I pessimi scrittori, non si esercitano per nulla. Vanno alla ricerca dell’ispirazione ‘perfetta’ soprattutto aspettandola (leggi: ‘non facendo un bel niente’). Credono che ‘scrivere’ sia ‘pensare’, e cercano dunque di ‘trascrivere’, non di scrivere: trascrivere quello che pensano, quello che credono, quello che provano… E aspettare.


L’idea è quella che la scrittura sia riflessione (non creazione) e che, essendo naturalmente NATI superiori ai loro simili, le loro riflessioni saranno dunque ‘naturalmente’ interessanti, se non addirittura preziose, geniali, strazianti, emozionantissime, ecc.


Nelle loro teste (e SOLO nelle loro teste), ogni singola riga che scrivono è preziosa come il platino, e cercano dunque di non sprecare ogni singola goccia di inchiostro. Pensarla in questo modo non solo è facile, ma è sopratutto divertente ed estremamente piacevole: non confrontarsi con nessuno e nno lavorare su se stessi ti dà sodisfazione immediata (cosa di cui lo scrittore esordiente ha disperatamente bisogno). E ti consente inoltre mille alibi in caso di fallimento coi lettori (‘non sono abbastanza commerciale’, ‘non sono io che scrivo male, è la massa ignorante che non è in grado di capire’, ‘scriverò meno di altri scrittori, ma almeno non sono un imbrattacarte come Dan Brown!’).

Gli scrittori validi, invece, non solo sanno che leggere tanto aiuta a scrivere meglio, ma sanno perfino perché. Perché a conti fatti, scrivere non è altro che è un continuo risolvere ‘problemi narrativi’. Una quantità infinita di diversi problemi narrativi, e più uno legge, più è in grado di ‘rubare’ le ‘soluzioni narrative’ degli altri per raccontare le sue idee.


Ecco allora che uno scrittore valido legge in maniera quasi ‘sportiva’ ovvero non solo cercando di leggere sempre tanto, ma di leggere ANCHE i libri che non gli piacciono o che non ritiene di grande valore. E non lo fa ‘per cultura’, ma perché quei libri sono UTILI a lui. Perché quei libri offrono soluzioni ai suoi difetti stilistici o narrativi. In conclusione, legge quello che gli serve leggere per risolvere i suoi difetti.
Ma per riuscirci, ovviamente…


Lo scrittore ‘valido’ accetta fin da subito di non essere nato genio, e decide che vuole migliorare se stesso ad ogni costo e con grande fatica giorno per giorno. E soprattutto, accetta di essere piccolo, insignificante e alle prime armi. Una volta accettata la sua realtà, cerca di fare di tutto per migliorare: ovvero trovare idee sempre migliori, e farle funzionare sulla carta sempre meglio.

Adesso però - se ci pensate bene - esiste un modo per migliorare se stessi che va bene per qualsiasi cosa, non solo scrivere: si chiama 'fare esperienza'.
Perché qualunque cosa faccia un essere umano, accumulare esperienza lo aiuta a farla meglio. GIUSTO?
Voglio giocare meglio a calcio? Meglio allenarmi e fare un po’ di partite, perché col tempo migliorerò.
Voglio suonare meglio il violino? Meglio andare a lezione e suonar almeno ogni tanto, per capire come deve essere suonare dal vivo.
Ma certo che è così, maledetti scrittori!!!!
Perché in tutte le altre arti accettiamo l'importanza dell'esperienza e del metodo, ma in letteratura no? Boh.
O meglio, VOI non lo accettate. Gli scrittori bravi, invece, SANNO che impegno costante e esperienza FUNZIONANO.
Sanno che è così per esperienza personale, dunque non hanno bisogno di crederci.
D’altro canto, l’esperienza ti migliora nel fare qualunque cosa. Perfino il sesso.
Ovvio, no?
E invece no. Per la maggior partedi chi scrive, impegno, metodo ed esperienza non servono a nulla, e per difendere la propria pigrizia la chiamano 'spontaneità' e ricorrono smepre all'uso dei geni assoluti della letteratura per giustificarsi.
Chissà perché, quando si parla di scrittura creativa si parla sempre e solo di capolavori e di geni. E’ tutta la vita che sono circondato da capre che pensano che l’esperienza, per uno scrittore, non conti assolutamente nulla e quando gliene parli te lo 'dimostrano' citando capolavori assoluti della letteratura. E' una scemenza. Nessuno impara a guidare guardando i documentari su Senna o Schumacher. Usare i geni della letteratura per negare il valore del duro lavoro è un po' come dire che uno studente di matematica deve solo farsi cadere una mela in testa per fare una scoperta scientifica che cambi la storia dell'umanità” Citazione di Wallace Lee. Trattasi di discorso che ripeto ogni volta che qualcuno cita i risultati di un genio della letteratura mondiale… per difendere la sua pigrizia di scrittore.


Lo scrittore valido, invece, si mette sotto a scrivere tanto e per anni, e lo fa senza pretendere che ogni sua singola cagata, buttata lì a caso, sia PER FORZA un capolavoro, e debba dunque finire PER FORZA pubblicata (atteggiamento, quest’ultimo,classico dei pivellini).
Pubblicatemi! Scrivo capolavori nel tempo libero, quando mi annoio!!!! Ma non capite? Ma come fate a non capire! Nel tempo libero sono un genio! Sono un dannatissimo genio!!!!“-> Citaz. del pessimo scrittore.
Il bravo scrittore, viceversa, comincia a scrivere racconti brevi praticamente a caso, solo per sperimentare generi, stili e soprattutto ‘soluzioni narrative’ (‘mezzi per dire quello che deve’) nuovi, e lo fa per migliorare sia il suo stile che il suo processo di creazione delle idee.
E si impegna molto mentre tutt’intorno tutti gli dicono che non serve a nulla, che non ha senso ‘prenderla tanto sul serio’, eccetera.
Ma quando cavolo stai lavorando? Sei pazzo?
Bé, forse non sei tu che sei pazzo: sono loro che non hanno capito nulla.
Ah, la creatività! questo grande mistero! il più grande mistero in assoluto della mente umana” dice la capra.
Mistero?” risponde il vostro Wallace.
Macché mistero. La creatività è solo un muscolo: più lo usi, più si ingrossa. Più pesi sollevi (scrivere) e più mangi (leggere) e più potente diventerà la tua creatività. Semplice quanto fare body building. Anzi, magari non sarà più facile, ma di sicuro è più semplice del body builing dove tra over-training, under-training, scheda sbagliata, hard-gaining, dieta, riposi e dio sa cos'altro… puoi sbagliare talmente tante cose - pur allenandoti come uno schiavo - che a volte non metti su nemmeno un filo di muscolo.
E pensare che avevi sempre snobbato il body-building, vero?”
Anonimo e Wallace, 2014

A quel punto, nella testa dello scrittore umile - mentre si sta facendo un mazzo quadrato scrivendo spazzatura al solo scopo di migliorare se stesso - succede una cosa strana.
Succede che ogni tre lavori scritti per niente, per caso, esercizio, ecc… Una di quelle ‘natural-born-ciofeche’ si rivela invece essere una vera, autentica e devastante bomba atomica. Era l'ultima idea che avresti mai immaginato potesse creare qualcosa di buono, e invece ogni personaggio è indimenticabile, ogni scena un film già scritto nella tua testa, ogni emozione potentissima. Sei invasato, sei impazzito e adesso devi solo ‘trascrivere’. Devi solo pensare a come mettere tutto quel ben di Dio sulla carta meglio che puoi, ovvero al meglio delle tue REALI capacità espressive.
In altre parole, devi solo trascrivere un capolavoro che si è materializzato dal nulla.


Il meglio dentro di te arriva SEMPRE per caso. E no, non è MAI quello che 'hai sempre sognato di scrivere'.
…E adesso ti tocca portarlo a termine con mesi e forse anni di lavoro (se ne verrà fuori un romanzo o peggio ancora, una saga), e lo farai anche se non c’entra nulla con il genere che ti piace, con quello che vorresi scrivere e soprattutto con il tipo di scrittore che vorresti essere.
Se sei un fan di Leopardi, ma il capolavoro dentro di te è una commedia alla Massimo Boldi e Cristian De Sica… Per Dio, allora tu l’accetterai e diventerai uno scrittore di rutti, scoregge, eccetera. Questo perché - che tu lo voglia o meno - l'unica alternativa possibile ad una onesta 'ricerca del meglio'… E' scrivere male.
Se scrivi quello che vuoi, scrivi male.
Quindi tu esplorerai, troverai e accetterai il meglio che c'è dentro di te e lo accetterai qualunque cosa sia. E lo farai perché hai lavorato per anni a diventare un bravo scrittore, e se è quello è il meglio dentro di te, tu lo accetterai punto e basta. Lo accetterai pur di scrivere bene.
E dopo due o tre bombe atomiche incrociate ‘per puro caso’, facendo solo esercizio - ma portate 'comunque' a termine - ecco che lo scrittore ‘impara’ finalmente a tornare in quello stesso ‘luogo’ nascosto dentro la sua testa ‘a comando’.
E quello è il momento in cui scompaiono sia il blocco dello scrittore che i racconti brutti, i romanzi brutti, tutto quanto… Adesso scrivi solo o bene, o molto bene: le idee iniziate con un sacco di entusiasmo e poi finite in vacca (che sono la routine del 90% dei cattivi scrittori) adesso non esistono più.
Ma per arrivare a questo punto, bisogna avere un sincero desiderio di scrivere bene, un sincero atteggiamento di 'inseguimento dei risultati', e soprattutto di impegnarsi, fare esperienza e srivere bene in generale. Tornare regolarmente in quel luogo dentro la tua testa dove si trovano SEMPRE e SOLO le 'bombe atomiche', è una delle cose più difficili e più innaturali della scrittura, ed è il motivo per cui gli scrittori veramente bravi sono così pochi.


Anche perché andare in quella zona dentro la tua mente non è bello, non è piacevole, è innaturale, è fastidioso, è doloroso.
Alcuni lo chiamano 'inconscio', ma è molto più in là dell'inconscio.
Dentro li te, lo percepisci come qualcosa di 'estraneo'.
Funziona, ma non è tuo
Funziona da Dio, ma non sei tu a scriverlo.
E' qualcun altro.
Tu ti stai solo limitando a trascriverlo, e a dirla tutta non ti piace nemmeno - perché non sai da dove provenga, quindi ti mette a disagio - però sai per esperienza che è la quella è la cosa che funzonerà meglio dentro di te.
Ti sembra per certi versi di stare facendo qualcosa di profondamente sbagliata. Ecco perché dico che tanti scrittori scrivono MALE perché non gli piace scrivere BENE.
Perché scrivere BENE… E' tremendo.
Viceversa, se invece riesci ad affrontare tutte queste cose volentieri, grazie all'esperienza, e poi riesci ad accettarle perché l'esperienza ti dice di farlo… Boom.
Ce l’hai fatta.
Scrivere male è divertente.
Scrivere discretamente è faticoso.
Scrivere da Dio è doloroso”
+++++Wallace++++++.
IN CONLUSIONE:
Le grandi idee sono dunque sempre salti nel vuoto, fantasmi di idee: non sono mai idee complete. Il salto nel vuoto è un salto nell’inconscio tramite la creatività (anche se la parola inconscio rischia di essere fraintesa). Il problema è che entrare nel proprio inconscio grazie a un salto nel vuoto è un processo assolutamente innaturale, doloroso, pericoloso e spesso dannoso, cui si arriva solo dopo anni di pratica con la scrittura (non di meditazione!) e per definizione non si può fare sempre (pena o squilibrio mentale vero e proprio). C'è un motivo se la mente umana possiede il conscio e l’inconscio, e rompere il muro troppo spesso può portare alla morte.


Te lo dimostro subito.
Tu che stai leggendo questo articolo… Sì, tu. Tu non lo sai, ma se tu ti trovassi in una situazione di vita o di morte, per esempio a bordo del Titanic che affonda…


Saresti perfettamente in grado di buttare un bambino in mare per slavarti la vita facendoti posto sull’ultima scialuppa rimasta.
Perché chiunque sarebbe in grado di farlo.
Sì, quella che tu, tutto quello che sei e ciò che tu consideri la tua ‘anima’… Bé, essa è in grado di gettare il bambino in mare senza esitare nemmeno un istante.
…Ma è meglio che tu non lo sappia, per ora.
Anche perché le probabilità di finire sul Titanic che affonda sono molto poche, giusto?
A meno che tu che tu non voglia scrivere un romanzo sul Titanic. Perché in quel caso sono cavoli amari, amico mio.


Adesso è inutile che te la prendi con me - dice il tuo inconscio - ; io faccio solo il mio dovere. Pensaci bene: se un giorno dovesse capitare per davvero, meglio ammazzare un bambino e sopravvivere coi ensi di colpa, no? Non ho forse ragione? Cioè, avresti anni di incubi esensi di colpa, ma almeno saresti vivo, giusto? Non ho forse ragione? Ma certo che ho ragione. E comunque non spetta mica a te decidere.
Quando verrà il momento, tu perderai il controllo per la paura, e allora sarò io a fartelo gettare in mare. Non tu.
Questo è l'inconscio, amici miei.
Quindi, se invece di scrivere scemenze a sangue freddo, ti ostini invece a portare a termine il romanzo ‘maledetto' dettato dall'ignoto che si nasconde dentro di te… Bé… Cavoli tuoi.
Perché non hai scritto la sua lacrimosa autobiografia come fanno tutti quanti?
Ma tu invece dovevi dovevi PER FORZA scrivere bene, dannazione. E se adesso sei in manicomio, è solo colpa tua.


La creatività è l’unica vera porta verso l'ignoto dentro la tua testa.
Ecco perché la madre della letteratura è la narrativa e non la saggistica, né l’autobiografia, né il libro di storia, o di religione, no… La NARRATIVA è la vera regina del regno. Punto e basta.
Definizione del livello di professionalità di un determinato scrittore secondo il mo professore di critica letteraria della Bocconi di Milano:
Tutti sono capaci di raccontare la propria realtà, la propria vita, i propri amici. Al contrario, il vero professionista si misura dalla sua capacità di creare tante teste diverse, una per ogni personaggio. E più tali teste sono diverse dalla sua vita e dalla sua realtà, maggiore sarò la sua grandezza come scrittore” - citaz. di Pierluciano Guardigli, che fu professore di critica letteraria alla Bocconi.
Altro che autobiografismi…

La routine dello scrittore vero
Scrivere tanto (e creare) tanto, correggere (ovvero lavorare tanto sullo stile), e leggere (perché aiuta entrambe le prime due). Scrivere tanto per esercizio (racconti), e scrivere tanto per ispirazione (ovvero, trasformare un racconto ‘bomba’ in un romanzo) correggere tantissimo, leggere tantissimo. Poi c’è tutta un’altra serie di attività pratiche quali: cercare premi letterari cui partecipare, cercare case editrici che pubblicano il genere di romanzi che scrivi (perché spedire i romanzi a caso non funziona), partecipare a reading, presentazioni, scrivere su siti o riviste. Tutte queste cose queste che aiutano a fare ‘intelligence’ (ovvero sapere chi pubblica cosa, e perché).
Quest’ultimo punto ci ho tenuto a precisarlo perché quello letterario purtroppo è anche un ambiente reale, e non sapere cosa succede in quell’ambiente… E’ garanzia di fallimento.

EXTRA:
DUE NOTE SUL SUCCESSO: UN PAIO DI TRAGICHE VERITA'
La cosa maggiormente fraintesa dell’ambiente letterario è pensare che ‘se un romanzo è buono, qualcuno lo pubblicherà’ .No, non funziona così.
La pubblicazione non è un ‘premio’ che le case editrici danno ai romanzi scritti meglio.
Per una casa editrice, un romanzo non è nient’altro che un prodotto su cui investire sperando di guadagnare più soldi di quelli che spenderà.
Le case editrici non fanno ‘cultura’, okay? Fanno soldi.
Questo significa che per avere successo non basta scrivere un clone di Cinquanta Sfumature, perché non funziona così. E’ un discorso complicato e non è questa la sede per farlo, ma diciamo che, in generale, il valore di uno scrittore si misura da quello che sa scrivere, non da quello che egli NON sa scrivere.
Uno scrittore che schifa un sacco di generi (fantasy, action, horror, erotico) perché lui ‘non si abbassa’ a scrivere certe cose, e che ‘manco morto’ scriverebbe anche solo una pagina horror… Bé, quello è uno scrittore che non vale assolutamente nulla. E lo ammette pure candidamente. Per cui occhio a come vi ponete con gli altri.
E dateci dentro.
Wallace - 28/2/18
ps:
ci tengo a precisare una cosa. Ci ho messo più di vent’anni, e sono ancora senza un becco di quattrino… Ma almeno adesso ho migliaia di lettori ‘impazziti’ in vari paesi del mondo. Qualcuno ha detto che più ti sudi una cosa, più è dolce… Sul serio? Mmmm… Mah. Non sono del tutto d’accordo. Però funziona. Quella che ho scritto è una strada lunga, brutta, sporca e cattiva, e lastricata di lacrime e sangue pure… Però funziona. E non funziona solo per me. Per cosa che credete che King abbia sottotitolato il suo ON WRITING ‘il mestiere di scrivere’? Perché è un mestiere. E l’arte c’è per carità… Ma certo che c’è.
Ma c’è anche il mestiere.


Hollywood non sa fare previsioni e un film è sempre un'incognita ...



In quella che viene definita la Golden Age del cinema, i produttori cinematografici e le case di produzione investivano personalmente nella realizzazione di un film coprendo le spese per sceneggiatura, regia, attori scenografie e maestranze varie.
Oggi i produttori rivestono più un ruolo di aggregatori e garanti, gestendo i soldi che vengono investiti da banche. fondi assicurativi, sovvenzioni statali ed in qualche raro caso sponsor interessati a fare product placement dei loro marchi nei film.
Va da se quindi che i guadagni dei film vanno per la maggior parte ai produttori e conseguenti investitori. Inoltre i diritti di riproduzione sono assegnati per legge anche a Regista, Direttore della Fotografia e Sceneggiatore, ovvero le figure ritenute autoriali nel processo creativo di un film. Ciò significa che ogni volta che un film viene fatto vedere in televisione, viene affittato o visto in streaming attraverso i canali legali, viene riconosciuto un compenso alle tre figure sopra elencate secondo gli accordi ed i contratti stipulati con il produttore che comunque, in quanto proprietario materiale dell’opera ne detiene i guadagni maggiori.



La pellicola del 1939 ha una storia controversa e mette in luce un'inesistente versione edulcorata della schiavitù: ma è solo uno dei tanti titoli che oggi risultano offensivi. Un film non è un monumento, a cosa ci serve una singola sparizione improvvisa dopo 80 anni?


Via col vento è un Moloch del cinema hollywoodiano con una storia controversa: quando è uscito nelle sale – nel 1939, cioè più di 80 anni fa – in America rimanevano solo gli ultimi veterani della Guerra civile, e tra i figli (e i figli dei figli) del Sud schiavista si stava diffondendo una visione romantica della guerra: quella della causa persa, cioè del sogno di una generazione di uomini che si erano immolati sapendo di essere sconfitti in partenza, e che in fondo volevano solo continuare ad andare avanti con le loro vite e il loro piccolo mondo antico.
Quegli uomini, però, da più di 200 anni nutrivano il loro “sogno” con persone ridotte in schiavitù, private della loro umanità e considerate alla stregua di possedimenti personali. Quando Via col vento arrivò al cinema – frutto della collaborazione dei migliori specialisti di Hollywood del tempo – lo schiavismo dei Confederati in una certa retorica era diventato una specie di peccato veniale. Col risultato che nel film Mami – la serva domestica interpretata da Hattie McDaniel, prima donna nera a vincere un Oscar, non ritirato col resto del cast per le leggi di segregazione razziale allora vigenti – considera i suoi padroni persone buone e nobili, che stanno solo cercando di reagire all’aggressione degli stati del Nord, mentre diffida apertamente delle altre persone di colore (a cui si rivolge anche con epiteti razzisti).
Dire che questa prospettiva nel 2020 è inaccettabile – e che col passare degli anni la storia ha provato che gli schiavisti non erano persone per bene – dovrebbe essere scontato: eppure non lo è. Sul Los Angeles Times lo sceneggiatore e regista John Ridley (12 anni schiavo) ha firmato un op-ed in cui chiedeva a Hbo Max, nuovo servizio di video on demand dell’emittente statunitense, di “rimuoverlo” dal loro catalogo in quanto “film che, quando non ignora gli orrori della schiavitù, si ferma solo per perpetuare alcuni dei più dolorosi stereotipi sulle persone di colore”.
Detto fatto, il 10 giugno Hbo ha colto la palla al balzo per rimuovere temporaneamente Via col vento dai suoi archivi, spiegando genericamente che tornerà in un modo adatto a fornire riferimenti più precisi al contesto storico che rappresenta. La scelta, come si dice in questi casi, ha fatto molto discutere: la destra trumpiana ha iniziato a dire che sono iniziati i roghi della cultura in nome del politicamente corretto (era prevedibile, d’altronde), mentre gli attivisti di Black Lives Matter, con diverse sfumature, hanno celebrato la conquista della loro azione di protesta.
Contestualizzare un’opera tanto fuorviante e lontana dalla prospettiva e i valori contemporanei può essere una soluzione percorribile, ma in questa vicenda c’è anche altro, e chi non lo vuole vedere si sta perdendo un pezzo importante del discorso: la rimozione di Rossella O’Hara da Hbo non è arrivata dopo una graduale presa di coscienza dell’azienda, a valle di un confronto teso a dare a chi guarda non uno, ma tutti i suoi film la possibilità di inserirli nel contesto storico appropriato, qualora lo ignorasse. Via col vento non è che uno dei tanti lungometraggi che offendono la nostra sensibilità e consapevolezza di esseri umani del Ventunesimo secolo: la comunità nera potrebbe benissimo puntare il dito altrove, così come i 16 milioni di italo-americani potrebbero non sentirsi rappresentati dal Padrino, o i 17 milioni di statunitensi di origine asiatica avrebbero ogni diritto di non apprezzare particolarmente buona parte dei film sul Vietnam. Una volta scoperchiato il vaso, bisogna andare fino in fondo.
E qui incontriamo il primo tema: come si sceglie cosa va integrato e cosa no? Intendiamoci, per Via col vento la decisione è piuttosto facile: Donald Trump l’ha portato come esempio di bel cinema americano che fu lamentandosi a un comizio degli ultimi Oscar (dove ha trionfato, toh, un film asiatico), e l’alt-right negli ultimi anni si è messa a considerarlo un prodotto culturale da celebrare, in barba ai diritti delle minoranze. Il limite, però, può essere sempre così netto? E – un po’ lo stesso discorso che riguarda il ruolo dei social network – come sappiamo che quella contestualizzazione sarà giusta, imparziale, efficace? Se al posto di Hbo ci fosse una corporation con interessi molto a destra, non rischieremmo di trovare note a piè di pagina che giustificano il razzismo?
Come se tutto potesse essere messo a posto non da una presa di coscienza sociale e convinta, ma da un rapido colpo di spugna per placare la sete di like sui social network
E poi, si diceva, perché ora? Perché quanto nessuno ha fatto in 81 anni è stato fatto di corsa – e quindi in modo approssimativo – nel giro di poche ore, dopo un articolo virale sui social network? Non notate anche voi una certa sdrucciolevolezza in questo modo di operare, come se tutto potesse essere messo a posto non da una presa di coscienza sociale e convinta, ma da un rapido colpo di spugna per placare la sete di like sui social network?
Ancora più a monte, sbagliamo a considerare un prodotto culturale come se fosse una statua da abbattere: un monumento a uno schiavista è un’onorificenza pubblica che riflette un valore culturale (e come tale soggetta anche alla rielaborazione della memoria storica e sociale), un libro e un film sono – questi sì – figli del loro tempo, e non vogliono far altro che raccontare storie nei modi parziali e imperfetti con cui gli uomini da sempre riescono a raccontare storie. Censurare Shakespeare in quanto antisemita è il modo più scemo di sostenere la causa anti-discriminazione: le proteste di questi giorni hanno obiettivi ancora fermamente presenti nel qui e ora, nel mondo in cui George Floyd è stato brutalmente assassinato dalla polizia. A mettere le note a libri e film penseremo dopo.





"FORMAZIONE: LE SCUOLE DI RECITAZIONE
Il percorso di formazione per diventare attore professionista è estremamente vario. In generale, è preferibile frequentare una buona scuola di recitazione per imparare le tecniche del mestiere e approfondire lo studio della storia del cinema, del teatro, della drammaturgia, delle lingue straniere. In Italia esistono diversi centri di formazione dove sono attivi corsi di recitazione, danza e canto per attori.
Qui elenchiamo gli istituti più famosi:
  • Scuola Nazionale di Cinema – Centro Sperimentale Cinematografia (Roma);
  • Accademia Internazionale di Teatro (Roma);
  • Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico (Roma);
  • Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi (Milano);
  • Scuola di Teatro Luca Ronconi (Milano);
  • Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova (Genova).
L’accesso a tali scuole e accademie richiede agli aspiranti allievi il possesso del diploma di istruzione secondaria di secondo grado e può prevedere il superamento di un esame di ammissione. Ricordiamo che l’Accademia Internazionale di Teatro di Roma, l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico e la Scuola di Teatro Paolo Grassi sono gli unici istituti a rilasciare – al termine dei percorsi di formazione di durata triennale – la laurea di primo livello in Recitazione (classe di laurea DADPL 02) equipollente alla laurea in discipline delle arti e dello spettacolo.
Naturalmente esistono anche altre scuole per diventare attore in Italia, quello che vi consigliamo è di documentarvi sull’offerta didattica proposta per scegliere e frequentare il corso di recitazione, di dizione e uso della voce, di teatro che più soddisfa le vostre esigenze. A seconda delle vostre preferenze, potete scegliere di seguire un corso per diventare attore di prosa, attore televisivo, attore cinematografico, attore caratterista, attore comico, attore drammatico. Fattori utili che potete tenere in considerazione nella scelta sono, ad esempio, la qualità del corpo docente, la storia e la reputazione della scuola. E, ancora, l’opinione degli ex allievi relativamente alla validità del corso, i laboratori, i seminari e gli stage offerti.
E’ possibile infine valutare l’opportunità di frequentare scuole estere per diventare attore in America o in altri paesi del mondo. In questo caso è indispensabile avere un’ottima conoscenza della lingua inglese o, in generale, della lingua parlata nel paese di destinazione.
In ogni caso non si può pensare di diventare attore senza scuola, senza una buona formazione di base. Anche se si possiede un talento innato per la recitazione ci sono delle conoscenze tecniche che si possono apprendere solo attraverso un buon percorso formativo.

COSA FARE DOPO LA SCUOLA? COME TROVARE LAVORO?
Terminata la scuola, l’aspirante attore deve preparare un book fotografico da allegare al curriculum vitae per proporsi alle agenzie di spettacolo che si occupano della promozione di attori e attrici di cinema, teatro, televisione e pubblicità. Fare l’attore, lo ricordiamo, non è semplice in quanto richiede una lunga gavetta. Per raggiungere il primo ingaggio, tanto desiderato, e ottenere i primi ruoli occorrerà partecipare a numerosi casting e provini che – a prescindere dall’esito finale – rappresentano, soprattutto all’inizio della carriera, una buona occasione per farsi conoscere da un regista, da un casting director e dai colleghi.
Oltre a rivolgersi direttamente alle agenzie, alle compagnie teatrali o cinematografiche è utile fare ricerche online per trovare offerte di lavoro per attori e attrici. Si può iniziare accettando piccole parti in cortometraggi o in produzioni video realizzate da compagnie minori. E’ importante costruire un buon cv, per questo bisogna realizzare diverse esperienze di lavoro che possano far crescere professionalmente e rappresentare un buon biglietto da visita per future candidature in ruoli più rilevanti.

SBOCCHI OCCUPAZIONALI E CONTRATTO DI LAVORO
L’attore può lavorare come libero professionista, collaboratore a progetto o dipendente a tempo determinato sui set cinematografici interni ed esterni, sui set di fiction e serie televisive, sui palcoscenici dei teatri oppure nelle scuole di recitazione come insegnante. La professione richiede la disponibilità al lavoro in orari non convenzionali, durante i giorni festivi e nei fine settimana. Porta inoltre a spostarsi spesso e a vivere lunghi periodi lontano da casa come quando si partecipa a una tournée teatrale o o si girano le riprese di un film.

STIPENDIO DEGLI ATTORI
Quanto guadagna un attore? A inizio carriera lo stipendio non è alto, per cui molto spesso al lavoro dell’attore si affianca un secondo lavoro. In generale, è possibile affermare che la retribuzione dell’attore varia a seconda del tipo di produzione per cui si viene ingaggiati e dall’esperienza / notorietà dell’artista. A titolo di esempio, se si recita in cortometraggi il compenso è generalmente contenuto (500 Euro, 1000 Euro fino a 5Mila Euro circa) e varia in funzione del ruolo e del tipo di produzione. La partecipazione a film italiani o serie televisive italiane può generare retribuzioni molto più elevate (diverse migliaia di Euro) ma anche l’impegno richiesto è più lungo. Chi riesce a diventare un attore famoso ovviamente può ottenere retribuzioni molto elevate. Attori di fama internazionale come Julia Roberts, Leonardo DiCaprio, Tom Hanks, Daniel Craig, Jim Carrey hanno guadagnato cifre che arrivano sui 15 / 20 milioni di dollari a film. Per iniziare non bisogna però pensare a come diventare attore a Hollywood e ottenere compensi milionari ma è necessario fare un passo per volta. Ci sono attori italiani (attori di film, fiction, serie televisive) che ricevono un’ottimo stipendio di decine di migliaia di Euro."



«Via col Vento è un film razzista»: Hbo lo rimuove dalla piattaforma streaming
Sull’onda delle manifestazioni per George Floyd, John Ridley sceneggiatore di «12 anni schiavo», aveva chiesto di eliminare il film dal catalogo. Hbo l’ha fatto, ma ha spiegato che il film tornerà «con una discussione sul contesto storico e una denuncia degli stereotipi etnici e razziali rappresentati nella pellicola»


Il capolavoro del cinema americano, vincitore di otto premi Oscar, uno dei film più scolpiti nell’immaginario mondiale, è stato rimosso dalla nuova piattaforma di streaming Hbo Max. La storia di Scarlett O’Hara e del suo amore tormentato con Rhett, ambientata nelle piantagioni di Tara e ad Atlanta durante e dopo la guerra civile, si legge in un comunicato della compagnia, «è il prodotto del suo tempo e dipinge alcuni dei pregiudizi etnici e razziali che sono diventati, sfortunatamente, comuni nella società americana». Il film ritornerà sulla piattaforma «con una discussione del suo contesto storico e una denuncia di quegli stereotipi, ma verra presentato come creato originariamente, perché fare il contrario sarebbe come affermare che quei pregiudizi non sono mai esisiti». Un tentativo di storicizzazione, dunque.

Hattie McDaniel, la prima Oscar afromericana
Il 15 dicembre 1939 Hattie McDaniel non poté partecipare alla prima del film: c’erano ancora le leggi Jim Crow nel Sud degli Stati Uniti. Era seduta lontano dai suoi colleghi anche la sera degli Oscar, ma quella notte fu storica: McDaniel fu la prima afroamericana a vincere il premio come miglior attrice non protagonista per il ruolo di Mami (parte per la quale leggenda vuole che persino la first lady Eleanor Roosevelt avesse raccomandato una sua cameriera).
Un traguardo storico, che non le risparmiò le critiche delle associazioni per i diritti civili che la accusavano di perpetrare lo stereotipo del servo nero. «Preferisco interpretare una domestica che esserlo», era la sua risposta. E ancora: «Credo che il pubblico sia meno ingenuo di quello che pensano i miei critici».

Razzismo e stereotipi
Ottant’anni dopo, il dibattito in qualche modo è ancora aperto. Via col Vento non è solo un capolavoro del cinema di tutti i tempi, ma anche un film che romanticizza l’era della schiavitù al Sud, una pellicola in cui i personaggi di colore non hanno alcuna complessità, sono come figurine tra la ribelle Rossella, la melensa Melania e l’irresistibile Rhett. Una romanticizzazione per di più datata anni Quaranta, quando la segregazione razziale era ancora legge in America.
Già dopo Charlottesville qualcuno aveva chiesto di boicottare Via col Vento. La decisione di Hbo arriva dopo l’appello sul Los Angeles Times di John Ridley. Non uno qualsiasi: regista, scrittore e sceneggiatore, nel 2014 ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale di «12 anni schiavo».

Ma ha senso il boicottaggio?
In un lungo pezzo su Vulture del 2017 sul tema del boicottaggio di Via col vento, una giornalista afroamericana, Angelica Jade Bastién, metteva a confronto proprio il film diretto da Steve McQueen con quello basato sul romanzo di Margaret Mitchell: «Nonostante la sua sanguinosa rappresentazione delle condizioni della schiavitù, credo che 12 anni Schiavo sia una visione più semplice per i liberal bianchi dato l’effetto di distanziamento della violenza che mette in scena. È facile guardare la schiena frustata di Solomon Northup e di altri personaggi e pensare: Be’, non sono così cattivo, non impongo questo tipo di violenza».
Una distanza emotiva che commuove, ma non interroga. Invece, la rappresentazione della mitologia attorno alla schiavitù, degli schiavi felici e fedeli ai loro padroni, la «bellezza di un Sud perduto, non sono intrappolati nell’ambra di un’altra era. Esistono ancora oggi nel cuore ripugnante e velenoso che sta al centro della vita Americana». La frattura su cui è costruito un Paese, come ha ricordato ieri anche Michelle Obama. Così, secondo Jade Bastién, «se Via col Vento fosse consegnato al passato, sarebbe più facile per molti dimenticare quanto sia indicativo del nostro presente». E come quella mitologia attorno alla schiavitù scorra consciamente o inconsciamente non solo negli estremismi del suprematismo bianco.