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I rëbra (in russo: рёбра ) erano dei dischi in vinile improvvisati realizzati con lastre per radiografie. Realizzati principalmente tra gli anni cinquanta e sessanta in Unione Sovietica, i rëbra rappresentavano un metodo impiegato nel mercato nero e nel contrabbando per distribuire la musica, censurata dal regime, di artisti emigrati, come Pëtr Leščenko, oppure di artisti occidentali come Elvis Presley, The Beatles, The Rolling Stones, The Beach Boys, Ella Fitzgerald e Chubby Checker.
Sono conosciuti anche come rentgenizdat, dal russo рентген, rentgen, un termine usato per indicare i "raggi X", e издать, izdat' , "pubblicare".

Produzione
Delle vere radiografie mediche venivano comprate o recuperate dai rifiuti di ospedali o cliniche per realizzare le registrazioni. Le lastre venivano tagliate in dischi da 7 pollici e forate al centro con una sigaretta accesa. Secondo il musicologo russo Artemij Troickij, "i solchi venivano incisi [a 78 giri al minuto] con l'aiuto di speciali macchine (realizzate, dicono, con vecchi fonografi da sapienti mani cospirazioniste) [...] La qualità era pessima, ma il prezzo era basso, un rublo o un rublo e mezzo." I dischi potevano essere riprodotti solamente cinque o al massimo dieci volte.

Legalità
L'approccio clandestino alla circolazione di musica straniera proibita portò all'approvazione di una legge nel 1958 che vietò la produzione casalinga di incisioni che stava seguendo "una moda criminale teppista". Con "moda teppista" veniva fatto un riferimento agli stiljagi (dal russo stil' ovvero "stile"), una subcultura diffusa tra la gioventù sovietica che abbracciava le mode occidentali.

The X-Ray Audio Project
Dopo aver visto un rëbra a San Pietroburgo dopo un'esibizione nel 2013, il musicista inglese Stephen Coates del gruppo The Real Tuesday Weld lanciò il The X-Ray Audio Project, un'iniziativa per fornire maggiori informazioni sui rentgenizdat tramite immagini, registrazioni audio e interviste. Dopo molti anni di ricerche e interviste ai creatori di rëbra, pubblicò per nel novembre del 2015 il libro "X-Ray Audio" The Strange Story of Soviet Music on the Bone, il primo a trattare su questo argomento.
Nel giugno 2015, Coates tenne un discorso sull'argomento al TED di Cracovia. Assieme al ricercatore e artista del suono Aleksander Kolkowski, Coates raccontò la storia di coloro che realizzavano i rëbra e fece delle incisioni dal vivo per mostrare il processo di lavorazione. La mostra itinerante di Coates creata con il fotografo Paul Heartfield attirò molto l'attenzione dei media come il The Guardian e il programma BBC Today. Nel settembre 2016, entrambi pubblicarono il documentario Roentgenizdat con interviste ai veri autori sovietici e materiale d'archivio.





Quando Freddie Mercury se ne è andato il mondo ha perso una voce unica, un artista eccezionale che rivive attraverso le canzoni, la musica e ora anche grazie alle parole commoventi del suo assistente personale Peter Freestone.
Quando Freddie Mercury morì, il 24 novembre 1991, i temi legati al terribile virus dell’HIV erano ancora un tabù. Oggi l’ostacolo del silenzio è stato superato, si parla ampiamente di prevenzione, sono stati fatti dei passi avanti nella cura dell’AIDS (tanti ne rimangono da fare).
Ogni giorno si cerca di migliorare le condizioni di vita dei malati. La morte di Freddie Mercury fu uno degli eventi tragici che accesero i riflettori su questo male devastante. Come spiega il magazine Elle, Peter Freestone era l’assistente personale del cantante e gli rimase vicino nelle ultime ore di vita. I due si conoscevano da 12 anni durante i quali la loro amicizia era diventata man mano più stretta. A distanza di circa 30 anni Freestone ha voluto rievocare quei dolorosi momenti che portarono alla scomparsa di una delle più belle voci di sempre.
Nelle sue parole toccanti c’è la sofferenza e la malinconia per un passato che non può più tornare, per un’amicizia spezzata dalla morte. Freestone racconta a Vice che Freddie “aveva deciso di morire dopo che il 10 novembre 1991 aveva smesso di assumere le medicine che lo stavano mantenendo in vita. L’AIDS aveva cancellato ogni autonomia di Freddie, è stato il suo modo di riprendere il controllo della sua esistenza”. Mercury scoprì di avere l’AIDS nel 1989, ma scelse di non rivelare pubblicamente la notizia. La sua salute, minata giorno per giorno dalla malattia, lo costrinse a diradare gli impegni e le apparizioni.
Solo quando si rese conto che il tempo a sua disposizione stava finendo, Freddie Mercury decise di rilasciare una dichiarazione sulla sua condizione, invitando il mondo intero a lottare contro l’AIDS. Era il 23 novembre 1991 (il testo della dichiarazione, però, era stato redatto il giorno precedente). A tal proposito Freestone ricorda: “Da quel momento Freddie è cambiato totalmente. All’inizio della settimana era teso, poi invece è cambiato. In tutti quegli anni non avevo mai visto Freddie così rilassato. Non c’erano più segreti, non si nascondeva più. Sapeva che avrebbe dovuto rilasciare la dichiarazione, altrimenti qualcuno avrebbe potuto pensare che lui considerasse l’AIDS come qualcosa di sporco, da nascondere sotto il tappeto”.
Gli amici più cari si radunarono attorno a Freddie Mercury. Freestone gli tenne la mano, rievocando il passato. Di quei momenti l’assistente ha un ricordo vivido e prosegue: “Dopo la dichiarazione, alle 8 di venerdì 22 novembre sono iniziate le mie 12 ore con lui. E poi sono arrivate le 8 di domenica mattina. Stavo per andarmene quando Freddie mi ha preso la mano e ci siamo guardati negli occhi. Mi ha detto: ‘Grazie’. Non so se avesse deciso che era l’ora di andarsene e volesse ringraziarmi per i 12 anni passati insieme, o se invece mi stesse solo dicendo grazie per le ultime 12 ore. Non lo saprò mai, ma è stata l’ultima volta che abbiamo parlato”. A quanto sembra Freestone è stato tra quelli che si sono opposti alla possibilità di mostrare la morte di Freddie Mercury nel film “Bohemian Rhapsody” (2018) di cui è stato consulente. Al riguardo Peter disse: “Nessuno dovrebbe veder morire Freddie Mercury sullo schermo”. In effetti quel momento, per amici e familiari, è stato troppo doloroso e privato. In quegli istanti non c’era più il cantante, la rockstar di fama mondiale, ma solo l’uomo amato dai suoi cari.




Imparare a suonare uno strumento musicale sia da bambini che da adulti è una palestra per il nostro cervello che risulta più elastico e reattivo. Scopriamo insieme tutti i benefici dell’educazione musicale.
Imparare a suonare uno strumento musicale fa bene alla salute del cervello, sia nei bambini che negli adulti.
È quanto è stato confermato dagli studi dell’Università di Westminster condotti dalla nota neuropsicologa Catherine Loveday e pubblicati sul giornale Guardian. La ricercatrice in seguito ai suoi studi approfonditi sul ruolo della musica sullo sviluppo cerebrale sostiene che suonare uno strumento stimola il cervello in modo potente ed esclusivo. È in grado di sviluppare una vera e propria connessione con diverse aree cerebrali, compresa la sfera emotiva.
Quando si impara a suonare si attivano contemporaneamente vista, udito e tatto e di conseguenza si acquisisce la capacità di svolgere tanti compiti contemporaneamente. Si diventa multitasking. La musica trasmette molteplici informazioni al nostro cervello. Queste sono capaci di attivare cambiamenti duraturi e positivi che mantengono elastico il cervello.
I cambiamenti permanenti aumentano considerevolmente la materia grigia cerebrale, in varie zone. Si sviluppano così il ragionamento spaziale, la memoria, le capacità motorie e il linguaggio analitico. Ecco i principali benefici che l’apprendimento di uno strumento musicale apporta alla nostra struttura cerebrale:
- Maggiore capacità di problem solving: chi impara a suonare uno strumento diventa più bravo nel ragionamento analitico. L’educazione musicale nei più piccoli accresce il processo decisionale da adulti. Aiuta infatti a prendere decisioni in maniera celere ed efficace;
- Stimola la concentrazione: suonare è una palestra per il nostro cervello che è tenuto a mantenersi costantemente lucido e concentrato;
- Rafforza le capacità di espressione: leggere gli spartiti migliora la capacità di lettura e perfeziona il linguaggio; - Più creatività: la musica consente di esprimere le proprie emozioni in maniera inedita dando sfogo alla propria immaginazione e fantasia. I musicisti infatti sono persone altamente sensibili e creative;
- Sviluppo dell’autostima e autoefficacia: chi suona uno strumento in futuro sarà meno timido nell’esporsi in pubblico e nel parlare ad una platea;
- Mantenersi più giovani: suonando, il cervello rimane più reattivo ai suoni anche durante la vecchiaia rispetto a chi non ha avuto un’educazione sentimentale;
- Riduzione dello stress: suonare ci connette alla sfera emotiva liberandoci di tutte le emozioni negative. Si allontanano dalla mente problematiche e preoccupazioni perché ci si concentra sul presente, sul “qui e ora” in maniera creativa;
- Rafforza le difese immunitarie: suonare rende vitali e sprigiona positività. In questa condizione l’organismo produce più serotonina, l’ormone del benessere che aiuta ad allontanare l’attacco di batteri e virus. Solo così ci si ammala di meno;
- Rende più socievoli: la musica ci connette con più persone, consente di tessere significativi rapporti interpersonali. Chi fa parte di una band sviluppa la socializzazione e tutte le abilità connesse. Si sviluppa infatti la coesione, la collaborazione, il rispetto e la solidarietà nei confronti dell’altro.


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Lo 007 James Bond, Indiana Jones, la Pantera rosa, il Padrino. E' praticamente impossibile pensare a questi personaggi senza risentire nella mente la colonna sonora dei film che li hanno raccontati sul grande schermo. Ebbene, nessuno di loro avrebbe avuto tanta fortuna al botteghino se i sottofondi che li hanno accompagnati non fossero stati scritti. Note e cervello, infatti, sono legati a doppio filo e ascoltare una musica emozionante aiuta la memoria a fissare ricordi indelebili. Lo ha dimostrato un gruppo di scienziati dell'università degli Studi di Milano-Bicocca, con un esperimento pubblicato su 'Nature Scientific Reports', co-firmato da un collega dell'Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr.
L'obiettivo dei ricercatori era indagare quale influenza ha ciò che ascoltiamo, sia musica o rumore di fondo, sui processi percettivi e cognitivi. Il lavoro è stato condotto dal Milan Center for Neuroscience-Dipartimento di Psicologia della Bicocca, e coordinato da Alice Mado Proverbio, docente di Psicobiologia e psicologia fisiologica dell'ateneo milanese.
Il test ha coinvolto un gruppo di 54 studenti universitari non musicisti, ai quali è stato proposto un esercizio di memoria accompagnato da una melodia o da nessun sottofondo musicale. Si è così osservato che i ricordi si fissavano meglio, e venivano richiamati più velocemente alla memoria, in condizioni di silenzio oppure di musica toccante.
Ecco i dettagli del test. Nella prima parte sono state mostrate ai partecipanti 56 immagini di volti di uomini e donne, in associazione a un sottofondo sonoro di musica jazz e suoni naturali, per esempio onde marine. Nella seconda fase sono state mostrate altre 300 facce sconosciute, con un sottofondo di musica ritenuta commovente o gioiosa da 20 giudici in un precedente studio, oppure con il sottofondo del rumore della pioggia, o ancora in silenzio. Nello step conclusivo i partecipanti vedevano altri 300 volti (200 vecchi e 100 nuovi) senza alcun sottofondo musicale, e veniva chiesto loro di usare il dito indice per indicare che si trattava di facce nuove o il medio per quelle già viste. Durante l'ascolto della musica, inoltre, ai partecipanti venivano misurati la pressione sanguigna e il battito cardiaco.
"I risultati - spiegano dalla Bicocca - hanno indicato che il riconoscimento più efficiente e veloce dei volti si è verificato in condizioni di silenzio, o quando i partecipanti ascoltavano musica emotivamente toccante. Al contrario, un sottofondo fatto di suoni come pioggia o musica allegra ha interferito con la memorizzazione delle facce. Oltre a migliorare la memoria, l'ascolto di musica emotivamente toccante ha coinciso con un significativo aumento della frequenza cardiaca".
Dichiara Mado Proverbio: "L'ipotesi che ci porta a fare questo esperimento è che l'ascolto di musica toccante sia in grado di modificare la percezione visiva dei volti, legando le caratteristiche del viso a informazioni uditive e carica emotiva generata dalla musica. Ciò potrebbe voler dire che l'ascolto di un certo tipo di musica produce una codifica della memoria più profonda".


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Il DJ producer, da non confondere con il disc jockey, nell'ambito della musica elettronica moderna è colui che realizza, arrangia ed esegue brani musicali tramite strumentazione di tipo elettronico e, quasi sempre, un computer, spesso senza alcun utilizzo di musicisti o strumenti musicali, ma ricorrendo solo a tecnologie virtuali e digitali.

Caratteristiche
Il ruolo non è da confondere con il produttore discografico, ovvero colui che investe e sostiene i costi per la realizzazione, distribuzione e la diffusione promozionale di opere musicali.
Sfruttando il progresso tecnologico e l'abbattimento dei costi di registrazione, realizzabili oggi anche con un semplice computer e software installato, che hanno permesso la realizzazione di prodotti musicali anche in assenza di conoscenze musicali, il producer realizza in genere le sue opere sfruttando le possibilità di automazione e facilitazione dati da specifici software musicali, in grado di realizzare musica elettronica sfruttando sia l'uso dei campionamenti che il ricorso a "strumenti virtuali" , "sequencer" e "arranger", cioè strumenti o software in grado di creare in modo quasi autonomo e automatico gli arrangiamenti. Un producer può anche ricorrere all'uso di strumenti musicali acustici o comunque suonati, quando in grado di averne le minime capacità tecniche e teoriche, o affidandosi all'ausilio di "turnisti".
Spesso le sue competenze riguardano, più che le conoscenze musicali, una supervisione complessiva del lavoro e la eccellente capacità nel sapere usare le macchine e i software e la sensibilità nel creare lavori che incontrino il gusto del pubblico di riferimento, svolgendo quindi anche mansioni inerenti alle competenze del fonico e del produttore artistico oltre a quelle di autore, relativamente alle peculiarità della musica elettronica e alle possibilità date dall'evoluzione tecnologica che hanno permesso una semplificazione e assimilazione di questi ruoli, rendendoli più accessibili anche ad amatori e non professionisti o comunque non necessariamente dei musicisti o tecnici specialisti.
I primi ad introdurre il termine producer sono stati alcuni DJ di Chicago, Detroit e New York (tra la metà e la fine degli anni ottanta) che hanno contribuito con l'aiuto di varie drum machine (tra i quali Roland TR808 e 909) alla nascita della musica house e alla sua evoluzione in acid house ed electro house, a quella della techno e dell'hip hop, componendo basi musicali per il rap. Il primo DJ producer è considerato Afrika Bambaataa

Attrezzatura
Chi si appresta alla produzione di un brano musicale, di solito fa uso di un insieme di attrezzature per la sintesi, l'editing, il processamento e l'acquisizione di suoni nonché per l'arrangiamento e il missaggio. Tutte queste apparecchiature solitamente elettroniche e/o meccaniche sono situate in un'unica infrastruttura, spesso, soprattutto in ambito professionale, coincidente con uno "studio di registrazione" (spesso ridotto in "home recording" in funzione dell'abbattimento dei costi e di riduzione delle macchine usate, soprattutto in fase di pre-produzione professionale o in ambito amatoriale). I brani composti da un DJ producer possono essere tendenzialmente realizzati interamente nel proprio studio, anche senza necessariamente fare ricorso ad altro personale ausiliario tecnico o artistico.
In passato le apparecchiature potevano essere di tipo elettronico o in certi casi di tipo meccanico (lettori per nastri, tastiere, giradischi, ma anche unità per la generazione di effetti), oggi invece la distinzione è tra hardware e software. Nel secondo caso il centro dello studio è la digital audio workstation (DAW), ovvero come dice il nome un'apparecchiatura digitale che il produttore usa per effettuare operazioni complesse sull'audio, fino a costruire un arrangiamento.
La DAW può essere uno dei numerosi supporti digitali disponibili, conformemente al rapido sviluppo tecnologico, il Digital Audio Tape, sigla con cui oggi si fa riferimento soprattutto al computer e alla sua capacità di memorizzazione, all'interno del quale è presente il software detto sequencer. Spesso il sequencer è dotato di sintetizzatori ed effetti tramite dei plug-in, scritti in vari formati a seconda del software usato: VST, DirectX, RTAS e TDM (per Pro Tools), e AudioUnit (per MAC). Questi strumenti vengono suonati e controllati attraverso tastiera/e e controllers che si connettono alla DAW attraverso il protocollo MIDI (oggi implementato anche da altri protocolli più avanzati quali lo USB) e permettono di scrivere partiture e registrare i cambiamenti di vari parametri. Infine possono poi venire aggiunti elementi quali sintetizzatori o moduli di effetti "hardware", collegabili agli I/O della scheda audio. Nella maggioranza dei casi, gli studi sono formati da soluzioni "ibride" hardware/software; da un lato infatti è possibile trovare una grande qualità audio, dall'altra flessibilità e versatilità virtualmente infinita, e al crescere della potenza dei calcolatori, anche la possibilità di modellare suoni attraverso meccanismi e algoritmi estremamente complessi come vocal modeling.
Mentre nell'uso professionale, il producer spesso ricorre all'uso di campionamenti o parti musicali originali suonati e realizzati appositamente da musicisti, e di suoni appositamente creati e programmati, sfruttando al meglio l'interazione fra la programmazione della musica elettronica/digitale e la componente umana, creando così nuovi standard e sonorità esclusivi e originali, capaci anche di influenzare o creare le forme musicali, nelle produzioni minori, l'uso minimo e a volte semplicistico di strumenti e temi musicali e della programmazione di pattern ritmici di "drum machine" , spesso implica che questi brani musicali usano di preferenza le numerose librerie di suoni e pattern ritmici o armonici disponibili in commercio o diversamente fruibili, o fanno ricorso al campionamento di parti di altri brani musicali già esistenti, poi mixati e processati in modo da renderli o singolarmente non riconoscibili o funzionali alla nuova composizione. Le librerie sono in generale già dotate di una licenza di utilizzo, in quanto i diritti di sfruttamento sono compresi nel prezzo di acquisto o rilasciati con licenze di libero utilizzo, soprattutto nell'uso non professionale (infatti royalties sono spesso comunque richieste anche da questo tipo di licenze in caso di utilizzo per prodotti e fini commerciali o professionali), mentre l'uso di parti di brani già esistenti, sia campionati o comunque risuonati o riprodotti oltre i limiti concessi dalla semplice "citazione" è rigidamente tutelato dalle norme sul diritto d'autore.




Risultati immagini per La cover del nuovo album di Drake fa schifo, oppure spacca



Questa è decisamente la cosa più Drake che Drake abbia mai fatto in vita sua.
Quella roba che vedete qua sopra è la copertina di Nothing Was the Same, il nuovo album di Drake la cui uscita è stata rimandata al 24 settembre, forse perché Drake si è voluto tenere una settimana libera dalla campagna di promozione pubblicitaria per giocare a GTA 5 senza interruzioni. O, forse, perché non l’aveva ancora finito. In ogni caso, si è comunque sentito in dovere di mostrare alle masse almeno la copertina dell’album. Fa schifo, stando al parere degli espertoni di internet. La grafica faccia-con-dietro-le-nuvole non è certo una cosa nuova, anzi assomiglia vagamente all’illustrazione di una carta di Magic. Oserei dire che è ridicola, e prova che Drake ha il buon gusto di un paio di pantaloni di velluto a coste.
O forse no?
Mettiamo le cose in chiaro.
Numero uno. Drake ha sicuramente fatto un bell’affare rivelando in anticipo la copertina dell’album. Nothing Was the Same sarà senza ombra di dubbio uno dei dischi più venduti dell’anno e, se si considera come sono stati accolti i singoli usciti fino ad ora, sarà anche tra i più apprezzati dalla critica. Il fatto che siamo qui a scrivere della sua copertina, fosse anche solo per prenderlo per il culo, è la prova di quanto hype si sia creato.
Numero due. La gente aveva voglia di prendere per il culo la copertina di Drake ancor prima di averla vista. Drake è il rapper più adatto a fare da ricettacolo al nostro scherno, ma in realtà le considerazioni su di lui non sono dettate da cattive intenzioni. Lo prendiamo per il culo semplicemente perché lo amiamo.
Numero tre. Drake è uno dei pochi rapper che riesce a far litigare la gente su una copertina. In realtà la maggior parte delle copertine di album sembrano appiccicate lì per caso, come fossero una cosa in più, specialmente nell’era del download digitale. La verità è che diamo così tanto peso alla questione perché abbiamo ormai etichettato Drake come un “artista”, alla stregua di persone come Kanye West, e quindi accettiamo la sua rappresentazione dell’arte come una parte del suo lavoro.
Tuttavia, consideriamo Drake un “artista” nella stessa misura in cui lo riteniamo uno un po’ pienotto di sé. Questo significa che ogni volta che Drake fa qualcosa–qualsiasi cosa–la prima reazione del nostro subconscio tende ad essere “In che modo posso prenderlo per il culo stavolta?” Drake potrebbe aver disegnato la copertina più figa di tutti i tempi e avremmo riso del suo darsi troppa pena, se invece avesse fatto qualcosa di davvero stupido avremmo schernito la sua poca voglia di lavorare. Credo che Drake abbia capito questo gioco, che in fin dei conti lo lascia libero di fare qualsiasi cosa voglia. Sappiamo che tutta la storia del passaggio dall’infanzia al mondo dei grandi ha per lui una grandissima importanza, pensate al video di “Started from the bottom”. Quindi, personalmente, ritengo lodevole il fatto che sia riuscito a stampare la copertina esattamente come aveva deciso di farla.
Inoltre, spero di non essere il solo ad essere un po’ turbato quando mi accorgo che l’opinione comune ritiene che un artista di talento come Drake non abbia alcun contatto con la realtà. Drake ha una connessione internet proprio come tutti noi. Sa perfettamente di tutto il circo che si è creato attorno a lui, e chi si convince del contrario sta mentendo a se stesso. Sembra quasi che fosse a conoscenza del casino che avrebbe scatenato con questa copertina, ma che dopo un bel “Vaffanculo” abbia deciso di fregarsene. Non è nemmeno così improbabile che sia anche consapevole del lato un po’ sfigato di quell’immagine, ma l’abbia ritenuta comunque di qualità. Solo un ubriaco potrebbe pensare che un artista non possa produrre qualcosa, investendoci tempo e risorse, pur trovandolo in un certo senso divertente. “Divertente” non è da intendersi come l’opposto di “serio”, e la copertina di Nothing Was the Same ne è la prova provata.
Alla fine la copertina di Nothing Was the Same risulta epica in un modo che la maggior parte dei dischi non osa nemmeno immaginare. Drake potrà anche aver ideato un’immagine un po’ strampalata, ma riesce comunque a evocare una consapevolezza, un peso e un’evidente aspirazione alla grandezza. Cosa c’è di più appropriato per Drake di questo?


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Secondo gli esperti la musica ad alto volume esacerba l'effetto dell'ecstasy nel cervello.


Ecstasy e musica, cocktail ad alto rischio
Secondo gli esperti la musica ad alto volume esacerba l'effetto dell'ecstasy nel cervello.
Quanto è determinante l'ambiente circostante durante l'assunzione di una droga? Gli effetti possono essere diversi? Pare proprio di sì, almeno per l'ecstasy. In un recente studio è stato infatti dimostrato che assumere ecstasy in ambienti con musica ad alto volume sarebbe 5 volte più dannoso (in termini di riduzione dell'attività cerebrale) rispetto all'assunzione della droga in un luogo tranquillo.

Quando i topi ballano.
Michelangelo Iannone, neurologo dell'Istituto di neuroscenze di Catanzaro, ha somministrato a 20 ratti alcune dosi di ecstasy. In seguito metà di loro è stata messa in un ambiente molto rumoroso mentre l'altra metà in uno tranquillo. L'attività cerebrale delle cavie è stata monitorata tramite l'elettrococleografia (EcoG), uno strumento che registra le risposte encefaliche a uno stimolo acustico.
Alzando il volume fino a 95 decibel (il massimo grado di rumore consentito dalla legge italiana), i ratti a cui è stata data un'alta dose di ecstasy hanno reagito con un drastico calo dell'attività cerebrale rispetto a quelle cavie che, a parità di dose, sono rimaste in un ambiente silenzioso. L'attività cerebrale di queste ultime è tornata normale dopo un solo giorno dall'assunzione della droga, rispetto ai cinque giorni dei topi che l'hanno assunta durante la simulazione di un “rave”.

Overdose di musica e droga.
È dunque possibile rapportare questo risultato anche sulle persone? Secondo John Mendelson del California Pacific Medical Center's Addiction Pharmacology Research Laboratory di San Francisco, i risultati sono molto approssimativi in quanto l'ecstasy è stata somministrata ai ratti in dosi molto più massicce di quanto non si sarebbe fatto con una persona. Anche Linda Cottler, della Washington University School of Medicine in St. Louis (Missouri), ha dubbi a riguardo, affermando che questo tipo di droga viene usata spesso anche fuori da discoteche o rave e che un fattore come l'alto volume non può determinare i danni cerebrali tanto quanto l'uso abituale di questa droga.
La cosa assolutamente certa è che l'ecstasy, come tutte le droghe sintetiche, provoca danni permanenti al cervello se usata costantemente e senza moderazione.

Nome in codice MDMA.
Ma che cos'è esattamente l'ecstasy? E quali sono gli effetti e le conseguenze di una sua assunzione prolungata? L'MDMA (3-4 methylenedioxymethamphetamine) è una droga sintetica che agisce in particolare sulle cellule che rilasciano la serotonina, il neurotrasmettitore che, oltre ad essere legato strettamente alla memoria, mette in collegamento tra loro i neuroni e regola il comportamento, l'attività sessuale, il sonno e la sensibilità al dolore.
Assunta a lungo termine ed in elevate dosi l'MDMA può danneggiare la memoria, interferire con la temperatura corporea, aumentare il battito cardiaco e la pressione del sangue. In alcuni casi e in particolare per le persone cardiopatiche, l'assunzione può essere letale.


Risultato immagini per Editoria a pagamento



L'editoria a pagamento (in inglese, vanity press; in francese, édition à compte d'auteur) è il segmento del mercato editoriale in cui la pubblicazione di un libro è pagata dall'autore, direttamente o tramite l'acquisto di un numero prefissato di copie. L'espressione inglese è caustica nei confronti della "vanità" degli autori, solitamente di poesie o di romanzi, mentre quella francese sottolinea maggiormente il fatto che l'editore non si assume il rischio d'impresa, che ricade interamente sull'autore: l'attività dell'editore è in questo caso una mera prestazione d'opera (si intende invece per "editore a doppio binario" quell'editore che pubblica gratuitamente alcuni autori e a pagamento altri).
In Italia il fenomeno per cui è l'autore a pagare l'editore perché pubblichi il libro, diffuso già nell'Ottocento (ma allora si parlava di pubblicazione su commissione), è da decenni sempre più diffuso e noto anche con l'acronimo APS (cioè autore a proprie spese), inventato e reso di uso comune nella lingua italiana da Umberto Eco nel suo romanzo Il pendolo di Foucault, in un capitolo del quale narra le vicende di uno scaltro editore che, oltre alla normale attività imprenditoriale, pubblica anche aspiranti romanzieri e poeti, facendosi pagare per questo e mettendo in campo una serie di artifici e raggiri volti ad ingannarli rispetto alle effettive prestazioni che fornisce loro in cambio.
Afferente alla categoria dell'editoria a pagamento, ma con caratteristiche diverse, è il fenomeno dell'autoedizione, o autopubblicazione (self-publishing), che avviene rivolgendosi a una tipografia, o ricorrendo ai nuovi strumenti del print on demand ("stampa su richiesta") o book on demand. Nel caso dell'editoria a pagamento, lo stampatore ricopre anche il ruolo di editore, offrendo all'autore il servizio di correzione (editing), impaginazione e vendita nei canali commerciali; invece, nel caso dell'autoedizione, l'autore è anche editore di se stesso e l'unica prestazione professionale è quella della stampa del libro da parte di uno stampatore, commissionato direttamente dall'autore.
In tempi successivi è stata offerta anche una soluzione diversa: l'editore offre i servizi editoriali fino alla realizzazione del libro in formato .pdf, mentre la stampa è curata dall'autore tra le tipografie convenzionate, o, volendo, anche con una di sua fiducia. È l'autore stesso, poi che decide quante copie stampare e a curare le vendite e gli incassi.

Diffusione
Il fenomeno degli autori a proprie spese è sempre esistito, ma con la diffusione delle tecnologia di stampa digitale il costo "primo" per la pubblicazione di libri ha avuto un drastico ridimensionamento, rendendo perciò possibile la stampa di testi che prima "rimanevano nel cassetto". Innanzitutto il costo di composizione del testo si è quasi azzerato, perché in genere l'autore lo fornisce in formato digitale. La stampa digitale permette poi, pressoché agli stessi costi unitari, di produrre anche poche copie. A questo aumento del numero dei testi forniti dal mercato ha tuttavia corrisposto un aumento di difficoltà di essere presenti sul mercato tradizionale della diffusione commerciale. Molte delle librerie sono legate a grandi catene e anche quelle indipendenti sono sature di offerte, e se un testo non ha successo nel breve periodo viene subito ritirato dal mercato.
Se perciò da un lato la cosiddetta "soglia di ingresso" nel mercato si è abbassata sotto l'aspetto dei costi, dall'altro il concreto contatto con il grosso pubblico è diventato ancor più difficoltoso. Il sistema tradizionale di distribuzione dell'editoria cartacea non può sostenere tale enorme quantità di titoli. L'assorbimento degli stessi diventa invece più agevole con la distribuzione on line, che segue logiche diverse. Questa situazione ha visto il proliferare di centinaia di piccole case editrici che propongono contratti di edizione. Alcuni editori a pagamento bandiscono falsi concorsi, che vengono "vinti" da tutti coloro che vi partecipano, i quali poi ricevono il medesimo contratto di pubblicazione "con contributo".

Inquadramento del fenomeno
Per quanto sia legittima l'aspirazione a pubblicare una propria opera, anche quando questa non susciti interesse commerciale o culturale, e per quanto sia comprensibile il ricorso a un editore a pagamento, che pubblichi l'opera con qualità tipografica adeguata, fornendo all'autore la necessaria consulenza affinché il suo libro sia presentabile e apprezzabile, pur con una diffusione modesta anche soltanto tra amici e conoscenti, l'editoria a pagamento non gode di buona reputazione.
Ancora peggiore è la situazione che viene a crearsi quando l'editore a pagamento non offre servizi editoriali adeguati a fronte del contributo richiesto, ad esempio editing e correzioni testuali che portino il dattiloscritto al meglio delle proprie potenzialità, presentazioni dell'opera pubblicata, partecipazione a fiere del libro e ad eventi culturali in genere, distribuzione almeno minima in libreria, apposizione del codice ISBN. Anche volendo ammettere il ricorso all'editoria a pagamento, occorre comunque equilibrio tra contributo versato da parte dell'autore e l'effettiva prestazione dei servizi di consulenza redazionale, grafica e tipografica sopra descritti. Quando ciò non accade, il rapporto rasenta, e talvolta supera, i limiti della truffa commerciale.
Miriam Bendìa, nel suo saggio Viaggio di una giovane scrittrice tra editori a pagamento, ha analizzato il fenomeno proprio dal punto di vista delle offerte poco chiare e truffaldine. Stessa cosa ha fatto Antonio Barocci nel saggio Manuale per non farsi pubblicare.

Editoria a pagamento e autori famosi
È capitato, in epoche passate, che alcuni autori poi divenuti affermati e famosi abbiano iniziato la propria carriera pubblicando a pagamento le loro prime opere: sono celebri i casi di Moravia, che nel 1929 ha pubblicato a pagamento Gli indifferenti; di Umberto Saba, che nel 1911 pubblicò a proprie spese con lo pseudonimo di Saba il suo primo libro, Poesie, con la prefazione di Silvio Benco; o ancora di Italo Svevo, che pubblicò a sue spese i primi due romanzi, Una vita nel 1893 e Senilità nel 1898. Anche quando ebbe una grande notorietà, Marcel Proust ricorse all'édition à compte d'auteur, perché non sopportava alcuna ingerenza da parte dell'editore. Relativamente recente è il caso di Federico Moccia, che nel 1992 pubblicò a proprie spese la prima edizione di Tre metri sopra il cielo. Al di là di questi casi eccezionali, sono però pochissimi gli autori di successo che hanno cominciato la loro carriera in questo modo, poiché generalmente la pubblicazione a pagamento viene considerata una macchia sul curriculum, una sorta di "peccato originale".

Editoria a pagamento ed editoria "sostenuta"
Un caso di editoria che in qualche modo potrebbe essere ricondotto al concetto di editoria a pagamento, ma che si differenzia in modo sostanziale da questa, è la cosiddetta "editoria sostenuta".
Quando un'opera è di alto livello culturale, ma anche estremamente specialistica (ad esempio un saggio approfondito su tematiche particolari), può accadere che nessuna casa editrice sia disposta a pubblicarla, poiché commercialmente avrebbe la certezza di ricavarne soltanto perdite. Allora sono enti e istituzioni (ad esempio fondazioni, o centri studi, o le stesse Università), che spesso ritengono meritevole di pubblicazione una monografia di un giovane ricercatore o di un autore ancora sconosciuto e decidono di contribuire alla spese di stampa. Questo tipo di sostegno ha un'elevata importanza culturale, poiché salvaguarda una parte della cultura di nicchia, promuovendone la diffusione e la circolazione e permettendo altresì la produzione di libri di alto livello scientifico e non soltanto di successi editoriali di largo consumo. Nel caso dell'editoria sostenuta è dunque l'istituzione che eroga il contributo a svolgere una funzione fondamentale che tradizionalmente spetta all'editore, quella di sottoporre al vaglio il libro da pubblicare (vaglio che invece viene completamente a mancare nell'editoria a pagamento).
Tuttavia l'asserita distinzione tra editori puri che si reggono sulle vendite ed editori che usufruiscono del contributo di autori o di terzi, spesso non è così netta. E talvolta anche grandi editori ricevono un contributo da parte di enti pubblici per l'edizione di opere in molti volumi di autori importanti per la storia della cultura patria, oppure di opere specialistiche e settoriali rilevanti, ma che non avrebbero sul mercato una vendita di copie sufficiente a pagare tutte le spese di stampa.

Edizioni nazionali
Di un livello e un interesse culturale assai più alto e generale, ma non dissimile nelle motivazioni, è la produzione delle Edizioni nazionali, in cui lo sponsor è addirittura un ministero. In Italia il Ministero per i Beni e le Attività Culturali si assume l'onere di retribuire i curatori dei testi critici e finanziare la stampa di voluminose opera omnia, che altrimenti ben difficilmente vedrebbero la luce, se dipendessero dalle richieste del mercato. Persino l'edizione nazionale di Tutte le opere di Gabriele d'Annunzio, pubblicate in 49 volumi dal 1927 al 1936 dal nuovo astro nascente dell'editoria italiana Arnoldo Mondadori, lungi dal reggersi solo sulle vendite, prevedeva un apporto di un milione e mezzo di lire da parte del Provveditorato generale dello Stato, contro un apporto di soltanto un milione da parte dell'editore Mondadori. A fronte di ciò lo Stato si riserva il diritto d'autore delle edizioni critiche per 20 anni.

Pubblicazioni specialistiche
Per il mercato scientifico o di alta specializzazione culturale, i testi scritti in italiano, quando non sono adottati in corsi universitari frequentati da un alto numero di allievi, in genere non hanno un sufficiente mercato. Diventa perciò prassi comune da parte anche dei più qualificati editori, richiedere un contributo, che può essere offerto o dall'autore, o dall'istituto culturale a cui è legato oppure da sponsor esterni.
Non è solo l'interesse degli autori alla diffusione del contenuto delle proprie idee o delle ricerche scientifiche: il più delle volte è la necessità di poter disporre di opere a stampa da presentare nei concorsi o comunque per fare carriera accademica. Peraltro gli editori di saggistica di livello elevato devono organizzare un sistema di revisione paritaria, che comporta evidentemente uno sforzo organizzativo, quando non addirittura spese vive.
Allo stesso modo se un testo in italiano vuole essere conosciuto all'estero, dove è più facile trovare un mercato di acquirenti, deve essere tradotto in inglese. Tuttavia gli editori internazionali, anche quelli di primissimo rango, esigono che il testo sia fornito, appunto, in lingua inglese di standard accademico. Se l'autore non è in grado di provvedere alla traduzione, deve procurarsi un contributo che copra le spese di traduzione.
Correlata a tale fenomeno vi è l'esigenza, negli ambienti accademici, di accumulare un certo numero di pubblicazioni, per cui la pubblicazione a pagamento può soddisfare esigenze di carriera anche al di là degli aspetti di mera vanità.

Parametri
Non è possibile fornire parametri esatti circa l'ammontare dell'intervento economico che permette la pubblicazione del libro. Ogni pubblicazione può avere caratteristiche diverse, quanto a formato, numero delle pagine, rilegatura, presenza di illustrazioni in bianco e nero o a colori in copertina e nelle pagine interne. Una pubblicazione di pregio di un migliaio di pagine su carta vergata o patinata, con tavole a colori, elegantemente rilegata con copertina rigida e sovraccoperta, differisce sostanzialmente da un tascabile in brossura, di un centinaio di pagine, stampate in bianco e nero su carta ordinaria. Rientrano poi nei costi la correzione e l'editing del testo, le presentazioni e la promozione in genere. In linea di massima, i rapporti di costo fra le varie fasi di realizzazione di un'opera, cioè gli elementi che concorrono alla formazione del prezzo finale di copertina, possono essere schematicamente suddivisi in tre parti:
  • redazione e composizione del volume, 25 per cento
  • stampa tipografica e legatoria, 25 per cento
  • promozione e distribuzione organizzata, 50 per cento
È chiaro che si tratta di uno schema semplicistico. I costi reali che un editore affronta possono variare notevolmente: i costi di stampa per un tascabile economico di grandissima tiratura sono inferiori a quando indicato, mentre saranno superiori per un'opera di pregio. Ma questo parametro, applicato alla valutazione dell'editoria a pagamento, rappresenta un utile discrimine per capire se l'offerta che l'autore o l'ente riceve è coerente con il prodotto e i servizi che lo hanno reso tale. In pratica il processo economico base dell'editoria, secondo cui lo scrittore scrive, l'editore vende e il lettore compra, con l'azzeramento del rischio d'impresa viene ribaltato in uno schema nel quale l'editore vende e lo scrittore compra (ed eventualmente, se ci riesce, rivende ai propri conoscenti).

Chi offre il servizio
Gli editori che offrono servizi di editoria sostenuta, ovvero la possibilità di pubblicare opere di scarsa o nulla valenza commerciale, ma d'elevato contenuto e valore culturale, quando sia presente uno sponsor istituzionale che ne sostenga i costi, non devono essere confusi con gli editori a pagamento.
Gli editori a pagamento non svolgono alcuna selezione e accettano tutti i manoscritti che vengono loro sottoposti, chiedendo poi all'aspirante autore contributi diretti per la pubblicazione, oppure richiedono l'acquisto di quantità considerevoli di copie come prerequisito per la stampa del libro.
Un'ulteriore fascia di mercato legata all'editoria a pagamento, anche se apparentemente presentata come disintermediazione, è rappresentata dai servizi di autopubblicazione del tipo print on demand, o book on demand, che sono espressamente e dichiaratamente dedicati alla stampa su richiesta, nei quali è l'autore a provvedere personalmente alla confezione editoriale della propria opera, a fronte di un impegno economico più ridotto (spesso con acquisti minimi di 30/50 copie del libro o anche meno). Questo tipo di servizio è in genere offerto direttamente sul Web a prezzi più o meno concorrenziali.

Tendenze future
Se il ricorso all'editoria a pagamento, in seguito a una maggiore copertura giornalistica del fenomeno, è oggi più largamente riconosciuto come un errore per un aspirante autore, anche a causa del fatto che, non correndo rischi, le case editrici di editoria a pagamento accettano tutti i manoscritti che vengono loro proposti e la pubblicazione con una di esse non costituisce dunque alcun titolo di merito, dall'altro lato sta crescendo la ricerca di forme di disintermediazione della figura dell'editore tradizionale. Il fenomeno sta assumendo aspetti rilevanti specialmente riguardo alla riconsiderazione del fenomeno di autoproduzione dei libri.