Avete mai immaginato di guadagnare 5 milioni di dollari all'anno giocando? Il canale YouTube "Fun Toys Collector Disney Toys Review" con oltre 8,5 milioni di abbonati accumula questa fortuna. In esso, le mani di una persona appaiono manipolando le più grandi novità della Disney, tra cui giocattoli, pasta da gioco, bambole e altro.



Ad oggi, il canale ha accumulato più di 12 miliardi di visualizzazioni in 4 anni di esistenza. E la persona dietro le "mani meglio pagate di internet" è una brasiliana!

Appartengono a Daiane de Jesus, che è sposata da 3 anni con l'uomo d'affari brasiliano Messias Credido. Cosa c'è di così insolito? Daiane era l'attrice porno che si chiamava Sandy Summers.

Ha lasciato il mercato degli adulti 5 anni fa e ha finito per avventurarsi nell'universo dei bambini.

Il suo canale è uno dei più riusciti nel segmento all'interno di YouTube, ma lei preferisce mantenere una vita privata. Tanto che sono stati i suoi vicini a rivelare la sua identità e il suo passato al tabloid Daily Mail.


Il fatto è che la maggior parte di questi film, eccetto magari quelli più recenti un po' più accurati, fa un bel po' di minestrone fra le tribù.

Che siano Sioux, Apache, Nasi Forati, Cheyenne, Arapaho, ecc. la rappresentazione-tipo è sempre la stessa: seminudi o vestiti di pelli e pellami, vivono nelle tende, hanno tutti i capelli lunghi fino alle spalle che ornano con penne e perline, tutti che adorano Manitu e conoscono solo l'infinito dei verbi.



Invece le società native americane erano diversissime tra loro; alcuni ad esempio vivevano in case, altri erano nomadi, e anche le lingue erano piuttosto differenti e spesso non intelligibili neppure fra tribù vicine.

Un altro errore ancora più grossolano è quello di aver per molto tempo usato attori caucasici per rappresentarli, forse pensando che bastasse un po' di fard sulla pelle per trasformarti in un pellerossa. I risultati spesso sono stati penosi, anche in film tutto sommato rispettosi dei nativi





Poi, francamente, anche nella loro caratterizzazione storica si è spesso passati da un eccesso di semplificazione all'altro.

Mentre fino agli anni '70 erano considerati i classici cattivi, ora, al contrario, sono tutti buoni quasi degli hyppie.

La verità, come sempre, sta un po' nel mezzo anche se ciò non sposta di una virgola le gravissime colpe dei colonizzatori bianchi nei loro confronti.


 


Questa foto è considerata da molti come il più impressionante della storia.

Prima di tutto, lasciate che vi dica cosa mostra.

È il 21 agosto 2017, ed è la prima eclissi solare totale in 42 anni ad essere vista negli Stati Uniti.

E quello che si vede, se si guarda da vicino, è l'ombra della luna sulla terra.

Sorprendentemente, il tutto non è preso dallo spazio, ma da un aereo.

Il fotografo Jon Carmichael ha passato tre anni a preparare questa immagine unica.

Si era chiesto se fosse possibile catturare l'ombra della luna se si volava abbastanza in alto.

Ha studiato attentamente il percorso dell'eclissi e ha scoperto che la Southwest Airlines offriva un volo che lo avrebbe messo nella posizione perfetta.

Carmichael comprò un biglietto aereo e cercò di capire come posizionarsi al finestrino giusto.

Quando ha detto all'equipaggio lo scopo del suo volo, hanno cominciato ad aiutarlo. Il capitano ha persino lucidato il vetro della sua finestra (dall'esterno) affinché l'inquadratura fosse più perfetta.


Durante il volo, i piloti hanno controllato l'aereo in modo da permettere ai passeggeri di godersi meglio lo spettacolo.

Carmichael ha scattato oltre 1.200 foto ed è riuscito a catturare l'eclissi totale mentre scivolava sul fiume Snake.


In seguito, ha ordinato un drink e ha trascorso il resto del volo con un ampio sorriso.

Quella sessione fotografica gli ha cambiato la vita, dice.

Ha passato un altro anno ad editare le sue immagini e ha creato un'opera incredibile chiamata 108.


Il miglior esempio di questo è"Nikocado Avocado". Se sei su Internet da un po' e non vedi questo ragazzo, considera te stesso molto, molto fortunato.



Nikocado Avocado è uno youtuber, che si sta uccidendo in cambio di fama e visualizzazioni. Così chiaro.

Appartiene a una categoria di youtuber che fanno"Mukbang", dove mangiano letteralmente chili e chili di cibo in una sola seduta, e apparentemente milioni di persone lo trovano divertente.



Prima di diventare famoso, Nicholas (il suo vero nome) era vegano, conduceva uno stile di vita sano, ma si è reso conto che ciò che la gente voleva vedere da lui erano quei video in cui si abbuffava, e non solo, ma peggio è guardato nei video, più persone li vedevano.

Ci sono momenti in cui inizia a piangere mentre mangia, dice, disgustato di se stesso, ma sfortunatamente quelli sono i video che ricevono più visualizzazioni, quindi continua a farli.



Abbiamo una persona che si uccide lentamente in cambio di fama e visite su internet, sentendo di non potersi fermare, poiché è l'unico modo per guadagnarsi da vivere, dato che mangiando così tanto ha raggiunto livelli di obesità che non farlo uscire dal letto, lasciandolo così, in una specie di ciclo infinito.

Questo è uno dei casi peggiori, di persone che non avrebbero mai dovuto essere famose.


Dal modo di parlare di un avventore di un bar milanese frequentato dall’attore.



Pozzetto, che ha compiuto 81 anni, ha raccontato di essersi imbattuto in questo signore al celebre bar Gattullo di Milano e di esserne rimasto colpito per il modo in cui gesticolava e si esprimeva.

Ispirandosi a lui, quindi, ha ideato la mitica battuta “taac” con il significato di “ben fatto” usata dal protagonista di Il ragazzo di campagna, il film di Castellano e Pipolo del 1984.

In breve tempo l’espressione è diventata un tormentone tipicamente milanese, tanto che persino il sindaco di Milano Beppe Sala l’ha usata per esultare dopo l’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 a Milano-Cortina.



 

Se si parla di fiction (e non di saggi, per dire) consiglio Self Editing For Fiction Writers, disponibile anche in italiano con il titolo (per me bruttarello e anche un filo fuorviante) Divento Scrittore.

In questo "manuale" gli autori Renni Browne e Dave King, due editor di lunga e provata esperienza, mettono a disposizione tutti i "trucchi" imparati sul lavoro per chiunque voglia cimentarsi nell'impresa di editare il proprio libro in autonomia.


"Anche io sono uno scrittore"

"Davvero? Cosa hai scritto?"

"Per ora nulla, ma ho un'idea geniale per un romanzo, solo non te ne posso parlare perché un giorno la scriverò"

Ah-ha.

Mmm…

Forse.

Più probabilmente no.

Anzi, sicuramente no.

A parte il fatto che ritenersi ‘scrittore’ quando non hai mai scritto un bel niente nella tua vita è decisamente offensivo, ma nella mia esperienza personale, tutti quelli che hanno detto questa frase non hanno mai scritto un bel niente.

Tutti quanti.

Nessuno escluso.




  1. "scrivere è facile. E che ci vuole?" Questa dannata idea che scrivere non richieda competenza alcuna… tranne conoscere un italiano corretto (!?!?)… Mamma mia, quanto la odio e quante volte è saltata fuori, nella mia vita. O quelli che pensano che chiunque si possa alzare la mattina e scrivere come certi maestri Americani dello stile 'semplice', come chessò Dan Brown, Stephen King, eccetera. Guardate che è esattamente come bestemmiare in chiesa. E’ un po' come pensare che chiunque possa calciare un pallone come Maradona: “e che ci vuole? In fondo basta prenderlo a calci”. Ho reso l'idea? Quando qualcuno lo dice (o viene fuori che ‘sotto sotto’ lo pensa), vorrei spaccargli la testa.

  2. "il successo lo fa l'idea" Il successo lo fa il marketing. Se nessuno sa che esiste un certo libro, è difficile che qualcuno si accorga che dentro quel libro c’è un’ottima idea.

  3. "il successo lo fa la bravura" di nuovo… il successo lo fa il marketing. Non puoi accorgerti del talento (stilistico o creativo) di un autore senza avere letto almeno una parte del suo romanzo. Giusto? Bene. Ma allora c'è qualcosa che non va. Eh già. Perché se un libro ha successo a causa della 'bravura' dell'autore, vuol dire che alcuni lo stanno già leggendo. E se alcuni lo stanno già leggendo, questo significa che sta già vendendo. E quindi, che sta già avendo un certo successo. Giusto? Ma certo. Eppure, la maggior parte di voi non si è mai accorta di questo ovvio controsenso. Grosso modo, credete tutti quanti di vivere in un mondo delle favole dove 1) tutti leggono tutto, 2) tutti sono critici letterari perfettamente privi di gusti personali 3) tutti si sentono in dovere di consigliare agli altri i libri ‘oggettivamente’ buoni e infine (rullo di tamburi!): 4) tutti quelli cui viene consigliato un buon libro, si sentono poi in DOVERE assoluto di leggere effettivamente ciò che viene consigliato loro, come se i gusti personali non esistessero e tutti leggessero qualunque cosa, 'a patto che sia di grande valore'. Avete capito dove vado a parare? Bravi. Come avrete già intuito da soli, tutto questo è una fesseria; pochissimi consigliano libri agli altri e ancora meno sono coloro ch accettano consigli di lettura. Il passaparola NON esiste. Non come lo intendete voi. E’ tutta un’altra cosa. Il vero problema del successo viene ben PRIMA dello stile e del contenuto pure. Il vero problema del successo è a monte della lettura… E questo spiega perché tra i libri di grande successo - i così detti bestseller - troviamo sia ottimi romanzi che schifezze assolute, spesso in egual misura. Il problema del successo è convincere almeno un minimo di persone INIZIALI a dare una possibilità a quel libro rispetto a mille altri, non a 'leggerlo'. Sto parlando di prenderlo in mano, non di leggerlo. Il problema è infatti comperarlo, non leggerlo. Sto parlando dell'arte di passare da 'zero lettori' a 'pochi lettori', perché è questo è il vero zoccolo duro da superare quando si parla di successo per gli scrittori. E questa è una partita completamente diversa dallo scrivere 'bene' e sperare che la provvidenza divina (che non esiste) faccia il resto. Sto parlando di una partita fatta di (A) immagine (ovvero PRIMA che CHIUNQUE abbia toccato un certo libro) e soprattutto di (B) farla girare, quella dannata immagine. E come cavolo si fa girare l'immagine di un romanzo quando nessuno l’ha mai letto e nessuno conosce quell’autore pure, perché non è ancora nessuno? Di sicuro non pubblicandolo su Amazon, dove ci sono un altro miliardo di altri libri… e tutti cento volte più famosi del tuo. Questo è un terribile buco culturale in materia di marketing che hanno TUTTI quanti, nessuno escluso. Un buco di ignoranza grazie al quale Amazon sta facendo i milioni sulla pelle di milioni di auto-editori di se stessi… che non sanno però una mazza di editoria. E Amazon sta facendo i miliardi sulla loro ignoranza.

  4. "Ho avuto un'idea che farebbe SICURAMENTE un sacco di soldi. Devo solo trovare qualcuno che me la scriva" - "No, non ce l'hai" (parte 1) NESSUNO sa per certo quale idea venderà tanto o poco, e per nessuno intendo nemmeno la Mondadori. L'idea (falsa) che certe idee in letteratura siano ‘più commerciali’ di altre deriva da una trasposizione (sbagliata) del marketing cinematografico su quello letterario. Sono invece due marketing completamente diversi. Sì, non ci credete. Lo so molto bene che non ci credete. Lasciate allora che ve lo ripeta: NIENTE di quello che vende sul grande schermo venderà ANCHE nelle librerie. NIENTE. Nada. Nisba. Zero. Anzi, è tutto il contrario. Eh sì. La maggior parte delle persone legge proprio per trovare nei romanzi qualcosa di completamente diverso dai film. Qualcosa che SOLO i libri possono offrire. Come non si va al cinema a vedere una partita di calcio, allo stesso modo non si legge un romanzo per gli effetti speciali. Ho reso l’idea? Bene, perché è ancora peggio di così. Le case editrici lavorano infatti a compartimenti stagni: lo stesso identico libro che potrebbe diventare un bestseller nelle mani di una certa casa editrice, potrebbe vendere zero con un’altra. Ogni casa editrice, in tutto il mondo, è infatti altamente specializzata sul suo pubblico di riferimento. Un esempio classico? Il 90% dei lettori di fantasy legge SOLO fantasy. Viceversa, il 90% di chi NON legge fantasy, NON lo legge proprio mai, nemmeno quando viene acclamato come ‘il nuovo capolavoro del fantasy’. Se ne strafregano perché è un genere che non gli piace, punto. Adesso facciamo un test: provate a frugare dentro di voi, e chiedervi se leggete fantasy o non lo leggete mai. Bè, non ho il minimo dubbio che su cento persone che leggeranno questa risposta, chiunque di voi dividerà se stesso in due: chi NON legge MAI fantasy, e chi legge SOLO fantasy.

  5. "Ho avuto un'idea che farebbe SICURAMENTE un sacco di soldi. Devo solo trovare qualcuno che me la scriva" - "No, non ce l'hai" (Parte 2) se avessi un euro per tutte le volte che qualcuno ha scambiato un concept per un'idea, sarei ricco. Un'idea dovrebbe consistere di inizio-svolgimento-fine. Tutto chiaro? Bene. Un concept invece è un TEMA, uno spunto, un 'qualcosa' su cui poi scrivere una storia. Ed è sempre rigorosamente un 'concept', quello che hanno tutti quanti nella loro testa. In realtà, questa faccenda che tutti confondano concept e idee… Non è un caso. Esiste una ragione ben precisa per cui NESSUNO ha mai il finale della sua idea ‘geniale’, ma solo il punto di partenza. La ragione di questo fenomento è che dal punto di vista creativo il finale è SEMPRE la parte più difficile da scrivere di qualunque storia. E’ per questo che i non-scrittori non hanno MAI tutta la trama in testa, ma sempre e solo l’inizio, l’argomento, il tema, eccetera…. E (fatalità…) non hanno mai la fine. Chiedete a chiunque - alle prime armi - abbia provato per la prima volta a scrivere qualche raccontino: il finale è sempre un disastro. E’ un disatro a tal punto che certi pivellini della scrittura usano spesso e volentieri i così detti ‘finali aperti’, ovvero… i finali senza finale (!!!!) adducendo la scusa che ‘non è senza finale, ma è un finale aperto’. E che orrore è, il finale aperto?! Non è forse una cosa orribile? Piccola parentesi: non vantatevi MAI dei vostri finali aperti in pubblico: potrebbe essere presente in sala uno scrittore vero, e farsi una grassa risata (sto citando, per es., S. Stephen King… ma molti altri scrittori di pari calibro hanno espresso pareri simili sui finali aperti).

  6. "Ho avuto un'idea che farebbe SICURAMENTE un sacco di soldi. Devo solo trovare qualcuno che me la scriva" - "No, non ce l'hai" (Parte 3) Il vero, annoso problema degli scrittori, è scrivere BENE, non trovare ‘un’idea’. Il vero problema in letteratura è scrivere BENE (non scrivere 'e basta'). Scriverla TUTTA QUANTA BENE, quella maledetta storia. Ogni singola pagina deve spingere il lettore ad andare avanti come una droga. Il vostro romanzo dura trecento pagine? Bisogna scrivere bene (leggi: essere ispirato) per TRECENTO dannattissime pagine UNA PER UNA. Un conto è avere un’ottima trama in testa (anche quando ce l’hai tutta dall’inizio alla fine), tutt’altro è REALIZZARNE un ottimo romanzo/racconto. In America esiste addirittura un modo di dire molto diffuso sia in ambito cinematografico che letterario: ‘ideas are cheap’ (le idee valgono poco). E’ la frase che usano quando incontrano qualcuno che pensa di avere avuto un'idea 'geniale. Tale motto viene usato in maniera sarcastica, come presa in giro. Quindi per cortesia, smettetela di venire da me a dirmi "ho avuto un'ideona! un serial killer finisce dentro la casa del grande fratello e non lo sa nessuno!" Per prima cosa, questo è un concept, non un'idea. Okay? E se pensate che io sono un genio perché ho creato questo concept ora, mentre scrivevo questa risposta… No, non lo sono. Di concept come questi riesco a tirarmene fuori dalla zucca anche 2–4 al giorno, se mi metto di impegno. Siete voi che di concept come questi ne trovate 2–3 in tutta la vita per il semplice fatto ché non siete scrittori, e quindi ovviametne li sopravvalutate. In conclusione, i casini VERI dello scrivere sono tre: portare a termine un certo concept, scriverlo bene dall’inizio alla fine, e poi giocarsi bene la partita del marketing.


Sapendo che mi diletto a scrivere, un amico mi ha prestato un libricino che ha scritto: “Sappimi dire che ne pensi”. Ahia, mi tocca. Forza dai, leggiamolo che non si sa mai. L’ho letto e qualcosa mi dovrò inventare, ma a voi lo posso dire chiaramente. Questo è il libro più brutto che abbia letto in vita mia.

E pensare che ne ho letti tanti ma questo fa veramente... (mettete voi il verbo). Sconclusionato, senza senso, ridicolo. Iniziarlo è stato un atto di giustizia, finirlo un atto di volontà. Non dirò il suo titolo, è un self-publishing di cui presto non si parlerà più. Spero. Meno male che è breve.

Una lettura talmente brutta però che è stata molto molto istruttiva. Leggendolo erano sempre più palesi quegli ERRORI DI BASE nella scrittura di cui spesso ho sentito parlare dai correttori di bozze. Ho provato una gran pena pena improvvisamente per questi lettori professionisti. Sapere che passano ore al giorno a leggere opere di questo genere per le case editrici mi è sembrata una tortura indicibile.

Ecco alcuni degli “errori” che ho individuato e che da ora in avanti cercherò di evitare se mi metto a scrivere:

AUTOBIOGRAFISMO: a quanto pare, quasi il 100% dei neo-autori ci casca, ,A meno di non avere avuto una vita straordinaria (e nemmeno in quel caso è garantito), a nessuno -a parte la mia mamma- interessa sapere delle mie vicissitudini. Amara verità ma è così. Insomma, compiere uno sforzo e andare oltre se stessi quando si scrive.

SCIATTERIA: convinti che quanto stanno scrivendo ha un grande valore, spesso questi neo autori rendono la vita difficile al lettore. “Tanto quello che scrivo è talmente bello e ispirato che non mi devo preoccupare.‘ Preoccupati anche della forma invece. Rimandi sconclusionati, svarioni, caratteri diversi, errori di stumpa, formattazioni fantasia, usare “fare” al posto del verbo giusto etc. E qualcuno spieghi che i puntini di sospensione hanno il magico potere di rompere le balle.

IL SENSO DELLA VITA: troppo spesso i personaggi, invece di agire e appassionare il lettore in trame coinvolgenti, capiscono “il senso della vita” mentre sono su una panchina o impegolati nel traffico o fuori a pisciare il cane. Lascio alla vostra fantasia gli entusiastici commenti nel vedersi imporre banalità zen. Evitare.

RACCONTINI: altro errore dei neofiti è quello di proporre raccontini invece che storie di largo respiro con personaggi di spessore. Bisognerebbe avere il coraggio invece di iniziare una novella che sarà più lunga delle previste tre-quattro paginette con personaggi appena abbozzati, anche se costerà fatica. E’ come proporre un biscottino Ringo a chi ha fame. Un conto è scrivere “anche” raccontini, un conto è scrivere “solo” raccontini e sospetto che la differenza si intuisca benissimo.

Vabbè, mi fermo qui. Ce ne saranno sicuramente altri ma questi leggendo mi son saltati all’occhio. Purtroppo il libretto brutto l’ho finito.




I Sugarhill Gang sono un gruppo hip hop statunitense, celebre per il brano Rapper's Delight, il primo pezzo hip hop a giungere nella Top 40 delle classifiche statunitensi.

Il gruppo è costituito da:

  • Wonder Mike,

  • Big Bank Hank,

  • Master Gee.

Grazie alla produttrice discografica Sylvia Robinson, fondatrice dell'etichetta Sugar Hill Records il gruppo registrò Rapper's Delight, un successo che vendette più di 8 milioni di copie nel mondo.

In seguito registrarono altri brani che non raggiunsero la notorietà del primo fra cui 8th Wonder, dopo un periodo di oblio tornarono sulle scene nel 1999 con l'LP Jump On It.

Nel 2009 Wonder Mike e Master Gee collaborano con il dj Bob Sinclar per LaLa Song, brano che riporta gli Sugarhill Gang alla fama di un tempo e si piazza subito come hit alle vendite e colonna sonora dell'estate del 2009.

La Sugarhill Gang fa una breve apparizione nel telefilm statunitense Scrubs, dove si esibiscono con Rapper's Delight.

L'11 novembre 2014, Michael “Wonder Mike” Wright e Guy “Master Gee” O'Brien comunicano al sito TMZ che Hank Jackson, ovvero Big Bank Hank, è morto, a New York, all'età di 57 anni.




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Il sequencer (traducibile come "sequenziatore") è un dispositivo di tipo sia fisico (hardware), sia logico (software), utilizzato nel campo musicale per la creazione e riproduzione di sequenze di segnali di controllo, che consentono di comandare uno strumento musicale elettronico.
Sebbene il sequencer venga usato per fini musicali, esso non dev'essere confuso col dispositivo di registrazione audio. A differenza del registratore, dove sono le forme d'onda di un suono a essere memorizzate, nel sequencer non viene memorizzato alcun segnale audio a parte quello di controllo; si può immaginare un sequencer come una "mano elettronica" automatica e programmabile che suona strumenti e regola pulsanti e potenziometri di sintetizzatori e processori audio.
I primi dispositivi fisici che si avvicinavano a tale scopo erano due strumenti elettromeccanici costruiti negli anni cinquanta da Raymond Scott: il Wall of Sound e l'Electronium.
Negli anni sessanta del XX secolo al fianco dei primi sintetizzatori analogici, la cui altezza tonale delle note prodotte era controllata da un valore di tensione, troviamo lo Step Sequencer che permetteva di ripetere ciclicamente una sequenza di controllo preimpostando tutti i passi, ovvero una serie di tensioni che componevano la sequenza. Tale sequenza di tensioni elettriche andava a controllare direttamente i VCO (Voltage Controlled Oscillator) del sintetizzatore e quindi l'intonazione della voce sintetizzata, producendo così la nota desiderata. Il segnale elettrico di controllo poteva essere usato sia per generare una melodia sia per controllare altri parametri del sintetizzatore, come per esempio la frequenza di taglio del filtro.
Nel 1971 Ralph Dyck sviluppò il prototipo di un sequencer analogico che sfruttava la tecnologia digitale per memorizzare gli eventi. La memoria digitale permetteva di memorizzare un gran numero di eventi, circa 1000, superando il problema della memoria dei sequencer step, che si limitavano a riprodurre una sequenza piuttosto corta composta da alcuni voltaggi in serie. Nel 1976 la Roland, sviluppando il prototipo di Dyck, mise in commercio il sequencer MicroComposer MC8.
L'MC8 era dotato di molta più memoria del prototipo di Dyck e disponeva di otto tracce programmabili. Come molti sintetizzatori della metà degli anni settanta, utilizzava la tecnologia digitale solo per quanto concerneva la memoria, mentre le uscite erano analogiche poiché non esisteva ancora un segnale di controllo digitale. Grazie alle otto uscite di controllo era possibile pilotare anche più di uno strumento alla volta o di sfruttare lo strumento controllato in maniera polifonica. Il MicroComposer era difficile da programmare; tramite una piccola tastiera numerica era necessario inserire complicate sequenze numeriche relative agli eventi da memorizzare e riprodurre.
Solo successivamente nacquero anche sequencer che permettevano di memorizzare una sequenza di note semplicemente suonandola. Sebbene tali macchine avessero una compatibilità limitata, ricoprirono un ruolo fondamentale nello sviluppo della musica elettronica degli anni ottanta, dato che permisero la composizione e l'esecuzione di brani anche ai musicisti amatoriali.
Con l'avvento negli anni ottanta del protocollo MIDI le possibilità dei sequencer si ampliarono: Il MIDI permetteva di trasmettere 16 esecuzioni polifoniche contemporaneamente con tutto il relativo corredo di espressioni esecutive. Questo grande salto di qualità fu ampliato da un altro salto di qualità che all'epoca la tecnologia stava compiendo: il computer da pachidermico strumento sperimentale dalle prestazioni modeste acquisiva sempre maggiori capacità di calcolo a costi e ingombri sempre minori, diventando così sempre più un oggetto comune. Aziende come Atari e Commodore producevano macchine a 8 e 16 bit alla portata del proprietario di uno studio e fu così che il computer cominciò ad essere utilizzato come sequencer, grazie a opportune applicazioni e alle interfacce MIDI che lo mettevano in comunicazione con qualsiasi apparecchiatura compatibile.
Uno dei primi programmi scritti per tale scopo fu Cubase. Esso permetteva di programmare attraverso il formato MIDI le partiture per i sintetizzatori e le batterie virtuali. C'erano anche altri programmi dotati di simili funzionalità ma questi costringevano i compositori a programmare ad un livello molto basso. Tuttavia qualcuno intuì le potenzialità di questo strumento e l'utilizzo del computer come sequencer iniziò a prendere campo. Negli anni novanta ebbero successo i tracker; Questi programmi trasformarono per la prima volta il computer in una vera e propria DAW. Essi davano all'utente la possibilità di lavorare non solo attraverso i file MIDI e le interfacce dei dispositivi esterni ma anche tramite l'assegnazione agli stessi MIDI di campioni audio da manipolare tramite degli effetti audio. Era previsto anche l'esportazione dei progetti in formato .mod.
Sarà proprio questa la strada che seguiranno i sequencer. Cubase infatti nel 1996 lancia il Cubase VST, una versione del già noto programma che introduce due novità molto importanti:
  • Il protocollo VST che permette di comporre musica escludendo completamente tutti i dispositivi fisici esterni alla stazione audio digitale grazie a una tecnologia che permette di assegnare a programmi MIDI strumenti ed effetti, questi ultimi arrivati in un secondo momento con Cubase SX, sotto forma di espansioni.
  • La tecnologia ASIO che aggira i driver nativi della scheda audio per offrire dei driver con valori di latenza molto bassi e permettere quindi al compositore di lavorare in tempo reale sulle proprie produzioni suonando attraverso le tastiere MIDI o registrando e sentendo contemporaneamente i risultati.
Sia il protocollo VST che la tecnologia ASIO diventano veri e propri standard per il mercato, sempre più fiorente nel periodo a ridosso del XXI secolo in una situazione di grande offerta, con programmi che fecero dimenticare il lavoro per i primi dischi prodotti al computer, nei quali note e battute erano righe di comando. I sequencer diventano sempre più potenti, versatili e hanno un'interfaccia utilizzabile anche dal pubblico scarsamente specializzato. Sarà proprio questa fascia di pubblico quella investita da maggiori novità: tra programmi come Magix Music Maker ed Ejay Dance che permettono un approccio amatoriale, nasce nel 2000 Fruity Loops della Image-line, programma inizialmente distribuito liberamente che faceva della semplicità e immediatezza il suo punto di forza. Il programma risultava però molto grezzo, quindi l'utente professionale preferiva altri applicativi come il collaudatissimo Cubase o Logic Pro. Lo stesso Fruity col tempo espanderà le sue funzioni fino ad arrivare alla versione 8, con i consensi di artisti affermati come Tiga.
Diretto concorrente di Fruity Loops in questi anni sarà Reason, che percorre una strada praticamente inversa rispetto a quella seguita dagli altri sequencer: se infatti lo stesso Cubase ed altri nel tempo hanno seguito una linea ispirata alla versatilità, il riutilizzo di parti di programma e soprattutto al distacco dai metodi dell'era hardware, Reason invece tenta di simulare i vecchi studi fatti di armadi di sintetizzatori collegati attraverso fili, idea che alletta molti addetti ai lavori che lo eleggono come programma principale utilizzato nelle loro opere. Questo successo però servirà anche a portare verso la definitiva affermazione di altre tecnologie: il ReWire, già sperimentato con un altro pezzo di storia dei sequencer come ReBirth, che permette di collegare in tempo reale diversi sequencer, il formato audio "REX", ovvero praticamente un WAV contenente informazioni di suddivisione del file stesso in piccole parti dette ritagli (in inglese slice). Questi file vengono suonati attraverso il sampler di Reason Dr.Rex e hanno la proprietà di adattarsi automaticamente alla velocità di riproduzione dell'audio, indipendentemente dal BPM del file originale.
Queste tecnologie diventano parte di un po' tutti i programmi in uscita, così come accaduto per ASIO e VST, e rendono più potenti programmi già apprezzati per la loro semplicità come Sony Acid PRO e Ableton Live, nati per lo studio, ma diventati poi gli strumenti preferiti rispettivamente per il montaggio audio e per le esibizioni dal vivo dei DJ, grazie ad alcune innovazioni come il formato "acid loop", ancora più potente del REX visto che si tratta di normalissimi file WAV, e un sistema di sequencer attraverso slice per Ableton Live. In questi anni il sequencer che più attira l'attenzione di tutto il settore, tanto da rubare il posto storico di Cubase, è Pro Tools, ovvero il concentrato di tutte le tecnologie più avanzate. I suoi punti di forza sono i nuovi protocolli per le espansioni e la novità di basarsi su un hardware specifico considerato di grande qualità prodotto dalla stessa casa madre del programma, la Digidesign; di conseguenza buona parte del mondo della produzione audio-video si affida ad esso diventando standard anche per una questione di portabilità
La maggior parte delle tastiere-stazioni di lavoro attuali è dotata di un sequencer MIDI che viene sfruttato spesso dal vivo per riprodurre parti aggiuntive del brano musicale, che il tastierista non potrebbe eseguire altrimenti.
I sequencer fisici basati sulla tecnologia digitale sono stati molto diffusi fino all'avvento dei più flessibili sequencer logici, eseguiti cioè come programmi informatici. Per la programmazione di sequenze complesse il sequencer logico ha potuto sfruttare le ampie interfacce grafiche, l'integrazione con i sintetizzatori virtuali, l'espandibilità e la flessibilità di comunicazione del sistema operativo dei moderni computer. Nel corso degli anni la comunicazione e l'interazione di sintetizzatori di diverse marche con i sequencer hanno richiesto l'adozione di un protocollo standard riconosciuto con l'acronimo di MIDI (Musical Instruments Digital Interface).
Malgrado la progressiva migrazione verso gli strumenti informatici, i sequencer digitali basati sull'elettronica sono ancora indispensabili componenti per alcuni strumenti musicali come i sintetizzatori e le drum machine. Soprattutto grazie alla maggiore velocità dei processori per PC, all'integrazione tra audio e MIDI e al continuo sviluppo di nuovi algoritmi per espansioni, l'utilizzo di sequencer software sta soppiantando quello di apparecchiature fisiche, permettendo il controllo di tutte le fasi della creazione artistica in un vero e proprio studio virtuale.


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Il tubo parlante è un apparecchio che consente al musicista di modificare il suono di uno strumento musicale attraverso i cambiamenti di forma della propria bocca.
L'effetto musicale in questione modifica il contenuto armonico del suono dello strumento, consentendo ad esempio di ottenere un'imitazione della voce umana. Viene applicato soprattutto alla chitarra elettrica ma è utilizzato anche nelle tastiere. Simile talkvocoder VST per computer.
Il talk box è un effetto a pedale e al suo interno ospita un altoparlante, al quale è collegato un tubo di plastica, la cui estremità viene posizionata vicino alla bocca dello strumentista, collegata ad un microfono. Quando l'effetto è attivato, il suono viene indirizzato attraverso il tubo alla bocca del musicista, il quale, modificandone la forma e la posizione della lingua, cambia (modulandolo) anche il contenuto armonico del suono. Il meccanismo è del tutto analogo a quello con cui la voce proveniente dalle corde vocali viene modulata a formare il parlato, con la differenza che nel caso del talk box il suono di partenza è quello dello strumento musicale. Il risultato del processo viene raccolto dal microfono e passato ad un amplificatore, ottenendo così l'effetto di chitarra parlante.
L'effetto nacque nel 1969, ma conobbe la sua popolarità qualche anno dopo, quando fu utilizzato da Peter Frampton nel brano Do You Feel Like We Do e da Pete Townshend degli Who.
A partire dagli anni ottanta il talkbox viene utilizzato da molti artisti tra cui:
  • James Hetfield (Metallica) nell'assolo di The House That Jack Built (1996);
  • Rockets
  • Jeff Beck (She's a woman - dall'album Blow by Blow - anno 1975)
  • Richie Sambora (Bon Jovi) in molti brani fra cui Livin' on a Prayer (1986), It's My Life (2000), "Everyday" (2002), We Got It Going On (2007) e This Is Love This Is Life (2010)
  • Roger Troutman ha utilizzato la talk box con gli Zapp e nei dischi solisti in vari brani, tra cui More Bounce to the Once" (1980), I Heard It Through the Grapevine (1981), Doo Wa Ditty (Blow That Thing) (1982), Heartbreaker (1983), In the Midnight Hour (1984), Superman (1997);
  • Tupac Shakur featuring Dr. Dre e Roger Troutman in California Love (1995);
  • David Gilmour (Pink Floyd) in Pigs (Three Different Ones) (Animals, 1977) e Keep Talking (The Division Bell, 1994);
  • Pino Daniele in 'Na tazzulella e cafè (Terra mia 1977) e in Nun me scuccia' (Nero a metà 1980);
  • Robb Weir (Tygers of Pan Tang) nell'album The Cage (1982);
  • Hillel Slovak (Red Hot Chili Peppers) in Green Heaven (versione demo - demo version) (1983) e Subterranean Homesick Blues (The Uplift Mofo Party Plan) (1987);
  • Matthias Jabs (Scorpions) nella celeberrima The Zoo (1980) oltre che in Media Overkill (1988) e Cause I Love You (2002);
  • Alessandro Cecchin nell'album The Overmind I;
  • Mick Mars (Mötley Crüe) in Kickstart My Heart (1989);
  • Jerry Cantrell (Alice in Chains) nel brano Man In The Box (1991);
  • Joe Perry (Aerosmith) nel brano "Sweet Emotion" (1975);
  • Leo Leoni (Gotthard) in Mountain Mama;
  • Slash (Guns N' Roses) fa uso del talk box nel brano Anything Goes (Appetite for Destruction 1987);
  • Dave Navarro (Red Hot Chili Peppers) nel brano Falling Into Grace (One Hot Minute, 1995)
  • Dave Grohl (Foo Fighters) nel brano Generator (2000);
  • Adam Jones, chitarrista dei Tool, lo utilizza nel brano Jambi, contenuto nell'album 10,000 Days (2006);
  • Stevie Wonder in Volare (2009);
  • Snoop Dogg in Sensual Seduction (USA 2007) (UE 2008);
  • Brian May in Delilah (Innuendo, 1991);
  • Ben Wells (Black Stone Cherry) in White Trash Millionaire;
  • Zakk Wylde (Black Label Society) in Fire it Up (2005);
  • Joe Walsh in Rocky Mountain Way (1973);
  • Orly Sad The Original Funkster in Clover Bounce 69 (2009);
  • M. Shadows (Avenged Sevenfold) nel brano "Lost" (2007)