Tutto?



Tutto è importante.

Nei film non ci sono tempi morti. Tutto quello che vedete sullo schermo deve servire la storia in qualche modo. Ciò che non serve alla storia viene lasciato fuori.



Tutti parlano per essere ascoltati.

I dialoghi sono sempre a favore di pubblico. I personaggi parlano non solo tra di loro, ma anche con il pubblico che li sta ascoltando. Nessuno parla così, nella vita reale. Le frasi sono sempre costruite a regola d'arte, coerenti, filanti, ritmiche, e anche quando sono complesse e piene di subordinate nessuno perde il filo del discorso.


Tutto ha un tono.

Lo stesso evento può essere raccontato in modo drammatico o in modo comico. Un divorzio può essere il tragico finale di un dramma familiare o il divertente inizio di una commedia romantica; la morte di un animale domestico può essere una gag spassosa, come in Un pesce di nome Wanda, o il climax strappalacrime di Hachiko o Io & Marley.



Tutti hanno uno scopo.

La vita dei personaggi è concentrata su un unico obiettivo. In Mission Impossible ci frega qualcosa dell'infanzia e dell'adolescenza di Ethan Hunt? Se i suoi genitori siano ancora assieme oppure no? Se ha avuto un animale domestico a cui ha voluto molto bene oppure no? La storia non parla di quello e quindi è come se quella parte della sua vita non esistesse.



Tutto questo cade, comunque, sotto un unico ombrello, la principale differenza tra la vita vera e la vita delle storie: le storie hanno un narratore, la vita vera no. C'è qualcuno che decide quando la storia comincia e quando finisce, qual è la lezione da imparare (se ce n'è una), che cosa è importante sapere e cosa no, cosa mettere dentro e cosa lasciare fuori. Non importa quanto, della storia, sia ispirato o si basi "sulla vita vera": le storia non sono vere, sono verosimili. Tutto quello che capita nei film è irrealistico, perché non è la realtà: è una metafora della realtà. Ogni film è un ecosistema a parte che funziona con le proprie regole: alcune sfidano le leggi della fisica e della logica per come le conosciamo, altre invece propongono scenari che in tutto e per tutto sembrano aderire alle nostre regole e al nostro mondo… ma, in quanto storie, non saranno mai la copia carbone della nostra realtà.

Altrimenti non ci servirebbero le storie, ci basterebbe affacciarci alla finestra e guardare fuori. Saremmo felici così.


Questione di vulnerabilità.

Usiamo come esempio la serie Squid Game.

Il protagonista, Seong Gi-hun, è uno stronzo da manuale. Nella prima puntata ci viene presentato come un parassita mantenuto dalla madre anziana, a cui ruba i soldi per andare a scommettere ai cavalli. Non riesce nemmeno a risparmiare due spicci per comprare un regalo di compleanno alla figlia che non vede mai, va subito a buttarli al gioco come un cretino. Appena mette le mani su un po' di soldi, arrivano gli strozzini a gonfiargli la faccia di sberle. Uno sfigato, un perdente, uno che sembra aver sempre voltato le spalle alla vita per inseguire quella che gli pareva la via più facile per tirare su quattro spicci.

Ma ci sono tre momenti, nella prima puntata, che ci fanno capire che Seong Gi-hun vale più di così:

1) quando sbatte contro Sae-byeok mentre sta scappando dai creditori e trova comunque il tempo di fermarsi per aiutarla a rialzarsi;

2) quando dà da mangiare al gatto, dopo aver preso del pesce per cena;

3) quando gioca a ddakji con il reclutatore e vince la prima partita: ha ormai dimenticato di farlo per soldi, è diventata una questione di principio, di rivalsa, e di istinto alza la mano per poter finalmente essere lui, a dare un bel ceffone in faccia all'avversario.

Ci saranno poi altri momenti di questo tipo nelle puntate successive, ma fate caso a come tutte queste siano premesse necessarie, nella prima puntata, per far sì che il pubblico empatizzi con il protagonista al punto da pensare "Okay, sarà anche uno stronzo, ma sotto sotto…". Se non lo mostrassero nella prima puntata, il pubblico potrebbe non trovare la forza di dare il beneficio del dubbio e di guardare le puntate successive.

Aggiungiamo anche l'effetto del contrasto.





Gi-hun sicuramente non è un eroe senza macchia e senza paura: ha dimostrato di avere poca spina dorsale e più debolezze che capelli in testa. Tuttavia, se lo confrontiamo con altri concorrenti, improvvisamente ci sembra che i suoi, di difetti, siano molto più tollerabili.

Gi-hun sarà anche un debole, ma Jang Deok-su è un violento e un prevaricatore. Cho Sang-Woo è un tale manipolatore che fa di gran lunga preferire la brutalità manifesta di Deok-su, che almeno, se ti deve accoppare, lo fa rendendosi un pericolo evidente.

Gi-hun avrà un sacco di difetti, ma quelli più spaventosi, quelli senza possibilità di riscatto o redenzione, vengono sapientemente distribuiti su altri personaggi.

Il contrasto funziona anche nella direzione inversa, però. Per creare una zona di grigio ancora più interessante, anche le virtù brillano in realtà sui volti altrui, non su quello di Gi-hun.




È grazie a questo che Gi-hun diventa un centro del bene relativo. È circondato da personaggi peggiori di lui e migliori di lui; in questo modo, i suoi pregi e i suoi difetti ci sembrano più onesti. Gi-hun si muove in una zona di grigio in cui ci appare più accessibile e più umano. È un povero diavolo, dopotutto — come noi spettatori che lo guardiamo.

La sua vulnerabilità, questa intrigante via di mezzo, ci permette di affezionarci a lui: consapevoli dei suoi limiti, testimoni dei suoi valori.


Credo che non solo la pubblicità possa influenzare il Mondo, ma anche semplicemente i film.

Uno dei film più discussi degli ultimi anni è 50 sfumature di grigio.

Tutti possiamo pensare come possa aver influenzato questo film la nostra vita?

Lo rivela Pornhub in uno studio, ha dimostrato che nei giorni successivi all'uscita del film:

La parola più ricercata sia sottomissione: +219% delle donne e +46% degli uomini.




È risaputo che la maggior parte delle attrici cinematografiche deve andare a letto con produttori/registi/attori/finanziatori cinematografici/mafia della malavita e altri, inclusi agenti/mediatori, per ottenere un ruolo nei loro film. È diffuso e prevalente a vari livelli nell'industria cinematografica e anche nelle sue attività ausiliarie come la modellazione e la pubblicità, in diverse forme. Vale anche per aspiranti attori/modelli maschi. Questo orribile fenomeno è chiamato "Casting Couch". È un segreto universale che tutti conoscono, molti sperimentano personalmente, ma nessuno è pronto ad ammetterlo apertamente.

La maledizione compulsiva del "Casting Couch" (sia femminile che maschile) è una dura realtà che è comunemente prevalente in ogni fase dell'industria cinematografica. Questo modo di vivere lascivo è semplicemente e convenientemente considerato un rischio professionale nell'industria cinematografica. Il livello di lussuria nell'industria cinematografica indiana farebbe vergognare anche i nostri randagi randagi. Nessuno può mai sognare di diventare grande a meno che non sia completamente compromesso sul divano del casting per scalare la scivolosa scala del successo.

Il mio punto di vista in questa materia è semplice e diretto. Ci vogliono due per il tango. Non c'è né vittima né vincitore. Non c'è peccatore o santo. Entrambe le parti sono coinvolte per i propri fini egoistici. Una parte sta cercando un "favore" e l'altra il "prezzo" per il favore. Niente viene gratis in questa corsa al successo, in particolare a Bollywood / Hollywood / Altri dove è un mondo dannatamente spietato e spietato di un pervertito glamour e sfarzo. Chi sfrutta l'occasione vince la partita.

Allora qual è il grosso problema? Nessuna delle parti sono bambini - sono adulti consenzienti. Un atto di "sfruttamento" è contrapporsi a un altro atto di "estrazione" equivalente. Funziona in entrambi i modi. Colui che ha estratto il 'beneficio' del casting couch accaparrandosi un ruolo in un film, non lo ammetterà mai e poi mai. Per entrambe le parti, è una questione di "missione compiuta": entrambe hanno raggiunto i loro obiettivi personali e ottenuto ciò che volevano. Quindi tutto è quadrato e giusto. Solo coloro che hanno compromesso ma non sono riusciti a ottenere il "beneficio" si lamenteranno e si lamenteranno del lettino del casting. Ma il mondo non ha tempo per i miserabili perdenti. Sono rapidamente dimenticati, fatti e spolverati. È ora di andare avanti. Nulla cambia davvero!





Buongiorno a tutti coloro che ci stanno seguendo su questo blog!
Anche oggi siamo in vena di consigli, e speriamo di fare cosa gradita a tutti coloro che sono in procinto di pubblicare un disco, prima che spendiate tutti i vostri soldi in uno studio di registrazione, cercheremo di migliorare la vostra avventura musicale. E, consapevoli di apparire presuntuosi, magari anche il mondo della musica, perché no!
Ma facciamo un passo indietro.
Fino a pochi anni fa, gli studi di registrazione venivano scelti dalle etichette discografiche, affittavano lo studio, compreso di fonico, ci mettevano il produttore a lavorare e si sfornava il disco. Il musicista pagava l'etichetta, e l'etichetta pagava lo studio di registrazione che aveva affittato.
Ovviamente chi era già affermato o era in ascesa, tra i musicisti, spesso si pagava il disco con un anticipo dalle vendite dei vinili e dei cd.
Oggi, invece, la situazione è molto, ma molto diversa. I giovani artisti e i piccoli studi di registrazione, molto spesso, sentono un complesso di inferiorità nei confronti delle case discografiche, che li porta fino ad arrivare ad esercitare un lavoro che non gli compete, ovvero quello di produrre i dischi, che storicamente appartiene proprio alle etichette discografiche. Oggi, i giovani artisti, spendono un sacco di soldi negli studi di registrazione, incantati dalla visione spesso stereotipata e deformata di mixer giganti, moquette sgargianti e parquet lucidi, per poi in un secondo tempo andare in cerca di un'etichetta discografica con il “disco finito”.
Ormai la maggior parte dei musicisti fa così, armata di sogni e di indirizzi mail. E gli studi?
Ovviamente alimentano tutto ciò: hanno fatto forti investimenti, e più dischi registrano più hanno la possibilità di sopravvivere a questa crisi.
Ma attenzione! Siamo sicuri che l'artista, dopo essere stato in studio di registrazione, si ritrovi poi dopo con un disco finito?
Alla 1437 United Artist, in media riceviamo 150 demo al giorno. E spesso, troppo a dire il vero, ci capita di dire al musicista: “Complimenti! Bella demo!”. Già, qualcuno inizialmente è convinto di ricevere un bel complimento, e invece… E invece scopre che “il disco non solo non è finito, ma è anzi da rifare”. “L’abbiamo fatto in studio”- ti dicono. Il nome dello studio? Sono sempre gli stessi. Non gli studi, proprio i nomi: sono tutti simili tra loro. “Super Sound Recording Studio” / “Garage Studio Records” / “New Sound Studio” e così via (nomi di fantasia, ma probabilmente qualcuno esiste). Quando andiamo a visitare i loro siti vediamo che compaiono le solite fotografie, delle astronavi meravigliose, stralucide, con il pavimento lucido, mixer enormi, armadi di rack e tante, tante, lucine colorate. Chiunque di primo acchito direbbe: WoW.
Ma allora come mai il disco non suona.
Già. Spessissimo infatti, il lavoro svolto in studio ha un sound vecchio, datato, che sa di stantio. Oppure, in alternativa, il disco tecnicamente ha qualità ottima, il suono è perfetto, ma le potenzialità della canzone sono espresse al 2% percento. E qui, inizia il nostro ingrato compito, dobbiamo spiegare ad un ragazzo che ha già speso tutto, che per registrare una hit sarebbe bastato un computer, una buona scheda audio (che non è grande e non ha tanti tasti e tante lucine) e un buon microfono. Oppure a spiegargli che il prodotto con cui gira e ci è venuto a trovare, in realtà non è pronto neanche per fargli fare bella figura con una promo in una radio locale.
Che, con la voce che si ritrova, avrebbe per esempio, potuto fare un lavoro completamente diverso, e invece il prodotto che ci ha presentato risulta essere uguale ad altri 10.000…
Nella maggior parte dei casi è tutto da rifare. Ed è molto, molto faticoso.
Così abbiamo deciso di pubblicare questo post sul nostro blog, una serie di consigli, dove elenchiamo quelli che a nostro avviso sono dei buoni motivi per non presentarsi a una casa discografica con un “disco finito in studio”. Tanto meno completo di copertina , come ci vengono presentati nella maggior parte dei casi. Chissà che quello che leggerete non possa essere di vitale importanza per qualche giovane artista alle prime armi! Buona lettura:
Dei buoni motivi per fare ascoltare prima la registrazione di una propria demo ad una etichetta discografica prima di spendere inutilmente dei soldi in studio.

Natura e definizione
Iniziamo col dire che un'etichetta discografica è un soggetto che, per propria natura e definizione, produce dischi. Gli studi di registrazione, invece, per propria natura e definizione, sono invece quei soggetti che registrano. Attenzione; l’uno non esclude l’altro, per fare un buon disco serve comunque una buona registrazione. Ma lasciamo che ognuno faccia il suo mestiere.
Quando il mondo della discografia non era ancora aperto anche ai dilettanti, gli studi di registrazione venivano scelti dalle etichette.

Artisti vs Fonici
La post-produzione è quel contesto che serve per chiudere un brano, una volta che è stato registrato tutto il materiale audio che necessita per finire il lavoro. Purtroppo molti studi di registrazione, diciamo pure nella maggior parte dei casi, non fanno post-produzione (se non per limitare i difetti delle registrazioni da loro fatte). La post-produzione è un’arte, nell'arte, che va ben oltre semplice registrazione, e di certo non la può fare un semplice fonico. Un fonico per quanto bravo possa essere, al limite può imitare il lavoro di un produttore, ma rincorrere non è mai la soluzione vincente. E comunque, a prescindere da chi sta dietro il mixer, è molto importante che a fare la post-produzione sia una persona diversa da quella che ha eseguito le registrazioni. E' lo stesso motivo per il quale nel cinema, anche se il regista sa benissimo come si esegue un montaggio, affida il lavoro ad un montatore qualificato, così come il montatore non farà il colorist.

Siamo nel presente
Come diceva Tom Waits, la musica è come la medicina: ti faresti mai operare al cuore con una macchina degli anni ’50 perché è grossa e ha tante lucine colorate?
L’elettronica degli ultimi 17 anni di sicuro non la si è potuta fare con una strumentazione datata anni '80 del secolo scorso. Siamo i primi a riconoscere che un mixer gigante ha il suo fascino. Purtroppo c'è chi ancora ci casca, non vi fate abbindolare.

Siate economi
Tony Maserati gira per gli Usa con un paio di monitor, un portatile e una scheda audio. E così ha lanciato i Black Eyed Peas. La differenza tra uno studio di registrazione e un'etichetta, è che uno studio di registrazione è costretto a proporti sempre la soluzione più costosa per fare il disco perfetto. Un'etichetta, invece, ha un approccio completamente diverso, stai tranquillo che l'etichetta sa dove e come farti spendere poco o niente. Anche perché se ti ha proposto un contratto, vuol dire che si è già messa ai ripari.

Cointeressenza
Ricordatevi sempre che non sono gli studi di registrazione quelli che vendono i dischi. Per questo non hanno nessun interesse a rischiare. Ad uno studio, generalmente, se il disco è forte o meno, cambia poco. Sia moralmente che economicamente. Perché? Perché gli studi di registrazione si reggono economicamente sul numero di dischi che vengono registrati e sulle ore che si spendono in sala prove, mentre le etichette si reggono sulla qualità dei dischi che vengono pubblicati. Perché, il tempo è denaro, e non è che se si impiegano 2 anni a fare un disco poi è automatico che l'etichetta ci guadagni, anzi.

Basic Marketing – Digital Era
Un'etichetta è costretta, comunque la si voglia vedere, a fare del marketing tutti i giorni. Soprattutto nell’era digitale. Convincere la distribuzione a far mettere il banner pubblicitario su iTunes, essere visibili negli stores e creare delle campagne performanti, portano l'etichetta a vedere il “proprio prodotto discografico” dall’esterno. Oggi il rapporto tra un'etichetta come la nostra ovvero la 1437 United Artist e gli stores è roba seria, non è più come fino a qualche anno fa, quando chi vendeva i dischi fisicamente contava qualcosa. Ora gli stores e le piattaforme streaming e mobile più rilevanti sono una cinquantina in tutto il mondo.

Advanced Marketing – B2B vs B2C
Esistono due modelli di business nel mondo degli e-commerce. Il modello “Business to Business” (B2B) e il modello “Business to Client” (B2C). Esiste cioè il business che fa transazioni con altri business, senza arrivare direttamente all’utente finale, e il business basato sulle transazioni con l’utente finale. Per fare un esempio semplice semplice, la ditta che produce cinture e accessori per le grandi firme è B2B e il negozio di Armani B2C. Paragonando il tutto al nostro caso, è come se lo studio di registrazione fosse B2B e l'etichetta…entrambi: sia B2B che B2C. Un'etichetta , quindi, può lavorare con gli artisti esattamente come uno studio, ma poi deve anche sapere proporre il prodotto al consumatore di musica. Fatto questo ragionamento, ti sembra il caso di portare ai clienti finali un lavoro finito da un soggetto il cui business non dipende dai clienti finali ma…esclusivamente da quanti soldi riceve da te?

Orgoglio
Lo studio fa il disco esattamente come lo vuoi tu. L'etichetta probabilmente no. E questo fa perdere la tramontana a qualcuno. Perché lo studio fa quello che vuoi mentre l'etichetta entra in merito? Perché ad alcuni artisti da fastidio che non si eseguano meramente ordini nella realizzazione del disco? Sembrano domande semplici, ma non lo sono. Non giungere frettolosamente a risposte superficiali

What is Pop? Baby don’t hurt me…
A meno di non essere un virtuoso del clavicembalo, soprattutto se fai pop music, è assolutamente sconsigliato affidare la riuscita del disco alla sola registrazione di un fonico. Il risultato è già sentito, per antonomasia. In teoria sarebbe sconsigliato comunque, ma se fai pop sarebbe proprio un errore grave, da Be-Bop-A-Lula e dai Beatles in poi. Noi, ad esempio, siamo un'etichetta a cui piace la roba elettronica, fantastica, lavoriamo per costruire sogni, non fotografie. E' anche una questione di gusti, è chiaro, ma della registrazione acustica nuda non ce ne facciamo niente perchè siamo anni ’60 fino al midollo. I Beatles, senza la magia dell’elettronica da Sergent Pepper’s Lonely Heart Club Band ad Abbey Road, non sarebbero mai stati i Beatles!

Strategia!
Per avere successo nel mondo della musica, i soggetti più importanti di cui hai bisogno sono in ordine:
– un'etichetta discografica – un'agenzia di booking – un promoter specializzato.
E' bene evitare di avere a che fare con soggetti che si propongono di fare tutte e tre le cose insieme (lo sappiamo, è il sogno di tanti, ma può essere anche un incubo, siete avvertiti…) sappiate che trovare le agenzie di booking e i promoter giusti dipende dal risultato del lavoro svolto con l'etichetta, perché sono proprio le etichette a confezionare il prodotto in tandem con il lavoro di agenzie e promoter.

Conclusione
In poche parole: scorporate la registrazione dalla produzione, finchè siete in tempo. E con questa sintesi estrema dei motivi, vi auguriamo buon lavoro, a prescindere da ciò che vorrete fare.

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Soul, che letteralmente significa "anima" in inglese, è un termine essenzialmente usato per riferirsi ad un tipo di musica sviluppata dagli anni sessanta dai neri. Otis Redding, Donny Hathaway, Aretha Franklin, James Brown, Ray Charles, Wilson Pickett e Stevie Wonder sono alcuni dei nomi maggiormente rappresentativi della soul music. La “musica dell'anima” nacque dalla fusione delle sonorità del jazz e del gospel con i modi della canzone pop.

Storia

La musica soul fu il risultato dell'urbanizzazione e commercializzazione del rhythm and blues negli anni sessanta. Il termine emerse per definire una serie di generi basati sullo stile R&B. Dai gruppi orecchiabili e melodici sotto la Motown Records, alle band guidate dai fiati della Stax/Volt Records, esistevano molte varianti all'interno della musica soul. Durante la prima parte degli anni sessanta, il soul rimase strettamente legato alle radici del R&B. Tuttavia, in seguito i musicisti spinsero la musica in direzioni differenti; spesso, diverse regioni dell'America davano alla luce diversi tipi di soul. Nei centri urbani come New York, Filadelfia, e Chicago, la musica era concentrata sugli interventi vocali e produzioni molto morbide e melodiche.
A Detroit, la Motown si concentrò nel creare un sound orientato particolarmente sul pop influenzato in parti uguali dal gospel, jazz, R&B e rock & roll. Nel sud invece, il genere assunse tratti più duri, con ritmi sincopati, voci grezze, e fiati squillanti. Tutti questi stili di soul dominavano le classifiche di musica nera negli anni 60 e spesso venivano proposte anche nelle classifiche pop. Verso la fine degli anni 60, il soul iniziò a frammentarsi, quando artisti come James Brown e Sly Stone scoprirono il funk, come altri artisti si orientarono su nuove varianti. Nonostante questa evoluzione del soul, questo non tramontò mai: non solo risultò l'influenza di base per i gruppi R&B degli anni 70, 80, e 90, ma fu sempre ispirazione per i musicisti di tutto il mondo che riproposero il soul tradizionale.

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Il Café-théâtre è una forma di spettacolo diffusa in Francia, e soprattutto a Parigi, di invenzione relativamente recente, nata quando nel 1961 M. Alezra aprì la Vielle Grille, un bar-drogheria dove di tanto in tanto venivano presentati piccoli spettacoli, poesie o canzoni. È solo nel 1966 che venne fondato il primo café-théâtre vero e proprio, il Royal, creato da Bernard Da Costa. La derivazione è però precedente, essendo esso simile al genere del café-concert.
Come dice il nome stesso, il café-théâtre è un piccolo teatro dove è possibile bere, ma non è obbligatorio prendere una consumazione. Gli spazi piuttosto ristretti a disposizione degli artisti li obbligano ad adattarsi e a rinunciare alla maggior parte degli accorgimenti tecnici di scena. Inoltre lo spettacolo dura generalmente dai 50 ai 60 minuti, permettendo così il susseguirsi di più spettacoli diversi davanti ad un pubblico molto ristretto, in quanto le sale possono contenere circa una cinquantina di persone.
Il café-théâtre è uno spazio di libertà dove gli artisti possono esprimersi senza tabù e la vicinanza e la situazione di intimità con il pubblico è la sua caratteristica principale.


Sergio Leone oltre ad essere uno dei nostri più grandi registi, è ricordato anche per i metodi di lavoro “poco ortodossi” che potevano mettere a rischio l’incolumità degli attori.

Piuttosto nota è la scena del treno in "il Buono, il brutto e il cattivo" dove lo stesso Eli Wallach e Mario Brega dovettero saltare realmente dal treno in corsa.

Ma il vero pericolo Wallach lo corse nella scena successiva, rischiando seriamente la vita.

L'attore, doveva portare un fantoccio, che sul set rappresentava il cadavere di Brega, sui binari del treno per liberarsi delle manette.

Mentre arrivava il treno, Leone ordinò a Wallach di girarsi dalla parte opposta e non guardare. Per un soffio l’attore non venne decapitato dalle piattaforme in ferro che sporgevano da ogni vagone del treno, quelle usate per poter salire e scendere.

Dieci centimetri di più e sarebbe stata la sua fine.

Ma il regista non si ritenne soddisfatto e volle ripetere la scena, con Wallach che pretese di stare disteso su un dislivello maggiore. A fine ripresa, però, il volto del protagonista non si vedeva perché posizionato troppo in basso. A quel punto Wallach si rifiutò categoricamente di rifare la scena , e disse a Leone: “Sarà meglio che usi il primo take!". E, visto che il regista si mostrava poco collaborativo, lo convinse con :

"I tipi grossi come te mi piacciono, perché quando cascano fanno tanto rumore”.



È difficile credere che solo 33 anni fa questo tizio era un giornalista disoccupato con un solo anno di college quando decise di fare un documentario.


Ha ipotecato la sua casa, ha usato i soldi che ha ottenuto dalla liquidazione di una causa contro Mother Jones (periodico statunitense, lo hanno licenziato come caporedattore), e poi ha chiesto una sovvenzione all'agenzia di promozione cinematografica del Michigan.

Ha prodotto il film con soli 160.000 dollari. Dopo essere stato un grande successo al Telluride Film Festival e aver vinto il premio People's Choice al Toronto International Film Festival, ha fatto distribuire il film che ha incassato 7,7 milioni di dollari al box office. Ha ottenuto la metà.


Negli anni ‘30 fumare era remunerativo.


Non mi guardare così Anita, ormai bisogna dire la verità!


Per ogni attore disposto a farsi immortalare con una “bionda” in mano, c’era un lauto assegno offerto dalle major del tabacco.

Lo ha rivelato soltanto una decina di anni fa la lega americana anti-fumo (Center for tobacco control) infrangendo un mito del cinema Usa.

I polsi in posa con la sigaretta penzolante e le sensuali volute di fumo che avvolgevano i volti delle star non erano dettati da esigenze filmiche, bensì pubblicitarie.



Grazie ai ricercatori dell’Università della California sono venuti alla luce contratti e compensi percepiti dai divi nell’età dell’oro di Hollywood.

I più pagati? Gary Cooper e Clark Gable. Ma tutti i loro colleghi più importanti sono stati ingaggiati per promuovere marche di sigarette tra gli anni ‘30 e ‘50.

Le sigarette perciò non erano usate come uno strumento espressivo nel mondo della settima arte, ma erano utilizzate per fare pubblicità occulta.


Penso che il suo segreto stia nel fatto che sa come rendere questi personaggi interessanti. Hanno un modo di parlare diverso rispetto agli altri. Non assomigliano per nulla ad altri personaggi. I loro dialoghi sono interessanti e ben scritti.

Alla gente piacciono perché non sono noiosi.

Prendiamo per esempio il personaggio di Anton Chigurh dal film "No Country for Old Men" (Non è un paese per vecchi 2007).

Sì, lo so che si tratta di un film dei fratelli Cohen, ma l'effetto è lo stesso.

Ha un taglio di capelli ridicolo, uccide le persone con metodi ridicoli e ha persino un suo codice morale ridicolo (che sfida la logica). Somma tutte queste cose e non stupirti se poi la gente se ne viene fuori con questo:



Un Action figures super carino di… un serial killer.

Quando affidi ad un buon attore la parte di un personaggio intrigante e un dialogo fantastico da recitare, all'interno di una storia e di circostanze uniche, il film rimarrà impresso nella mente delle persone.

La maggior parte degli scrittori di film utilizza personaggi e trame copia-incollate per le proprie pellicole d'azione. Quentin ha capito qualcosa di semplice ma effettivo: non è tanto ciò che accade nella storia ad essere importante, ma intorno a chi questa storia si sviluppa.

Tutto gira attorno ai personaggi.

Vuoi realizzare un film western? Puoi scegliere la via di Clint Eastwood, quindi scrivere la classica storia di un cacciatore di taglie brizzolato; oppure puoi seguire il percorso di Quentin Tarantino e scrivere di un bounty hunter che manovra una carrozza con un dente traballante sul tetto?


Questo è stato il primo disegno di Voldemort. In "Harry Potter e la pietra filosofale" (2001), il cattivo appare come un secondo volto nella testa del Professor Quirrell.



Nella storia, Lord Voldemort è stato sconfitto da un incantesimo di protezione lanciato dalla madre di Harry 11 anni prima, che gli ha fatto perdere la sua forma fisica. Vive quindi come un parassita finché non ottiene la sua vendetta e un nuovo corpo.

Ma questa prima versione del Signore Oscuro sembrava troppo spaventosa per i bambini dell'epoca, nonostante fosse simile alla versione del personaggio nei libri.