La figura di Bruce Lee è stata a lungo
mitizzata come il simbolo dell'artista marziale per eccellenza,
capace di fondere filosofia orientale e combattimento. Tuttavia,
dietro l'immagine costruita e venduta da Hollywood, si cela una
realtà molto più complessa e controversa, legata non solo alla sua
identità culturale, ma anche alla sua reale conoscenza delle arti
marziali e ai pericoli che ha corso nel corso della sua vita.
Bruce Lee non era, secondo alcuni
critici, un artista marziale completo. Cresciuto a Hong Kong, Bruce
iniziò la sua carriera non come combattente, ma come attore bambino.
Tra i sei e i dodici anni, apparve in numerosi film cinesi,
alimentando il desiderio di notorietà che lo avrebbe accompagnato
per tutta la vita. Tuttavia, la sua infanzia dorata nascondeva un
lato oscuro: una costante lotta per essere accettato in una società
che lo considerava un outsider. Bruce, figlio di un padre cinese e di
una madre per metà caucasica, fu spesso emarginato per il suo sangue
“non puro”.
La sua introduzione alle arti marziali
avvenne attraverso il Wing Chun, uno stile sviluppato per la difesa
personale e noto per la sua semplicità ed efficacia a distanza
ravvicinata. Bruce si avvicinò a questa disciplina non per una vera
passione, ma per difendersi dalle aggressioni di strada. Tuttavia, la
sua formazione fu limitata: due anni di pratica non bastarono a
rendere un esperto. Inoltre, i conflitti con i compagni di
allenamento, che scoprirono le sue origini non completamente cinesi,
complicarono ulteriormente la sua posizione.
Quando Bruce si trasferì negli Stati
Uniti, portando con sé le sue conoscenze di Wing Chun, trovò un
pubblico affascinato dal misticismo orientale. Questo lo spinse a
creare una scuola e a promuovere un metodo di combattimento che
chiamò “Jeet Kune Do”, un mix di tecniche adattive che si
discostavano dalle arti tradizionali. Tuttavia, secondo i detrattori,
Bruce non aveva la preparazione necessaria per definirsi un vero
artista marziale. Il Wing Chun, pur essendo efficace, non è
considerato una forma marziale completa, e il suo adattamento di
diverse tecniche non era basato su una formazione strutturata.
L'ascesa di Bruce Lee a star del cinema
fu segnata da compromessi e scontri con la mafia cinese, le Triadi,
che da decenni avevano un'influenza significativa sia sulle arti
marziali che sull'industria cinematografica. Le sue ambizioni di fare
il salto definitivo a Hollywood furono viste come una minaccia da
alcune fazioni mafiose. L'apice delle tensioni si raggiunse quando
Bruce progettò un film, “The Game of Death” ,
che secondo alcuni rivelava dettagli scottanti sulle Triadi. Questo
progetto, combinato con il suo crescente successo internazionale, lo
avrebbe portato a essere visto come un pericolo per chi controllava
il mercato cinematografico cinese.
Bruce morì in circostanze misteriose
nel 1973, alimentando teorie sul coinvolgimento delle Triadi e
sull'uso di tecniche segrete per eliminarlo. La sua morte fu
ufficialmente attribuita a un edema cerebrale, ma molti credevano che
fosse stato assassinato.
La tragedia colpì di nuova la famiglia
Lee con la morte del figlio di Bruce, Brandon Lee, avvenuta durante
le riprese del film “Il Corvo” nel 1993.
Brandon, come suo padre, si era fatto strada nel mondo dello
spettacolo, ma condivideva anche il destino di essere al centro di
misteri e congetture. Poco prima della sua morte, Brandon dichiarò
di voler scoprire la verità sulla scomparsa del padre. Questa
affermazione, pronunciata in un talk show nazionale, avrebbe attirato
l'attenzione di potenti gruppi mafiosi, i Tong americani, che
vedevano in Brandon una minaccia simile a quella rappresentata da
Bruce.
La sua morte, ufficialmente attribuita
a un incidente sul set, sollevò molte domande. La pistola di scena
che sparò il colpo fatale avrebbe dovuto essere caricata a salve.
Ancora oggi molti sostengono che si tratta di un messaggio deliberato
da parte di gruppi criminali.
Ciò che emerge dalla storia di Bruce e Brandon Lee è un racconto
di aspirazioni e tragedie, di conflitti culturali e di poteri oscuri
che si intrecciano. Al di là della loro abilità nelle arti marziali
o della loro autenticità, entrambi rappresentano simboli complessi:
figure che hanno cercato di superare i confini imposti dalle loro
origini e dalle aspettative del mondo, pagando un prezzo altissimo
per il loro coraggio.