" è probabilmente lo spettacolo più strettamente sceneggiato in televisione. È per questo che, alle 7:30 della notte della trasmissione, tagliano e passano al programma seguente . Quando inevitabilmente si allunga, devono decidere cosa tagliare. Se ti allontani dalla sceneggiatura, è la fine della tua collaborazione con il mondo dello spettacolo.



Qualcosa mi sfugge, su come sia stato possibile arrivare a questo:


passando per questo:


Intendiamoci: il mercato editoriale è un mercato come tutti gli altri. Anzi, frequentandolo da ormai dodici anni e altrettanti libri pubblicati, posso dire di conoscerlo piuttosto bene. So benissimo cosa sia la legge della domanda e dell'offerta, e so che si pubblica ciò che il pubblico vuole comprare, e non ciò che "si spera" che il pubblico comperi. É il motivo per cui è molto più facile vendere un libro scritto male di un personaggio famoso che un libro scritto da Dio di un emerito sconosciuto.
Ma il caso di Taylor Mega per me è come il mistero di Medjugorje dell'editoria, il mistero dell'orizzonte del buco nero della carta stampata, l'enigma delle piramidi delle librerie.
Capisco gli instant book e le biografie di personaggi di enorme successo, ma che hanno qualcosa da dire, per cui una persona sarebbe disposta a scucire 14 euro per una lettura. Ma Taylor Mega che racconta come è diventata Taylor Mega proprio non me ko spiego.
Volendo però vedere l'altra faccia della medaglia, se tanta gente è disposta a spendere soldi in "libri" del genere, allora vuol dire che poi tanta crisi nel mondo dell'editoria non c'è!



Eccoli qui.


I Boney M sono il gruppo musicale piú falso che sia mai esistito, ha ingannato tutti i fan per anni. Nessuno di loro ha mai cantato dal vivo, tutto era in playback, le canzoni erano scritte da altri e loro si limitavano a fingere di cantare. Nemmeno le voci erano le loro; il loro produttore, Frank Farian, faceva tutto lui. Scriveva le canzoni, cantava le parti maschili, ingaggiava le coriste per cantare le parti femminili e ovviamente faceva il suo lavoro di promoter del gruppo. Solo in poche canzoni, peraltro le meno note due delle ragazze, Marcia e Liz, facevano i cori. Anche il nome del gruppo fu un'idea del produttore, Boney era il nome di una serie televisiva trasmessa in Germania.



Beethoven si sta rivoltando nella tomba!


No, musicisti nel senso classico del termine no. Non me ne vogliano i DJ, anzi, ce ne sono di bravissimi, tipo David Guetta, ma chiamiamoli in un altro modo, che ne so…"performer musicali"…



Negli Stati Uniti hanno risolto il problema inventando lo stratagemma del 555, un prefisso che non esiste e che viene sempre anteposto ai numeri di telefono che compaiono nelle produzioni hollywoodiane e nelle serie televisive americane.
Un sistema utile e necessario per far comprendere immediatamente al grande pubblico che il numero in questione non è un numero reale e che le persone possono evitare di chiamarlo perchè non otterrebbero risposta.
Ma in alcuni casi i registi hanno utilizzato i numeri di telefono per altri motivi.
Il caso è quello ad esempio di Scrubs, la serie televisiva di successo con protagonista il chirurgo Chris Turk.
Al cast venne un'idea durante una puntata. Nel corso di un episodio venne pubblicato un numero di telefono che non era il classico 555. Il numero era vero ed era agganciato ad un telefono che il cast si passò di mano per alcune settimane rispondendo alle telefonate del pubblico che aveva così l'incredibile occasione di poter parlare con i … personaggi della serie!







Vicki Satlow, forse l'unico agente letterario di livello massimo che lavora 'a viso aperto', con tanto di sito in bella mostra.
Il problema è che fare l'agente letterario è perfino peggio che lavorare per una casa editrice, per quanto riguarda le molestie quotidiane.
Secondo molti in Italia scrive (o ha cercato di scrivere per almeno 5–6 anni) quasi il 70% degli Italiani.
E sono sempre tutti inevitabilmente schiavi del Dunning-Kruger effect, un fenomeno psicologico, perfettamente naturale, che purtroppo in letteratura ha un effetto decisamente maggiore che in qualunque altro campo.
Il Dunning Kruger è un fenomeno per il quale meno conosci una cosa, più ti sembra semplice, facile, eccetera.
E questo in letteratura ('scrittura creativa') porta inevitabilmente tutta questa masnada di scrittori a pensare di avere scritto un capolavoro.
Ma facciamo degli esempi concreti.
Per esempio, chi non sa nulla di bodybuilding…


Pensa che il body building sia sollevare pesi sempre più pesanti a caso, usando le posture corrette per non farsi male, e fine. E infatti, il motivo più diffuso per cui la gente non si ingrossa, che ci crediate o meno è il sovra allenamento.
Perché è il riposo a gonfiare i muscoli. Lo sforzo li brucia. Lo sapevate questo? Ovviamente no.
La maggior parte di quelli che falliscono nel migliorare in palestra è perché non sanno le regole di base di come ci si allena… Le quali sì, sono complicate. Sono complicatissime. Per questo senza istruttore nessuno ottiene mai un bel nulla.
Ma facciamo un altro esempio.
La letteratura è incomprensibile agli scrittori peggio ancora del pattinaggio su ghiaccio.


Guarda come sorride… Quello che sta facendo dev'essere assolutamente facile e divertente, no? Sennò non sorriderebbe.
Nel pattinaggio artistico su ghiaccio, più uno è bravo, più quello che fa sembra 'visivamente' facile. Sembra addirittura spontaneo. E farlo sembrare facile, spontaneo e addirittura divertente è proprio lo scopo 'visivo' dell'esibizione: trasmettere una sensazione piacevole allo spettatore.
In realtà, l'atleta sta facendo una fatica disumana e sta usando una concentrazione fuori dal comune, coltivata nel corso di anni.
E pensate che sia il body building che il pattinaggio sono MENO sottovalutati della letteratura. E tanto pure.
TUTTI quelli che scrivono sono agnelli sacrificali del Dunning Kruger effect; tutti quanti. Nessuno escluso. Anche molti scrittori bravi e famosi lo sono, figurarsi quelli che scrivono male.
Fino a quando non hai scritto 7–8 romanzi e non hai visto i tuoi stessi miglioramenti rispetto al primo… non hai idea del lavoro che c'è dietro e di quanto sia difficile scrivere BENE. Scrivere in modo che CHIUNQUE legge quello che scrivi 'percepisca' ciò che deve.
E peggio ancora: in letteratura peggio scrivi, più sei convinto di scrivere bene.
Nei casi estremi, in letteratura quando scrivi schifezze assolute, pensi addirittura di essere un genio. Un genio fuori dalle regole basilari della costruzione di una storia, dei personaggi e dell'arte di raccontare. Sei superiore. Gli altri ne hanno bisogno, ma tu no.
"Ma io scrivo cose vere"
"Ma io scrivo le mie riflessioni"
Il 99% di chi scrive non ha capito nemmeno che se scrive cose vere… Al lettore non gliene frega nulla.
In letteratura non è che basta 'dire' che una storia è vera, e il lettore ci crederà. Un libro non è un film, con degli attori in carne e ossa di fronte a te.
E anche quando racconti storie vere, quelli sono comunque personaggi e tu stai comunque raccontando qualcosa. Quando scrivi te la devi guadagnare quella sensazione di sincerità che nei documentari viene fornita dalle immagini o i video di repertorio, quelli reali.
E se scrivi riflessioni, allora i personaggi saranno le riflessioni.
E i personaggi, che voi lo vogliate o meno, devono andare a finire da qualche parte, non so se mi spiego. Si chiama 'inizio-svolgimento-fine', e se non c'è, al lettore mancherà COMUNQUE.
Il motivo per cui gli agenti letterari e chiunque lavora nell'editoria cerca di non sbandierarlo ai quattro venti, è non essere molestato giorno e notte da dozzine di molestatori al giorno.
Perfino io, che non sono nessuno, vengo 'molestato' almeno una volta al mese da qualcuno che ha scritto un ottimo 'qualcosa' (spesso nemmeno un romanzo) ed è convintissimo di avere scritto qualcosa di fantastico…
Mentre il 100% delle volte è letteralmente una porcata immonda… Ma io non ho nessuna voglia di dirglielo, perché poi si offenderà.
Scrivere male significa - per definizione - non saper distinguere quello che *volevi* scrivere da quello che è finito veramente *sulla carta*.
E dopo che l'hai scritto non vedi letteralmente la differenza… Altrimenti scriveresti bene.
Oppure ti auto cestineresti da solo la porcata che hai scritto… Cosa che non fa mai letteralmente NESSUNO, perché credono tutti di avere messo su carta esattamente quello che avevano in testa.
I cattivi scrittori scrivono appunti personali. E' da lì che nasce il casino. 'Universalizzare' tali appunti è un lavoro bestiale… Di cui nessuno sa assolutamente nulla.
E quando spieghi a questa gente PERCHE' fa schifo quello che hanno scritto (perché sì, io sono in grado di 'razionalizzarlo', purtroppo), loro credono che stai insultando quello che loro avevano in testa, non quello che hanno scritto effettivamente.
Quindi per evitare continue telefonate e rotture di palle infinite, gli agenti letterari VERI in Italia lavorano col basso profilo.
E quindi senza presenza social, senza sito web, eccetera. Girano il loro giro di clienti e case editrici, e fine.
Ma questo avviene anche in Inghilterra, anche se con regole diverse.
In Inghilterra avvicinare certi agenti letterari quando non sei nessuno, hai autopubblicato su Amazon o hai vinto un premio letterario che non sia lo Strega… E' proprio maleducazione, e fine della storia.


Come farsi pubblicare un libro e vendere 1 milione di copie - Alessandra  Perotti


  • 1000 è il minimo sindacabile sotto il quale si parla di fallimento 'sotto ogni punto di vista'
  • 5000 è la decenza o 'decenza interessante', a seconda del tipo di lavoro/prodotto/budget (5000 copie per le barzellette di Totti sono un fallimento assoluto).
  • 10'000 copie fanno un successo indiscusso.

Nota 1
Nell'ambito del selfpublishing ti diranno che basta molto meno, perché si guadagna di più a copia… Ma non è vero. Quello che guadagna lo scrittore non conta, quando si parla di successo. Quando un film lo guarda un sacco di gente, nessuno va a fare i conti in tasca riguardo a quanto è costato, giusto? Dunque è vero anche il contrario: se un libro se lo leggono meno di mille persone, vuol dire che non ti sta cagando nessuno, e poco importa se hai tirato su 200 euro per un anno di lavoro o quel che è.

Nota 2
Quelle qui riportate sono le cifre italiane commisurate al bacino di utenza della lingua italiana. In America va moltiplicato tutto grosso modo per 10, se ricordo bene (paese enorme, tutto che parla la stessa lingua = vendite potenziali estremamente maggiori).

Nota 3
Solo un 5% dell'editoria tradizionale arriva alle 1000 copie vendute. Nel selfpublishing la percentuale si abbassa a dismisura, ma siccome amazon tiene le cifre reali nascoste, non ci sono numeri concreti. E il motivo per cui Amazon tiene le cifre nascoste è che guadagna MOLTO di più dai servizi accessori collegati al self che dalle vendite (e quindi deve mantenere 'in piedi' la balla che il self funziona). Parlo di servizi accessori quali: pubblicità a pagamento sul loro sito, alta visibilità sui loro motori di ricerca (che poi è la stessa cosa della pubblicità), per non parlare poi di tutti i servizi che 'accessori' lo sono per davvero (grafiche a pagamento, editing, ecc).




Vita da musicista, successo e musica: talento o fortuna ...

Nessuna delle due, non siano più negli anni '70.
Devi avere delle competenze in social media marketing, gestione aziendale, brand marketing; ma prima di tutto questo devi avere un buon prodotto.
Per fare successo nell'industria musicale, hai un'unica formula vincente:
1% talento (essere fortissimo),
1% fortuna (fare network),
18% devi saper produrre e post produrre da solo,
80% saper fare business.
Oltre a queste percentuali molto approssimative, ma altrettanto vicine alla realtà, resta il fatto che devi produrre continuamente.
Non puoi fare successo facendo un pezzo l'anno, il fattore "fortuna" c'è nel momento in cui in un anno riesci a fare almeno 100 brani fatti e finiti e soprattutto catalogabili e vendibili (la musica fine a se stessa piace solo a chi la fa).
Questo per farti capire che non esiste la rockstar col colpo di fortuna, il ragazzo che arriva al sogno perché prende la chitarra in mano e suona l'assolo. Creare musica, produrla, è un lavoro a tempo pieno che ha bisogno di molto studio e molte competenze, perché "fare successo nella musica" vuol dire guadagnare e per guadagnare tanto devi lavorare tanto, esattamente quello che deve fare qualsiasi altro lavoratore di qualsiasi altro settore.




Chiedilo a un solo uomo

Max Martin è un genio

Martin aveva appena trovato il suo mentore. L'anno è il 1994 e Martin incontra il DJ svedese Denniz PoP.
Denniz vide che Martin aveva talento per la musica. Si rese conto che Martin era molto bravo a scrivere le canzoni, rispetto che a cantarle, e lo incoraggiò a farlo.
Martin passava ora dopo ora, giorno dopo giorno e anno dopo anno a perfezionare il suo mestiere. È diventato un cantautore e un produttore, ma…
Perché qualcuno dovrebbe voler andare da Martin? Non aveva successi precedenti.
Martin ha avuto la sua opportunità di mettersi alla prova. All'epoca, c'era una boy band sconosciuta che stava lottando per avere successo. Si chiamavano i Backstreet Boys.


Martin ha analizzato le canzoni che avevano avuto successo nelle classifiche e ha creato alcune canzoni per i Backstreet Boys. Ciò includeva canzoni come "Show Me the Definition of Being Lonely" e "I Want It That Way".
Disse loro esattamente come dovevano suonarle, cantarle e interpretarle.
I Backstreet Boys sono diventati famosi e "I Want It That Way" è diventata una canzone conosciuta da molte persone al mondo.
Per quanto riguarda Martin, non si è preso nessun merito. Nessuno si rese conto che lui aveva scritto la canzone. Ha continuato a farlo per molti anni ed è ora noto come un super produttore.
Ha cambiato per sempre l'industria della musica, creando un sistema per rendere popolari le canzoni pop, vedendo cosa funzionava attualmente e predicendo le tendenze future.
Insomma, molto simile a come si comporta la Apple.