“E adesso abbiamo la canzone numero quattro della categoria cantautori, si chiama Gianna e la canta Rino Gaetano. Ecco Gianna”. Con queste parole, Vittorio Salvetti introdusse Rino Gaetano sul palco del Teatro Ariston in occasione del Festival di Sanremo del 1978. Per l’esibizione Rino scelse un cappello a cilindro, regalatogli da Renato Zero, un frac, un papillon bianco, una maglia a righe, tante medagliette militari sul petto, che regalò in giro appena finito di cantare, e infine un ukulele.
È proprio da questa esibizione che Gaetano uscì dalla cerchia dei cantautori di nicchia per raggiungere il successo popolare. Per i suoi fan di lunga data fu quasi un tradimento la partecipazione a Sanremo, mentre i nuovi apprezzarono molto questo motivo orecchiabile e facile da canticchiare. Solo Gaetano e la commissione del Festival sapevano che in realtà Gianna fu soltanto la scelta di ripiego, comunque molto azzardata, perché fu la canzone che sdoganò la parola sesso al Festival di Sanremo e in televisione. Ciò che nessuno poteva immaginare, però, era che il successo di Rino Gaetano sarebbe finito bruscamente soltanto tre anni dopo. Prima di arrivare al 1981 facciamo un passo indietro.
Esibizione a Sanremo78
Salvatore Antonio Gaetano nacque a Crotone, in Calabria, il 29 ottobre 1950, dopo che la famiglia rientrò dal periodo di sfollamento in Veneto, dove nacque la sorella Anna, a causa della guerra. Fu proprio la sorella Anna a dargli il soprannome Rino, che userà per tutta la vita. Quando la famiglia si trasferì a Roma, Rino venne iscritto al seminario della Piccola Opera del Sacro Cuore a Narni, in provincia di Terni, non tanto per avviarlo alla carriera ecclesiastica quanto per assicurargli una buona istruzione. Già durante gli anni della scuola dimostrò il suo talento come scrittore componendo un poemetto intitolato “E l’uomo volò”.
Una volta completati gli studi tornò a Roma, dove si stabilì in via Nomentana con la famiglia, e cominciò a frequentare il Folkstudio, locale dove conobbe artisti come Antonello Venditti e Francesco De Gregori, mentre si dilettava a scrivere testi, ispirandosi ad artisti come Celentano, Jannacci, De André, Bob Dylan e i Beatles. In questo periodo le sue caratteristiche peculiari lo resero inviso a molti dei suoi contemporanei, che mal sopportavano le sue stramberie, e lo portarono a cimentarsi anche nel teatro. Nonostante il padre volesse per lui una carriera in banca, Rino non si arrese e cominciò a lavorare come paroliere per una casa discografica, la “IT”.
Vincenzo Micocci, presidente della IT, lo convinse, non senza difficoltà, a cantare da sé le sue canzoni, che all’inizio non ebbero successo. Come già detto la svolta avvenne con Sanremo e la sua Gianna, canzone odiata dallo stesso Gaetano, perché con un testo troppo semplice e troppo simile a “La Berta filava…”. La sua prima scelta era in realtà “Nuntereggae più”, canzone con un testo fortemente politico, che alludeva a nomi e fatti scomodi all’epoca.
La canzone uscì comunque dopo la fine del Festival, e Rino Gaetano dovette fare i conti sia con la censura sia con le critiche dei personaggi impegnati in politica. Vincenzo Mollica la descrisse così: “[Era] una canzone di grande divertimento, anche, però aveva il coraggio delle sue azioni, non si tirava mai indietro: nomi e cognomi per tutti e nei tempi in cui fare nome e cognome per tutti era molto difficile”.
Rino Gaetano
Il Festival di Sanremo lo fece uscire dal circolo di nicchia a cui apparteneva, rendendolo molto popolare, soprattutto con l’appellativo di “Quello di Gianna…”. Fu molto importante per lui l’incontro con Mogol, il quale scrisse delle canzoni per Gaetano che si differenziavano parecchio dallo stile graffiante e satirico del cantautore calabrese, arrivando anche a deludere le aspettative del grande pubblico che da Rino si aspettava solo nonsense o “buffonate” e non vederlo atteggiarsi come un cantante leggero. Purtroppo, però, per Rino Gaetano il Festival di Sanremo significò un aumento di attenzioni a cui non era pronto, un po’ per il carattere timido, un po’ perché inaspettato, e il risultato fu una totale perdita di controllo del suo stesso personaggio, che fu reso oggetto di attenzione per motivi sbagliati.
Negli ultimi anni, forse per ritrovare la serenità dopo le aspre critiche, il cantautore tentò di isolarsi, trasferendosi addirittura in Centroamerica, lasciandosi influenzare dalle melodie latino-americane, che, ancora una volta, lo resero bersaglio di feroci critiche in patria. Andò prima a Città del Messico nel 1979, e il risultato fu l’album “Resta vile maschio, dove vai?”, e poi in Ecuador nel dicembre 1980. In quegli anni fu molto importante per lui l’amicizia e collaborazione con Riccardo Cocciante, che culminò con il brano “A mano a mano”, scritto da Cocciante e cantato da Gaetano al Teatro Tenda di Roma nel 1981, mentre Cocciante reinterpreta “Aida”. Rino però non si fece mai abbattere, anzi decise di concentrarsi sulla sua vita privata, in particolare sul matrimonio con la fidanzata Amelia. L’8 gennaio 1979, mentre guidava, un fuoristrada aveva speronato la vettura del cantautore, una Volvo, facendolo finire contro il guardrail. Gaetano ne uscì illeso, e poco dopo cambiò macchina, acquistando una Volvo 343.
La sera a cavallo tra l’1 e il 2 giugno 1981 era una serata normale, che Rino Gaetano passò in un locale con alcuni amici. Si mise per strada per rientrare a casa verso le 3:30. Verso le 3:55, forse a causa di un colpo di sonno o di un malore, la Volvo invase la corsia opposta di via Nomentana, all’angolo con via Carlo Fea. Un camion si avvicinava sulla propria corsia di marcia quando si accorse della vettura che sopraggiungeva nel verso opposto. Il camionista provò a suonare il clacson, ma senza risultato.
Solo pochi secondi prima dell’inevitabile scontro vide gli occhi dell’automobilista spalancarsi all’improvviso. La Volvo si schiantò contro il mezzo pesante. Della parte anteriore e laterale destra della vettura ormai non restava nulla se non lamiera informe.
Quanto Antonio Torres, l’autista del camion, scese dal mezzo per prestare soccorso si trovò davanti una scena agghiacciante: la testa di Rino Gaetano aveva sfondato il parabrezza, mentre il torace era in una posizione con un’angolatura innaturale a causa del violento impatto con il volante e il cruscotto. I soccorsi arrivarono in fretta e Rino venne trasportato d’urgenza al Policlinico Umberto I, già in coma. Una volta arrivato si scoprirono le condizioni disperate nelle quali versava: frattura alla base cranica, diverse ferite sulla fronte, frattura dello zigomo destro e una sospetta frattura allo sterno. La struttura però non era in grado di affrontare operazioni a livello cranico tanto complesse, e vennero contattati altri ospedali per deviarlo su un ospedale più adatto: il San Giovanni, il San Camillo, il CTO della Garbatella, il Policlinico Gemelli e il San Filippo Neri. Nessuno aveva posti liberi a disposizione. Solo alle prime luci dell’alba il Gemelli diede disponibilità per un posto, ma, poco dopo essere arrivato in ospedale, Rino Gaetano morì. Due giorni dopo, i funerali vennero celebrati nella stessa chiesa dove si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio con la fidanzata Amelia.
Volvo Serie 300
Se da un lato la morte così precoce e inattesa innalzò Rino Gaetano nell’olimpo degli artisti di culto, dall’altro contribuì a innescare non poche polemiche. I fan del cantautore si scagliarono contro gli ospedali, che trovarono delle scuse per ritardare il ricovero e l’intervento, causando così volontariamente la morte. Le accuse vennero smentite successivamente da Anna Gaetano, la sorella di Rino, che dichiarò: “Non è vero che Rino fu rifiutato dagli ospedali. Questa è una leggenda. Quando il corpo di mio fratello venne estratto dalle lamiere venne portato al Policlinico Umberto I, semplicemente perché era il posto più vicino. La struttura non aveva una sala operatoria attrezzata per i craniolesi, ma non l’avevano neppure gli altri ospedali contattati telefonicamente”.
Le teorie non si fermavano alla negligenza degli ospedali romani: qualcuno, infatti, ipotizzò il suicidio premeditato. Nel 1971, Rino Gaetano compose una canzone intitolata “La ballata di Renzo” che recitava:
La strada era buia, s’andò al San Camillo
E lì non l’accettarono forse per l’orario,
si pregò tutti i santi ma s’andò al San Giovanni
e lì non lo vollero per lo sciopero.
Renzo, il protagonista della canzone, muore per un incidente stradale e gli ospedali lo rifiutano, qualcosa di ravvisabile nella morte del cantautore. Alcuni, dunque, ipotizzarono che Rino Gaetano andò volontariamente a scontrarsi contro il camion, restando fedele al testo della sua canzone. Ciò che distingue il testo della canzone dall’evento reale è che Renzo andò personalmente negli ospedali, venendo sempre rifiutato, mentre Rino Gaetano venne trasportato nell’ospedale più vicino e da lì cominciò la disperata ricerca di un posto in neurochirurgia, cosa abbastanza complicata all’epoca.
Qualcun altro invece ipotizzò addirittura l’omicidio: l’avvocato penalista Bruno Mautone, il quale scrisse tre libri sull’argomento (“La tragica scomparsa di un eroe”, “Chi ha ucciso Rino Gaetano” e “Rino Gaetano, segreti e misteri della sua morte”), afferma che Rino Gaetano non morì per una tragica casualità, bensì per chiaro volere dei servizi segreti italiani. Il cantautore citò spesso nei suoi testi nomi e fatti molto delicati considerando il periodo storico, il che significa che doveva avere degli amici fidati tra gli agenti segreti italiani, i quali gli passavano informazioni riguardo le varie indagini.
Come se ciò non bastasse, Mautone sostiene la tesi della vicinanza con la massoneria: a riprova di questo vi era l’amicizia con Elisabetta Ponti, figlia del medico personale di Licio Gelli, capo supremo della P2. Citando direttamente Mautone: “del resto quando Rino in Rai cantò la canzone “La Berta filava…” con lui c’era un cane, che era proprio di Elisabetta Ponti”. Nonostante Mautone dichiari di essere in possesso di prove schiaccianti a favore delle sue tesi, non si è conoscenza di nessuna di queste, dunque resta una semplice speculazione che strizza l’occhio al genere poliziesco.
La morte di Rino Gaetano viene anche spesso, e a ragione, paragonata alla morte di Fred Buscaglione, morto anche lui in un incidente automobilistico con un camion sulle strade della Roma notturna dopo un’esibizione musicale.
Quel che sappiamo per certo è che Rino Gaetano ci ha lasciato, nelle sue canzoni, uno spaccato della società italiana a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, tra i primi scandali politici e le proteste operaie.