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Belle Époque è stato un gruppo di disco music nato nel 1976 e composto dalla cantante francese Évelyne Lenton (nome d'arte di Évelyne Verrecchia), in precedenza interprete di musica yéyé con il nome Evy, da suo fratello il produttore Albert Weyman (Albert Verrecchia) e da due coriste, la capoverdiana Jusy Fortes e la statunitense Marcia Briscoe (originaria di Atlanta). In Inghilterra il gruppo è noto come "La Belle Epoque", negli Stati Uniti come "Belle Epoque".
Il gruppo ha ottenuto diversi grandi successi: Black Is Black (cover in versione disco music del brano Black Is Black dei Los Bravos), che nel 1976 raggiunse il primo posto nella classifica inglese Official Singles Chart); Miss Broadway (1º posto in Inghilterra, 15° negli Stati Uniti nel 1977). Da menzionare anche Bamalama (1978) e Stranger once again (1979).
Nel 1982 il gruppo si sciolse ed Evelyne Lenton riprese la sua carriera di solista. Il gruppo si ricostituì nel 2006, nel 30º anniversario della loro fondazione, per incidere due album compilation: Belle Epoque e Black is Black. In settembre 2006 il gruppo si sciolse definitivamente.
Ad eccezione di Black is Black, che è una cover, la musica e le parole di tutti gli altri brani sono di Evelyne Lenton e Albert Weyman.


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Il café-concert, o più comunemente café-chantant, italianizzato in caffè-concerto, è un genere di spettacolo nel quale si eseguivano piccole rappresentazioni teatrali e numeri di arte varia (operette, giochi di prestigio, balletti, canzoni ecc.) in locali dove si potevano consumare bibite e generi alimentari nel corso dello spettacolo. Per estensione, il café-concert è anche il locale che ospitava tale genere di spettacolo.
Il fenomeno dei café-chantant nacque a Parigi nel XVIII secolo, dove sorsero numerosi locali di tale genere sul boulevard du Temple. Dopo essersi spostati sotto le arcate del Palais-Royal durante la rivoluzione e aver conosciuto dei giorni difficili sotto l'Impero, questi stabilimenti rinnovarono il loro successo sotto Luigi Filippo I. Tuttavia solo la metà del XIX secolo vide il nuovo fenomeno diffondersi anche nelle città di provincia e all'estero.

Il café-concert in Francia
Definizione
Il caf'conc, come venne chiamato familiarmente in francese (scritto a volte caf'conç) è, secondo il Grand Dictionnaire Larousse del XIX secolo, allo stesso tempo una sala da concerto e una sala da the, che riuniva un pubblico che pagava con le consumazioni il piacere di ascoltare brani d'opera, canzonette o assistere a delle brevi recitazioni drammatiche e dei tableau vivant, delle riviste riccamente allestite con effetti di luce e grande uso delle macchine teatrali, dei balletti e degli esercizi acrobatici. A differenza dei tabarin, molto simili, non vi si praticava il ballo da parte degli spettatori.
Esisteva un pesante pregiudizio verso questo nuovo genere, nonostante che sia gli esecutori sia gli spettatori ne rivendicassero lo status artistico. La definizione di caffè-concerto come puro luogo di consumazione è tuttavia da sfumare, poiché le consumazioni potevano essere sostituite da un biglietto per l'ingresso. Quanto all'aspetto formale dei locali, esso si avvicinò sempre più ai teatri.
Il termine café-concert e quello di music-hall sono tuttora molto simili, a volte sinonimi, anche se music-hall è un anglicismo comparso verso la fine del XIX secolo. Il termine café-concert in questa voce è inteso nel senso più ampio del termine, cioè come un bar o taverna che organizza dei concerti in una delle sue sale con una certa regolarità, invece il music-hall è definito come una sala con spettacoli di vario genere (accogliendo una grande parte della tradizione circense, ad esempio) dove il fatto di consumare delle bevande è cosa secondaria.

Nascita e affermazione del café-concert (1800-1864)
Durante la Rivoluzione francese, l'abolizione del monopolio dei teatri permise a partire dal 1791 l'apertura di numerose sale di spettacolo. Nacque così il Café d'Apollon, uno dei primi café-concert di Parigi. Nelle piccole taverne la produzione di spettacoli si limitava, non potendosi permettere vedette internazionali, a quelli degli artisti girovaghi: non esistono tuttavia fonti storiografiche certe per tracciare un quadro significativo della situazione. La liberalizzazione non durò oltre il 1807, quando vennero ristabiliti i privilegi dei teatri: questo avvenimento segnò una battuta d'arresto allo sviluppo spontaneo e selvaggio dei café-concert.
Tra il 1807 e il 1849 solo in qualche locale si tenevano regolarmente dei concerti. Una legge proibiva persino i concerti in un locale se non con previa autorizzazione del prefetto di Polizia. La rivoluzione del febbraio 1848 restituì per breve tempo a questo genere di divertimenti la libertà: l'ordinanza del 17 novembre 1849, infatti, reintrodusse le misure precedenti vietando gli spettacoli in un locale senza una preventiva autorizzazione. La crescita del fenomeno fu così sorvegliata: solo 22 autorizzazioni furono accordate tra il 1849 e il 1859 a Parigi. La pressante censura preventiva dell'ordinanza limitò persino la libertà dei commercianti ambulanti, al fine di evitare la nascita di canzoni a tema sociale: nei locali venne infine vietata l'esecuzione delle goguette.
Nonostante il precedente ostracismo dello stato e l'emanazione di regolamenti che determinarono uno sviluppo limitato e organizzato del fenomeno, nel 1864 una nuova liberalizzazione in materia teatrale vide la costruzione di nuovi locali nella capitale, tra cui l'Alcazar, l'Horloge e l'Ambassadeur.

Apogeo dei café-concert (1864-1896)
In seguito all'abolizione dei privilegi dei teatri nel 1864, i café-concert uscirono dall'ombra dei teatri. L'importanza di tale avvenimento consistette nella possibilità, da parte dei locali che organizzavano spettacoli, di fare a meno della sorveglianza dei direttori teatrali, per cadere però sotto la tutela diretta della polizia. La pubblica amministrazione moltiplicò le ordinanze a favore di queste strutture e del genere teatrale, che quindi si diffuse liberamente e velocemente.
Fu l'età d'oro dei divertimenti: Parigi divenne il modello del divertimento su scala europea, fama che perse, però, durante la Terza Repubblica. In quel periodo ascesero al successo numerose cantanti dei café-concert, come ad esempio Thérésa e Suzanne Lagier.

Declino del café-concert, resistenza del music-hall (1896-1914)
Il primo concorrente nel campo degli spettacoli che si impose in tutte le città dopo il 1896 fu il cinema, che determinò la sostanziale conversione dei café-concert o delle sale di music-hall in cinema-teatro. L'adattamento fu implicito perché il primo cinema, muto, necessitava dell'ausilio di un'orchestra (o comunque di un accompagnamento musicale o vocale): le sale dove si rappresentava l'arte varia possedevano gli spazi e gli ambienti necessari alle proiezioni cinematografiche. In tal modo, piuttosto che di un brusco declino del café-chantant, si trattò di uno scivolamento da un divertimento ad un altro o di una lenta mutazione.
Ciò nonostante, i music-hall e la crescente influenza della cultura anglosassone permise a questi locali di resistere alle nuove mode. In aggiunta, la censura scomparve lentamente, il visto quotidiano sui contenuti degli spettacoli divenne settimanale. Il genere conobbe indiscutibilmente una nuova giovinezza nel 1906, quando la censura scomparve completamente (per riapparire tuttavia durante la prima guerra mondiale).
I café-concert segnarono così l'emergere di una cultura popolare che diede vita dapprincipio alla ricca tradizione della canzone francese, ma anche del music-hall e del cinema. La filiazione di queste differenti forme di spettacolo agevolò sia i percorsi di certi artisti, che passarono dal caf'conc al music-hall e poi al cinema, sia la storia dei locali stessi, quando le vecchie sale caf'conc divennero sale di music-hall e poi cinematografi. Queste nuove forme di spettacolo popolare e universale avrebbero gettato le basi della cultura di massa del XX secolo, caratterizzato dal fenomeno del divismo, accentuato dalla diffusione della radio e del cinema.
Nella Francia del XX secolo riapparvero tuttavia alcuni locali sulla scia del café-concert, chiamati café-théâtre.

I café-concert in Italia
I café-concert contribuirono in maniera decisiva alla successiva nascita del varietà, genere spettacolare che, proprio per la sua provenienza esterna al circuito dei teatri di velluto, godette, come gli artisti che militarono nelle sue file, di scarsi riconoscimenti in campo artistico.
L'italianizzazione dei nomi delle professioni francesi e la creazione di nuovi numeri allargò considerevolmente il ventaglio delle professioni artistiche: la sciantosa, derivazione della francese chanteuse, divenne l'antenata dell'odierna soubrette. A essa si aggiunsero le caratteriste, i finedicitori, le brillanti e altri ancora.
La diffusione dei caffè-concerto, e del mercato del lavoro ad esso connesso, favorì la nascita di riviste specializzate nel settore, come «Cafè-Chantant», strumento di informazione artistica e promozionale.

I café-concert a Napoli
Sul finire del XIX secolo, quando Parigi divenne il simbolo del divertimento e della vita spensierata, i café-chantant valicarono le Alpi per essere importati anche in Italia. La novità esplose a Napoli, dove l'epoca d'oro del caffè-concerto coincise con quella della canzone napoletana. Nel 1890 venne infatti inaugurato l'elegante Salone Margherita, incastonato nella Galleria Umberto I, per merito dei fratelli Marino, che capirono l'importanza di un'attività commerciale redditizia da unire al fascino della rappresentazione del vivo.
L'idea fu vincente e ricalcò totalmente il modello francese, persino nella lingua utilizzata: non solo i cartelloni erano scritti in francese, ma anche i contratti degli artisti e il menu. I camerieri in livrea parlavano sempre in francese, così come gli spettatori: gli artisti, poi, fintamente d'oltralpe, ricalcavano i nomi d'arte in onore ai divi e alle vedette parigine. È chiaro come la clientela che affollasse il Salone Margherita non fosse gente del popolino: in ogni caso, per i più disparati gusti, sorsero altri café-concert come l'elegante Gambrinus, l'Eden, il Rossini, l'Alambra, l'Eldorado, il Partenope, la Sala Napoli e altri ancora che ricalcavano spesso, anche nel nome, i café-chantant parigini. Anche altri bar di Napoli, che in passato non presentavano spettacoli, si adattarono al gusto del momento presentando numeri di varietà misti a canzoni.
Solitamente gli spettacoli proposti erano presentati in successione, con un intervallo tra primo e secondo tempo del susseguirsi di rappresentazioni. Solo verso la fine del primo tempo qualche personaggio noto appariva in scena, ma il clou veniva raggiunto al termine, quando il divo eseguiva il suo numero. Importanti e famosi artisti che iniziarono la loro carriera proprio nei caffè-concerto furono Anna Fougez, Lina Cavalieri, Lydia Johnson, Leopoldo Fregoli, Ettore Petrolini, Raffaele Viviani.
Il café-chantant divenne in Italia non solo un luogo ed un genere teatrale, ma anche qui, come in Francia, il simbolo della bella vita e della spensieratezza, nel pieno della coincidenza con la Belle époque.

I café-concert a Roma
Il fenomeno dei café-chantant napoletani fu tale che in breve tempo il fenomeno cominciò ad espandersi nelle altre grandi città italiane. La prima città a introdurli a sua volta fu Roma. Il perché di tale diffusione non deve stupire: così come a Napoli, anche a Roma, a Catania, a Milano, a Torino e in molte altre città letterate d'Italia si riunivano spesso nei bar e nelle trattorie cantanti e poeti che, nel corso di riunioni semiprivate, si dedicavano al canto e alla declamazione di poesie. Questa forma artigianale di spettacolo fu il fertile terreno su cui si basò il successo dei caffè-concerto, che negli ultimi anni del '800 aprirono anche nella capitale.
Sempre i fratelli Marino, già proprietari del Salone Margherita di Napoli, inaugurarono nella capitale due nuovi locali: un altro Salone Margherita e, successivamente, il Teatro Sala Umberto. A questi seguirono numerosi altri café-chantant dai nomi altisonanti ed esotici (non proprio tutti: il primo caffè-concerto della città, aperto in via Nazionale, portava il poco allegro nome di "Cassa da morto").
Ben presto Roma fu preferita a Napoli come "piazza d'affari": gli artisti venivano volentieri nella capitale dove il maggior giro d'affari garantiva loro maggiori possibilità d'ingaggio. Il luogo d'incontro degli artisti gravitava nell'asse tra piazza Esedra e la Stazione Termini, dove si concentravano la maggioranza dei locali.


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Il teatro dei burattini è una forma di spettacolo teatrale in cui uno o più animatori, i burattinai, danno vita ai personaggi tramite particolari pupazzi, detti appunto burattini.
Nella tradizione il burattino è composto da testa e mani di legno fissate ad un camiciotto sopra il quale viene posto il vestito vero e proprio. L'animatore per muoverlo lo inguanta dandogli vita. Il termine burattino sta genericamente ad indicare anche tutti gli oggetti animati ‘da sotto', dove l'animatore è nascosto, mentre la marionetta viene animata 'da sopra', attraverso dei fili. Fanno eccezione le marionette il cui sostegno è dato da pali di legno che, anche se manovrate da sotto, per caratteristiche e stile rientrano nel novero del teatro delle marionette.
Lo spettacolo dei burattini è generalmente rappresentato all'interno di un teatrino di legno, detto castelletto o baracca.

Etimologia del termine burattino
La parola burattino deriva quasi sicuramente da “buratto”, una stoffa grezza e resistente, usata per abburattare la farina al fine di separarla dalla crusca. Dal XIV secolo il termine viene usato anche per indicare la veste dei personaggi dalla testa di legno ed in seguito per gli stessi fantocci.

Storia
Solo a partire dalla fine del XVIII secolo in Italia si cominciano ad avere notizie della diffusione del teatro dei burattini.
Fin dal Cinquecento, la presenza dei burattini è testimoniata nelle piazze e nei mercati, a fianco degli altri mestieri (più o meno leciti), sia come spettacolo autonomo sia come accompagnamento di ciarlatani e venditori ambulanti.
Nasce in questo periodo un importante ciclo drammaturgico del Teatro dei Burattini in Italia: i burattinai assumono infatti molti caratteri, maschere e scenari dai loro "vicini di banco", i Commedianti all'Improvviso. Anzi, da allora, il termine più diffuso (a fianco di capoccielli, fracurradi, fantoccini, magatelli, ecc.) diventa quello di "burattino", tratto dall'omonimo e celebre zanni della Commedia dell'Arte. Con la maschera di Pulcinella comincia la carriera fulminante e duratura dei burattinai cinque-seicenteschi.
Verso la fine del '700 si ha un'importante evoluzione: si sono ritrovati, infatti, documenti che testimoniano il consolidamento del genere e la nascita di vere e proprie compagnie di giro e stanziali.
Dalle semplici farse, si passa a rappresentazioni drammatiche o melodrammatiche. L'affermazione del teatro dei burattini avviene subito dopo la rivoluzione francese e la nascita del teatro giacobino, se fino alla fine del Settecento i personaggi erano principalmente gli stessi della Commedia dell'Arte, dopo la rivoluzione francese e nei territori interessati dalle campagne napoleoniche si vietò l'uso delle vecchie maschere assimilabili all'ancien regime, si imposero così un nuovo genere di personaggi di gusto popolare, paesani zotici e ignoranti all'apparenza ma in realtà dotati di una intelligenza pratica e di un senso della giustizia: Fagiolino in Emilia, Guignol nel Lionese, Kasper in Baviera e Svevia, Fasoulis in Grecia.
Nel XIX secolo i burattini diventano un fenomeno comune nelle piazze delle città, diventando un'attrazione in grado di coinvolgere un gran numero di persone; molti personaggi, nati come burattini, diventano in Italia maschere regionali: si pensi a Sandrone di Modena, Fagiolino a Bologna, Gioppino a Bergamo. Ma prosegue anche il fenomeno inverso dei burattini che riproducono maschere della commedia dell'arte, a partire da Arlecchino e Pulcinella.
Tra i maggiori storici del Teatro dei Burattini spicca il nome del bolognese Alessandro Cervellati.


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Il Bunraku (文楽) o Ningyō jōruri (人形浄瑠璃) è un tipo di teatro giapponese caratterizzato dalla combinazione di tre pratiche: la manipolazione dei burattini (Ningyō人形), la recitazione del testo e l’accompagnamento della recitazione con la musica prodotta da un liuto a tre corde chiamato shamisen. Queste tre componenti sono il risultato di una fusione avvenuta nel XVI secolo di due arti ben distinte: la narrazione dei testi epici (jōruri) accompagnati dalla musica dello shamisen, e la manipolazione dei burattini da parte di artisti itineranti. Con il Kabuki, il Teatro Nō e il Kyōgen, è una delle maggiori espressioni artistiche del Giappone nell'ambito delle arti performative.

Storia
Significato del nome
Il termine “Jōruri” (letteralmente “puro cristallo”, "lapislazzuli"), deriverebbe dalla Storia di Joruri (Jōruri-jū-ni-dan-zōshi) diffusa nel XV-XVI secolo e largamente recitata in pubblico nei villaggi dell'epoca. Essa narrava l’amore sbocciato tra il giovane Ushiwakamaru (il nome da ragazzo di Yoshitsune, l’eroe del clan Minamoto) e la bellissima Jōruri, figlia di un rispettato samurai, chiamata così dal padre perché nata a seguito di lunghe preghiere rivolte al dio Jōruri Kō. La fama raggiunta da questa storia avrebbe portato all'uso del termine jōruri per definire ogni composizione, dalle storie d'amore ai racconti epici, declamata da narratori di professione, chiamati a loro volta jōruri-katariame.
Verso il 1600 uno dei famosi cantori del tempo, Menukiya Chōzaburō, rappresentò la storia d'amore di Joruri, conosciuta come Jūnidanzōshi, accompagnando per la prima volta la musica dello shamisen con la manipolazione di un burattinaio (ebisukaki) allora famoso, tal Hikita. Questa rappresentazione (detta ayatsuri-jōruri "jōruri di marionette", da ayatsuru, "manovrare le marionette"), acquistò molta fama, e da quel momento il nome della dama sarebbe stato utilizzato per indicare anche, più in generale, il teatro dei burattini.
Il secondo nome “Bunraku” deriva dal famoso burattinaio Uemura Bunrakuken (1751-1811), che nel primo decennio del XIX secolo intraprese ad Ōsaka un importante progetto per rilanciare il teatro dei burattini, aprendo il primo teatro chiamato Bunraku-za. Il termine “Bunraku” è molto più usato rispetto ai nomi Jōruri, Ningyō Jōruri e Ningyō shibai (letteralmente “spettacolo di burattini”).

Sviluppo del Bunraku
Origini
L'uso del burattino in Giappone è molto antico, e diverse sono le interpretazioni sulle sue origini. Gli studiosi hanno ipotizzato che nell’epoca arcaica i burattini venissero usati con scopi religiosi durante le cerimonie sciamaniche, come mezzo per trasmettere preghiere agli dèi, oppure con funzione di cura delle malattie dei bambini. Dal X secolo si hanno testimonianze di una comunità nomade di origine continentale, i cui componenti, chiamati ''kugutsu'' (傀儡回), erano dediti alla manipolazione di pupazzi. I kugutsu-mawashi erano molto simili agli zingari, girovagavano per le province e si accampavano vicino ai villaggi, dove mettevano in scena uno spettacolo piuttosto semplice con un solo burattino dall’aspetto primitivo, azionato su un “palcoscenico” composto da una scatola che essi portavano appesa al collo. Le loro donne erano conosciute per l’arte della divinazione, delle danze, degli intrattenimenti e per la prostituzione. Il fatto che i burattini fossero legati a un gruppo di persone considerate fuoricasta non è una novità: sono stati ritrovati recentemente dei burattini in quartieri dove attori e prostitute convivevano.
Dal periodo Heian (794-1185) in poi, la manipolazione dei burattini acquista un valore ludico e di intrattenimento. Intorno al XII secolo si ha notizia di gruppi di monaci ciechi che, suonando uno strumento a corda chiamato biwa, cantavano le gesta epiche della battaglia tra i clan Heike e Minamoto, le morti di eroi valorosi, i tumultuosi anni che segnano la fine di un'epoca e le storie buddhiste su templi e santuari. Tali rappresentazioni si diffondono fino al periodo Muromachi, quando l'introduzione di un nuovo strumento musicale a tre corde, lo shamisen, proveniente dalle isole Ryūkyū, permetterà di introdurre nei racconti nuove sonorità.
Da questo momento in poi, il recitatore e il suonatore sarebbero diventate due persone distinte, favorendo lo sviluppo di tecniche specifiche, e riservando alla musica non più solo il ruolo di accompagnare, ma anche quello di cadenzare la narrazione, indicando il suono della pioggia o guidando la recitazione del cantore per far risaltare l’atmosfera.
Più tardi, alla melodia e alla narrazione, sarebbero stati aggiunti i movimenti dei burattini, elementi costitutivi del Ningyō Jōruri. Secondo la tradizione, la prima commistione di queste tre pratiche avrebbe avuto luogo nelle rappresentazioni che si svolgevano intorno alle baracche costruite sul letto asciutto del fiume Kamo a Kyōto, dove si radunavano attori, cantori e marionettisti giravaghi, e il primo narratore a farne uso sarebbe stato Menukiya Chōzaburō (目貫屋長三郎), con la recitazione di un testo dal titolo Jūnidanzōshi 十二段草子 (Volume in dodici sezioni), attribuito ad una dama di Corte dello shogun Ono-no-Otsu.
Il Bunraku fu riconosciuto definitivamente nel periodo Tokugawa (1603-1868) e venne rappresentato nelle platee di Edo, Ōsaka e Kyōto.

Kōjōruri o Jōruri Antichi e le avventure di Kinpira
Un primo grande passo per lo sviluppo del teatro dei burattini è dato dal passaggio da una letteratura tramandata oralmente, a una scritta, realizzatosi grazie alla stampa dei testi, destinati anche alla lettura.
Il periodo dei Jōruri, dalle origini fino alla svolta operata dal drammaturgo Chikamatsu Monzaemon (1653-1724), è documentato negli shohon, testi originali di drammi stampati tra il 1620 e i 1686. Un particolare molto interessante è la presenza di cantori donne tra i nomi citati in questi testi: prima dell’onna daigaku (un documento in cui venivano elencate le proibizioni e i doveri delle donne) del 1629, le donne ricoprivano il ruolo di cantori a Kyōto esibendosi apertamente sul palcoscenico. Il cantore più importante di questo periodo fu Satsumadayū Jōun che si conquistò il favore del pubblico di Edo con drammi dalle azioni violente, molto popolari tra i samurai. Fino al Seicento, le storie tratte dall’Heike Monogatari, i miracoli buddhisti o shintoisti e gli Oie sōdō, racconti che descrivevano le sofferenze di grandi famiglie samuraiche, rappresentano i temi prediletti nella brulicante Edo. Molte opere includono anche storie di schiavitù che evocavano la compassione degli spettatori.
Dalla metà del Seicento, un gruppo consistente di opere vede come protagonista Sakata no Kinpira con i quattro cavalieri discendenti dagli Shitennō che avevano accompagnato Minamoto no Raiko, cantate a Edo dalla voce possente di Izumidayū. Le avventure di Kinpira presentano personaggi semplici e prevedibili, con molti colpi di scena e un piccolo accenno ai sentimenti: i guerrieri sono i protagonisti e le trame si allontanano dalla struttura classica dei monogatari. I racconti iniziano con la sconfitta, l’esilio o la peregrinazione dei personaggi principali e si concludono, grazie alle gesta sovraumane dei guerrieri, con il ristabilimento dell'ordine dell'impero e della pace. Il cantore più famoso dei Kinpira-jōruri fu Sakurai Tamba che incalzava l’azione con la foga del suo canto.
Dopo l’incendio del 1651, molti burattinai si spostarono da Edo all’area di Kyōto-Ōsaka, mentre rimasero i burattinai legati a Kinpira, che grazie alla loro attività divennero una fonte di svago e di intrattenimento molto apprezzata dalla popolazione, stressata e stremata dalle fatiche della ricostruzione della città.
Negli stessi anni, nell’area di Kyōto-Ōsaka si affermano i cantori Inoue Harimanojō, Uji Kaganojō e Yamamoto Kakudayū, chiamato anche Tosanojō. Kakudayū divenne famoso per lo stile del suo canto ricco di pathos, dolore e mestizia e per l’uso molto abile di marionette e bambole meccaniche in scene piuttosto complesse e coinvolgenti, come trasformazioni, miracoli di Buddha e Bodhisattva, e raggiungimento della buddhità. Inoue Harimanojō (1632-1685) è noto per aver introdotto nel Jōruri un aspetto più realistico della rappresentazione. Prendendo spunto dalle tematiche del teatro Nō, egli eliminò la maggior parte degli interventi di mostri o miracoli, accompagnando il tutto con una voce molto potente.
L’ultimo cantautore famoso dei Ko-Jōruri è Kaganojō che, come Harimanojō, studiò il teatro Nō, ma non poté diventarne un attore in quanto non discendente di una famiglia di attori Nō. Divenne noto per la recitazione dolce e delicata, ispirata alla classicità e all'eleganza, con richiami all’Eiga Monogatari e all’Ise Monogatari, accompagnata da atmosfere degli scenari, dalla scelta di personaggi femminili come le cortigiane, e dalla collocazione di canti melodici con danze nei momenti di apertura, di suspense o di chiusura. Kaganojō introdusse cambiamenti nei testi e nel canto, avvicinandoli a quelli del teatro Nō, adattato all’accompagnamento con lo shamisen. Apportò anche mutamenti nell’estetica, con l'introduzione della corrente di pensiero di Zeami, per elevare il Jōruri allo stesso livello del teatro Nō. Fu un drammaturgo molto prolifico nella scrittura di drammi familiari e testi a tema storico, e apportò innovazioni alla struttura stessa del dramma: fu il primo ad introdurre la struttura a cinque dan, tipica del teatro Nō. Rispetto alla libertà concessa al Jōruri nei dodici dan precedenti, questo cambiamento favorì una migliore organizzazione dello svolgimento della storia con un inizio, uno sviluppo e una fine. Mentre Tosanojō inaugura uno stile piangente, ricco di dolore e di pathos, Kaganojō fu l’ultimo dei cantori del teatro Jōruri a scrivere i drammi o a presenziare durante la loro scrittura.
La figura più importante nella recitazione è quella di Takemoto Gidayū (1650-1714), un allievo di Harimanojō. Nel 1685 fondò ad Osaka un teatro di marionette chiamato Gidayu-Takemoto-za, nel quale recitò per diversi anni le opere di Chikamatsu Monzaemont. Egli introdusse un nuovo tipo di canto chiamato “Gidayūbushi” che donava umanità ai burattini, con uno stile moderno, sensibile e drammatico nel rappresentare la psicologia e i sentimenti delle bambole: ancora oggi, lo stile di canto di Gidayū è praticato nei Jōruri moderni.
Un allievo molto famoso di Takemoto fu Toyotake Wakatayū che fondò il Toyotake-za. In aperta competizione con il Takemoto-za, diede luogo a una gara vivace tra i due teatri, tanto che nel XVIII secolo il teatro dei burattini oscurerà la fama del teatro Kabuki.


Chikamatsu Monzaemon
Una nuova fase del teatro Jōruri si apre con Chikamatsu Monzaemon, riconosciuto come il maestro della composizione di testi per Jōruri e Kabuki. Chikamatsu visse nel periodo Tokugawa, e compose testi per divertire la popolazione che risiedeva nei quartieri di piacere. Il suo luogo di nascita non è noto, e si conosce poco della sua infanzia. Era il secondogenito di una famiglia di origine samuraica e si sa che in giovinezza trascorse un periodo in un tempio buddhista chiamato Chikamatsu, dal quale deriverebbe il suo nome d'arte. Qui avrebbe appreso le dottrine buddhiste che permeano i suoi scritti. Fino al suo diciannovesimo anno fu al servizio di Ogimaki Kimmochi, un nobiluomo di corte molto colto che scriveva testi per il cantore Kaganojō: pare che la cultura del suo padrone e questi primi contatti con il mondo Jōruri abbiano influenzato molto il giovane Chikamatsu. Alla morte del suo protettore, dovette trovare lavoro e si unì a una compagnia teatrale come drammaturgo, entrando in contatto con le classi inferiori della popolazione. Avendo avuto l'occasione di osservare il mondo ecclesiastico, il mondo nobile e quello popolare, Chikamatsu acquisì un bagaglio di conoscenze che riversò nelle sue opere. La caratteristica fondamentale dei testi di Chikamatsu è la comprensione della psicologia e dei sentimenti umani, riflessa nell’azione, nel lessico e nella struttura. Egli eliminò tutti gli appesantimenti del verso poetico con l’alternanza di 5-7 sillabe, sostituendoli con il ritmo e la melodia della recitazione.
L’opera di Chikamatsu di solito viene divisa in quattro periodi: il periodo iniziale, in cui scrisse per lo più testi dedicati al Kabuki, fino al 1648, l'anno del suo debutto. Il secondo periodo coincide con il successo ottenuto dall'opera Shusse Kagekiyo ("Kagekiyo, il Trionfatore", 1684), che segna l’avvio dello Shin Jōruri, un nuovo genere di Jōruri che otterrà talmente tanto successo da competere con il Kabuki, e l’inizio della scrittura di opere per il Jōruri, nelle quali Chikamatsu introdurrà una struttura vivace, simile al Kabuki, con un dialogo vivo. Nel terzo periodo Chimatsu realizzerà soprattutto opere kabuki. Dal 1705 in poi, con il trasferimento a Osaka, si dedicherà alla sola stesura di opere per il Jōruri, allargando gli orizzonti del teatro delle marionette con i jidaimono (storie in cinque atti che rielaborano personaggi, scene e temi delle più grandi opere letterarie) e i sewamono (drammi in tre atti che attingono le loto tematiche direttamente dall’esperienza presente).
Chikamatsu divenne famoso per gli shinjumono, ovvero drammi che prendevano spunto da fatti di cronaca e raccontavano di doppi suicidi d’amore: una delle opere più famose di questo genere fu Sonezaki Shinjū (“Gli amanti suicidi di Sonezaki”) del 1703.




L'epoca d'oro
L’apogeo del teatro dei burattini viene raggiunto nel XVIII secolo, tanto che le rappresentazioni Jōruri competeranno sempre di più con il kabuki, introducendo innovazioni sia nella sceneggiatura che nella drammaturgia. In questo periodo, i successori di Chikamatsu Takeda Izumo II e Namiki Senryū (sotto l’appellativo di Namiki Sōsuke quando scriveva per il Toyotake-za) produrranno l’opera più famosa chiamata Kanadehon Chūshingura (letteralmente "Il manuale sillabico, magazzino dei vassalli fedeli"), composto da 11 atti. Il filo cardine dell’opera è la lealtà dei 47 ronin samurai al loro padrone anche dopo la sua morte, e il tema del denaro che i seguaci fedeli devono accumulare per partecipare alla vendetta contro l’assassino. Quest’opera presenta una commistione tra elementi dei jidaimono - per la presenza di samurai - ed elementi dei sewamono, poiché alcune scene sono situate in quartieri del piacere. La trama di base è un fatto realmente accaduto in epoca Tokugawa, naturalmente rielaborato con nomi modificati di persone e luoghi per evitare la censura.
Successivi a Takeda Izumo II e a Namiki Senryū, furono Chikamatsu Hanji al Takemotoza e Suga Sensuke al Toyotakeza. Hanji prende il suo nome da Chikamatsu Monzaemon e rinnova l’arte Jōruri con scene e strategie di grande effetto sul palco, trame complesse con esito quasi sempre tragico, personaggi maschili ribelli che attentano all'impero stesso, o personaggi femminili che fedelmente seguono il loro amore.
Poiché il Jōruri è una forma di teatro che si basa sull'approvazione popolare, lontana dalla protezione del potere politico in fase di crisi, lo spostamento del favore popolare al Kabuki, nonostante la presenza di brillanti drammaturghi, portò a una fase di declino che culminò nel 1765 con la chiusura del Toyotakeza e nel 1767 del Takemotoza. Successivamente, nel tardo periodo Tokugawa la mancanza di figure brillanti sia nella composizione che nel canto condusse a un inaridimento della creatività nella scrittura, e ad una tendenza generale al rimaneggiamento dei testi di Chikamatsu Monzaemon. Inoltre, le austere misure adottate nell'era Tenpō (1830-1844) non migliorarono la già precaria situazione del teatro: il confinamento nei quartieri più malfamati e la frugalità imposta alle sceneggiature e ai costumi rappresentarono un'ulteriore umiliazione per gli artisti.

Il Bunraku dopo la Restaurazione Meiji
Nel XIX secolo, i ripetuti sforzi di Uemura Bunrakuken vennero ripagati con un ritrovato apprezzamento popolare del Jōruri nella zona di Ōsaka, tanto che riaprirono due teatri: il Bunraku-za nel 1805 e lo Hikoroku-za nel 1884.
Con la comparsa di nuovi generi teatrali come lo shinpa e lo shingeki e di altre attrattive nel campo delle arti, il Bunraku attraversa però un'ulteriore fase di declino. L'incendio del 1926, nel quale andarono distrutti sia il Bunraku-za che preziosi burattini, assesta a questo genere teatrale un altro duro colpo. Il Bunraku, privato della sede, diventa itinerante. Grazie al talento di artisti di grande valore come Toyotake Kotsubodayu, Yoshida Bungoro e Yoshida Eiza, conquista il favore del popolo di Tōkyō che apprezza molto le trame vivaci. Nel 1929 viene aperto un nuovo teatro a Ōsaka ma, in questa fase, il Jōruri non riesce a ottenere un grande successo: nel 1933, infatti, ricevette un sussidio dal governo Meiji attraverso un decreto di legge istituito per preservare le forme di cultura popolare considerate tesori culturali nazionali.
Nel 1945 il teatro fu di nuovo distrutto nel bombardamento di Ōsaka e nel 1946 ne fu fondato uno provvisorio che nel 1956 sarà sostituito da quello ufficiale. In questo periodo, si manifestò la volontà di rinnovare l’ambiente molto conservatore dei cantori e, in generale, del Bunraku che divenne molto apprezzato per l'abilità dei maestri succedutisi negli anni: per lo shamisen, Toyozawa Danpei II che portò l'accompagnamento musicale a livelli molto alti, per i burattini Yoshida Tamazō, abile manovratore di personaggi sia maschili che femminili che animali e per il canto Takemoto Nagatotayū.
Nell'immediato dopoguerra, gli artisti, a causa di questioni sindacali, si divisero in due fazioni: il Chinamikai, una corrente più conservatrice, e il Mitsuwakai più progressista. Nel 1963 finalmente le due fazioni si riunirono e diedero vita alla Bunraku Kyōkai. Questa associazione portò un periodo di stabilità, culminato nella recente apertura del Teatro Nazionale Bunraku di Ōsaka e all'installazione di una piccola sala attrezzata per il Bunraku anche nel Teatro Nazionale di Tōkyō.
Inoltre, il governo ha deciso di conferire ai protagonisti della messa in scena degli spettacoli Jōruri, il titolo di “Tesori culturali viventi”, prima riservato solo agli attori Nō e Kabuki.

Il palcoscenico
Il palcoscenico del Bunraku è diverso dagli altri teatri poiché la sua funzione principale è quella di ospitare i movimenti dei manipolatori di burattini. Ha preso in prestito dal Kabuki diversi elementi, modificandoli a seconda delle esigenze del genere. Nei teatri moderni è presente un’apertura di scena molto ampia e un hanamichi, ovvero un passaggio rialzato che passa dal pubblico al palco, tipico del Kabuki, ma con un pavimento più profondo per nascondere i burattinai. Inoltre, sono presenti diverse tavole di legno dipinte di nero, sistemate secondo le varie scenografie, che devono creare la divisione tra avanscena, centro e retro del palco. La maggior parte del dramma si svolge nella parte centrale, la parte anteriore invece presenta tutto ciò che richiede la scena (cancelli, palazzi, interni di case, ecc...), mentre dietro è sistemato il funazoko, ovvero una parte del palco più bassa rispetto al palco principale, usata per i movimenti dei burattinai. Per quanto riguarda la scenografia, non vengono usate macchine complesse: di solito, lo sfondo è attaccato alle pareti di legno ed è prospettivamente adattato al pupazzo.

Burattini e burattinai
L’origine precisa dei burattini non si conosce, si sa solo che erano usati per scopi religiosi e curativi e che furono importati dall’Asia Orientale poiché il nome kugutsu assomiglia molto al termine usato in altri Paesi per indicare generalmente le marionette. Il loro uso comincia a mutare verso l’VIII secolo, passando da una funzione religiosa/curativa a intrattenitiva: a differenza della complessa struttura che mostrano i burattini del XVIII secolo, quelli di questo periodo sono molto semplici, azionati da una sola persona e molto distanti dalle complesse marionette meccaniche che affascinavano molto la Corte cinese.
Alcuni attribuiscono le origini di queste rappresentazioni in Giappone a un sacerdote del tempio di Ebisu, chiamato Momodayu. Il nome attribuito ai burattinai, Ebisu-kaki (lett. : del recinto di Ebisu) farebbe riferimento a questo luogo di culto.
In Giappone, a seconda delle epoche, erano presenti varie tipologie di burattini: marionette con i fili, altri mossi da un bastone su un palcoscenico portatile con il burattinaio nascosto, o mossi su un palcoscenico più grande con il burattinaio completamente esposto e fantocci a guanto. Le marionette odierne hanno una struttura di legno che forma le spalle, sulla quale è sostenuta la testa, la parte più importante. Le gambe e le braccia sono dei cordoni imbottiti di cotone posti alle estremità dell’asse di legno e tutta la struttura è coperta dai vestiti: nei rari casi in cui sono presenti delle parti del corpo scoperte, sono dipinte in modo molto realistico con tanto di tatuaggi se il personaggio li prevede. I burattini maschili sono alti fino a un metro e venti con una struttura più pesante, un asse piatto per le spalle e un anello di bambù che collega il tronco alle gambe. I fantocci per le donne invece presentano una struttura più leggera e una sacca di cotone per modellare le gambe quando il personaggio si siede.
La testa della marionetta è la parte più importante: è attaccata all’asse delle spalle e ci sono molle e congegni per muovere bocca, occhi e sopracciglia, per dare l'effetto di una naturalezza espressiva che arriva a competere con quella propria degli attori umani del Kabuki. Alcune teste vengono usate per più personaggi, adattandosi alla funzione e al carattere del nuovo pupazzo, mentre invece altre sono specifiche in base al ruolo svolto nel dramma. Anche le capigliature sono particolarmente curate e i vestiti rappresentano le alti classi della corte, dei samurai e dei commercianti con decorazioni molto elaborate e sontuose.
L’addestramento dei burattinai è molto severo: nella tradizione si dice che ci vogliano almeno 30 anni prima di poter muovere un burattino sul palcoscenico, di cui 10 per muovere le gambe, 10 per il braccio sinistro e altri 10 per il braccio destro e la testa. Quando cominciarono a diffondersi i burattini mossi da tre persone (anche chiamata arte del gassaku), si divisero i ruoli in: omozukai, ovvero l’operatore più importante che muove testa e braccio destro, hidarizukai, il secondo operatore che muove il braccio sinistro e, infine, il terzo operatore ashizukai assegnato al movimento dei piedi. L’omozukai inserisce il braccio sinistro sotto l’obi per giungere all'intelaiatura del fantoccio e muove testa e braccio destro come se fossero unici, suggerendo diversi movimenti e azionando i meccanismi che rendono realistiche le espressioni facciali con le sopracciglia, la bocca e gli occhi, mentre con il braccio destro sistema una leva complessa sopra il braccio del burattino che regola le corde. L’hidarizukai non è vicino al burattino ma con una stecca munita di perno muove le corde del braccio sinistro, mentre l’ashizukai ha il compito di sincronizzare le gambe con i movimenti del torso.
Oltre al ruolo, anche i vestiti sono differsi a seconda del burattinaio: mentre il secondo e il terzo operatore hanno costumi neri con il cappuccio e un velo sul volto, l’operatore principale ha un kimono tradizionale del XII secolo chiamato kamishimo, e indossa sandali alti in legno per essere più alto degli altri due manipolatori. Egli non si nasconde e mostra apertamente la sua abilità nel muovere i pupazzi.


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Il bruscello è una forma arcaica di teatro popolare toscano, profondamente legato al mondo contadino ed oggi quasi estinto.

Etimologia
Il termine bruscello deriva dalla parola "arbusto" ed indica in dialetto toscano un ramo frondoso ed eventualmente ornato. Questa etimologia è quella teorizzata nell'Ottocento; più probabilmente "bruscello" deriva da "bruzzello", una specie di lanterna in cui era bruciata legna resinosa la cui luce doveva disorientare gli uccelli stanati dai loro pagliai, loro rifugi notturni. I contadini parlavano infatti di caccia col bruscello. Da questa usanza nacque una farsa teatrale in cui si rappresentavano i cacciatori che magnificavano con grandi bugie i loro successi venatori. Successivamente, il bruscello venne utilizzato per raccontare le gesta di eroi come Fioravante, Buovo d'Antona (personaggi dei Reali di Francia), oppure vicende tratte dalla Bibbia.

Descrizione
È una forma di teatro popolare originario della provincia di Siena e diffuso poco oltre, principalmente nella parte meridionale della provincia di Firenze e nella zona occidentale, tra Pescia e Lucca.
La rappresentazione è cantata, in ottava rima, generalmente con un accompagnamento musicale basato sulla ripetizione di semplici motivetti, spesso con improvvisazioni volte ad evidenziare particolari situazioni sceniche.
Con la fine della mezzadria e l'inurbamento, il bruscello è rapidamente declinato già dalla metà del XX secolo, sopravvivendo solo nelle rappresentazioni di pochissime compagnie teatrali per lo più amatoriali.

Tradizione
Gli attori erano contadini che fungevano da bruscellanti per diletto o con la speranza di ricevere un pasto come ricompensa per lo spettacolo.
Le storie erano legate sia alla letteratura classica che alla mitologia, oppure potevano essere composte in base ai recenti accadimenti della zona (infatti, una trama consueta poteva essere un amore contrastato).
I bruscellanti si muovevano per la campagna raggiungendo il podere che aveva organizzato l'evento tenendo il bruscello ben evidente, affinché si potesse averne notizia; il bruscello veniva piantato ed utilizzato come elemento centrale (e spesso unico) della scena.
L'origine di questa tradizione è persa nei secoli passati e non definibile, data anche la generale assenza di documentazioni fino ai primi studi sul folklore contadino di fine XIX secolo.


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Il voltapagine è una persona che ha il compito di girare le pagine degli spartiti musicali di un solista, spesso un pianista.

Aspetti professionali
Durante i concerti di musica da camera si può vedere frequentemente sul palcoscenico una persona che ha un ruolo molto importante, pur non suonando nessuno strumento: si tratta del voltapagine, un lavoro normalmente sottovalutato, ma certamente cruciale per il buon esito dell'esibizione. Mentre alcuni brani musicali sono disposti sullo spartito in maniera che finiscano sulla pagina dispari in basso a destra o in modo tale che il musicista può utilizzare una mano per girare le pagine, questo non è sempre possibile. Un voltapagine è spesso necessario per i musicisti che suonano musica da camera o pezzi complessi e preferiscono non suonare a memoria. Un voltapagine deve seguire la musica ed essere in grado di capire gli impercettibili segnali del musicista (spesso non visibili dal pubblico) per sapere quando voltare esattamente la pagina, e per farlo in modo rapido e discreto. Deve essere, in altre parole, il meno invadente possibile, e prepararsi in anticipo con la mano sinistra sull'angolo superiore della pagina destra dello spartito. I voltapagine sono a volte conoscenti dell'esecutore. I gira-pagine professionisti sono spesso lavoratori occasionali freelance, non associati a nessuna sala da concerto o orchestra.
Per il pianista Bruno Canino, la figura professionale del voltapagine

«è istituzione squisitamente connaturata al repertorio cameristico, e in qualche modo ne esprime anche la fervida e sottomessa socialità. Il fervore non esclude in chi volta le pagine una ferrea competenza specialistica: sul come afferrare la pagina (in alto, con la sinistra, ché con la destra, dal basso, si oscurerebbe momentaneamente parte della pagina o parte della tastiera); con quanto anticipo prepararsi, come essere edotti sulla casistica di ritornelli e tagli; come alzarsi in piedi, a meno che non si abbiano braccia lunghissime; sul non indossare abiti ingombranti, giacche svolazzanti, maniche a sboffo.»


Storia
Non sono mancati nel corso del tempo, relazioni tra compositori e voltapagine, o invenzioni (gira-pagine meccanici) per sostituire il voltapagine. Di seguito si riportano in ordine cronologico alcuni esempi.
È documentato che sir Charles Hallé (1819–1895) avrebbe inventato il gira-pagine automatico. Il celebre chirurgo tedesco Theodor Billroth (1829–1894), amico di Johannes Brahms, fu per diverse volte il suo voltapagine di fiducia. Nel 1887 un meccanico di Marsiglia Augustin Lajarrige inventò un voltapagine senza pedali. Il costruttore volle che l'apparecchio funzionasse senza pedali, poiché questi avrebbero potuto confondersi con quelli tradizionali del pianoforte, e preferì ricorrere a una leva azionata da un movimento del ginocchio. Chrles Ives, nel manoscritto (1902–07) della sua Sonata n. 2 per violino e pianoforte, indicò l'intervento del voltapagine. Nell'ultima pagina del secondo movimento un secondo esecutore (il voltapagine) deve imitare una parte di grancassa sulle cinque note più basse del pianoforte.
Nel 1923 la pianista Luigia Cellesi brevettò un congegno meccanico denominato ‘voltapagine automatico’ ad uso dei musicisti. La compositrice statunitense Pauline Oliveros (1932–2016) scrisse il Trio for Flute, Piano, and Page Turner (1961) per due esecutori, con le istruzioni per un terzo esecutore (il voltapagine) che deve intervenire anche a preparare il pianoforte. Nel 2006 è uscito il film francese La Tourneuse de pages (La voltapagine) del regista Denis Dercourt, incentrato sulla storia di una pianista e della sua voltapagine.
In tempi più recenti alcuni strumentisti fanno uso di iBook e iPad. Per girare le pagine della musica visualizzata su questi supporti sono disponibili anche i pedali. Il sistema si sta rapidamente diffondendo anche tra gli strumentisti dei quartetti ad arco.
Un voltapagine deve avere l'iniziativa di agire tempestivamente in caso di imprevisti come nel caso di cadute di pagine. Un esempio è capitato durante un recital del violinista Christian Tetzlaff e del pianista Lars Vogt, registrato dalla televisione tedesca presso la Sendesaal Bremen nel 2015. Il video mostra le difficoltà che si possono incontrare, e la prontezza di riflessi della voltapagine Anna Reszniak, quando per due volte cadono le parti.

Organista e registrante
Gli organisti possono azionare da soli alcuni pulsanti sotto la tastiera, e i pulsanti a pedale permettono di continuare a suonare con le due mani. Ma in alcuni casi è necessario staccare le mani dalla tastiera per azionare i pulsanti o tiranti e non sempre è possibile farlo da soli durante l'esecuzione. Gli organisti, pertanto, a livello professionale necessitano spesso di una seconda persona, il registrante, preposto a coadiuvare l'organista nel cambio dei registri e in altre necessità come il voltare le pagine.


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Il turnista (detto anche musicista di studio, session player, session man o sideman) è un musicista convocato per suonare in studio di registrazione per un preciso progetto musicale oppure in appoggio ad un artista o gruppo musicale di cui non è un membro stabile. Si tratta in genere di professionisti ben accreditati cui è richiesto un alto grado di adattabilità per quello che riguarda lo stile, la lettura dello spartito e il repertorio, per potersi rapidamente adattare all'ambito in cui si devono inserire.

Storia
Può essere richiesto sia per l'esecuzione, in fase di incisione, di una o più parti su brani musicali o colonne sonore dove sia necessaria la sua performance, oppure per accompagnare un artista o gruppo durante un concerto o un'intera tournée. Il nome "turnista", deriva appunto da tournée o da turno, intendendo con questo il turno di presenza nello studio di registrazione, pronti a eseguire le musiche di volta in volta proposte.
Molti sidemen hanno una notorietà personale e sono particolarmente ricercati e alcuni finiscono per diventare leader di un gruppo musicale proprio: ad esempio, John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, e Pete Best furono sidemen di Tony Sheridan prima di diventare famosi con i Beatles. Gli stessi Beatles si avvalsero a loro volta di diversi musicisti "esterni al gruppo" durante la loro carriera: tra gli altri fu famoso ad esempio Billy Preston, nell'ultimo periodo.
A volte alcuni affermati sessionmen hanno dato vita a vere e proprie band: è il caso dei Toto e degli Spin 1ne 2wo, mentre in Italia si possono ricordare gli Stadio (per Lucio Dalla, Ron, Francesco De Gregori ed altri), la Steve Rogers Band (per Vasco Rossi) o gli O.R.O. (per Marco Masini, Umberto Tozzi, Raf).
Alcuni musicisti talvolta hanno abbandonato temporaneamente i propri gruppi o la loro attività da solista per fare da sidemen ad altri; è il caso ad esempio di Eric Clapton e di Mark Knopfler, artisti che vantano numerose collaborazioni esterne. La figura del sideman è forse più diffusa nel jazz che in altri generi essenzialmente per la natura fluida delle formazioni jazzistiche che si esibiscono dal vivo: là dove la presenza di musicisti esterni è prevalentemente richiesta in studio, prevale la figura simile, ma più oscura, del turnista (o session man).

Alcuni turnisti famosi
  • Jason White
  • Don Airey, tastierista hard & heavy
  • Duane Allman, chitarrista
  • Ellade Bandini, batterista
  • Gianni Bedori, sassofonista
  • Larry Carlton, chitarrista jazz/fusion
  • Eric Clapton, chitarrista blues/rock
  • Sonny Clark, pianista hard bop
  • Vinnie Colaiuta, batterista
  • Miles Davis, trombettista jazz
  • Tullio De Piscopo, batterista
  • Steve DiGiorgio, bassista
  • Johnny Dodds, clarinettista jazz
  • Bill Evans, pianista jazz
  • Steve Ferrone, batterista
  • Steve Gadd, batterista
  • Mick Jones, chitarrista
  • Mark Knopfler, chitarrista
  • Bradley Joseph, tastierista
  • Chuck Leavell, tastierista
  • Steve Lukather, chitarrista rock e jazz/fusion
  • Monk Montgomery, bassista
  • Morgan Nicholls, polistrumentista
  • Jimmy Page, chitarrista blues/rock
  • Pino Palladino, bassista
  • Phil Palmer, chitarrista
  • Pino Presti, bassista
  • Pat Smear, chitarrista
  • Chris Stainton, tastierista
  • Daryl Stuermer, chitarrista per i Genesis
  • Ian Thomas, batterista
  • Chester Thompson, batterista
  • Fred Wesley, trombonista jazz e funk
  • Phil Woods, alto sassofonista e clarinettista jazz


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Un trombettista è un musicista che suona la tromba.
La tromba è molto spesso associata al jazz, di cui è uno degli strumenti simbolo, ma è usata anche nella musica classica e nella musica leggera, ad esempio in generi come il reggae e lo ska.
A partire dagli inizi del ventesimo secolo la cornetta prima e la tromba poi hanno acquistato un ruolo determinante nel jazz diventandone i principali strumenti solisti. Alcuni dei più noti nomi del jazz delle origini erano cornettisti. Col tempo si è poi imposto l'uso della tromba in Sib al posto della cornetta. Nell'ottica dell'improvvisazione, caratteristica peculiare del genere, il suono potente e duttile della tromba e la sua estensione cromatica l'hanno reso lo strumento preferito da alcuni dei più noti jazzisti delle origini. Nelle piccole formazioni del jazz di New Orleans, che da bande marcianti si stavano trasformando in ensemble stanziali, accanto alla sezione ritmica formata dalla batteria, dal contrabbasso (che prese il posto della tuba) e da strumenti a fiato dal suono più grave (come il trombone), al cornettista o trombettista veniva spesso affidato il ruolo principale, quello di esporre il tema e di esibirsi nell'assolo principale.
Il cornettista Buddy Bolden fu uno dei primi musicisti di New Orleans di cui è riconosciuta un'importante influenza nella storia del jazz. King Oliver e Louis Armstrong furono tra i jazzisti più affermati dell'era classica. Armstrong, in particolare, iniziò come cornettista, ma passò poi alla tromba, rendendola uno dei simboli del jazz.
Con l'avvento dello swing la tromba rimase componente fisso delle sezioni di ottoni delle grandi orchestre e i trombettisti continuarono ad avere un ruolo centrale tra i solisti. La tromba fu in seguito affiancata come importanza dal sassofono (in particolare il tenore e il contralto) sia nello swing che nel be bop. La formazione più classica del jazz a partire dagli anni cinquanta, sia pur con notevoli e frequenti eccezioni, era composta da una sezione ritmica con contrabbasso e batteria, dal pianoforte e da una sezione di solisti normalmente composta da un sassofonista e da un trombettista.
Con il be bop e con gli stili jazzisti venuti in seguito i trombettisti mantennero un ruolo da protagonista, spesso come leader delle formazioni musicali. Tra questi Dizzy Gillespie, Miles Davis, Chet Baker, Clifford Brown e, in epoca successiva, Wynton Marsalis.


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Il tastierista è il musicista che suona genericamente strumenti a tastiera come il pianoforte, l'organo o il sintetizzatore, ma di solito con il termine si indica un musicista che usa tastiere elettroniche, in grado di creare o ricreare diversi tipi di effetti.
La tecnica esecutiva è quella pianistica che si modifica di volta in volta in base al timbro e agli effetti, orientando per selezione modalità esecutive di derivazione pianistica.
È indubbio che ci sono sempre stati artisti in grado di cimentarsi con l'interfaccia e le differenze tecniche che caratterizzano diversi strumenti come l'organo ed il clavicembalo. Il termine, di carattere assai generico, contribuisce a delimitare il ruolo di un musicista in un gruppo musicale moderno, in opposizione a ruoli dal significato spesso più univoco, come quello del bassista, del batterista o del chitarrista.
Tra gli strumenti a tastiera che hanno contribuito all'uso moderno di questo termine, citiamo l'Onde Martenot, il mellotron, l'organo Hammond, i primi sintetizzatori Moog e, più recentemente, il Fairlight CMI.