In The Walking Dead, i personaggi affrontano una lotta quotidiana per la sopravvivenza in un mondo devastato dai morti viventi e da altri esseri umani spesso più pericolosi degli stessi zombi. Tuttavia, nonostante la loro esperienza e determinazione, molti di loro commettono errori critici che minano la loro sicurezza e quella del gruppo. Questi errori sono in parte dovuti alla disperazione, all'emotività, e alle difficoltà di adattamento a un mondo radicalmente cambiato. Ecco alcuni dei principali errori che i personaggi commettono in relazione alla sopravvivenza:

  1. Sottovalutare il pericolo degli altri esseri umani : Uno degli errori più gravi dei personaggi di The Walking Dead è quello di non considerare gli esseri umani come la minaccia principale. Se inizialmente la serie si concentrava sugli zombi come i nemici più temibili, col passare delle stagioni diventa chiaro che altri gruppi di sopravvissuti, spesso armati e disperati, sono altrettanto, se non più, pericolosi. Personaggi come Rick, Daryl e Michonne si sono trovati in situazioni mortali per non aver previsto l'inganno o la violenza di altri esseri umani, come nel caso dei Governatori, dei Terminus e dei Salvatori.

  2. Sfiducia nelle alleanze strategiche : In un mondo post-apocalittico, alleanze tra gruppi sono essenziali per la sopravvivenza, ma molti personaggi non riescono a fidarsi completamente degli altri, anche quando queste alleanze potrebbero essere vantaggiose. Ad esempio, la difficoltà di Rick e del suo gruppo nel creare alleanze durature, o la loro tendenza a distruggere potenziali alleati (come nel caso del Governatore o degli Hilltop) ha messo in pericolo la loro sopravvivenza. La paura di essere traditi spesso porta a decisioni impulsive e a conflitti inutili che indeboliscono la posizione del gruppo.

  3. Mancanza di preparazione a lungo termine : Molti dei protagonisti di The Walking Dead sono troppo concentrati sulla sopravvivenza immediata e non pianificano per il lungo termine. Ad esempio, la gestione delle risorse, come cibo, acqua, e medicinali, è stata spesso trascurata, portando il gruppo a rischiare l'esaurimento delle scorte in momenti cruciali. Inoltre, non prestare sufficiente attenzione alla sicurezza e alla difesa delle aree in cui si rifugiano, come le prigioni o Alessandria, ha portato alla distruzione di rifugi cruciali.

  4. Sopravvalutare la propria forza e capacità : L'eccessiva fiducia in se stessi e nelle proprie capacità ha messo molti personaggi in pericolo. Rick, Daryl e altri hanno spesso affrontato nemici più forti di quanto pensavano, o sono stati sopraffatti dalla stanchezza e dall'esaurimento, sottovalutando la necessità di un riposo adeguato o di un numero sufficiente di alleati per compiere missioni pericolose. Questo li ha spesso condotti in situazioni in cui la loro sopravvivenza era a rischio.

  5. Comportamenti impulsivi e vendetta : La vendetta e le azioni dettate dalla rabbia sono un tema ricorrente in The Walking Dead . Personaggi come Shane, Rick e Negan sono stati motivati ​​da emozioni forti, che li hanno portati a compiere scelte che, a lungo termine, hanno avuto conseguenze devastanti per il loro gruppo. La vendetta ha alimentato guerre tra gruppi e ha portato a un'escalation di violenza, come la guerra con i Salvatori o l'omicidio di alcuni membri del gruppo. Questo errore riflette il rischio di essere troppo emotivo in un mondo che richiede razionalità e lungimiranza.

  6. Sottovalutare il trauma psicologico : Il trauma emotivo e psicologico gioca un ruolo enorme nella sopravvivenza. I personaggi non sempre sono in grado di affrontare adeguatamente le esperienze traumatiche che vivono, come le perdite familiari, la violenza e la costante minaccia di morte. Questo porta a decisioni impulsive, disorientamento, e incapacità di prendere decisioni strategiche chiare. Molti dei personaggi non hanno mai avuto la possibilità di affrontare davvero il peso psicologico del nuovo mondo, come dimostrato da comportamenti autolesionisti o da tentativi di suicidio (come nel caso di Carol o Andrea).

  7. Mancanza di fiducia nella leadership : In alcune situazioni, i personaggi hanno messo in discussione o rifiutato la leadership di Rick o di altri leader, mettendo in pericolo l'unità del gruppo. La mancanza di coesione e la divisione tra i membri del gruppo, spesso causata da differenze ideologiche e morali, ha indebolito la forza collettiva che avrebbe dovuto essere la loro risorsa principale per sopravvivere. La fiducia nelle decisioni del leader e l'unità del gruppo sono fondamentali per affrontare le minacce esterne.

  8. Sottovalutare il pericolo dell'infezione : La sopravvivenza fisica non è l'unica preoccupazione; anche l'infezione gioca un ruolo cruciale. Il virus che trasforma i morti in zombi è una minaccia costante, eppure diversi personaggi sono stati colti di sorpresa da ferite infette, come nel caso di Carl, che ha quasi perso la vita per non aver trattato correttamente la sua ferita.

In conclusione, sebbene The Walking Dead esplori un mondo brutalmente difficile e senza speranza, i suoi protagonisti spesso commettono errori che minano la loro sopravvivenza. La loro difficoltà nell'affrontare il cambiamento e l'incapacità di adattarsi alle nuove realtà che si presentano in un mondo apocalittico è una costante che li mette in pericolo. La sopravvivenza non dipende solo dalla forza fisica, ma anche dalla capacità di fare scelte razionali, di mantenere la coesione del gruppo e di fare fronte alle sfide emotive e psicologiche. In questo contesto, i personaggi di The Walking Dead sono un riflesso della fragilità umana e delle difficoltà che derivano dalla lotta per la sopravvivenza in un ambiente ostile e imprevedibile.

Alla fine, sebbene molti dei personaggi riescano a superare le difficoltà grazie al coraggio e alla determinazione, le loro debolezza e i loro errori costituiscono un monito su quanto sia difficile e pericoloso vivere in un mondo dove la morte è sempre presente, non solo sotto forma di zombi, ma anche nei comportamenti distruttivi e nelle scelte sbagliate fatte lungo il cammino. La serie ci insegna che la sopravvivenza non è mai garantita e che la vera lotta non è solo contro le minacce esterne, ma anche contro i propri limiti interiori.




Quando Val Kilmer è stato scelto per sostituire Michael Keaton nel ruolo di Batman, la sua reazione iniziale è stata quella di essere entusiasta dell'opportunità di entrare in un franchise di successo. Non solo stava per entrare a far parte di un progetto ad alto budget che avrebbe garantito notevoli guadagni, ma avrebbe anche avuto l'opportunità di lavorare con Tim Burton, il regista che aveva dato vita alla versione più oscura e iconica di Batman con i suoi due film precedenti. Tuttavia, le cose non andarono come Kilmer si era aspettato.

Durante e dopo la produzione di Batman Forever, Kilmer si trovò rapidamente insoddisfatto del suo coinvolgimento nel film. Innanzitutto, Burton, che aveva lavorato sulle due pellicole precedenti, fu sostituito dal regista Joel Schumacher, la cui visione per il film era molto diversa da quella di Burton. Sebbene Schumacher avesse preso le redini del progetto, Kilmer si trovò a fare i conti con una visione molto diversa del personaggio di Batman. Schumacher, sotto la pressione della Warner Bros. (che voleva un film più adatto al merchandising, e meno oscuro rispetto a Batman Returns ), si concentrò su un tono più leggero e colorato, mentre Kilmer aveva idee ben precise su come affrontare la dualità del personaggio di Bruce Wayne/Batman, che si scontravano con la direzione presa dal regista.

Inoltre, Kilmer era noto per essere difficile da gestire sul set, e il conflitto con Schumacher divenne subito evidente. Il divario creativo tra l'attore e il regista aumentò, e la tensione sul set non fu mai facile da gestire. La situazione peggiorò ulteriormente quando l'attore si rese conto che, sebbene il film fosse stato un successo al botteghino, l'interpretazione di Batman non gli dava la soddisfazione che si aspettava.

Un altro aspetto che ha contribuito al suo disappunto fu la percezione che i suoi colleghi, specialmente all'interno dell'industria cinematografica, non prendessero sul serio il suo ruolo di Batman. Kilmer si trovò ad essere preso in giro per aver interpretato il supereroe, soprattutto durante le riprese di Heat (1995). In una delle scene, Robert De Niro scherzò dicendo: "Chiediamolo a Batman", scatenando risate sul set. Kilmer, visibilmente irritato, chiese che nessuno menzionasse più Batman in sua presenza.

La frustrazione di Kilmer non si limitava solo alla sua esperienza sul set, ma si estendeva anche alla sua carriera. Sebbene Keaton fosse stato accolto positivamente nel ruolo di Batman, Kilmer si rese conto che non tutti condividevano lo stesso entusiasmo. La sua esperienza come Batman fu segnata da una crescente insoddisfazione, che culminò nel rifiuto di continuare nel ruolo per il successivo film della serie, Batman & Robin (1997). In quel film, George Clooney subentrò nel ruolo di Batman, segnando l'inizio di un capitolo ancora più critico per il franchise.

Nonostante le difficoltà e le prese in giro, Kilmer non lamentò della sua scelta, poiché guadagnò enormi somme di denaro grazie al successo del film, il che gli permise di intraprendere una carriera cinematografica più soddisfacente. La sua esperienza come Batman, tuttavia, rimase una delle più complesse e meno apprezzate nella storia del personaggio, un capitolo che, pur avendo portato al successo commerciale, fu segnato da conflitti creativi e personali.


 


La relazione tra Bud Abbott e Lou Costello, i leggendari comici che hanno formato uno dei due più iconici della storia della commedia, era caratterizzata da alti e bassi. Sebbene avessero avuto un'enorme chimica sul palco, le loro dinamiche personali erano spesso tese. Ci sono diversi motivi alla base di questa difficoltà:

  1. Differenze caratteriali : Abbott e Costello erano molto diversi, sia come personalità che come stili comici. Bud Abbott era più serio e disciplinato, mentre Lou Costello era il più estroverso e imprevedibile. Questo contrasto, sebbene fosse la base del loro successo sul palco, portava a incomprensioni e frustrazioni fuori dal set.

  2. Le difficoltà professionali di Costello : Costello era spesso alle prese con problemi di autostima e insicurezze legate al suo aspetto fisico e al suo ruolo nel duo. Ciò lo portava a essere più esigente nei confronti di Abbott e a cercare continuamente di affermare il suo valore, creando tensione.

  3. Problemi finanziari e di gestione : Durante la loro carriera, i due comici ebbero problemi con i loro agenti e la gestione del denaro. Abbott e Costello non erano sempre d'accordo su come gestire i loro affari e la divisione dei guadagni. Questi dissidi contribuirono a minare la loro relazione professionale.

  4. Divorzio di Abbott : Un altro fattore che complicò la loro relazione fu il divorzio di Abbott, che avvenne durante un periodo particolarmente difficile nella loro carriera. Abbott aveva molta pressione sulla sua vita privata, e questo influì negativamente sulla sua relazione con Costello, che si sentiva trascurato e talvolta escluso.

  5. Declino della carriera e del loro rapporto : Alla fine degli anni '40, la loro carriera comica iniziò a declinare, e con essa anche la loro amicizia. La tensione divenne insostenibile, soprattutto dopo che Costello accusò Abbott di essere troppo severo e di non rispettarlo come partner professionale. Nel 1957, il duo si separò ufficialmente.

Nonostante tutto, Abbott e Costello rimasero legati da un profondo affetto, e alla fine della loro carriera, Costello espresse spesso rimpianto per la fine del loro legame professionale. La loro relazione è quindi un mix di amicizia, incomprensioni e difficoltà personali, ma il loro lavoro insieme rimane una delle partnership comiche più amate di tutti i tempi.



Nata Edythe Marrenner nel quartiere popolare di Flatbush, Brooklyn, Susan Hayward crebbe in un ambiente segnato dalla povertà e da un difficile rapporto familiare. Ultima di tre figli, si sentì spesso messa in ombra dalla sorella maggiore, Florence, la preferita della madre. Il senso di trascuratezza che ha provato da bambina si sarebbe trasformato, negli anni, in una feroce determinazione.

Un evento tragico segnò la sua infanzia: a soli sette anni, fu investita da un'auto, riportando una grave frattura all'anca. I medici temevano che non avrebbe mai più camminato, ma la sua tenacia prevalse. Dopo mesi di recupero, tornò a scuola con l'aiuto delle stampelle, sebbene l'incidente le lasciò una gamba più corta dell'altra. Questo particolare contribuisce alla sua caratteristica andatura, che sarebbe diventata inconfondibile sullo schermo.

Fin da bambina, trovò rifugio nel cinema, un mondo lontano dalle difficoltà quotidiane. “L'unico modo in cui potevo sfuggire all'orrore della vita era andare al cinema”, avrebbe dichiarato anni dopo. Fu proprio quella passione a spingerla a cercare il successo a Hollywood.

Adolescente, partecipò a un provino per il ruolo di Scarlett O'Hara in Via col vento (1939), ma l'esperienza si rivelò un fallimento. Tuttavia, i grandi studi notarono il suo potenziale e le offrirono lezioni di recitazione e canto. Con il tempo, Edythe Marrenner si trasformò in Susan Hayward, un nome destinato a entrare nella storia del cinema.

Nota per la sua professionalità impeccabile, Hayward era rispettata dai registi e dai colleghi, ma mantenne sempre un atteggiamento riservato. “Non mi rilascio perché non so come. Non voglio saperlo. La vita è troppo breve per rilassarsi”, disse una volta. Non amava le feste né le mondanità di Hollywood, preferendo la solitudine della pesca sportiva, sua grande passione.

Il momento più alto della sua carriera è arrivato con Voglio vivere! (1958), in cui interpretò Barbara Graham, una donna realmente condannata a morte. La sua interpretazione intensa e toccante le valse dell'Oscar come migliore attrice. Il New York Times scrisse che la sua prova era “così vivida e sconvolgente che chiunque sia riuscito a sopportarla senza tremare è fatto di pietra”.

Hayward non si considerò mai una diva, ma piuttosto una “ragazza che lavora”, una donna che aveva scalato le gerarchie di Hollywood senza mai cadere. Dietro la sua apparenza glaciale si nascondeva un'incredibile forza di volontà, forgiata nelle difficoltà della sua infanzia e temprata da una carriera che non le concesse mai tregua.


Per oltre un decennio, McDonald's ha offerto ai suoi clienti la possibilità di "super-size" i propri pasti: una strategia che permetteva di ottenere porzioni extra di patatine fritte e bevande gassate, aumentando così la quantità di cibo consumato. Introdotta nel 1992, questa opzione divenne un simbolo della cultura del fast food americana, ma nel 2004 scomparve improvvisamente dai menu di tutto il mondo. La ragione? Una crescente attenzione alla salute pubblica e un documentario che scosse profondamente l'immagine del colosso del fast food.

Il concetto di "super-size" era semplice: per pochi centesimi in più, i clienti potevano ottenere una Coca-Cola da circa 1,2 litri e una porzione di patatine da quasi 200 grammi. Questo significava, in termini calorici, aggiungere 410 calorie dalla bevanda e 540 calorie dalle patatine, per un totale di quasi 1.000 calorie prima ancora di consumare un panino. Per chi praticava lo sport intensamente, come i nuotatori o gli atleti professionisti, questo surplus calorico poteva essere gestibile. Ma per la stragrande maggioranza delle persone, ha significato un significativo aumento del rischio di obesità e problemi di salute.

L'attenzione mediatica sulla crisi dell'obesità negli Stati Uniti stava crescendo, ma il colpo di grazia al "super-size" arrivò con Super Size Me , il documentario di Morgan Spurlock uscito nel 2004. Nel film, Spurlock decise di sottoporsi a un esperimento estremo: per 30 giorni consecutivi avrebbe mangiato solo cibo di McDonald's, accettando sempre l'opzione "super-size" quando gli era offerta.

Le conseguenze furono devastanti. Nei primi giorni, il regista si sentì nauseato e, in una delle scene più iconiche del film, vomitò nel parcheggio di un McDonald's dopo un pasto particolarmente abbondante. Con il passare delle settimane, i medici che monitoravano la sua salute rimasero scioccati dai risultati: i suoi livelli di colesterolo schizzarono alle stelle, il fegato iniziò a mostrare segni di sofferenza, e la sua energia calò drasticamente. Anche la sua vita personale ne risentì, con la sua ragazza che notò un calo significativo della sua libido. Alla fine del mese, Spurlock non aveva solo guadagnato peso, ma sperimentò persino sintomi di astinenza quando smise di mangiare fast food.

L'impatto del documentario è stato immediato. Super Size Me divenne un caso mediatico e portò un'ondata di critiche nei confronti di McDonald's, accusato di promuovere abitudini alimentari pericolose. Poco dopo l'uscita del film, la catena annunciò la rimozione del formato "super-size" dai suoi menu, sostenendo ufficialmente che la decisione faceva parte di un rinnovato impegno per offrire scelte più salutari ai clienti. Contemporaneamente, iniziò a introdurre informazioni caloriche sui propri prodotti e a promuovere opzioni più leggere come insalate e frutta.

Sebbene McDonald's abbia sempre negato che la decisione fosse direttamente legata al documentario, la coincidenza temporale rimane difficile da ignorare. Il ritiro del "super-size" ha segnato l'inizio di un cambiamento più ampio nell'industria del fast food, con un'attenzione crescente verso la trasparenza nutrizionale e la possibilità per i clienti di fare scelte più consapevoli. Tuttavia, per molti nostalgici, il formato “super-size” rimane un simbolo di un’epoca in cui il fast food era sinonimo di eccesso e opulenza.

Nel 1981, tra i vasti paesaggi post-apocalittici di Mad Max 2 , una delle presenze più memorabili non fu un attore, ma un cane. Chiamato semplicemente "Dog" nel film, l'animale divenne un'icona della saga grazie al suo rapporto con Max Rockatansky, interpretato da Mel Gibson. Tuttavia, la sua storia reale è altrettanto straordinaria quanto quella raccontata sullo schermo.

Il cane fu salvato all'ultimo momento da un canile locale, dove era destinato a essere soppresso. La produzione era alla ricerca di un animale che potesse accompagnare il protagonista nel deserto australiano, e quando i membri dello staff notarono un cane che giocava con una pietra come se fosse un giocattolo, capirono di aver trovato il candidato perfetto. L'intelligenza e l'energia dimostrate dall'animale hanno convinto il team che avrebbe potuto essere addestrato per recitare nel film.

Nonostante la sua predisposizione, l'addestramento ebbe alcune difficoltà. La canna, infatti, non sopportava il rumore dei motori delle auto e delle esplosioni, costringendo la produzione a dotarlo di speciali tappi per le orecchie per proteggerlo durante le riprese.

Sul set, il cane si affezionava particolarmente all'attore Bruce Spence, che interpretava il "Capo degli Aviatori". Per rendere più credibile la scena in cui l'animale doveva sembrare aggressivo, Spence giocava con lui fingendo di mordere la sua sciarpa. Con un'abilità di montaggio e l'aggiunta di effetti sonori, il cane appare molto più minaccioso di quanto fosse in realtà.

Fortunatamente, la storia ha avuto un lieto fine anche fuori dal set. Dopo la fine delle riprese, uno degli operatori di ripresa decide di adottare il cane, offrendogli una casa amorevole lontano dal mondo post-apocalittico di Mad Max .

Quella del "Dog" di Mad Max 2 è una delle tante storie affascinanti che dimostrano come anche un piccolo dettaglio, come un cane salvato da un cane, possa lasciare un'impronta indelebile nella storia del cinema.


 

Quando Blade Runner uscì nel 1982, si impose come un capolavoro visivamente rivoluzionario, destinato a diventare un cult del cinema di fantascienza. Tuttavia, dietro la macchina da presa, la produzione fu segnata da tensioni e conflitti, in particolare tra il regista Ridley Scott e la sua star, Harrison Ford. Un rapporto teso, nato sin dalle prime fasi del film e peggiorato con il passare delle settimane sul set.

All'epoca, Ford era già una delle stelle più luminose di Hollywood, grazie ai ruoli iconici di Han Solo in Star Wars e di Indiana Jones in I predatori dell'arca perduta . La sua partecipazione a Blade Runner doveva rappresentare un'evoluzione nella sua carriera, ma il rapporto con Scott si rivelò problematico sin dall'inizio.

Uno dei primi motivi di scontro fu il look del personaggio. Scott aveva in mente un'estetica ben precisa per Rick Deckard, che includeva un cappello ispirato a quello di Indiana Jones. Ford, temendo un'associazione troppo diretta con il suo precedente ruolo, si oppone fermamente. Quando il regista continuò a insistere su una direzione stilistica precisa, l'attore prese l'iniziativa e si recò dal barbiere per un taglio di capelli moderno, senza informare la produzione. Al suo ritorno, Scott fu furioso: odiava il nuovo look di Ford, ma ormai era troppo tardi per cambiarlo.

Le riprese furono estenuanti e contribuirono a inspirare ulteriormente il clima sul set. Scott era noto per il suo perfezionismo e il suo approccio visivo meticoloso, ma il suo stile di direzione, spesso freddo e autoritario, non trovò mai un punto di incontro con Ford. L'attore si sentiva frustrato dal metodo del regista, che lasciava poco spazio all'improvvisazione e all'interpretazione personale. Il malcontento si aumentò quando Scott, in un'intervista, affermò di sentirsi più vicino alla troupe britannica del film che agli attori americani, un commento che infastidì Ford e gli altri membri del cast.

Un altro elemento di attrito fu il famigerato monologo fuori campo, aggiunto in fase di post-produzione per rendere la trama più comprensibile al pubblico. Ford registrò la voce narrante con scarso entusiasmo, sostenendo che non fosse necessaria e che avrebbe appesantito il film. In seguito, nelle versioni successive della pellicola, Scott rimosse il monologo, confermando di non averlo mai apprezzato.

Tutte queste tensioni ebbero un impatto duraturo: per oltre due decenni, Ford evitò di parlare di Blade Runner nelle interviste, manifestando iniziale il suo disprezzo per l'esperienza vissuta sul set. Anche Scott non nascose il suo disappunto per le difficoltà incontrate con l'attore.

Col tempo, però, l'ostilità si attenua. Con l'uscita delle edizioni restaurate del film e il seguito Blade Runner 2049 , Ford riconobbe il valore del progetto e accettò il ruolo iconico che il film aveva assunto nella storia del cinema. Eppure, l'intensa battaglia dietro le quinte tra il regista e la sua star rimane una delle leggende più affascinanti di Hollywood.








Quando Black Adam è arrivato nelle sale nel 2022, le aspettative erano alte: Dwayne Johnson, star di Hollywood con un impressionante curriculum di successi al botteghino, aveva promosso il film come l’inizio di una nuova era per il DC Extended Universe (DCEU). Tuttavia, nonostante un incasso globale di 393 milioni di dollari, il film si è rivelato un disastro finanziario. Ma come può un film che ha quasi raddoppiato il suo budget essere considerato un fiasco?

La risposta risiede nei complessi meccanismi dell’economia cinematografica. Il budget dichiarato di Black Adam era di circa 200-260 milioni di dollari, una cifra già elevata per un cinecomic, ma i costi di produzione sono solo una parte dell’equazione. A questi si aggiungono le spese di marketing e distribuzione, che spesso raddoppiano il costo complessivo di un film. Warner Bros. ha speso una cifra considerevole per promuovere il film a livello globale, portando il costo totale ben oltre i 400 milioni di dollari.

Un altro fattore chiave è la ripartizione degli incassi. I cinema trattengono una parte significativa del box office: negli Stati Uniti, gli studi ricevono in media il 50-55% degli incassi, mentre nei mercati internazionali la percentuale scende ulteriormente, spesso sotto il 40%. Facendo i conti, Warner Bros. ha probabilmente recuperato meno di 200 milioni di dollari dagli incassi, molto meno di quanto necessario per coprire le spese.

Hollywood segue una regola non scritta secondo cui un film deve incassare almeno tre volte il suo budget di produzione per generare profitto. Nel caso di Black Adam, avrebbe dovuto superare gli 800 milioni di dollari per essere considerato un successo. In confronto, film come Aquaman (2018) hanno superato il miliardo, mentre persino The Batman (2022), con un budget simile, ha incassato 770 milioni, risultando molto più redditizio.

A complicare la situazione, il film ha ricevuto recensioni tiepide e un'accoglienza deludente dal pubblico. La critica ha sottolineato una sceneggiatura debole, un tono incerto e una CGI altalenante, fattori che hanno frenato il passaparola positivo. Inoltre, il film è arrivato in un momento di transizione per la DC, con il nuovo corso di James Gunn e Peter Safran alla guida dello studio, segnando la fine dell'era DCEU così come era stata concepita fino a quel momento.

Infine, la strategia distributiva ha giocato contro il film: dopo poche settimane dall’uscita nelle sale, Black Adam è stato reso disponibile su piattaforme digitali, riducendo ulteriormente il potenziale incasso cinematografico.

Nonostante l'apparente successo numerico, Black Adam è stato un investimento fallimentare per Warner Bros., segnando un'altra battuta d’arresto nella travagliata gestione dell’universo cinematografico DC. Un risultato che ha messo in discussione non solo il futuro del personaggio, ma anche la strategia complessiva dello studio per i suoi cinecomic.


I film ci hanno abituato a una visione idealizzata e rapida dei funerali, ma una recente esperienza ha fatto emergere una discrepanza significativa tra la finzione cinematografica e la realtà di come vengono gestiti i processi legati alla morte. A differenza di quanto mostrato frequentemente sul grande e piccolo schermo, dove le lapidi sono già pronte e ben visibili al momento della sepoltura, nella vita reale i tempi di realizzazione e installazione di una lapide sono ben più lunghi e complessi.

Questa rivelazione è arrivata in modo molto personale: dopo la scomparsa di un caro, ho dovuto affrontare la gestione del funerale e della sepoltura di mio suocero, un uomo di 91 anni, lo scorso ottobre. Come molti, mi aspettavo una procedura che fosse almeno simile a quella che i film ci mostrano: un funerale rapido, seguito dalla sepoltura e dall'istallazione della lapide, con la data di morte già visibile sulla pietra tombale.

La realtà, invece, è ben diversa. Dopo aver acquistato un appezzamento in un cimitero locale, abbiamo scoperto che la realizzazione di una lapide su misura avrebbe richiesto almeno tre mesi. Non solo, ma poiché la pietra sarebbe stata pronta in inverno, l'installazione sarebbe avvenuta solo nella primavera successiva, una volta che il terreno si fosse scongelato. Quindi, mentre il corpo era stato sepolto a inizio ottobre, la tomba di mio suocero rimaneva priva della lapide più di tre mesi dopo.

Questa lunga attesa è un aspetto che i film, apparentemente, ignorano o semplificano. Infatti, nei film e nelle serie TV, ci viene mostrato un funerale in cui il corpo viene sepolto e la lapide è già al suo posto, pronta e sistemata con tanto di dati di nascita e morte. È un'immagine comoda, che permette di risolvere tutto in un istante, mentre nella realtà, questo processo richiede tempo e pianificazione. Anche nei casi in cui una persona venga sepolta in un terreno di famiglia, la pietra esistente non viene aggiornata con i dati di morte al momento del funerale, come suggerito da molti scenari cinematografici.

Questo “errore” cinematografico, o meglio, semplificazione narrativa, non solo offre un'interpretazione distorta delle tempistiche, ma contribuisce anche a dare un'impressione irreale dei tempi e dei costi legati alla sepoltura. Mentre il lutto e la perdita vengono affrontati con una certa immediatezza sullo schermo, nella vita reale il processo di chiusura, simbolizzato dalla lapide, è ben più prolungato, a volte anche per mesi.

Questa dissonanza tra film e realtà solleva anche interrogativi più ampi sul modo in cui la morte viene rappresentata nel cinema. Se da un lato i film tendono a semplificare le procedure burocratiche e logistiche per concentrarsi sul lato emotivo della morte, dall'altro, omettono dettagli che, pur essendo pratici, contribuiscono a formare l'esperienza reale di un lutto.


Due esempi si trovano nello stesso film.

Primo: Mel Brooks avrebbe dovuto interpretare Igor in Frankenstein Junior. Ma dopo aver visto Marty Feldman, lo scelse al suo posto. Feldman diede al ruolo qualcosa che nemmeno Brooks stesso avrebbe potuto fare. Contribuì a trasformare un film divertente in uno assolutamente folle.


Secondo: Gene Hackman non era famoso per la comicità. Ma fu scelto per la parte dell'eremita cieco in Frankenstein Junior. La scena con lui e Peter Boyle è un classico della commedia sullo schermo. La sua ultima battuta era completamente improvvisata, ed era geniale. Chi a metà degli anni '70 avrebbe pensato che la battuta più divertente in un film di Mel Brooks sarebbe stata pronunciata da lui? (O, almeno, una delle più divertenti.)



Nel panorama cinematografico della fantascienza, la rappresentazione della tecnologia appare spesso come una versione più primitiva rispetto agli sviluppi tecnologici reali che stiamo vivendo. Tuttavia, questa scelta non è casuale né priva di significato. I film di fantascienza, in realtà, riflettono più un'istantanea del tempo in cui sono stati creati piuttosto che un'effettiva previsione del futuro.

L'equivalente dei computer di Star Trek degli anni '60.


Un esempio lampante di questa dinamica si trova in Star Trek , una delle serie più iconiche del genere. All'epoca della sua creazione, negli anni '60, la tecnologia dei computer era ben lontana dall'essere quella che conosciamo oggi. I computer occupavano interi edifici, lavorando su enormi mainframe e utilizzando bobine di nastro per memorizzare dati. In questo contesto, l'idea di un computer in grado di memorizzare e trasportare informazioni in formati così compatti da essere facilmente trasportabili su una navetta spaziale era considerata pura utopia. Eppure, Star Trek prefigurava una realtà in cui le informazioni venivano immagazzinate in dispositivi portatili, un concetto che sarebbe diventato realtà solo decenni più tardi con i moderni laptop e smartphone.

Allo stesso modo, i comunicatori visti in Star Trek erano la naturale evoluzione dei walkie-talkie e delle radio portatili utilizzate durante la Seconda Guerra Mondiale. Questi strumenti avevano già mostrato il potenziale di comunicazione a distanza, ma nessuno avrebbe immaginato che, con il passare del tempo, la tecnologia avrebbe unito comunicazione vocale, video, navigazione GPS e accesso a internet in un singolo dispositivo portatile. Quel “comunicatore” rappresentava un passo futuristico, ma non così avanzato come i telefoni cellulari che oggi usiamo quotidianamente.

Ma Star Trek non è l'unico esempio. Anche altre saghe di fantascienza, come Fallout , pongono un interrogativo simile riguardo alla rappresentazione tecnologica. In Fallout , la civiltà si è sviluppata su un binario alternativo in cui l'energia nucleare è diventata una risorsa abbondante, consentendo progressi incredibili in ambito energetico e tecnologico. Tuttavia, nonostante l'energia avanzata, la tecnologia di Fallout rimane anacronistica rispetto ai nostri standard, poiché il progresso nell'informatica è rimasto ancorato ai livelli degli anni '70. In questo universo alternativo, la tecnologia informatica non ha subito la stessa evoluzione che noi conosciamo, e ciò crea un contrasto tra i salti in avanti nel campo dell'energia nucleare e la relativa stagnazione in quello dei microchip.

Anche nei mondi steampunk, la tecnologia è improntata a una visione alternativa della realtà. Ad esempio, nelle storie ambientate in universi steampunk, l'idea di viaggi spaziali attraverso enormi vele si distacca dalle leggi fisiche che conosciamo, come l'assenza di venti nello spazio. Tuttavia, in questi mondi, l'esistenza di correnti di energia e venti nello spazio dà un senso alla tecnologia, creando un contesto in cui navi spaziali a vela non solo sono plausibili, ma perfettamente compatibili con le leggi interne di quell'universo immaginario. In altre parole, anche se nel nostro mondo non esistono giustificazioni fisiche per tale tecnologia, essa ha una coerenza logica e narrativa all'interno di quei mondi alternativi.

La realtà è che la fantascienza non si limita a fare previsioni accurate sul futuro tecnologico. Spesso, rappresenta un altro tempo o un altro universo, in cui la tecnologia si sviluppa lungo un percorso diverso rispetto al nostro. Oppure, se ambientata nel nostro futuro, la fantascienza riflette le competenze tecnologiche e le concezioni dell'epoca in cui è stata creata, con il rischio che, con il passare degli anni, ciò che una volta sembrava futuristico appaia obsoleto.

In breve, i film di fantascienza mostrano tecnologie che sembrano spesso arretrate non per un errore di previsione, ma come risultato della necessità di radicarsi nelle percezioni e nelle capacità tecnologiche di un determinato periodo storico. Con l'avanzare del tempo, queste visioni diventano finestre su un'epoca passata, che sembrano evidenziare quanto velocemente la nostra comprensione e l'applicazione della tecnologia possa evolversi.



Nella complessa macchina produttiva di un film, le comparse svolgono un ruolo essenziale, spesso invisibile ma fondamentale per creare l'atmosfera di una scena. Come ben sanno coloro che hanno avuto questa esperienza — e chi scrive ha raccolto testimonianze dirette — ci sono regole precise che ogni comparsa deve rispettare per garantire il successo delle riprese. Anche se ogni regista adotta variazioni personali, alcune linee guida restano universali.

La prima riguarda l'abbigliamento. In molte produzioni, le comparse possono essere chiamate a indossare i propri vestiti, ma c'è una chiara direttiva: scegliere colori neutri. Maglioni neri, jeans scuri e tonalità sobrie sono preferiti per evitare che la comparsa risalti troppo sullo schermo, distraendo l'attenzione del pubblico dai protagonisti. L'obiettivo è fondersi armoniosamente con l'ambiente, diventando parte del tessuto visivo della scena.

In secondo luogo, le comparse devono mantenere un basso profilo. Il loro compito principale è essere uno sfondo discreto e credibile per l'azione principale. Un movimento eccessivo o un gesto plateale possono compromettere la coerenza della scena e costringere il regista a ripetere il ciak.

Un'altra regola fondamentale riguarda il comportamento: naturalezza è la parola d'ordine. Quando una comparsa simula una conversazione, deve evitare gesti esagerati o suoni udibili, poiché i dialoghi principali vengono registrati dai microfoni direzionali puntati sui protagonisti. Tuttavia, non mancano eccezioni che mostrano come il cinema sappia accogliere l'imprevisto e trasformarlo in un momento di autenticità.

Un caso emblematico è quello di una scena drammatica durante le riprese di un film d'azione. Un uomo iniziava a sparare in un luogo affollato, provocando il panico tra i passanti. Le comparse, pur consapevoli che si trattava solo di finzione e che le armi utilizzavano risorse a salve, hanno reagito istintivamente, correndo per mettersi in salvo. In questo caos orchestrato, una comparsa ha accidentalmente urtato il protagonista, facendola cadere a terra. Quella caduta imprevista, inizialmente percepita come un errore, è stata invece mantenuta nel montaggio finale perché il regista ha riconosciuto il suo valore aggiunto: un tocco di realismo spontaneo che ha reso la scena più coinvolgente.

L'esperienza dimostra che, sebbene le comparse siano guidate da regole rigide, esiste uno spazio inaspettato per l'improvvisazione naturale. La tensione tra ordine e casualità è ciò che rende il cinema vivo, permettendo talvolta agli istinti di prendere il sopravvento, regalando al pubblico momenti indimenticabili.