E' una definizione che non ha molto senso: ci sono molte più analogie tra Claudio Villa ed i Metallica che tra Bach e Alban Berg.
Un articoletto apparso sul Venerdì di Repubblica a firma di Claudia Nuzzarello riporta il discutibile esperimento effettuato dagli “esperti” dell'Imperial College di Londra in cui con un programma sul sito [i]http://darwintunes.org/[/i] hanno testato i gusti di migliaia di utenti giungendo alla conclusione che l' evoluzione della musica segue i principi Darwiniani.
L'incipit dell' articolo è: “Perché la musica classica è sopravvissuta attraverso i secoli, mente altri generi sono continuamente cambiati o, peggio ancora, si sono estinti?” Andiamo ad analizzare alcune imprecisioni di questa domanda.
Innanzi tutto l' eterna annosa questione: per “musica classica” cosa si intende? Quella del periodo classico (Haydn, Mozart e Beethoven per intenderci), oppure quella suonata da musicisti vestiti di tutto punto in cui non si sa mai quando si deve applaudire?
Bach finché non fu “riscoperto” da Mendelssohn era stato completamente dimenticato dal pubblico Europeo e lo stesso Mozart non era poi tanto conosciuto al di fuori dell' ambito scolastico musicale.
Per noi quella è “musica classica”, ma per coloro che l'ascoltavano quando veniva prodotta era musica contemporanea.
I compositori erano specializzati nei loro generi. Ad eccezione di Mozart, chi scriveva Opere non brillava nella musica strumentale e viceversa e così anche per la musica sacra eo quella da danza. Il pubblico era perfettamente in grado di riconoscere lo stile Veneziano, Napoletano o Francese esattamente come oggi chiunque coglie la differenza tra un brano hip-hop ed uno di Gigi d'Alessio.
Anzi a voler ben sentire sono molto maggiori le analogie strutturali e sintattiche tra Claudio Villa ed i Metallica che non quelle tra Bach e Alban Berg. E allora perché perpetrare ancora una volta questo fraintendimento?
Ritengo che una definizione accettabile di “musica classica” possa in realtà essere “musica pensata per essere tramandata a mezzo di scrittura”. E' un po' laborioso, ma coerente. Quando all'incirca dopo duemila anni di civiltà greco-giudaico-cristiana nel Rinascimento si trovò un sistema abbastanza accettabile per scrivere non solo l'altezza, ma anche la durata delle note, si svilupparono nel corso dei secoli delle regole per permettere di gestirle insieme. E' vero che nel corso del secolo scorso i compositori erano ben consci del fatto che si sarebbero registrati dei dischi con le loro opere, ma è anche vero che tutta la loro esperienza e cultura si appoggiava sul sapere sviluppato nei secoli precedenti.
Gli schiavi africani venuti in contatto con i nostri strumenti e dovendoli suonare per accompagnare il lavoro nei campi, avevano poche probabilità di essere edotti di quelle regole e così elaborarono nuovi sistemi (come dice Levi-Strauss del “Crudo e il cotto” nel frammento più citato in tutti i testi di estetica musicale) che influenzano tutta la musica dotata di batteria e percussioni, per creare aspettative e ricompensarle e deluderle “sulla scorta di un progetto che l' uditore crede di indovinare, ma che in realtà è incapace di penetrare".
Il problema è che prima che il buon T.A. Edison inventasse il fonografo era assai più complicato trasmettere un pensiero musicale senza scriverlo. Provate per esempio ad immaginare di trascrivere una linea vocale di Muddy Waters tipo questa o un assolo di Jimi Hendrix.
Per cui l'unica verità è che con la possibilità di registrare è stato possibile trasmettere un pensiero musicale senza bisogno di scriverlo e non è assolutamente vero che la “musica classica” non si sia estinta: nessuno al tempo di Mozart suonava Bach e nessuno al tempo di Rossini suonava Monteverdi, esattamente come ora è difficile ascoltare un brano di Jerry Lee Lewis su Radio Dimensione Suono.
Non è così fuori luogo immaginare tra qualche tempo, quando andrà di moda la “musica mentale fatta di luce”, una sala da concerti in cui seriosi musicisti vestiti di tutto punto eseguiranno un programma composto da musiche di Beach Boys, Earth Wind and Fire, Led Zeppelin e Aqua... no, speriamo che mi sbagli ed almeno gli Aqua vengano dimenticati e non riscoperti da qualche noioso funzionario che insegna Estetica della musica Pop nel secolo XX.


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Il video on demand (termine mutuato dall'inglese che tradotto letteralmente significa "video su richiesta"), in acronimo VOD, è un servizio interattivo della televisione. Il servizio permette agli utenti di fruire, gratuitamente o a pagamento, di un prodotto di intrattenimento (musica, film, Serie TV...) in qualsiasi momento e luogo tramite una connessione internet. Si basa sul concetto informatico di on-demanding.

Un nuovo concetto di televisione
Il video on demand rappresenta un vero e proprio ribaltamento del concetto stesso di televisione, la quale è nata ed è diffusa prevalentemente fino ad oggi come fruizione di programmi televisivi senza possibilità immediata per l'utente di richiedere uno specifico programma televisivo.
Prima dell'avvento del video on demand, il palinsesto, cioè il programma televisivo e l'orario in cui è possibile fruirne, era stabilito dal provider televisivo e l'utente aveva solo la possibilità di scegliere tra i vari programmi televisivi messi in onda contemporaneamente dalle varie emittenti televisive.
Con il video on demand è invece l'utente che definisce il palinsesto secondo i propri desideri e le proprie necessità, e non il provider televisivo come con il sistema tradizionale. Le uniche limitazioni sono date dalla varietà dei programmi televisivi tra cui poter scegliere, cioè dalla ricchezza degli archivi dei programmi televisivi messi a disposizione dai provider televisivi.
Visti i significativi cambiamenti per l'utente nelle possibilità di fruizione del programma televisivo con il video on demand, in riferimento a questo si parla di televisione on demand o TV on demand.

Aspetti tecnologici
Da un punto di vista tecnologico la differenza più rilevante tra il video on demand e la normale televisione è che nel video on demand il programma televisivo è trasmesso solo se l'utente lo richiede mentre nella normale televisione il programma televisivo è trasmesso anche se l'utente non lo richiede.
Per fornire il video on demand è necessario che la rete per telecomunicazioni con cui lo si fornisce stabilisca una connessione di tipo punto-punto bidirezionale tra il provider televisivo e l'utente, e che il canale di trasmissione sia a banda sufficientemente larga (banda larga) per trasportare un segnale televisivo con qualità accettabile.
Per tali motivi il video on demand è realizzabile più facilmente sulle reti per telecomunicazioni proprie della televisione via cavo e di Internet, e molto più difficilmente sulle reti per telecomunicazioni proprie della televisione satellitare o terrestre, in virtù delle peculiarità di tali reti. Per quanto riguarda in particolare Internet, per soddisfare la necessità di un canale trasmissivo sufficientemente ampio da trasportare un segnale televisivo con qualità accettabile, serve una linea a banda larga in fibra ottica o tecnologia ADSL evoluta (ADSL2, ADSL2+ e VDSL).
Un esempio di tecnologia televisiva in grado di fornire il video on demand è l'IPTV.

Modalità di trasmissione
Le modalità di trasmissione dati all'utente possono essere:
  • lo streaming: il device dell'utente riceve e decodifica i dati in tempo reale (in base al bitrate occorre una connessione a banda elevata e stabile);
  • il download streaming: il device dell'utente inizia a decodificare i dati dopo che una parte è stata ricevuta;
  • il download: il device dell'utente inizia a decodificare i dati dopo che tutti sono stati ricevuti.
Con lo streaming l'utente dopo aver richiesto il programma televisivo può fruirne immediatamente. Con il download streaming l'utente dopo aver richiesto il programma televisivo per fruirne deve attendere di riceverne una parte. Con il download l'utente dopo aver richiesto il programma televisivo per fruirne deve attendere di riceverlo tutto.


Video on demand in Italia
In Italia il video on demand è fornito da Infostrada TV (via ADSL), da TV di Fastweb (via fibra ottica e ADSL), da Alice Home TV (via ADSL), da Mediaset Premium grazie al decoder Premium On Demand e Premium On Demand HD col servizio Premium Play, da Sky grazie al decoder My Sky e My Sky HD col servizio Sky On Demand e TIMvision (di Telecom Italia via ADSL), tutti in tecnologia IPTV. Fino al 2008 anche Tiscali offriva questo servizio nell'ambito dell'offerta Tiscali TV, ma il servizio è stato dismesso ad inizio 2009. Anche la RAI ha la sua offerta on demand, accessibile dal sito Rai.tv, sul quale è disponibile anche lo streaming in diretta dei suoi canali. Disponibile dal 19 novembre 2008 anche il Video On Demand attraverso la console Xbox 360 e dal 2009 su PlayStation 3 tramite VidZone, da settembre 2010 è possibile acquistare e noleggiare film sul PlayStation Store. Da novembre 2010 è possibile acquistare e noleggiare film sull'iTunes Store.
I più importanti fornitori disponibili in Italia sono:
  • Netflix (dal 22 ottobre 2015)
  • Amazon Prime Video (da dicembre 2016)
  • TIMvision
  • Infinity
  • NowTV
  • Facebook Watch
  • YouTube Premium
  • DAZN

I fornitori più importanti all'estero sono:
  • Apple TV+
  • Disney+
  • Hulu
  • HBO Max

Fornitori minori sono:
  • DC Universe
  • VVVVID
  • Philips Net TV
  • Sony Entertainment Network


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Il pay-per-view (PPV), traducibile dall'inglese come "paga per vedere", è un mezzo di distribuzione dei programmi televisivi via cavo consistente nella fruizione di uno o più programmi televisivi ben determinati e di cui l’utente paga un tanto a programma.
I programmi televisivi di un pay per view e preregistrati possono essere disponibili anche in video on demand o in near video on demand.

Acquisto dei programmi
L'acquisto dei programmi televisivi è eseguito mediante il televisore, o gli apparecchi televisivi in caso sia necessario anche un set-top box, oppure via telefono, SMS e web. Il costo può essere addebitato su un'apposita carta prepagata, su una carta di credito o su un conto personale da pagare in genere una volta al mese o ogni due mesi. A esclusione della carta pregata, se l'acquisto avviene mediante apparecchio televisivo, questo è dotato del cosiddetto "canale di ritorno", cioè di un canale di comunicazione tra l'utente e la piattaforma televisiva che normalmente è una linea telefonica o un accesso a internet, ma può anche essere di altro tipo.

Tecnologia
Perché un operatore possa realizzare un sistema PPV è necessario che possa attivare o disattivare la ricezione del segnale per un particolare evento per ogni singolo fruitore. È quindi necessario che il segnale sia criptato con un algoritmo (possibilmente sufficientemente sicuro da evitarne la violazione), che il cliente possieda un apparecchio in grado di compiere l'operazione di decrittazione e uno strumento di identificazione personale.
Solitamente gli operatori di televisione satellitare o via cavo forniscono al cliente che sottoscrive un apposito contratto un set-top box, ovvero un apparecchio che collegato alla parabola satellitare o al cavo è in grado di decodificare il segnale. Nel caso della televisione satellitare e talvolta anche di quella via cavo all'apparecchio è abbinata una smart card che identifica univocamente il cliente. Questa riceve dall'operatore un segnale che le comunica di attivare la decodifica dell'evento che il cliente ha acquistato.
Da parte sua l'operatore si deve dotare di una struttura di gestione dei pagamenti che integri gli acquisti effettuati tramite call center, internet, SMS o direttamente dal set-top box collegato alla linea telefonica. Deve inoltre poter fornire al cliente un dettaglio degli eventi acquistati in modo da controllare le frodi, oltre a provvedere ad aggiornare abbastanza frequentemente i codici di codifica dei segnali per evitarne la forzatura da parte di utenti poco onesti.

Pay-per-view in Italia
I pay per view di Sky, la piattaforma satellitare per il mercato italiano più diffusa e ricca di contenuti, sono Sky Primafila e Sky Calcio, cinquantacinque canali in totale e acquisto tramite decoder proprietario, telefono, SMS o internet. Per poter usufruire dei PPV di Sky è necessario sottoscrivere un abbonamento a uno dei pacchetti di canali televisivi. Per quanto riguarda la televisione digitale terrestre Mediaset offriva Premium Calcio, sei canali in totale visibili con tessera prepagata senza necessità di sottoscrivere un'offerta di canali televisivi a pagamento, erano disponibili fino al 31 luglio 2018; tuttavia la propria zona deve essere coperta dal segnale ed è necessario possedere un televisore o un decoder digitale terrestre con tecnologia MHP. Un'offerta simile a quella di Mediaset è Cartapiù. Per quanto riguarda infine la televisione via cavo le piattaforme TVdiFASTWEB e Alice Home TV offrono i PPV in video on demand, quindi i programmi televisivi sono visibili a qualsiasi orario non appena l'utente li richiede, possibilità non disponibile con i PPV della televisione digitale terrestre e satellitare citate.

Storia
Negli Stati Uniti d'America i pay-per-view hanno mosso i primi passi alla fine degli settanta quando la squadra di pallacanestro dei Portland Trail Blazers l'adottò dopo aver vinto il campionato del 1977. Il termine si diffuse negli anni novanta quando compagnie del calibro di HBO e Showtime iniziarono a vendere eventi e film.
Inizialmente utilizzata esclusivamente dagli operatori di televisioni via cavo e poi di televisioni satellitari, sono ora utilizzate anche per la trasmissione via internet o via telefono cellulare. In Italia i primi eventi in pay-per-view vennero trasmessi dalla piattaforma satellitare DStv. I servizi erano chiamati +Calcio (nato il 31 luglio 1996) e Palco (nato il 1º settembre 1997). Un altro servizio di pay-per-view venne offerto dalla concorrente Stream TV; il servizio, chiamato Primafila, nacque nel maggio 1998. Il 31 luglio 2003 le due piattaforme si fusero nella piattaforma Sky, tuttora disponibile con il suo servizio Sky Primafila.


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Con visual journalism (lett. "giornalismo visivo") s'intende il complesso di attività d'informazione realizzate attraverso la combinazione di testo e immagini, in cui si privilegia "l'espressività di quest'ultime".
Questa tipologia di giornalismo si è diffusa in modo particolare negli ultimi anni, con la crescita esponenziale dell'informazione via web e la conseguente diminuzione dei tempi medi di lettura, dovuti alla "tendenza a una forma di comunicazione più rapida".
Come diretta conseguenza della grande diffusione dell'informazione nel web, il visual journalism ha sempre più privilegiato l'utilizzo delle immagini, intese in senso lato (fotografie, illustrazioni, infografica, per citare solo le principali), grazie anche alle potenzialità espresse dall'elaborazione digitale.
Seguendo queste dinamiche, il layout di una pagina web e "le pagine della stampa possono anche essere progettate cercando di attirare l’attenzione del lettore prima sulle immagini e poi su titoli e testo, invertendo la priorità tradizionale". Per questi motivi il visual journalism, essendo una disciplina crossmediale, può essere svolto in un team di lavoro, composto dalla sinergia di "giornalisti, disegnatori, grafici".
Storicamente, le immagini sono state da sempre utilizzate per corredare o narrare fatti di cronaca, in particolare le fotografie hanno dato vita al fotogiornalismo fin dal primo Novecento. Tuttavia il visual journalism si presenta come un'estensione e al tempo stesso una declinazione moderna della professione giornalistica, in quanto utilizza tutte le componenti grafiche e multimediali a disposizione e non solo quelle di matrice fotografica.


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Con il termine Yéyé, o anche con musica Yéyé, si intende uno stile musicale dell'Europa meridionale dalle tonalità rock and roll molto leggere e pop in voga nei primissimi anni '60 . Il termine "yé-yé" deriva dall'inglese "yeah! yeah!" reso popolare dalle band britanniche di fine anni '50 ed inizio '60.

Definizione
L'interiezione yéyé veniva aggiunta, spesso sistematicamente, negli adattamenti fatti in fretta e furia dai successi rock e twist degli Stati Uniti. Queste due sillabe permettevano di rilanciare il ritmo e di mascherare le parole mancanti. Per estensione, questa espressione designò dapprima lo stile musicale, poi i cantanti stessi, infine un fenomeno di moda, di cui uno dei precursori è stato Maurice Renoma.

Storia della musica Yéyé
Claude François, Françoise Hardy, France Gall, Sheila, Sylvie Vartan, Chantal Goya, Frank Alamo, Eddy Mitchell, Johnny Hallyday, Jacques Dutronc sono i cantanti più conosciuti che rappresentano questo periodo in Francia. Ne esistono anche altri: Liz Brady, Cléo, Cosette, Dani, Chantal Kelly, Jacqueline Taïeb, Jocelyne. E nel Québec pure: Claire Lepage, Michèle Richard, Jenny Rock, Pierre Lalonde.
Esponenti italiani di uno stile musicale equivalente sono stati in qualche modo Rita Pavone, Rosy, Jenny Luna, Adriano Celentano e Little Tony, anche se molti di loro hanno poi diversificato il proprio repertorio. Anche Mia Martini ha iniziato la sua carriera come "ragazza yéyé", col suo vero nome di Mimì Berté.
Salut les copains (Salve, amici), rivista per i giovani uscita nel 1962 in Francia come prolungamento scritto del programma radiofonico omonimo, illustra eccellentemente il periodo Yéyé.

Artisti Yéyé
Gli artisti e i gruppi yéyé includono : Annie Philippe, Chantal Goya, Chantal Kelly, Christophe, C. Jérôme, Claire Lepage, Claude François, César et les Romains, Dalida, Dani, Daniele Danae, Danny Boy et ses Pénitents, Danyel Gérard, Dick Rivers, Mike Shannon, Les Chats Sauvages, Donald Lautrec, Eddy Mitchell, Evariste, Les Chaussettes Noires, France Gall, Frank Alamo, Françoise Hardy, Frankie Jordan, Gillian Hills, Guy Mardel, Hervé Vilard, Jacqueline Taïeb, Jean-Jacques Debout, Jenny Rock, Jocelyne, Joël Denis, Johnny Farago, Richard Anthony, Johnny Hallyday, El Toro et les Cyclones, Les Aristocrates, Les Gam's, Les Parisiennes, Les Sultans, Les Surfs, Liz Brady, Vic Laurens, Les Vautours, Lucky Blondo, Michel Berger, Michèle Richard, Michèle Torr, Monty, Le Petit Prince, Patricia Carli, Petula Clark, Pierre Lalonde, Ria Bartok, Ronnie Bird, Salvatore Adamo, Sheila, Sylvie Vartan, Tiny Yong, Tony Roman, Zouzou...


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Il valzer è una danza in ritmo ternario nata alla fine del XVIII secolo come evoluzione del Ländler.

Storia
Diffuso inizialmente in Austria e nel sud della Germania, il valzer conquistò ben presto gran parte dell'Europa: dalla Francia (dove fu introdotto da Maria Antonietta) alla Russia, dall'Italia all'Inghilterra, diventando una danza internazionale. Il successo fu dovuto non solo al carattere fluente e orecchiabile della musica ma anche al fatto che per la prima volta la coppia di ballerini danzava abbracciata.
Il valzer si affermò a Vienna all'inizio del secolo XIX con Johann Strauss padre ed il suo amico, collega e rivale Joseph Lanner.
In seguito, il valzer viennese, soprattutto con Johann Strauss figlio, conservò un andamento veloce e spigliato, mentre in Francia la nuova danza toccò la massima popolarità all'interno del genere operettistico, acquistando un carattere più languido e sentimentale. In Inghilterra alla fine del XIX secolo si affermò il valzer lento.
Presente sporadicamente nelle opere dei grandi compositori del classicismo viennese (le danze di corte composte da Franz Joseph Haydn e Ludwig van Beethoven, il quale, oltre a scrivere alcuni minuetti a tempo di valzer, diede il titolo di valzer ad alcuni brani per pianoforte), il valzer si impose in ambito colto all'inizio del XIX secolo, grazie a Johann Nepomuk Hummel (che ne definisce il canone formale) e a Carl Maria von Weber. In Francia diventò una forma classica, pianistica e sinfonica, grazie a Hector Berlioz e Fryderyk Chopin. In Italia si sviluppò soprattutto in ambito operistico, mentre in Russia fu impiegato correntemente da Pëtr Il'ič Čajkovskij, in particolare nei balletti ma anche nelle suite e nelle composizioni per pianoforte.
Altri compositori dell'Ottocento che si dedicarono alla composizione di valzer furono Josef Strauss, Eduard Strauss, Émile Waldteufel, Charles Gounod, Jacques Offenbach, Carl Michael Ziehrer.
Nel secolo XX il valzer viennese sopravvisse nelle opere di compositori come Franz Lehár e Robert Stolz, ma anche i compositori espressionisti e pre-espressionisti di area germanica - da Gustav Mahler a Richard Strauss e Alban Berg - lo utilizzarono largamente, sia pure con uno spirito nuovo, caustico e dissacratorio.
Il valzer fu usato anche nella musica jazz. Uno dei principali esponenti fu Bill Evans che spesso utilizzava il tempo 3/4 o anche il 5/4 nelle sue improvvisazioni. Non è possibile non citare il tipico valzer romagnolo (famosi sono quelli di Secondo Casadei) che si balla ancora oggi nelle balere.

Oggi
Oggi il valzer è un ballo, anche in ambito popolare, eseguito con poche varianti in tutti i repertori e accompagnato con strumenti tradizionali come l'organetto, la fisarmonica, il piffero e la cornamusa.
Tipici della tradizione francese sono i valzer impari, possono essere a cinque, otto e undici tempi. Per ottenere queste combinazioni di tempi uniscono a uno o più passi di valzer (tre tempi) un passo di marcia (due tempi), così un passo di valzer+uno di marcia danno il valzer a cinque tempi; due passi di valzer+uno di marcia quello a otto tempi, che avendo un numero di appoggi pari, ha la caratteristica di partire sempre con lo stesso piede; tre passi di valzer+uno di marcia quello a undici tempi.

Valzer musette
Valzer Musette deriva da musette, strumento musicale simile ad una cornamusa. Musetta è una danza pastorale di ritmo ternario o binario diffusa in Francia. Agli inizi del Novecento fu principalmente la fisarmonica con la caratteristica timbrica di un registro che produce un suono struggente e brillante a rendere popolare il "Valzer Musette". Inizialmente venne usata per accompagnare i famosi chansonnier Charles Trenet, Édith Piaf, Georges Brassens, Jacques Brel. Molti fisarmonicisti francesi, e non solo: Louis Ferrari, Yvette Horner, Marcel Azzolla, Richard Galliano, contribuirono al successo con le loro interpretazioni e improvvisazioni su temi prettamente strumentali, sincopati e con armonie moderne, eseguiti con swing, che è un ingrediente jazzistico. Nell'anno 1973 venne pubblicata in Italia dalle Edizioni Musicali Farfisa la raccolta "5 Valzer Musette" di Italo Salizzato, pezzi dedicati ad altrettanti famosi fisarmonicisti italiani: Gervasio Marcosignori, Barimar, Wolmer Beltrami, Peppino Principe, Elio Boschello.

Tango vals
Musica e danza argentina, frequentemente accompagnata da testo analogamente al tango argentino, il tango vals o valsesito criollo nacque alla fine del XIX secolo per un doppio motivo: i valzer viennesi (come quelli di Johann Strauss) erano la musica di moda nella Belle Époque inoltre a partire dalla seconda metà dell'800 e sino alla prima del 900 sulla costa argentina iniziò una consistente immigrazione dall'Europa, che comprendeva svizzeri, austriaci e tedeschi, i quali influirono con le loro musiche sulle musiche folcloristiche argentine.
Dalla fusione con valzer europei nacque così in Argentina uno stile particolare (in 3/4 anziché 2/4), il tango vals o "valsesito criollo" con numerosi titoli celebri quali "Salud, dinero y amor", "Caserón de tejas", "Amor y Celos", "Desde el Alma", "Soñar y nada más", "La Tapera" e molti altri.
In generale un valsesito criollo viene eseguito con gli strumenti tipici delle formazioni di tango e può avere uno o più vocalisti, ed è caratterizzato da un tempo più lento e armonico del tango, molto simile al valzer viennese e, come questo, si balla in tre tempi.
Sono molti i nomi, soprattutto di origine italiana, di compositori di tango vals quali Juan D'Arienzo, Rosita Melo, Francisco Canaro, Osvaldo Donato.


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La volta, conosciuta anche nelle varianti di volte, lavolta, la volta, levalto o levolto, è una danza rinascimentale in tempo ternario e di andamento mosso, che conobbe il suo massimo splendore in tutta Europa durante il XVI e il XVII secolo. Si pensa che essa abbia dato origine al passo di valzer e, secondo alcune fonti (molto controverse), probabilmente anche a quello di polka.[

Storia
Etimologia e diffusione
Il nome della danza deriva dal latino volgare volvĭta, volta, derivati del latino classico: volvĕre, in italiano volgere.
La tradizione colloca la nascita della danza in Provenza. Dalle Mémoires di Margherita di Valois sappiamo che i provenzali danzavano la volte con i cimbali. Qui fu introdotto nella corte parigina dei Valois nel 1556 dal conte di Sault,[5] ed ebbe un gran successo grazie alla preferenza di Caterina de' Medici, ma soprattutto, di Enrico III. Gaston Vuillier parla di quest'ultimo così:

(FR)
«Henri III dansa la premier valse à trois temps sous le nom de Volte»
(IT)
«Enrico III fu il primo a ballare il valzer in tre tempi, sotto il nome di Volte»
(Gaston Vuillier, La danza, 1899)



Questa citazione pone un dubbio sull'origine della danza. Infatti, secondo alcune fonti, essa sarebbe di origine italiana: Rinaldo Corso attesta la pratica della danza in Italia già nel 1555. Inoltre il nome stesso della danza suggerirebbe l'origine italiana, benché anche l'ipotesi che derivi dal provenzale voute non sia da escludere. Secondo altre fonti, la danza sarebbe di origine tedesche. Come afferma Curt Sachs, la volta era stata raffigurata già nel 1538 da Heinrich Aldegrever (incisore della Vestfalia, regione dove la danza era già presente molti decenni prima). Quel che è appare certo è che questa danza ha origini contadine.
Nel 1600, tramite i francesi, la volta aveva già raggiunto l'Inghilterra dove conobbe un gran successo e la stessa regina Elisabetta I la annoverava tra le sue danze preferite. Inoltre era presente stabilmente nelle lezioni di danza, come William Shakespeare attesta nell'Enrico V:

(EN)
«They bid us to the English dancing-schools,
And teach lavoltas high and swift corantos»
(IT)
«E ci invitano a fare da maestri nelle scuole di ballo in Inghilterra,
a insegnargli le audaci piroette della lavolta, e l’agile corrente»
(William Shakespeare, Enrico V, traduzione di Goffredo Raponi, 1999)




E in Troilo e Cressida (IV.4), Shakespeare fa dire a Troilo:

(EN)
«I cannot sing,
Nor heel the high lavolt»
(IT)
«Non so cantare,
né alzare ritmicamente il tallone nella lavolta»
(William Shakespeare, Troilo e Cressida, traduzione di Goffredo Raponi, 1998)


Nello stesso periodo è attestata la presenza della volta in anche Italia come per esempio in un dipinto del pittore Federico Zuccaro e nelle composizioni di Cesare Negri: Le gratie d'amore e Nuove inventioni di balli. In quest'ultimo la danza è chiamata La nizzarda ma, vista la presunta provenienza della danza e la forte somiglianza dei passi, si può affermare che l'autore si riferisca alla volta.

Critiche e declino della danza
La danza fu molto criticata, in quanto era ritenuta «indecente» per il «modo vergognoso» di tenere la dama, «oscena» e poco igienica:
«Essa dovrebbe essere attentamente sorvegliata da una bene ordinata forza di polizia e dovrebbe essere proibita con più severità [...] tanto più perché questa danza è portatrice di disgrazie e origine di innumerevoli delitti e aborti.»
(Guillame Bouchet, in Edmond Bonnafé, Notes sur la vie privée à la Renaissance, Parigi, 1896, p. 380)
(FR)
«La volte, la courante, la fissaye, que les sorciers ont amenées d'Italie en France, outre les mouvemens insolens et impudiques, ont cela de malheur qu'une infinité d'homicides et avortemens en adviennent, faisant mourir et tuant tous ceux qui ne sont point en vie»
(IT)
«La volta, la corrente, la fissaye, che gli stregoni hanno portato dall'Italia in Francia, oltre i movimenti insolenti e impudenti, hanno questa disgrazia[:] che un'infinità d'omicidi e aborti colpiscano, facendo morire e uccidere tutti coloro che sono in vita»
(Guillame Bouchet, in Edmond Bonnafé, Notes sur la vie privée à la Renaissance, Parigi, 1896, p. 380)


Altre critiche lamentano il forte senso di vertigini che la danza porta e il fatto che questa non è assolutamente adatta per le dame. Inoltre, il sollevarsi delle vesti, dovuto al continuo girare, era considerato come una cosa molto volgare:
(FR)
«En faisant volleter la robbe, monstroit toujour quelque chose agréable à la veue»
(IT)
«Facendo svolazzare i costumi, mostravano sempre qualcosa di piacevole alla vista.»
(Brantôme, La vie des Dames Galantes)


La danza fu fortemente osteggiata e a causa delle critiche cadde in disuso: già nel 1636 abbiamo una delle ultime menzioni della danza in un piccolo dialogo del El maestro de danzar di Félix Lope de Vega: un personaggio domanda cosa sia La nizzarda, senza però avere una risposta, il che può essere interpretato come un segno di declino. L'ultima attestazione letteraria della volta compare nel poema eroico di Bartolomeo Corsini (morto nel 1675):
(DE)
«Usz dantzen vil unratts entspringt»
(IT)
«Dalla danza nascono molti danni»
(Sebastian Brant, La nave dei folli)


Descrizione
Struttura formale della composizione
La volta era una danza in tempo ternario di movimento rapido, scritta solitamente in 3/4 o in 6/8. Non abbiamo la suddivisione esatta della battuta, ma possiamo affermare che questa sia stata non tanto differente dalla gagliarda e che abbia avuta una struttura regolare ma che, comunque, si poteva adattare. Riguardo agli strumenti utilizzati per accompagnare la danza, troviamo scritto, nelle Notes sur la vie privée à la Renaissance, che la volta provenzale veniva accompagnata con il suono del cimbalo.
Nell'esempio di volta presente nell'Orchésographie di Thoinot Arbeau, l'autore non riporta l'unità di tempo, ma scrive che questa è ternaria e mette le spezzabattute ogni sei minime: quindi si può dedurre che l'unità di tempo sia il 6/2. Lo spartito non presenta accidenti, è scritto in notazione mensurale, ma non cita per quale strumento questa sia stata scritta. Lo spartito è molto breve ed è composto da quattro misure e da una melodia molto semplice. Curt Sachs, sulla base di questo spartito, è riuscito a creare un'ipotetica suddivisione della battuta. Secondo la ricostruzione, la battuta sarebbe stata in 3/4 e composta da sei crome oppure dallo schema sincopato: semiminima-croma, semiminima-croma.
Esempi di volte si trovano nelle suite del XVII secolo, dova questa occupava a volte il ruolo di danza finale (come in Thomas Simpson, Opusculum newer Pavanen, 1610). Le volte appaiono in arrangiamenti per liuto, strumenti a tastiera ed insiemi orchestrali. Adrian Le Roy include nella sua opera Instruction (1568) l'arrangiamento per liuto di una delle più antiche melodie provenzali conosciute chiamata La volte, essa appare nel volume di Jean d'Estrées Tiers livre de danseries (1559), nelle intavolature per liuto dell'italiano G. C. Barbetta (1585) e di G. A. Terzi (1599). Nell'opera Terpsichore di Michael Praetorius (1612) sono presenti quarantotto volte. Il primo e il secondo libro di Robert Ballard (1611 e 1614) ne contiene sette. Troviamo delle volte nelle collezioni di musiche virginali: due esempi si trovano nel Fitzwilliam Virginal Book, uno di William Byrd e uno di Thomas Morley. Louis Couperin la utilizza in una composizione per cembalo.

Struttura della coreografia della danza
Cesare Negri, nel capitolo sulla nizzarda del suo trattato Le Gratie d'amore (1602), scrive che è una danza allegra, caratterizzata da salti e giri, alla quale non si può dare una regola precisa perché è danzata differentemente secondo il paese. Di questa abbiamo differenti descrizioni, tra cui soprattutto quella presente nell'Orchésographie di Thoinot Arbeau (1589).

(FR)
«Les mouvements & pas de ceste dance, se font en tornant le corps, & consistent en deux pas, un souspir pour le sault majeur, une assiette de pieds joincts, & en fin deux souspirs ou pauses»
(IT)
«I movimenti e i passi di questa danza, si fanno girando il corpo, e consistono in due passi, un sospiro per il passo maggiore, un equilibrio a piedi uniti, e infine due sospiri o pause»
(Thoinot Arbeau, Orchésographie)


Nella volta i danzatori ballano a coppia chiusa, ossia a stretto contatto. L'uomo con il braccio sinistro prende la dama sul suo fianco destro e appoggia la mano destra sotto alla stecca del busto di lei. La dama, a sua volta, appoggia la mano destra sulla spalla o sul collo del suo cavaliere e con la mano sinistra sostiene un lembo della gonna, per evitare che questa si sollevi eccessivamente. Durante tutta la durata della danza la coppia non cambia mai di partner. La danza inizia con un passeggio, durante il quale i ballerini compiono alcuni passi saltati simili a quelli della gagliarda, e infine si posizionano uno davanti all'altro e si prendono nella posizione descritta sopra. I passi che eseguono i ballerini, e che caratterizzano la volta, sono saltati e girati. Infatti, i ballerini incominciano con un primo saltello sul piede interno e, allo stesso tempo, alzano quello esterno e girano di 90°. Dopo fanno un pas assez long (passo abbastanza lungo) sul piede destro senza saltare, quindi girano per un quarto di giro. Infine eseguono un salto più alto girando di un quarto e cadendo a piedi uniti. Per ritornare alla posizione iniziale, i danzatori dovevano eseguire per quattro volte lo schema qui descritto. Sempre nell'Orchésographie compare un esempio di spartito della volta nel quale l'autore fa corrispondere a ogni nota un passo, secondo questo ordine:
  1. Saltello iniziale
  2. Passo lungo (prende due note)
  3. Salto maggiore
  4. Caduta a piedi uniti
Nel trattato di Cesare Negri Le Gratie d'amore (poi ristampato col titolo Nuove inventioni di balli), ci è data un'altra descrizione della danza sotto il nome di nizzarda. Questa si balla in coppia chiusa e l'uomo prende per mano la dama con la mano destra; la donna, a sua volta, mette la mano destra sulla gonna. La danza inizia con un inchino, poi con una camminata. Successivamente, questi eseguono un passo in avanti con il piede sinistro seguito da un saltello terminato sul piede destro. Nel suo trattato, Negri dà anche un esempio di intavolatura per liuto de La nizzarda.