Nel cinema di fantascienza lo spazio è diventato una scenografia perfetta per esplosioni spettacolari, corpi che si disintegrano in un istante ed eroi che combattono tra boati cosmici più assordanti di un tuono. Ma dietro l’estetica scintillante degli effetti speciali si nasconde un problema ricorrente: una rappresentazione della fisica spesso lontanissima dalla realtà. Non si tratta di pedanteria scientifica: comprendere come funziona davvero il vuoto spaziale ci aiuta a leggere con occhio critico l’immaginario collettivo che il cinema plasma da decenni. E ci ricorda che la verità dell’universo può essere molto più affascinante delle sue versioni distorte.
Tra le inesattezze più diffuse — e più irritanti per chiunque abbia un minimo di conoscenze fisiche — svetta la leggenda dei corpi umani che esplodono o congelano all’istante non appena esposti al vuoto. Una visione drammatica, certo, ma profondamente errata.
Secondo molti film, basta che un astronauta perda il casco perché… boom. Una frazione di secondo, e il corpo si gonfia come un pallone, esplode in una nube di sangue o si trasforma in una scultura di ghiaccio. Effetto visivo impressionante, ma totalmente inventato.
Nella realtà, il corpo umano non esplode passando dalla normale pressione atmosferica al vuoto dello spazio. Perché avvenga una decompressione esplosiva serve un salto di 7–8 atmosfere, non una sola. È un fenomeno documentato — e tristemente noto — nell’incidente del sottomarino Dolphin, dove un cambio di pressione così drastico ha causato esiti catastrofici.
Ma lo spazio? Lo spazio è diverso. Passare da 1 atmosfera a 0 provoca problemi gravissimi, sì: ebullismo (cioè la formazione di bolle nei liquidi corporei), perdita di coscienza in pochi secondi, edema, danni ai tessuti. Tutto ciò è reale e terrificante, ma niente esplosioni hollywoodiane. Il nostro corpo è solido, elastico e strutturato: non collassa né implode come una lattina schiacciata, e non si gonfia fino a scoppiare.
L’altra grande bugia è il congelamento immediato. Una figura sfortunata viene risucchiata fuori da una stazione orbitale e in meno di un battito di ciglia diventa un blocco di ghiaccio.
Sembra logico: lo spazio è “freddissimo”, no?
Sbagliato. O almeno: non nel modo in cui pensiamo.
Lo spazio non è un fluido: è quasi completamente vuoto. Non esiste materia a cui cedere calore per conduzione o convezione. La perdita di calore avviene solo per irraggiamento, il metodo più lento e inefficiente che esista.
Questo significa che un corpo umano non congela istantaneamente. Anzi: impiegherebbe minuti, se non ore, per perdere abbastanza calore da congelare. Prima di diventare una stalagmite cosmica, accadrebbero molte altre cose più pericolose e immediate, tra cui la perdita di coscienza e l’ebullismo dei liquidi corporei.
Uno dei pochi registi a rappresentare fedelmente questo fenomeno? Stanley Kubrick, con 2001: Odissea nello spazio. Nel celebre salto nel vuoto, l’astronauta non esplode, non congela e non produce alcun suono. Una scena asciutta, chirurgica, realistica — e proprio per questo ancora oggi inquietante.
Sebbene la scienza lo ripeta da decenni, Hollywood continua a ignorarlo: nel vuoto totale non ci sono suoni. Il rumore è un’onda di pressione che si sposta attraverso un mezzo — aria, acqua, gas. Nello spazio, semplicemente, questo mezzo non esiste.
Eppure le battaglie spaziali più famose della storia del cinema sono accompagnate da esplosioni fragorose, colpi di laser che ruggiscono, motori che tuonano come draghi. Un’epica costruita sul nulla fisico.
Persino la distruzione della Morte Nera, uno degli eventi più iconici di Guerre Stellari, sarebbe stata completamente silenziosa. Uno spettacolo visivo, certo, ma un silenzio assoluto.
Altro errore universalissimo: le esplosioni “di fuoco” nel vuoto. Fiamme che si propagano, volute arancioni che avvolgono astronavi, torce di plasma che bruciano nell’oscurità.
Ma il fuoco, per definizione, richiede ossigeno. In assenza di un’atmosfera non può svilupparsi, salvo casi particolari in cui i materiali portano già con sé ossidanti interni (come in alcuni combustibili dei razzi). Ma quelle fiamme spettacolari nello spazio aperto? Impossibili.
Persino una detonazione reale nello spazio avrebbe un aspetto completamente diverso: un lampo di luce, detriti proiettati a velocità folli, frammenti che si disperdono, ma nessun fuoco e nessun suono.
La risposta è semplice: drammaturgia. Il pubblico, non abituato alla fisica reale dello spazio, percepisce l’esplosione silenziosa come “sbagliata”, mentre rumore e fuoco sono intuitivi e spettacolari.
Il cinema vive di emozioni, e finché il realismo scientifico non coincide con l’impatto emotivo, molti registi sceglieranno l’effetto più teatrale.
Eppure, quando la scienza è rispettata, il risultato può essere ancora più potente. Kubrick lo dimostra. Alfonso Cuarón in Gravity lo dimostra. Nolan, in parte, in Interstellar, lo dimostra. La verità dell’universo è già straordinaria di suo, non ha bisogno di essere truccata.
Non tutto deve essere realistico in un film di fantascienza: la fantasia è il cuore del genere. Ma quando la distorsione della realtà diventa sistematica, si crea una cultura visiva che plasma idee errate sul funzionamento del mondo.
E questo ha conseguenze:
diffonde falsi miti sulla fisica;
crea aspettative distorte sulla tecnologia spaziale;
alimenta un’immagine infantile dell’esplorazione cosmica;
riduce la complessità dell’universo a un set di trucchi visivi.
Al contrario, una rappresentazione più corretta — anche quando romanzata — può avvicinare il pubblico alla vera scienza, stimolare curiosità, accendere vocazioni e celebrare l’incredibile precisione dell’ingegneria spaziale.
Il vuoto cosmico non ha bisogno di essere romanzato per essere
inquietante.
È già un ambiente estremo:
radiazioni letali;
micrometeoriti che viaggiano a decine di chilometri al secondo;
una pressione nulla che può uccidere in pochi secondi;
un silenzio assoluto, più profondo di qualsiasi cosa sulla Terra.
Questa realtà, resa con rigore, potrebbe essere narrativamente più potente di qualunque artificio. Proprio perché non si basa sull’eccesso, ma sulla verità.
La fantascienza ha sempre oscillato tra immaginazione e scienza. Ma quando il cinema ignora completamente la fisica dell’universo, non solo tradisce la realtà: perde un’occasione. Perché il cosmo, quello vero, è così radicale, così estremo, così magnifico, che non ha bisogno di esplosioni rumorose o congelamenti istantanei per lasciare il segno.
Forse il futuro del genere sta proprio qui: nel riconoscere che la scienza non limita la fantasia, ma la potenzia. E che la verità dello spazio — silenziosa, letale, immensa — è più spettacolare di qualsiasi effetto sonoro.
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