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In informatica, l'espressione Analog hole indica una fondamentale debolezza insita in ogni sistema anticopia (o, propriamente, di Digital rights management). Consiste nel fatto che un segnale digitale, una volta convertito in analogico, è suscettibile di riconversione digitale in un formato non protetto.
Dal momento che il processo di riproduzione di un'opera protetta produce una versione digitale non protetta, coloro che utilizzano sistemi di DRM per imporre restrizioni all'utilizzo di un'opera lo considerano una "falla" (hole) nella protezione o nel controllo offerto dal DRM.

Storia e protezioni
Sebbene la tecnologia necessaria per ottenere registrazioni digitali da output analogici esista da diverso tempo, non era considerata una "falla" prima dell'utilizzo estensivo del DRM nei tardi anni '90. Il termine "falla analogica" fu reso popolare dalla Motion Picture Association of America e da alcuni suoi membri nel 2002; più tardi questo termine venne rifiutato in favore di espressioni come "problema della riconversione analogica".
Tuttavia, questo tipo di copia non è una replica digitale diretta e presenterà quindi dei difetti. La gravità dei difetti dipende dal metodo di copia utilizzato. Questo tipo di replicazione è per molti aspetti simile alla digitalizzazione iniziale di un supporto analogico, con tutte le problematiche annesse. Per esempio, copie pirata di film possono presentare tracce audio di bassa qualità o immagini scolorite. In generale, una conversione da digitale ad analogico, seguita da un'altra conversione da analogico a digitale, comporta un incremento di rumore rispetto al segnale digitale di partenza. Questo rumore può essere misurato e quantificato; sistemi di registrazione migliori riducono la quantità di rumore introdotta.
Indipendentemente dal sistema anticopia utilizzato, se della musica può essere riprodotta da un altoparlante può essere anche registrata,così come un testo può essere stampato o visualizzato a monitor e può anche essere scansionato e riconosciuto da un software OCR.
Tra il 2002 e il 2003, l'industria cinematografica americana prese in esame la possibilità di una legislazione che "chiudesse la falla analogica"—probabilmente intervenendo sui dispositivi di riproduzione digitale per limitarne la capacità di registrare segnali video analogici che contengono materiale audiovisivo commerciale. L'industria cinematografica ha inoltre studiato diversi sistemi commerciali per eliminare la falla analogica; questi potrebbero venire introdotti senza apposite leggi.
  • I segnali analogici possono venire degradati in modo tale da interferire o confondere alcuni dispositivi di registrazione. Per esempio, una delle forme di protezione prodotte da Macrovision tenta di bloccare la registrazione da VCR emettendo un segnale deliberatamente distorto che interferisce con il controllo automatico del guadagno video (Automatic gain control), causando fluttuazioni estreme di luminosità. In teoria questo effetto dovrebbe manifestarsi solo nelle copie, ma può verificarsi anche nella riproduzione del video originale, con particolari combinazioni di videoregistratori e televisori particolarmente sensibili. Alcuni produttori sostengono di aver sviluppato tecniche equivalenti per interferire con le schede di cattura video sui PC. Questi tipi di protezione sono presenti su moltissime VHS originali vendute o noleggiate nel mercato home video e su molti DVD (in quest'ultimo caso il segnale di disturbo è generato dall'apparecchio stesso). Molti vecchi videoregistratori a 2 testine sono immuni alla protezione Macrovision, addirittura la trasferiscono sulla copia assieme al filmato stesso!
  • I costruttori di dispositivi di registrazione possono venire obbligati a riconoscere filigrane digitali sui segnali di ingresso e limitare la registrazione come condizione contrattuale. Per esempio, un costruttore che utilizza tecnologie brevettate legate a un particolare sistema di DRM può essere vincolato contrattualmente a inserire limitazioni di registrazione nei suoi prodotti.
  • I costruttori di sistemi di riproduzione come ad esempio i set-top box, possono venire obbligati contrattualmente a permettere ai distributori di degradare o bloccare completamente l'output analogico quando un particolare programma viene visualizzato. Questa possibilità è un esempio di controllo selettivo dell'output.
  • Ai produttori di determinati sistemi di riproduzione come i set-top box, può venire richiesto, come condizione di un contratto privato, di permettere agli editori o alle emittenti di disabilitare completamente le uscite analogiche, o di degradarne la qualità del segnale, quando viene mostrata una particolare programmazione. Questa capacità è un esempio di Selectable Output Control. Una emittente può quindi impedire tutte le registrazioni di una trasmissione, indicando che gli apparecchi ricevitori conformi devono rifiutarsi di riprodurla attraverso le uscite analogiche.
Visione ingegneristica contro visioni politiche ed economiche
Il concetto di "tappare la falla analogica" potrebbe essere basata su un basilare fraintendimento del concetto di analogico e digitale. Esiste una storia di desideri economici e politici combinati a incomprensione della tecnologia, che hanno portato a leggi e a pratiche industriali che sono controproducenti o fondamentalmente errate a livello teorico ingegneristico.
Un esempio di ciò fu una legge approvata in Europa per sostenere il DRM, in risposta ad una voce diffusa riguardante i download illegali di musica che venivano conservati nella memoria cache dei computer. Ragionando apparentemente per analogia con i "nascondigli di armi" (cache in inglese può significare anche nascondiglio), l'uso di memorie cache nei computer venne messo fuori legge. Sfortunatamente, lungi all'essere una forma di illegalità specializzata, il caching è una tecnica universalmente utilizzata per la gestione della memoria dei computer, il che portò a comparare questa legge alla classica storiella della legislazione che approvò una legge che definiva pi greco come esattamente pari a tre.
Parte della comunità ingegneristica mette le voci riguardanti l'"analog hole" nella stessa categoria: una strategia impossibile, basata su un fondamentale fraintendimento da parte di persone che non sono ingegneri e che non risolverà il problema dichiarato, ma causerà sprechi e confusione. Sia la conversione "da analogico a digitale" che quella "da digitale ad analogico" sono tecnologie talmente basilari, con così tante implementazioni possibili, che l'idea di essere in grado di bloccare la conversione con questi mezzi è considerata irrealistica. Gli ingegneri sono consci dei principi fisici e matematici che spesso iniziano con "Non è possibile...", che talvolta entrano in conflitto diretto con gli obiettivi politici ed economici. Non bisogna essere ingegneri per comprendere che è semplicemente impossibile mostrare e nascondere contemporaneamente un segnale. In particolare un segnale audio dev'essere convertito in analogico per essere riprodotto da un altoparlante.
Oltre a questo principio generale, la teoria dice che la filigranatura digitale e altre restrizioni all'"analog hole" possono essere facilmente sconfitte da una varietà di tecniche ben note, come il dithering. La risposta "Bene, metteremo fuori legge anche quello" (cosa impossibile dato il suo esteso uso legittimo) differenzia il realismo degli ingegneri dai desideri irrealizzabili dei procuratori.


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Una delle etichette discografiche più importanti di sempre raccontata con otto dei suoi dischi più significativi
C'è una lunga lista di artisti che hanno dato lustro al nome della Warp Recordings e che hanno spinto suono, tecnologia e performance oltre ai limiti costituiti. David Stubbs, ex redattore per The Wire magazine e fan sfegatato della label, ripercorre la storia della casa discografica più cazzuta d’Inghilterra, attraverso otto delle loro produzioni più importanti.
La storia di Sheffield è legata a doppio filo a quella dell’elettronica e la Warp Records non avrebbe potuto avere origine in nessuna altra città nel mondo. Cabaret Voltaire, The Human League e Clock DVA hanno dato vita a una tradizione di synthpop cupo, attingendo ai futurismi del passato–da Dada a William Burroughs a Metropolis. Quando Steve Beckett e il compianto Rob Mitchell hanno fondato l’etichetta nel 1989, il Regno Unito era scosso sia da una mini-recessione sia dalla acide house, "Voodoo Ray" di A Guy Called Gerald echeggiava attraverso i Monti Pennini. Il suono primordiale delle produzioni Warp risentiva degli echi provenienti dal progetto acid che si era sviluppato a Detroit, si trattava di un tentativo di spogliare la musica dance di ogni sovrastruttura, cercando di scovare la sua anima “metalica”. Non appena l’etichetta ha iniziato a crescere ha messo sotto contratto nuovi artisti. Gli album di chitarristi d’avanguardia come Seefeel e Tortoise avevano le stesse grafiche che si potevano vedere sui dischi hip-hop di Antintop Consortium.
Con un nome che allude contemporaneamente a perversioni, a vinili e a concetti sci-fi rubati a Star Trek, la filosofia dell’etichetta era accattivante e senza regole. Non si è limitata alla musica elettronica, ma ha prodotto anche videoclip, film (Chris Cunnigham e Shane Meadows hanno collaborato con Warp,) graphic design (si pensi al marchio Designer Republic e allo sviluppo dell’artwork definitivo per Julian House) e satira di costume. Warp si è trovata a metà tra una galleria d’arte e un dancefloor, fra suprema formalità e totale gratuità. In un mondo in cui le grandi major rischiavano di fondersi l’una con l’altra, collassando in una spaventosa Omnicorp, tra la fine del ventesimo secolo e l’inizio del ventunesimo Warp ha insegnato al mondo quello che deve fare un’etichetta per sopravvivere ed espandersi, rimanendo indipendente. Warp Records è allo stesso tempo un marchio di grande efficacia e sinonimo di un ideale estetico. Brian Eno l’ha capito e quando ha deciso di tornare al lavoro negli anni Duemila l’ha fatto proprio con la label di Sheffield.
Alla fine, l’ultima delle grandi etichette indipendenti del nord si è dovuta spostare a sud. Ma, nel suo costante processo di espansione e rinnovamento ha continuato a sperimentare sul confine dei vari settori artistici, accostandosi alla sempre più rapida fusione di musica, arti visive e design. La più grande novità è l’idea stessa che i vecchi tempi non siano ancora giunti al termine.
La discografia firmata Warp è vastissima e, anche se non tutti gli artisti hanno avuto successo commerciale, è impossibile trovarne di inascoltabili o imbarazzanti. Si potrebbero scegliere otto album a caso tra quelli usciti nel corso degli anni e basterebbero per capire la transizione avvenuta dai suoni tipici della dance underground a quelli più ambiziosi e ricercati dei nostri giorni–Nightmares On Wax, Black Dog Productions, Squarepusher, Vincent Gallo, Clark, Red Snapper, Harmonic 33, Jamie Lidell, Plaid and Mira Calix, tanto per citarne dieci. Qui, in ogni caso, sono raccontati otto album chiave utili per comprendere l’impatto che Warp ha avuto (e continua ad avere) sulla musica elettronica.

Sweet Exorcist: Clonk's Coming (1991)
Il primo album uscito sotto etichetta Warp è stato un lavoro di Richard H. Kirk dei Cabaret Voltaire, sotto uno dei suoi numerosi pseudonimi. Rappresenta un richiamo simbolico al passato–i Cabaret Voltaire sono tra i primi artisti di Sheffield, al lavoro già nel 1972, negli anni Novanta sembravano ormai passati di moda. Kirk, ad ogni modo, ha visto nuove opportunità nella techno di Detroit, ridotta ormai “a un nulla”, per citare le sue parole; in questo album viene esplorato un modo completamente nuovo di configurare pause, sample e loop, utilizzando tecnologie più economiche come l’Akai S-1000, che costava circa 100,000 sterline negli anni Ottanta.

LFO – Frequencies (1991)
Il duo di Leeds composto da Mark Bell e Gez Varley ha teorizzato per primo il concetto di “bleep and booster”, un classico di Warp: suoni minimali, meccanici, ondate di sub-bass e atmosfere su cui aleggia una l’inquietante sensazione di essere stati catapultati fuori dall’atmosfera, nello spazio profondo; una forte contrapposizione all’ostentato edonismo che caratterizzava la acid house. Frequencies ha avuto grande successo e ha contribuito a costruire l’identità di Warp, oltre che a renderla una realtà indiscutibile nelle dinamiche emergenti della Techno britannica. Gli LFO si sono inspiegabilmente sciolti a metà degli anni Novanta, come se, una volta raggiunti gli obiettivi che si erano posti, non ci fossero più motivi per continuare a lavorare insieme, così come era accaduto ai Kraftwerk.

Autechre – Inculabula (1993)
Celebri per i loro giochi di parole e uno spiccato gusto per l’astratto, gli Autechre, duo di Manchester composto da Rob Brown e Sean Booth, sono per molti la quintessenza della IDM (Intelligent dance music.) Questo è stato il loro primo disco, relativamente accessibile, anche se i loro ritmi neo-industrial e le melodie spezzate avevano subito fatto capire intuire che i dancefloor sarebbero stati più che altro un trampolino di lancio per uno studio più profondo dell’elettronica, con contaminazioni dal passato, come nei sogni più bagnati di Stockhausen. I loro lavori futuri, che culmineranno nell’estremismo di Draft 7.30, saranno una sorta di scultura mobile, un’ispirazione astratta e metallica che sarà poi concretizzata visivamente da Chris Cunningham, tra gli altri.

Aphex Twin – Richard D James (1996)
Aphex Twin aveva già pubblicato alcuni album con etichetta Warp usando alcuni pseudonimi come Polygon Window, lo stesso vale per i suoi Selected Ambient Works, prodotti negli anni della sua adolescenza nelle lande desolate della Cornovaglia. A metà degli anni Novanta era al culmine della sua carriera ed era considerato la stella indiscussa di Warp. Nonostante i soldi che stava guadagnando–alcune tracce di questo album, incluse “4” e “To Cure A Weakling Child” sono state usate in campagne pubblicitarie di alto profilo–meditava interiormente di continuo, alla ricerca di una via che lo portasse a comprendere i vari generi musicali, dalla ambient alla drill&bass per creare una sonorità che fosse sia delicatamente naturale che disturbante, per via delle continue simmetrie e asimmetri armoniche.

Boards Of Canada - Music Has The Right To Children (1998)
Anche se il termine “hauntologismo” sarà sbandierato solo alcuni anni dopo, il duo scozzese formato da Michael Sandison e Marcus Eoin lo rappresentava alla grande già dalla fine degli anni Novanta, ispirandosi ai documentari di storia naturale del National Film Board of Canada che gli erano stati mostrati durante l’infanzia. Atmosfere trasognate, nebulose e ricche di strumentali analogiche, come in “An Eagle In Your Mind”, riecheggiano nella mente di chiunque si ricordi i vecchi programmi educativi scolastici e il loro uso precoce dei sintetizzatori preannunciava futuri ormai irrealizzabili e smarriti nelle dolci nebbie del passato.

Chris Morris – Blue Jam (2000)
La nostra è un’epoca in cui la satira alternativa è stata rimpiazzata da giovani parvenu pettinati come imbecilli che posano su cartelli pubblicitari, con il loro bel DVD in mano e la bocca spalancata. L’ineffabile eppure incisivo Chris Morris è sempre stato un dito nel culo di questa situazione. Blue Jam è una serie di linee e schizzi la cui irriverenza cela in realtà un’analisi satirica delle basi morali che sostengono la società, vengono impiegati sfondi sonori ambient molto cupi che creano una sensazione volutamente antitetica alla spensieratezza della collettività. Si tratta di una satira estremamente ambiziosa, in cui il contributo di Warp è da leggere nell’audacia di supportare questo progetto come atto di diversificazione .

Broadcast And The Focus Group – Investigate Witch Cults Of The Radio Age (2009)
Guidati dalla defunta Trish Keenan, i Broadcast hanno rovistato tra le possibilità scartate dai loro predecessori, alla ricerca di uno sfuggente e indefinibile concetto di “pop perfetto”. Realizzato con il designer Julian House, che è stato anche responsabile della musica di The Focus Group, Investigate è forse la migliore realizzazione dei Broadcast, si sentono le influenze di The Piper At The Gates of Dawn dei Pink Floyd così come del film horror Suspense, e di molti altri; hanno aperto un vaso di Pandora pieno di giocattoli macabri e apparecchi arcani.

Mount Kimbie – Cold Spring Fault Less Youth (2013)
Il duo formato da Dominic Make e Kai Kampos rappresenta la quintessenza (il cuore pulsante non piaceva a me proprio come espressione) di Warp nel 2013 e la sua etica e anti-etica, così come la capacità dell’etichettà di muoversi attraverso gli schemi della musica senza mai smettere di sperimentare. I Mount Kimbie non sono inquadrabili, cambiano stile di traccia in traccia e fanno una musica elettronica che va ascoltata a dieci passi di distanza, come si fa con i quadri nei musei. Con Cold Spring hanno gettato un bastone tra le ruote del loro stesso lavoro, hanno ridefinito il proprio genere fondendolo con strumentazioni dal vivo e cantati di King Krule. A dirla tutta, l’introduzione di strumenti dal vivo è stata così emozionante che abbiamo voluto dedicare un cortometraggio alla loro prima esibizione con una sezioni di fiati. Potete vederlo qui sotto.

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Lo sheng () è uno strumento a fiato ad ancia libera cinese e appartiene alla famiglia degli organi a bocca. Esso è molto simile allo shō giapponese, che dal primo deriva.

Caratteristiche
Gli organi a bocca sheng erano suonati in passato nelle orchestre delle musiche di corte; oggi sono invece tipici di repertori folklorici e di quelli delle minoranze. Nella tipologia usata dalla maggioranza Han, lo sheng presenta 17 canne, di cui 3 o 4 mute. Gli organi a bocca impiegati dalle minoranze Yao, Miao e Dong, stanziate nel Sud-ovest della Cina sono note, in cinese, come lusheng; l'organo a bocca degli Yi è definito invece hulusheng.

Due teorie opposte attribuiscono la creazione degli organi a bocca alle due zone di diffusione di questa tipologia di aerofono: rispettivamente, alla civiltà cinese e all’area del Sud-est asiatico.

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I rëbra (in russo: рёбра ) erano dei dischi in vinile improvvisati realizzati con lastre per radiografie. Realizzati principalmente tra gli anni cinquanta e sessanta in Unione Sovietica, i rëbra rappresentavano un metodo impiegato nel mercato nero e nel contrabbando per distribuire la musica, censurata dal regime, di artisti emigrati, come Pëtr Leščenko, oppure di artisti occidentali come Elvis Presley, The Beatles, The Rolling Stones, The Beach Boys, Ella Fitzgerald e Chubby Checker.
Sono conosciuti anche come rentgenizdat, dal russo рентген, rentgen, un termine usato per indicare i "raggi X", e издать, izdat' , "pubblicare".

Produzione
Delle vere radiografie mediche venivano comprate o recuperate dai rifiuti di ospedali o cliniche per realizzare le registrazioni. Le lastre venivano tagliate in dischi da 7 pollici e forate al centro con una sigaretta accesa. Secondo il musicologo russo Artemij Troickij, "i solchi venivano incisi [a 78 giri al minuto] con l'aiuto di speciali macchine (realizzate, dicono, con vecchi fonografi da sapienti mani cospirazioniste) [...] La qualità era pessima, ma il prezzo era basso, un rublo o un rublo e mezzo." I dischi potevano essere riprodotti solamente cinque o al massimo dieci volte.

Legalità
L'approccio clandestino alla circolazione di musica straniera proibita portò all'approvazione di una legge nel 1958 che vietò la produzione casalinga di incisioni che stava seguendo "una moda criminale teppista". Con "moda teppista" veniva fatto un riferimento agli stiljagi (dal russo stil' ovvero "stile"), una subcultura diffusa tra la gioventù sovietica che abbracciava le mode occidentali.

The X-Ray Audio Project
Dopo aver visto un rëbra a San Pietroburgo dopo un'esibizione nel 2013, il musicista inglese Stephen Coates del gruppo The Real Tuesday Weld lanciò il The X-Ray Audio Project, un'iniziativa per fornire maggiori informazioni sui rentgenizdat tramite immagini, registrazioni audio e interviste. Dopo molti anni di ricerche e interviste ai creatori di rëbra, pubblicò per nel novembre del 2015 il libro "X-Ray Audio" The Strange Story of Soviet Music on the Bone, il primo a trattare su questo argomento.
Nel giugno 2015, Coates tenne un discorso sull'argomento al TED di Cracovia. Assieme al ricercatore e artista del suono Aleksander Kolkowski, Coates raccontò la storia di coloro che realizzavano i rëbra e fece delle incisioni dal vivo per mostrare il processo di lavorazione. La mostra itinerante di Coates creata con il fotografo Paul Heartfield attirò molto l'attenzione dei media come il The Guardian e il programma BBC Today. Nel settembre 2016, entrambi pubblicarono il documentario Roentgenizdat con interviste ai veri autori sovietici e materiale d'archivio.





Quando Freddie Mercury se ne è andato il mondo ha perso una voce unica, un artista eccezionale che rivive attraverso le canzoni, la musica e ora anche grazie alle parole commoventi del suo assistente personale Peter Freestone.
Quando Freddie Mercury morì, il 24 novembre 1991, i temi legati al terribile virus dell’HIV erano ancora un tabù. Oggi l’ostacolo del silenzio è stato superato, si parla ampiamente di prevenzione, sono stati fatti dei passi avanti nella cura dell’AIDS (tanti ne rimangono da fare).
Ogni giorno si cerca di migliorare le condizioni di vita dei malati. La morte di Freddie Mercury fu uno degli eventi tragici che accesero i riflettori su questo male devastante. Come spiega il magazine Elle, Peter Freestone era l’assistente personale del cantante e gli rimase vicino nelle ultime ore di vita. I due si conoscevano da 12 anni durante i quali la loro amicizia era diventata man mano più stretta. A distanza di circa 30 anni Freestone ha voluto rievocare quei dolorosi momenti che portarono alla scomparsa di una delle più belle voci di sempre.
Nelle sue parole toccanti c’è la sofferenza e la malinconia per un passato che non può più tornare, per un’amicizia spezzata dalla morte. Freestone racconta a Vice che Freddie “aveva deciso di morire dopo che il 10 novembre 1991 aveva smesso di assumere le medicine che lo stavano mantenendo in vita. L’AIDS aveva cancellato ogni autonomia di Freddie, è stato il suo modo di riprendere il controllo della sua esistenza”. Mercury scoprì di avere l’AIDS nel 1989, ma scelse di non rivelare pubblicamente la notizia. La sua salute, minata giorno per giorno dalla malattia, lo costrinse a diradare gli impegni e le apparizioni.
Solo quando si rese conto che il tempo a sua disposizione stava finendo, Freddie Mercury decise di rilasciare una dichiarazione sulla sua condizione, invitando il mondo intero a lottare contro l’AIDS. Era il 23 novembre 1991 (il testo della dichiarazione, però, era stato redatto il giorno precedente). A tal proposito Freestone ricorda: “Da quel momento Freddie è cambiato totalmente. All’inizio della settimana era teso, poi invece è cambiato. In tutti quegli anni non avevo mai visto Freddie così rilassato. Non c’erano più segreti, non si nascondeva più. Sapeva che avrebbe dovuto rilasciare la dichiarazione, altrimenti qualcuno avrebbe potuto pensare che lui considerasse l’AIDS come qualcosa di sporco, da nascondere sotto il tappeto”.
Gli amici più cari si radunarono attorno a Freddie Mercury. Freestone gli tenne la mano, rievocando il passato. Di quei momenti l’assistente ha un ricordo vivido e prosegue: “Dopo la dichiarazione, alle 8 di venerdì 22 novembre sono iniziate le mie 12 ore con lui. E poi sono arrivate le 8 di domenica mattina. Stavo per andarmene quando Freddie mi ha preso la mano e ci siamo guardati negli occhi. Mi ha detto: ‘Grazie’. Non so se avesse deciso che era l’ora di andarsene e volesse ringraziarmi per i 12 anni passati insieme, o se invece mi stesse solo dicendo grazie per le ultime 12 ore. Non lo saprò mai, ma è stata l’ultima volta che abbiamo parlato”. A quanto sembra Freestone è stato tra quelli che si sono opposti alla possibilità di mostrare la morte di Freddie Mercury nel film “Bohemian Rhapsody” (2018) di cui è stato consulente. Al riguardo Peter disse: “Nessuno dovrebbe veder morire Freddie Mercury sullo schermo”. In effetti quel momento, per amici e familiari, è stato troppo doloroso e privato. In quegli istanti non c’era più il cantante, la rockstar di fama mondiale, ma solo l’uomo amato dai suoi cari.




Imparare a suonare uno strumento musicale sia da bambini che da adulti è una palestra per il nostro cervello che risulta più elastico e reattivo. Scopriamo insieme tutti i benefici dell’educazione musicale.
Imparare a suonare uno strumento musicale fa bene alla salute del cervello, sia nei bambini che negli adulti.
È quanto è stato confermato dagli studi dell’Università di Westminster condotti dalla nota neuropsicologa Catherine Loveday e pubblicati sul giornale Guardian. La ricercatrice in seguito ai suoi studi approfonditi sul ruolo della musica sullo sviluppo cerebrale sostiene che suonare uno strumento stimola il cervello in modo potente ed esclusivo. È in grado di sviluppare una vera e propria connessione con diverse aree cerebrali, compresa la sfera emotiva.
Quando si impara a suonare si attivano contemporaneamente vista, udito e tatto e di conseguenza si acquisisce la capacità di svolgere tanti compiti contemporaneamente. Si diventa multitasking. La musica trasmette molteplici informazioni al nostro cervello. Queste sono capaci di attivare cambiamenti duraturi e positivi che mantengono elastico il cervello.
I cambiamenti permanenti aumentano considerevolmente la materia grigia cerebrale, in varie zone. Si sviluppano così il ragionamento spaziale, la memoria, le capacità motorie e il linguaggio analitico. Ecco i principali benefici che l’apprendimento di uno strumento musicale apporta alla nostra struttura cerebrale:
- Maggiore capacità di problem solving: chi impara a suonare uno strumento diventa più bravo nel ragionamento analitico. L’educazione musicale nei più piccoli accresce il processo decisionale da adulti. Aiuta infatti a prendere decisioni in maniera celere ed efficace;
- Stimola la concentrazione: suonare è una palestra per il nostro cervello che è tenuto a mantenersi costantemente lucido e concentrato;
- Rafforza le capacità di espressione: leggere gli spartiti migliora la capacità di lettura e perfeziona il linguaggio; - Più creatività: la musica consente di esprimere le proprie emozioni in maniera inedita dando sfogo alla propria immaginazione e fantasia. I musicisti infatti sono persone altamente sensibili e creative;
- Sviluppo dell’autostima e autoefficacia: chi suona uno strumento in futuro sarà meno timido nell’esporsi in pubblico e nel parlare ad una platea;
- Mantenersi più giovani: suonando, il cervello rimane più reattivo ai suoni anche durante la vecchiaia rispetto a chi non ha avuto un’educazione sentimentale;
- Riduzione dello stress: suonare ci connette alla sfera emotiva liberandoci di tutte le emozioni negative. Si allontanano dalla mente problematiche e preoccupazioni perché ci si concentra sul presente, sul “qui e ora” in maniera creativa;
- Rafforza le difese immunitarie: suonare rende vitali e sprigiona positività. In questa condizione l’organismo produce più serotonina, l’ormone del benessere che aiuta ad allontanare l’attacco di batteri e virus. Solo così ci si ammala di meno;
- Rende più socievoli: la musica ci connette con più persone, consente di tessere significativi rapporti interpersonali. Chi fa parte di una band sviluppa la socializzazione e tutte le abilità connesse. Si sviluppa infatti la coesione, la collaborazione, il rispetto e la solidarietà nei confronti dell’altro.


cuffiette



Lo 007 James Bond, Indiana Jones, la Pantera rosa, il Padrino. E' praticamente impossibile pensare a questi personaggi senza risentire nella mente la colonna sonora dei film che li hanno raccontati sul grande schermo. Ebbene, nessuno di loro avrebbe avuto tanta fortuna al botteghino se i sottofondi che li hanno accompagnati non fossero stati scritti. Note e cervello, infatti, sono legati a doppio filo e ascoltare una musica emozionante aiuta la memoria a fissare ricordi indelebili. Lo ha dimostrato un gruppo di scienziati dell'università degli Studi di Milano-Bicocca, con un esperimento pubblicato su 'Nature Scientific Reports', co-firmato da un collega dell'Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr.
L'obiettivo dei ricercatori era indagare quale influenza ha ciò che ascoltiamo, sia musica o rumore di fondo, sui processi percettivi e cognitivi. Il lavoro è stato condotto dal Milan Center for Neuroscience-Dipartimento di Psicologia della Bicocca, e coordinato da Alice Mado Proverbio, docente di Psicobiologia e psicologia fisiologica dell'ateneo milanese.
Il test ha coinvolto un gruppo di 54 studenti universitari non musicisti, ai quali è stato proposto un esercizio di memoria accompagnato da una melodia o da nessun sottofondo musicale. Si è così osservato che i ricordi si fissavano meglio, e venivano richiamati più velocemente alla memoria, in condizioni di silenzio oppure di musica toccante.
Ecco i dettagli del test. Nella prima parte sono state mostrate ai partecipanti 56 immagini di volti di uomini e donne, in associazione a un sottofondo sonoro di musica jazz e suoni naturali, per esempio onde marine. Nella seconda fase sono state mostrate altre 300 facce sconosciute, con un sottofondo di musica ritenuta commovente o gioiosa da 20 giudici in un precedente studio, oppure con il sottofondo del rumore della pioggia, o ancora in silenzio. Nello step conclusivo i partecipanti vedevano altri 300 volti (200 vecchi e 100 nuovi) senza alcun sottofondo musicale, e veniva chiesto loro di usare il dito indice per indicare che si trattava di facce nuove o il medio per quelle già viste. Durante l'ascolto della musica, inoltre, ai partecipanti venivano misurati la pressione sanguigna e il battito cardiaco.
"I risultati - spiegano dalla Bicocca - hanno indicato che il riconoscimento più efficiente e veloce dei volti si è verificato in condizioni di silenzio, o quando i partecipanti ascoltavano musica emotivamente toccante. Al contrario, un sottofondo fatto di suoni come pioggia o musica allegra ha interferito con la memorizzazione delle facce. Oltre a migliorare la memoria, l'ascolto di musica emotivamente toccante ha coinciso con un significativo aumento della frequenza cardiaca".
Dichiara Mado Proverbio: "L'ipotesi che ci porta a fare questo esperimento è che l'ascolto di musica toccante sia in grado di modificare la percezione visiva dei volti, legando le caratteristiche del viso a informazioni uditive e carica emotiva generata dalla musica. Ciò potrebbe voler dire che l'ascolto di un certo tipo di musica produce una codifica della memoria più profonda".


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Il DJ producer, da non confondere con il disc jockey, nell'ambito della musica elettronica moderna è colui che realizza, arrangia ed esegue brani musicali tramite strumentazione di tipo elettronico e, quasi sempre, un computer, spesso senza alcun utilizzo di musicisti o strumenti musicali, ma ricorrendo solo a tecnologie virtuali e digitali.

Caratteristiche
Il ruolo non è da confondere con il produttore discografico, ovvero colui che investe e sostiene i costi per la realizzazione, distribuzione e la diffusione promozionale di opere musicali.
Sfruttando il progresso tecnologico e l'abbattimento dei costi di registrazione, realizzabili oggi anche con un semplice computer e software installato, che hanno permesso la realizzazione di prodotti musicali anche in assenza di conoscenze musicali, il producer realizza in genere le sue opere sfruttando le possibilità di automazione e facilitazione dati da specifici software musicali, in grado di realizzare musica elettronica sfruttando sia l'uso dei campionamenti che il ricorso a "strumenti virtuali" , "sequencer" e "arranger", cioè strumenti o software in grado di creare in modo quasi autonomo e automatico gli arrangiamenti. Un producer può anche ricorrere all'uso di strumenti musicali acustici o comunque suonati, quando in grado di averne le minime capacità tecniche e teoriche, o affidandosi all'ausilio di "turnisti".
Spesso le sue competenze riguardano, più che le conoscenze musicali, una supervisione complessiva del lavoro e la eccellente capacità nel sapere usare le macchine e i software e la sensibilità nel creare lavori che incontrino il gusto del pubblico di riferimento, svolgendo quindi anche mansioni inerenti alle competenze del fonico e del produttore artistico oltre a quelle di autore, relativamente alle peculiarità della musica elettronica e alle possibilità date dall'evoluzione tecnologica che hanno permesso una semplificazione e assimilazione di questi ruoli, rendendoli più accessibili anche ad amatori e non professionisti o comunque non necessariamente dei musicisti o tecnici specialisti.
I primi ad introdurre il termine producer sono stati alcuni DJ di Chicago, Detroit e New York (tra la metà e la fine degli anni ottanta) che hanno contribuito con l'aiuto di varie drum machine (tra i quali Roland TR808 e 909) alla nascita della musica house e alla sua evoluzione in acid house ed electro house, a quella della techno e dell'hip hop, componendo basi musicali per il rap. Il primo DJ producer è considerato Afrika Bambaataa

Attrezzatura
Chi si appresta alla produzione di un brano musicale, di solito fa uso di un insieme di attrezzature per la sintesi, l'editing, il processamento e l'acquisizione di suoni nonché per l'arrangiamento e il missaggio. Tutte queste apparecchiature solitamente elettroniche e/o meccaniche sono situate in un'unica infrastruttura, spesso, soprattutto in ambito professionale, coincidente con uno "studio di registrazione" (spesso ridotto in "home recording" in funzione dell'abbattimento dei costi e di riduzione delle macchine usate, soprattutto in fase di pre-produzione professionale o in ambito amatoriale). I brani composti da un DJ producer possono essere tendenzialmente realizzati interamente nel proprio studio, anche senza necessariamente fare ricorso ad altro personale ausiliario tecnico o artistico.
In passato le apparecchiature potevano essere di tipo elettronico o in certi casi di tipo meccanico (lettori per nastri, tastiere, giradischi, ma anche unità per la generazione di effetti), oggi invece la distinzione è tra hardware e software. Nel secondo caso il centro dello studio è la digital audio workstation (DAW), ovvero come dice il nome un'apparecchiatura digitale che il produttore usa per effettuare operazioni complesse sull'audio, fino a costruire un arrangiamento.
La DAW può essere uno dei numerosi supporti digitali disponibili, conformemente al rapido sviluppo tecnologico, il Digital Audio Tape, sigla con cui oggi si fa riferimento soprattutto al computer e alla sua capacità di memorizzazione, all'interno del quale è presente il software detto sequencer. Spesso il sequencer è dotato di sintetizzatori ed effetti tramite dei plug-in, scritti in vari formati a seconda del software usato: VST, DirectX, RTAS e TDM (per Pro Tools), e AudioUnit (per MAC). Questi strumenti vengono suonati e controllati attraverso tastiera/e e controllers che si connettono alla DAW attraverso il protocollo MIDI (oggi implementato anche da altri protocolli più avanzati quali lo USB) e permettono di scrivere partiture e registrare i cambiamenti di vari parametri. Infine possono poi venire aggiunti elementi quali sintetizzatori o moduli di effetti "hardware", collegabili agli I/O della scheda audio. Nella maggioranza dei casi, gli studi sono formati da soluzioni "ibride" hardware/software; da un lato infatti è possibile trovare una grande qualità audio, dall'altra flessibilità e versatilità virtualmente infinita, e al crescere della potenza dei calcolatori, anche la possibilità di modellare suoni attraverso meccanismi e algoritmi estremamente complessi come vocal modeling.
Mentre nell'uso professionale, il producer spesso ricorre all'uso di campionamenti o parti musicali originali suonati e realizzati appositamente da musicisti, e di suoni appositamente creati e programmati, sfruttando al meglio l'interazione fra la programmazione della musica elettronica/digitale e la componente umana, creando così nuovi standard e sonorità esclusivi e originali, capaci anche di influenzare o creare le forme musicali, nelle produzioni minori, l'uso minimo e a volte semplicistico di strumenti e temi musicali e della programmazione di pattern ritmici di "drum machine" , spesso implica che questi brani musicali usano di preferenza le numerose librerie di suoni e pattern ritmici o armonici disponibili in commercio o diversamente fruibili, o fanno ricorso al campionamento di parti di altri brani musicali già esistenti, poi mixati e processati in modo da renderli o singolarmente non riconoscibili o funzionali alla nuova composizione. Le librerie sono in generale già dotate di una licenza di utilizzo, in quanto i diritti di sfruttamento sono compresi nel prezzo di acquisto o rilasciati con licenze di libero utilizzo, soprattutto nell'uso non professionale (infatti royalties sono spesso comunque richieste anche da questo tipo di licenze in caso di utilizzo per prodotti e fini commerciali o professionali), mentre l'uso di parti di brani già esistenti, sia campionati o comunque risuonati o riprodotti oltre i limiti concessi dalla semplice "citazione" è rigidamente tutelato dalle norme sul diritto d'autore.