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La videoarte – in inglese video art – è un linguaggio artistico basato sulla creazione e riproduzione di immagini in movimento mediante strumentazioni video.
Attualmente lo sviluppo della tecnologia, cui è legata questa forma di espressione, rende particolarmente vivace la produzione nel campo della videoarte, che in modo esteso si avvale di ogni tipo di piattaforma e di supporto disponibile: basti pensare all'utilizzo di schermi al plasma e LCD, di proiezioni sempre più luminose e di supporti digitali, del personal computer, del web, dei minischermi LCD di cui sono muniti gli smartphones, fino alle possibilità date dalle nuove tecnologie HD, con evoluzioni in direzione di una qualità sempre maggiore.
La stretta interazione tra arte e scienza/tecnologia ha imposto specifici parametri di fruizione rispetto all'arte tradizionale e riaperto la riflessione sull'incontro tra produzione creativa e processo tecnologico, che Walter Benjamin aveva individuato in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, del 1936, con riferimento alla fotografia e alla questione dell'originalità delle opere fotografiche prodotte in più esemplari. La problematica è condotta alle estreme conseguenze dalla riproducibilità totale dell'opera digitale, in cui le copie sono identiche all'originale e possono essere modificate.
Il termine videoarte (coniato dal mercato dell'arte newyorkese) segue cronologicamente la definizione di Nam June Paik (tra i pionieri, assieme ai Vasulka e a Godfrey Reggio, della prima epoca della videoarte), che intitolava una sua personale del 1968 a New York Electronic Art, dando una prima definizione di utilizzo del mezzo video, in particolare in questo caso corrispondente all'uso di televisori.
Nel 1958 Wolf Vostell realizzò Das schwarze Zimmer, una installazione che incorporava un televisore e nel 1963 realizzò 6 TV Dé-coll/age una installazione che incorporava 6 televisori nella Smolin Gallery di New York e realizzò il video Sun in your head.
Possiamo identificare nella seconda metà degli anni sessanta il momento della nascita della videoarte. Nel 1963 Nam June Paik realizza Exposition of Music-Electronic Television, considerato oggi il primo atto concreto di pratica della videoarte. La svolta decisiva e il riconoscimento ufficiale di questa nuova sperimentazione artistica è comunque nel 1968 con la mostra curata da Pontus Hulten al MOMA di New York The machine as seen at the end of the mechanical age che segna il passaggio dall'epoca della macchina a quella della tecnologia. In questa mostra Nam June Paik utilizza per la prima volta un primitivo videoregistratore e nello stesso anno, dall'altra parte dell'oceano, all'Institute of Contemporary Art di Londra Jasia Reichardt realizza il progetto espositivo Cybernetic serendipity insieme ad un esperto di tecnologia ed uno di musica: i visitatori vengono avvertiti che non avrebbero capito con facilità se le opere erano state realizzate da un artista o da uno scienziato. Il binomio arte e tecnologia è stato incalzante fin dall'inizio, se pensiamo che nel gennaio del 1969, all'Armory di New York, viene organizzata la serie di eventi 9 evenings dal gruppo di artisti Eat – Experiments in art and technology, che ha iniziato a riunirsi già nel 1966.
Lontana da un utilizzo passivo del mezzo tecnologico, la videoarte si serve del medium per precise finalità comunicative e non si ferma ad una pura documentazione della realtà. La sua capacità di intervenire sul reale e sulla sua percezione si traduce nella messa in discussione della posizione dello spettatore. Questo avviene in particolare nelle opere interattive. Ne sono un esempio l'installazione Videoplace dei primi anni settanta di Myron Krueger che riproduceva col colore su un monitor i movimenti dello spettatore, e l'intervento a circuito chiuso di Dan Graham che in una sua mostra riprendeva il pubblico e lo mostrava nella sala successiva. In questo caso, soggetto e fruitore corrispondono, come del resto avviene con la Tv, che rimanda alla società le immagini della società stessa. Questo meccanismo autoreferenziale è stato anticipato e sintetizzato perfettamente da Nam June Paik nell'opera del 1974 Tv Buddha in cui una statua della divinità osserva la propria immagine ripresa e trasmessa nella TV che sta di fronte. La videoarte ha, infatti, in più occasioni messo in discussione i meccanismi televisivi che si avvalgono dei medesimi mezzi tecnologici, ma solo in rari casi la videoarte è riuscita a raggiungere, con questo punto di vista critico, la diffusione propria della televisione: è riuscito a farlo ad esempio Jan Dibbets che ha sostituito per alcuni istanti le trasmissioni con l'immagine di un fuoco, di un'intimità domestica che solitamente lo spettatore perde guardando la TV.
La videoarte si articola in molteplici forme espressive, che vanno dalla registrazione di azioni e performance (videoperformance), a strutture complesse multimediali, come:
installazioni, video-installazioni e installazioni interattive
videoscultura
videoambienti
sistemi video che interagiscono in vari modi in tempo reale con la performance
cortometraggi, e talvolta lungometraggi, d'arte, immagini in movimento, arte digitale
videopoesia, poesia elettronica
La concomitanza tra l'avvento del video e un clima di attivismo e agitazione sociale assicura al mezzo un inizio esplosivo. Negli anni sessanta, il video mette in discussione l'oggetto artistico ancora più drasticamente di quanto facciano forme d'arte come l'happening o la performance. Un fattore comune di queste esperienze consiste nella cosiddetta "dematerializzazione" dell'oggetto artistico, la possibilità di un'arte fondata sul tempo anziché sullo spazio, presagio delle Avanguardie Storiche (si pensi alla quarta dimensione di Picasso o all'attenzione dei Futuristi per la radio e il cinematografo). Rapporto ambiguo intrattiene poi la videoarte con la televisione, alla quale è legata dalla medesima tecnologia. "VT is not TV", il videotape non è televisione, si rimarcava negli anni sessanta ma con il tempo i videoartisti cominciano a nutrire la speranza di diffondere le proprie ricerche sul mezzo di comunicazione di massa per eccellenza. Parimenti, le forme televisive entrano nella videoarte attraverso la pratica del Found footage (letteralmente, "pellicola ritrovata"). La ristrutturazione delle immagini televisive crea dei messaggi divertenti e sovversivi, come dimostra l'esempio italiano di Blob. Del film d'artista, invece, la videoarte rappresenta l'erede ideale. La maggiore accessibilità (tecnica ed economica) del video rispetto alla tecnologia cinematografica ha reso quest'ultimo il mezzo privilegiato per la sperimentazione. Una delle caratteristiche fondamentali di questa duttilità è il particolare rapporto del video con la dimensione sonora. A differenza del cinema, nato muto accompagnato da un'orchestra in carne e ossa, nel video i suoni provengono dalla stessa sorgente, sono entrambi tensioni e frequenze. Particolarità che i primi videoartisti, provenienti in larga parte dal mondo della musica (v. Paik, Vostell, Viola), non hanno mancato di sottolineare nella loro pratica. In Violin Power opera del 1978, ad esempio, Steina Vasulka genera con la sua musica distorsioni nell'immagine trasformando il suo violino «in una macchina per la ri-presa e la trasformazione - emotiva e fisica - della realtà» (Marco Maria Gazzano).
Tra i maggiori pionieri ed esponenti della videoarte internazionale ricordiamo, Nam June Paik, Wolf Vostell, Peter Campus, Bill Viola, Robert Cahen, Gary Hill, Bruce Nauman, Laurie Anderson, Dara Birnbaum, Marina Abramović, Fabrizio Plessi, Vito Acconci. Tra gli artisti più giovani, affermatisi sullo scenario internazionale: Shirin Neshat, Pipilotti Rist. Alcuni videoartisti hanno operato specificamente nella videopoesia, creando opere legate alla dimensione testuale e poetica, tra questi: Laurie Anderson, Gary Hill, Gianni Toti, che negli anni 80 ha coniato il termine "poetronica", Arnaldo Antunes, Caterina Davinio. Altri esempi storici di videoarte italiana: Gianfranco Baruchello, Alberto Grifi, Fabio Mauri, Luca Maria Patella, Vincenzo Agnetti, Vettor Pisani, Ketty La Rocca, Giuseppe Chiari, Franco Vaccari, Anna Valeria Borsari, Pier Paolo Calzolari, Maurizio Camerani; e dagli anni Ottanta Studio Azzurro (Milano, installazioni interattive), Mario Canali e Correnti Magnetiche (Milano, arte della realtà virtuale, animazioni), Ernst Pantofalo (Bologna), Giovanotti Mondani Meccanici (Firenze), creatori di installazioni interattive, citati nei saggi sopra riportati. Dalla fine degli anni 90 ad oggi il video si è affermato come medium trasversale e la produzione è molto vasta. Nel variegato panorama italiano ne citiamo alcuni: Francesco Vezzoli, Vanessa Beecroft, Stefano Cagol, Filippo Porcelli, Chiara Passa. Altre artisti legati alla videoarte sono Bas Jan Ader, Aldo Tambellini, Matusa Barros, Toshio Matsumoto, Marc Lee, Michel Chion...
Per quanto riguarda i primi sviluppi della videoarte, anche se da molti storici è stato ignorato o dimenticato, in Italia sorsero ben presto importanti centri di produzione, di rilievo internazionale, in cui iniziarono ad operare alcuni di quelli che sono ora riconosciuti come i maggiori esponenti storici della videoarte. In particolare: la Galleria del Cavallino, a Venezia, diretta da Paolo e Gabriella Cardazzo, dal 1972 al 1979 ha prodotto video di artisti che operavano costantemente con la galleria, come Claudio Ambrosini, Guido Sartorelli, Michele Sambin, Luigi Viola, e di altri come Vincenzo Agnetti, Marina Abramovic, Anna Valeria Borsari, Stephen Partridge; il Centro Video Arte di Palazzo dei Diamanti, a Ferrara, diretto da Lola Bonora poi da Carlo Ansaloni, ed attivo dal 1972 al 1994 con finanziamenti pubblici, ove tra gli altri fecero i loro primi video Fabrizio Plessi, Ricci Lucchi e Yanikian, Cristina Kubisch; art/tapes/ 22, a Firenze, operativo tra il 1973 ed il 1976, diretto da Maria Gloria Bicocchi, ove si produssero video di artisti locali come Alberto Moretti, Ketty La Rocca e Maurizio Nannucci ed ove un giovanissimo Bill Viola iniziò a lavorare come tecnico alle riprese. Notevole iportanza ha avuto anche la collezione di videotape di Luciano Giaccari, che tra le sue varie iniziative, nel progetto Televisione come memoria, del 1968, ha documentato in tempo reale le 24 ore di Non stop teather, manifestazione da lui organizzata a Varese.



Era un gruppo rock gotico, sono saliti sul palco nudi, hanno avuto rapporti sessuali tra loro, e anche con il pubblico del concerto: è stata una vera follia. Nel caso in cui non sapessi di questa band, si chiamavano "Rockbitch".

Era una rock band britannica con tocchi di metal, a tutti i loro concerti lanciavano molti preservativi sul palco, ma se tu fossi stata fortunata a prendere il "preservativo d'oro" avresti potuto fare sesso con i membri del gruppo dopo lo spettacolo.

Sia per le loro politiche sessuali che per la loro nudità penso che questa fosse una band piuttosto controversa a suo tempo.



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Nell'antichità e nel Medioevo il cantor, detto anche psalmista, era il termine generico che designava un cantore di musica sacra o profana (in greco, psaltēs).
A differenza dei lettori, i cantori non erano normalmente annovati tra gli ordini clericali minori, e dunque non conseguivano l'ordinazione di diacono o presbitero. Tuttavia, Isidoro di Siviglia (560 ca. - 636) assegnò al cantore un posto intermedio tra il portiere e il lettore.
Secondo un canone del IV Concilio di Cartagine del 419, un prete poteva assegnare l'incarico di cantore senza l'approvazione del vescovo, purché lo ammonisse che doveva credere in cuor suo alle parole che cantava («quod ore cantas, corde credas»), frase ripetuta nel successivo pontificale (Pontificale Romanum: De officio psalmistatus). Alcuni pontificali francesi prescrivono per il vescovo che benedice il nuovo cantore di mettere nelle sue mani un Antifonario, simbolo del suo ufficio.
Nei monasteri e nelle cattedrali l'ufficio di cantore acquisì un'importanza crescente, sino ad assumere responsabilità nella supervisione della liturgia e la formazione di giovani cantori.
I trattati del periodo medievale indicavano con il termine cantor il cantante che eseguiva la melodia, alla quale il discantor aggiungeva un contrappunto. Va comunque detto, che i teorici medievali tendevano a descrivere il cantore come una figura poco edotta circa la complessa conoscenza teorica, posseduta, invece, dal musicus. Uno degli esempi più celebri in proposito, si trova nelle Regulae Rhythmicae di Guido, che inizia il suo trattato assimilando il cantore alla bestia: «Musicorum et cantorum magna est distantia: Isti dicunt, illi sciunt, quae componit musica. Nam qui facit, quod non sapit, diffinitur bestia».
Nel secondo Quattrocento, Johannes Tinctoris definì semplicemente il cantore: «cantor est qui cantum voce modulatur».
Durante il Medioevo, il cantore principale di molte cattedrali inglesi divenne noto come precentor, e ancora oggi continua a svolgere una funzione fondamentale nelle formazioni corali anglicane.
Nella chiesa luterana il compito del cantore (Kantor) era tradizionalmente abbinato a mansioni educative con responsabilità musicali.
Nella chiesa cattolica romana, il Concilio Vaticano II ha ripristinato il ruolo tardo-antico del cantore come guida del canto congregazionale, ma la maggior parte di coloro che assumono tale ruolo, oggi purtroppo ha solo una modesta preparazione musicale.

Quella di "40 anni vergine"

Ok, la scena stessa è stata ovviamente sceneggiata, ma ogni linea di dialogo che esce dalla bocca di Carrell è solo lui che improvvisa, niente nel personaggio.




Il Professor Moriarty.



Arthur Conan Doyle, stanco di scrivere Sherlock Holmes, dovette creare un personaggio in grado di ucciderlo. Una cosa non facile da fare.

"È il Napoleone del crimine, Watson. È l'orchestratore di metà di ciò che è malvagio e di quasi tutto ciò che passa inosservato in questa grande città. È un genio, un filosofo, un pensatore astratto. Ha un cervello di prim'ordine. Se ne sta seduto immobile, come un ragno al centro della sua ragnatela, ma quella ragnatela ha mille diramazioni, e lui conosce bene ogni fremito di ciascuna di esse."

―Sherlock Holmes al dottor Watson, mentre parla del professor Moriarty.


 


Ti consiglio di dedicare parte del tuo tempo a questa, non sacrificando il tempo dello studio:

  1. Studiare.

  2. Trovarti un vero lavoro nel tempo libero per aiutare i tuoi genitori e imparare a vivere nel mondo reale (oltre che fare esperienza e CV).

  3. Divertirti. Innamorarti. Socializzare. Fare casino. Imparare fuori dalla scuola.

  4. Vivere la tua età.

  5. Consumare meno materiale e concetti stupidi e confusi, e più materiale scelto con maggiore oculatezza. La capacità di filtrare e ignorare le sciocchezze di chi vuole venderti idee omicide perché ne ha beneficio (ad esempio perché così compri i suoi corsi o lo segui), è una delle skill più importanti degli umani funzionanti in questo periodo storico.

Per la "carriera online" (qualsiasi cosa voglia dire), avrai tempo.

E arriverà naturalmente se è coerente con le tue attitudini, con i desideri del mercato, con ciò che ti piace fare (anche gratis).




Innanzitutto, un'industria con un vantaggio competitivo in termini di manodopera qualificata: scrittori/registi/attori/produttori/personale di supporto.

Hollywood negli ultimi 100 anni è arrivato a simboleggiare:

1 - Cultura e creatività americana.

2 - Uno spazio creativo per registi, produttori, distributori.

3 - Una preziosa fonte di profitto.

4 - Un veicolo politico per propagare i valori socio-economici americani.

5 - Un luogo ricco di opportunità e potenzialità economiche.

6 - Una "qualità stellare" che cattura e affascina il pubblico di massa in tutto il mondo.

7 - Una rete simbiotica di college/università, scuole di cinema/dramma a sostegno del vantaggio competitivo mondiale di Hollywood.


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Con il termine cantautore (da cantante + autore) si indica colui che interpreta canzoni da lui stesso composte.

La nascita dei cantautori
In Italia il moltiplicarsi degli esponenti di questa categoria di artisti - cresciuta specialmente nella seconda metà del Novecento - ha portato al formarsi di diverse scuole cantautorali (anche se la loro definizione specifica è piuttosto vaga, e riferita sostanzialmente alla città di nascita o di adozione degli artisti piuttosto che alle loro caratteristiche poetiche): le più note sono comunque quella genovese, quella romana, la napoletana, la bolognese e la milanese, sebbene il fenomeno si sia poi diffuso su scala nazionale.
La parola cantautore fu creata nell'ambito della casa discografica RCA da Ennio Melis e Vincenzo Micocci nel 1959 per il lancio di Gianni Meccia. Ovviamente, già vi erano stati dei personaggi che scrivevano e cantavano le proprie canzoni, come Fred Buscaglione, Renato Carosone, Domenico Modugno, Odoardo Spadaro, Ettore Petrolini, Rodolfo De Angelis e - andando ancora più indietro nel tempo - Armando Gill (1877-1945), uno dei primi a firmare sia i testi che le musiche delle sue canzoni (come spiegava nella celebre presentazione che faceva precedere ai suoi spettacoli: Versi di Armando, musica di Gill, cantati da Armando Gill) e il napoletano Berardo Cantalamessa, il primo ad incidere una sua canzone su disco 78 giri, la celeberrima 'a risata, nel 1895.
Modugno è il primo che scrive canzoni partendo dalla cronaca: nel 1955 scrive Vecchio frac dopo aver letto su un giornale la notizia del suicidio del principe Raimondo Lanza di Trabia (marito dell'attrice Olga Villi) che, all'età di 39 anni, nel novembre del 1954 si era gettato dalla finestra del suo palazzo in via Sistina a Roma, ed anche Lu pisce spada nasce da una storia vera, letta in un giornale.
Non bisogna infine dimenticare l'esperienza torinese di Cantacronache, con esponenti quali Fausto Amodei, Sergio Liberovici, Michele Straniero e Margot che da un lato recuperano tutta la tradizione della musica popolare italiana, dall'altro producono nuove canzoni, spesso in collaborazione con intellettuali come Italo Calvino ed Umberto Eco, inserendo nei testi delle canzoni nuove tematiche come le morti sul lavoro (La zolfara, del 1959) l'opposizione alla guerra (Dove vola l'avvoltoio, 1961) le lotte operaie (Per i morti di Reggio Emilia, 1960).
Il gruppo di Cantacronache viene considerato tra i precursori diretti della prima generazione di cantautori italiani di un certo spessore; così si è espresso in proposito Umberto Eco:
«Se non ci fossero stati i Cantacronache e quindi se non ci fosse stata anche l'azione poi prolungata, oltre che dai Cantacronache, da Michele L. Straniero, la storia della canzone italiana sarebbe stata diversa. Poi, Michele non è stato famoso come De André o Guccini, ma dietro questa rivoluzione c'è stata l'opera di Michele: questo vorrei ricordare»

(Umberto Eco)

Gli anni '60
Tra i principali cantautori italiani degli anni sessanta (spesso influenzati dalla canzone d'autore francese) troviamo Umberto Bindi (solo autore delle musiche, mentre per i testi si appoggiava ad altri, primo fra tutti Giorgio Calabrese), Luigi Tenco, Gino Paoli, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci (il primo che nelle sue canzoni fa diventare protagonisti gli ultimi, dai barboni ai malati di mente, dalle prostitute ai poveri), Piero Ciampi (in realtà solo paroliere, mentre per le musiche si affidava a vari compositori come Gian Piero Reverberi o Gianni Marchetti), Fabrizio De André (anche se, in realtà, quasi tutto il suo repertorio è stato scritto insieme ad altri artisti), Nino Tristano, Silverio Pisu, Vittorio Paltrinieri, Duilio Del Prete, i quali hanno saputo riprendere le suggestioni della canzone francese e trasformarle secondo la sensibilità italiana.
Questa prima generazione è influenzata principalmente dalla canzone francese e dalla canzone popolare italiana; a metà del decennio ad essi si affiancano altri cantautori come Lucio Dalla, Gian Pieretti, Luciano Beretta, Claudio Cavallaro, Alberto Testa, Fred Bongusto, Mino Reitano, Francesco Guccini, Mauro Lusini, Roby Crispiano, Jonathan del duo Jonathan & Michelle, Emilio Insolvibile e Tony Cucchiara, che sono invece influenzati dal beat (con il passare del tempo ed il proseguimento della carriera alcuni di loro come Guccini e Dalla svilupperanno delle caratteristiche musicali e tematiche proprie, mentre Cucchiara si dedicherà al teatro canzone).
Infine appartengono alla categoria anche alcuni come Gipo Farassino o Nanni Svampa che si sono dedicati per lo più alla canzone dialettale: Svampa forma poi nel 1964 un gruppo, I Gufi, con cui spesso incide canzoni di propria composizione in italiano, ed anche Farassino, alla fine degli anni '60, abbandona spesso il dialetto per scrivere canzoni come l'antimilitarista Ballata per un eroe («Andrò a ingrossare la nutrita schiera/di quelli che aggrappati a una bandiera/son morti bestemmiando di paura/ad occhi chiusi in una notte scura»), Remo la barca, La mia città, Il bar del mio rione, Avere un amico.
Alla fine del decennio emerge un altro cantautore, Ugolino, che si distacca dal genere per avvicinarsi ad un tipo di canzone d'autore, basata su tematiche sociali che vengono espresse in maniera ironica e satirica.
Per quel che riguarda le donne, una delle prime cantautrici è Paola Orlandi, che già nel 1959 scrive il testo e la musica di una canzone che incide, Voglio l'amore; nello stesso periodo iniziano la carriera la sorella Nora Orlandi, Marisa Terzi e Maria Monti (all'epoca fidanzata di Gaber), mentre Margot scrive e canta le sue prime canzoni all'interno dell'esperienza dei Cantacronache di cui fa parte e Giovanna Marini debutta a metà degli anni '60.
Nella seconda metà del decennio emerge Nives (al secolo Nives Gazziero), cantautrice a metà tra il folk e il beat, scoperta da Nanni Ricordi, che oltre a brani propri traduce alcune canzoni americane, come Where Have All the Flowers Gone? di Pete Seeger (che diventa Dove sono finiti i fiori?).
Proprio in questo decennio iniziano le collaborazioni tra canzone d'autore e poesia: l'antesignano, in questo senso, è ancora una volta Domenico Modugno che mette in musica due poesie di Salvatore Quasimodo con l'autorizzazione dell'autore, Ora che sale il giorno e Le morte chitarre; così racconta l'esperienza il cantautore pugliese:
«Quando gli chiesero il permesso per questa operazione, lui rispose che non lo aveva mai concesso a nessuno, ma che per Modugno non ci sarebbero stati problemi. Poi ci siamo incontrati e conosciuti a casa sua: era una persona molto strana, chiusa, vulnerabile, che ispirava tenerezza»

Un altro intellettuale che ha frequenti collaborazioni con la canzone d'autore è Pier Paolo Pasolini, che nel 1963 autorizza Sergio Endrigo ad utilizzare alcuni versi tratti dalla raccolta la meglio gioventù; la canzone che nasce è Il soldato di Napoleone, contenuta nel primo 33 giri del cantautore istriano.
Sempre Pasolini collabora anche con Domenico Modugno, scrivendo il testo di Che cosa sono le nuvole:
«Recitai nell'episodio Cosa sono le nuvole, e dal titolo del film nacque anche una canzone, che scrivemmo insieme. È una canzone strana: mi ricordo che Pasolini realizzò il testo estrapolando una serie di parole o piccole frasi dell'Otello di Shakespeare e poi unificando il tutto»

Endrigo invece collabora con Giuseppe Ungaretti ed il poeta brasiliano Vinícius de Moraes incidendo nel 1969 l'album La vita, amico, è l'arte dell'incontro, ed in seguito mette in musica alcune poesie per bambini scritte da Gianni Rodari in Ci vuole un fiore, album del 1974.

Gli anni '70
Negli anni settanta, in concomitanza coi movimenti politici e culturali del periodo, si diffonde ancora di più l'utilizzo della canzone da parte di alcuni cantautori per uno scopo politico e sociale; musicalmente le influenze si spostano dalla musica francese a quella d'oltremanica ed oltreoceano ed i principali modelli sono Bob Dylan, Paul Simon e Leonard Cohen, anche se non manca chi, come Claudio Rocchi, Walter Valdi o Alberto Anelli, si rifà a nomi meno conosciuti in Italia come Nick Drake o Roy Harper.
Tra i più importanti esponenti di questo periodo, oltre ai già citati Guccini, De André e Dalla, Nino Tristano (con l'album "Suonate Suonatori" (Fonit-Cetra) che Renzo Arbore nella sua Enciclopedia della Canzone definisce "il primo esempio di contaminazione tra musica popolare italiana e musica rock") ci sono Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Edoardo De Angelis, Giorgio Lo Cascio, Ernesto Bassignano, Renzo Zenobi, Rino Gaetano, Corrado Sannucci, Mario Bonura, Stefano Rosso legati all'esperienza del Folkstudio, locale romano che promuove la canzone d'autore; poi Roberto Vecchioni, Renato Pareti, Claudio Lolli, Mario Panseri, Oscar Prudente, Luigi Grechi, Pierangelo Bertoli, Giorgio Laneve, Edoardo Bennato, Tito Schipa Jr., Franco Califano, Corrado Castellari, Claudio Fucci, Gianni Bella, Franco Battiato, Franco Simone (definito "il poeta con la chitarra"), Ivano Fossati (che inizia con il gruppo progressive Delirium), Eugenio Finardi, Alberto Camerini, Gianfranco Manfredi (questi ultimi tre vicini all'esperienza del Movimento Studentesco milanese), Ricky Gianco (già attivo nel decennio precedente, negli anni '70 si avvicina alla canzone politica), Enzo Maolucci e Carlo Credi, musicalmente più vicini al rock.
In questo periodo troviamo anche cantautori che non vollero fare della lotta politica e sociale la tematica delle loro canzoni, ma al contrario si dedicarono a temi come l’amore e il sentimento, tra i quali Claudio Baglioni (che fino al 1975 scrive insieme ad Antonio Coggio le musiche, mentre da solo i testi), Riccardo Cocciante (i cui testi sono scritti da Paolo Amerigo Cassella e Marco Luberti, poi dal solo Luberti ed infine da Mogol) e Renato Zero (che compone con vari collaboratori, da Franca Evangelisti a Piero Pintucci, da Roberto Conrado a Dario Baldan Bembo, e in un caso, per Il carrozzone, è solo interprete).
Identico è il caso di Lucio Battisti, che in realtà aveva iniziato l'attività nel decennio precedente: Battisti è autore solo delle musiche delle canzoni da lui cantate, le quali - dopo essere state composte - vengono completate dai testi scritti da Mogol.
Anomalo il caso di Paolo Conte, la cui produzione coincide a livello temporale con quella degli artisti citati, ma i cui riferimenti musicali sono il jazz e le grandi orchestre swing degli anni trenta e quaranta. I suoi testi spesso descrivono situazioni dell'epoca (Topolino amaranto, Bartali, Diavolo rosso) oppure ricreano un'atmosfera poetica più generale (I giardini pensili hanno fatto il loro tempo, Per quel che vale, Chi siamo noi?). Oltre a cantare i suoi testi, Conte prende generalmente parte all'esecuzione come pianista.
Nella seconda metà del decennio raggiungono il successo cantautori come Pino Daniele, Alan Sorrenti, Angelo Branduardi, Ivan Graziani, Ron, Leano Morelli, Massimo Bubola e Goran Kuzminac che, seppure in maniera diversa, danno molto risalto all'aspetto musicale delle loro composizioni.
Le cantautrici, al contrario dei colleghi uomini, non riscontrano un grande successo in questo periodo: nomi come quelli di Antonella Bottazzi, Maria Teresa Grossman, Roberta D'Angelo, Jamima, Chiara Grillo, Teresa Gatta, Nicoletta Bauce, Dania Colombo, Graziella Caly, Elena Rinaldi restano conosciuti solo da una ristretta cerchia di appassionati.

Gli anni '80
Negli anni ottanta si affermano interpreti che, seguendo le tendenze dell'epoca, adattano la canzone d'autore a stili quali punk, ska, rap e Rock.
Il filone Rock trova in Vasco Rossi l'interprete di punta; al punk si rifà (almeno inizialmente) Enrico Ruggeri; allo Ska Alberto Camerini e Donatella Rettore mentre Jovanotti porta al successo uno stile rap inizialmente destinato a fasce giovanili, per poi ricercare nuovi messaggi destinati ad un'audience più impegnata riguardo alle tematiche sociali. Da citare anche noti cantautori come Luca Carboni, Biagio Antonacci e Raf, quest'ultimo vicino alle sonorità dance.
Altri cantautori emersi in questo periodo, come Mango, Franco Fasano, Fabio Concato, Stefano Borgia, Giuni Russo, Amedeo Minghi, Gianni Togni, Mario Castelnuovo, Gerardo Carmine Gargiulo e Marco Ferradini si ricollegano musicalmente alla melodia italiana.
In modo più o meno marcato altri cantautori come Luca Barbarossa o Mimmo Locasciulli si ispirano a songwriters quali James Taylor o Tom Waits; non mancano però altri nomi che, nel solco della tradizione della canzone d'autore del decennio precedente, portano delle novità specifiche nella composizione dei testi e delle musiche, come Gian Piero Alloisio o Flavio Giurato.
Di grande successo anche il genere umoristico il cui principale esponente è Stefano Belisari con il suo gruppo Elio e le Storie Tese.
In questo periodo cominciano a suscitare un certo interesse anche alcune cantautrici fra le quali Nada, quest'ultima un tempo solo interprete, Giuni Russo, Gianna Nannini, legata alla musica rock, Grazia Di Michele, influenzata da suggestioni etniche e richiami alle folk singer americane, e Teresa De Sio, la prima ad unire la melodia partenopea al folk e alla World music.

Gli ultimi anni
Negli anni novanta si affermano autori che coniugano un gusto "postmoderno" ad una qualità dei testi vicina a quella dei loro predecessori. Sono cambiati i tempi, prima le persone avevano una maggiore predisposizione all'ascolto di una canzone, alle parole, all'impegno politico e sociale. Bastava presentarsi con una chitarra sul palco e creare una complicità e una corrispondenza di intenti che andava oltre la canzone. La confusione dei tempi che si trovano a vivere porta molti di essi a ripiegare sul versante intimista. Tra i più rappresentativi del periodo ci sono Luciano Ligabue, Neffa, Max Pezzali, Gatto Panceri, Stefano Zarfati, Paolo Vallesi, Samuele Bersani, Eros Ramazzotti, Max Gazzè, Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Frankie hi-nrg mc, Massimo Di Cataldo, Laura Pausini, Michele Zarrillo, Francesco Renga, Gianluca Grignani, Zucchero Fornaciari, Piero Pelù, Enrico Capuano, Paola Turci, Mario Venuti, Nek, Carmen Consoli, Alex Britti, Irene Grandi, Marco Masini, Giorgia, Cesare Cremonini, Marina Rei e Mao.
Con il nuovo millennio emergono i nomi di Bugo, Pacifico, Carlo Fava, Gianmaria Testa, Morgan, Caparezza, Sergio Cammariere, Tony Maiello, Simonetta Spiri, Amara, Erica Mou, Raphael Gualazzi, Simone Cristicchi, Ermal Meta, Fabrizio Moro, Max Manfredi, Luca Bassanese, Ennio Rega, Luca Bonaffini, Vinicio Capossela, Peppe Voltarelli, Federico Zampaglione, Riccardo Sinigallia, Dolcenera, Elisa, Tiziano Ferro, Cristina Donà, Francesco Tricarico e Dario Brunori. Accanto a questi si va affermando una nuova leva di cantautori, i quali spesso utilizzano l'autopromozione, l'indipendenza dall'etichetta discografica e nuove forme di musica digitale.

All'estero
Gli omologhi dei cantautori si ritrovano soprattutto nella canzone francese (Georges Brassens, Serge Gainsbourg, Boris Vian, Barbara, Georges Moustaki, Charles Aznavour, Jacques Brel, Léo Ferré, Michel Fugain o - più recentemente - Renaud), nel "folk" e "rock" inglese (Donovan, Cat Stevens e Nick Drake), statunitense (Woody Guthrie, Pete Seeger, Joan Baez, Bob Dylan, James Taylor, Carole King, Simon & Garfunkel, Sixto Rodriguez -più di recente Suzanne Vega e Michelle Shocked), e canadese (Leonard Cohen, Neil Young, Joni Mitchell).
Sono cantautori anche gli spagnoli Joan Manuel Serrat e Lluís Llach, il portoghese José Afonso, i cileni Violeta Parra e Víctor Jara, il guatemalteco Ricardo Arjona, lo svizzero Mani Matter, il ceco Karel Kryl.
Una delle scuole più influenti degli anni '90 fu quella che ha visto come protagonista Bill Callahan, conosciuto anche con lo pseudonimo di Smog a San Francisco. Stessa città da cui provenivano American Music Club e Red House Painters i cui cantanti, Mark Eitzel e Mark Kozelek, seguiranno la strada tracciata da Smog. Da Los Angeles Duncan Sheik e Mountain Goats a Portland Elliott Smith, a Seattle Damien Jurado, all'Ohio Jason Molina con lo pseudonimo di Songs: Ohia, a Boston Mike Johnson e Matt Keating, in New Jersey Justin Mikulka, in Pennsylvania Karl Hendricks, a New York Jeff Buckley, Dave Schramm, Joseph Arthur, Vic Chestnutt in Georgia, Mark Lanegan a Seattle. In Canada Ron Sexsmith unira' nella sua musica le esperienze di Paul Simon e Leonard Cohen.
Anche San Francisco ha prodotto due cantautori in quel periodo: Jason Falkner (poi Jellyfish) e Chris Von Sneidern. A Los Angeles Frank Black (dei Pixies), in Oregon Eric Matthews (dai Cardinal) e Pete Krebs (dagli Hazel), in Ohio Tobin Sprout, in Australia Richard Davies.
I nuovi cantautori americani sono: Will Stratton, Bon Iver, Sharon Van Etten, Angel Olsen, Marissa Nadler. Dall'Inghilterra la singer-songwriter Anna Calvi.
La parola cantautor esiste anche in spagnolo e in catalano. Alcuni esempi sono Lluís Llach, Joan Manuel Serrat, Roger Mas, Javier Krahe, Luis Eduardo Aute, José Antonio Labordeta, Joaquín Sabina, Miguel Ríos, Víctor Manuel, Ana Belén o Antonio Vega.

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Il cantastorie è una figura tradizionale della letteratura orale e della cultura folklorica, un artista di strada che si spostava nelle piazze e raccontava con il canto una storia, sia antica, spesso in una nuova rielaborazione, sia riferita a fatti e avvenimenti contemporanei. Le storie narrate entravano a far parte del bagaglio culturale collettivo di una comunità.
I cantastorie accompagnavano la "Cantata" con uno strumento: di norma era la chitarra, ma ne usavano anche altri, come la fisarmonica (o la lira in tempi più remoti). Si aiutavano con un cartellone su cui veniva raffigurata la storia, descritta nelle principali scene. La loro opera veniva remunerata con le offerte degli spettatori o con la vendita di foglietti volanti, su cui era descritta la storia. Dopo gli anni '50, con l'avvento del vinile, queste storie venivano incise e vendute su dischi, prima a 78 giri poi 45.
La tradizione deriva da lontani precedenti, quali gli aedi e rapsodi greci, i giullari, menestrelli, bardi celtici, trovatori o trovieri del Medioevo francese e nella scuola poetica siciliana. Simili figure sono presenti anche nella cultura islamica, indiana (tipiche le donne chitrakar del Bengala occidentale) e africana.
A partire dal XIV secolo si allontanarono dalla letteratura più colta e contribuirono a diffondere in dialetto le gesta dei paladini carolingi della chanson de geste, argomento anche dell'Opera dei Pupi. Ebbero la massima fioritura nella Sicilia del XVII secolo, nella Roma del XVIII secolo (il cui massimo esponente fu Andrea Faretta) e furono appoggiati dalla Chiesa con lo scopo di diffondere presso il popolo le storie dei santi e della Bibbia. Nel 1661 a Palermo i Gesuiti avevano costituito la congregazione degli "Orbi", cantori ciechi a cui veniva insegnato a suonare uno strumento musicale e che erano legati a temi esclusivamente religiosi sotto il controllo ecclesiastico.



Il tatuaggio (derivato dal francese tatouage, a sua volta dal verbo tatouer e questo dal termine anglosassone tattoo, adattamento del samoano tatau) è sia una tecnica di decorazione pittorica corporale dell'uomo, sia la decorazione prodotta con tale tecnica. Tradizionalmente la decorazione è destinata a durare per molto tempo,a volte per sempre, ma in tempi recenti sono state inventate tecniche per realizzare tatuaggi temporanei.
Nella sua forma più diffusa, la tecnica di questa modificazione corporea consiste nell'incidere la pelle ritardandone la cicatrizzazione con sostanze particolari (più precisamente è chiamata scarificazione) o nell'eseguire punture con l'introduzione di sostanze coloranti nelle ferite. Questa tecnica, che oggi sembra facile da eseguire,è stata resa possibile dal susseguirsi e dall'evolversi di tecniche più svariate e ardue nell'antichità.

Origini del tatuaggio
Tatuaggi terapeutici sono stati ritrovati sulla mummia dell'"uomo di Pazyryk" nell'Asia centrale con complicati tatuaggi animali o quello della principessa di Ukok (Mummia dell'Altai) databile intorno al 500 a.C. che rappresenta un animale immaginario (cervo e grifone) di un alto livello artistico, arrivato quasi intatto a noi grazie alla permanenza nel permafrost. Tra le civiltà antiche in cui si sviluppò il tatuaggio fu l'Egitto ma anche l'antica Roma, dove venne vietato dall'imperatore Costantino, a seguito della sua conversione al Cristianesimo. È peraltro da rilevare che, prima che il Cristianesimo divenisse religione lecita e, successivamente religione di Stato, molti cristiani si tatuavano sulla pelle simboli religiosi per marcare la propria identità spirituale.
È inoltre attestata nel Medioevo l'usanza dei pellegrini di tatuarsi con simboli religiosi dei santuari visitati, particolarmente quello di Loreto. Fra i cristiani la pratica del tatuaggio è diffusa fra i copti monofisiti. Col tatuaggio i copti rimarcano la propria identità cristiana, i soggetti sono solitamente la croce copta, la natività e il Santo Mar Corios, martirizzato sotto Diocleziano e rappresentato in sella ad un cavallo con un bambino. La religione ebraica vieta tutti i tatuaggi permanenti, come prescritto del Levitico (Vaikrà) (19, 28). In particolare, l'Ebraismo vieta ogni incisione accompagnata da una marca indelebile di inchiostro o di altro materiale che lasci una traccia permanente.
Anche per l'Islam tutti i tatuaggi permanenti sono vietati, come spiegato da diversi ʾaḥādīth del profeta Maometto, sono consentiti solo i tatuaggi temporanei fatti per mezzo dell'henna, pigmento organico di color rosso-amaranto, ricavato dalla pianta della "Lawsonia inermis", "Henna" in arabo. Nella tradizione araba e anche in quella indiana sono le donne a tatuarsi con l'henna, sia le mani che i piedi; molte spose vengono completamente tatuate per la loro prima notte di nozze, infatti la sera prima delle nozze viene chiamata "Lelet al Henna" (la notte dell'henna). I tatuaggi d'henna sono estremamente decorativi, quasi sempre con motivi floreali stilizzati; quelli molto elaborati finiscono per sembrare delle opere d'arte che hanno la durata media di qualche settimana di vita.
Gli uomini musulmani, specialmente i fervidi praticanti sunniti, usano l'henna per tingersi i capelli, la barba, il palmo delle mani e dei piedi; agli uomini non è consentito fare tatuaggi decorativi neanche con l'henna. Comunque c'è da dire che tra i contadini egiziani (usanza molto probabilmente derivante dall'Antico Egitto) e i nomadi musulmani (per lo più quelli sciiti) sia le donne che i bimbi particolarmente belli, vengono tatuati in maniera permanente con piccoli cerchietti o sottili linee verticali, sia sul mento che tra le due sopracciglia. È un'usanza di tipo scaramantica, infatti il colore con cui si tatuano è l'azzurro, il colore scaramantico per eccellenza fin dal tempo dei faraoni.
Altri popoli che svilupparono propri stili e significati furono quelli legati alla sfera dell'Oceania, in cui ogni particolare zona, nonostante le similitudini, ha tratti caratteristici ben definiti. Famosi quelli māori, quelli dei popoli del monte Hagen, giapponesi, cinesi e gli inuit anche se praticamente ogni popolazione aveva suoi caratteristici simboli e significati.
Nella zona europea il tatuaggio venne reintrodotto successivamente alle esplorazioni oceaniche del XVIII secolo, che fecero conoscere gli usi degli abitanti dell'Oceania. Alla fine del XIX secolo l'uso di tatuarsi si diffuse anche fra le classi aristocratiche europee, tatuati celebri furono, ad esempio, lo Zar Nicola II e Sir Winston Churchill.
È da segnalare che il criminologo Cesare Lombroso ritenne, in un'epoca di positivismo, essere il tatuaggio segno di personalità delinquente. La diffusione del tatuaggio in tutti gli strati sociali e fra le persone più diverse negli ultimi trent'anni relega tali considerazioni criminologiche a mera curiosità storica.

Antica Roma
Plinio il Giovane e Svetonio testimoniano che gli schiavi romani venivano marchiati con le iniziali del proprio padrone o, nel caso fossero stati sorpresi a rubare, erano marchiati a fuoco sulla fronte. Lo stesso supplizio venne inflitto ad alcuni martiri cristiani, come Teofane e Teodosio.
Lo praticavano i soldati romani che furono influenzati dalle usanze dei britanni, con i loro corpi dipinti, e dai traci, feroci gladiatori spesso tatuati come testimonia Erodoto, al punto che i legionari iniziarono a tatuarsi il nome dell'Imperatore, sebbene la pratica fosse malvista dalle autorità.
Il fatto che Costantino nel 325 d.C. abbia proibito il tatuaggio sul viso ai cristiani di tutto l'Impero romano perché “deturpava ciò che era stato creato ad immagine di Dio” fa pensare che ci fosse l'abitudine da parte dei primi cristiani di marchiarsi per testimoniare la propria fede.

Medioevo: proibizione
Il tatuaggio venne di fatto definitivamente proibito da Papa Adriano I nel 787 durante il Concilio di Nicea II e tale veto venne ribadito da successive bolle papali, tanto che questa pratica scompare in ogni cronaca del tempo.

Clandestinità
Nonostante il divieto ufficiale, l'abitudine a segnare indelebilmente il corpo sopravvisse, spesso in clandestinità, soprattutto nelle classi meno abbienti, fra i soldati e in alcuni luoghi di culto cristiani come il Santuario di Loreto. Qui, fino alla metà degli anni cinquanta, esistevano i frati marcatori, ovvero frati che incidevano piccoli segni devozionali fra i pellegrini.
I segni tatuati nel Santuario di Loreto venivano effettuati sui polsi o sulle mani ed erano simboli cristiani o soggetti “amorosi”: i primi, inizialmente molto semplici come una croce o come la rappresentazione delle stigmate, si fecero via via sempre più complessi come la stilizzazione della stessa Madonna di Loreto, simboli del proprio ordine religioso, oppure segni marinareschi poiché i marinai erano i primi difensori della costa adriatica contro gli invasori turchi.
Gli attacchi dei pirati inducevano anche gli abitanti della costa a tatuarsi segni cristiani poiché, in caso di morte violenta, sarebbero stati riconosciuti come fedeli e dunque sepolti in terra consacrata.
I tatuaggi a carattere “amoroso” erano invece effettuati dalle spose come promessa a Dio e augurio e contemplavano soggetti come due cuori trafitti, frasi o il simbolo dello Spirito Santo. Anche le vedove si tatuavano, in ricordo del defunto, soggetti come il teschio con le tibie incrociate, il nome del morto o la frase “memento mori”.
L'inizio della tradizione dei marcatori di Loreto non ha date precise ma si hanno testimonianze di questa pratica già alla fine del XVI secolo. Spesso anche i crociati o i pellegrini in visita al Santo Sepolcro di Gerusalemme usavano tatuarsi simboli cristiani poiché, nel timore di essere assaliti e spogliati di ogni bene, anche oggetti sacri, potessero garantirsi una sepoltura in terra sacra.

Lombroso
Il tatuaggio riemerge dall'ombra nella seconda metà del XIX secolo, con la pubblicazione, nel 1876, del saggio L'uomo delinquente[9] di Cesare Lombroso. Egli mette in stretta correlazione il tatuaggio e la degenerazione morale innata del delinquente: il segno tatuato è fra quelle anomalie anatomiche in grado di far riconoscere il tipo antropologico del delinquente. Il delinquente nato mostra specifiche caratteristiche antropologiche che lo avvicinano agli animali e agli uomini primitivi e l'atto di tatuarsi di criminali recidivi è sintomo di una regressione allo stato primitivo e selvatico. L'uomo delinquente però è anche un catalogo approfondito di tutte le tipologie di tatuaggio che potevano essere reperite all'epoca: il saggio è ricco di descrizioni di tatuaggi e delle storie degli uomini che li portano, soldati ma soprattutto detenuti, criminali e disertori, fornendo così un ampio squarcio sulle usanze del tempo.
Lombroso cataloga i tatuaggi in segno d'amore (iniziali, cuori, versi); simboli di guerra (date, armi, stemmi); segni legati al mestiere (strumenti di lavoro, strumenti musicali) animali (serpenti, cavalli, uccelli); tatuaggi di soggetto religioso (croci, cristi, madonne, santi). In seguito alla diffusione delle teorie di Cesare Lombroso, il tatuaggio subisce un'ulteriore censura ed è per questo che, contrariamente ad altri paesi occidentali, non nascono studi e botteghe professionali fino alla fine degli anni '70.

Riscoperta
Dalla fine degli anni sessanta e inizio anni settanta in poi la cultura del tatuaggio ha conosciuto una progressiva diffusione, prima nelle sottoculture giovani hippy ,nelle carceri e fra i motociclisti e poi ha conquistato lentamente ogni strato sociale e ogni fascia d'età. Tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila il tatuaggio ha avuto una diffusione via via crescente, spinto dalla popolarità dei personaggi pubblici che li hanno sul corpo, e da semplice fenomeno di costume è divenuto una moda per persone di tutte le età.

Tipologia
I tatuaggi possono essere di vario tipo:
  • Tatuaggio all'henné, è un tatuaggio non permanente, caratterizzato dall'applicazione di un impasto sulla pelle;
  • Tatuaggio solare, caratterizzato dall'applicazione di una sostanza foto-impermeabile, in modo che durante l'abbronzaturatale prodotto una volta rimosso lasci la pelle più chiara, formando un disegno chiaro;
  • Ad ago, questa è la forma più conosciuta, dove tramite un ago si introduce dell'inchiostro nella pelle, come risultato si ha un disegno che a seconda della miscela può essere permanente o temporaneo.
Tecniche di tatuaggio
Gli Inuit usano degli aghi d'osso per far passare attraverso la pelle un filo coperto di fuliggine (la china, che artigianalmente e impropriamente si adopera per lo scopo è in fin dei conti una sospensione acquosa di fuliggine).
Nelle zone oceaniche (Polinesia, Nuova Zelanda) il tatuaggio viene eseguito tramite i denti di un pettine di osso che, fermato all'estremità di una bacchetta (formando così uno strumento di forma simile a un rastrello), e battuto tramite un'altra bacchetta, forano la pelle introducendo il colore, ottenuto quest'ultimo dalla lavorazione della noce di cocco.
I giapponesi, con la tecnica detta tebori, usano sottili aghi metallici e pigmenti, adesso di molti colori, ma che in origine erano rosso, giallo e indaco, oltre al nero in varie gradazioni, e introducono nella pelle sostanze di natura chimica diversa e di colore diverso. La tecnica giapponese prevede che gli aghi, fissati all'estremità di una bacchetta di bambù, che viene fatta scorrere avanti e indietro (di forma simile a un sottile pennello), siano fatti entrare nella pelle obliquamente, con minor violenza rispetto alla tecnica polinesiana, ma comunque in modo abbastanza doloroso.
In Thailandia e Cambogia è in uso una tecnica, simile a quella giapponese, nella quale vengono utilizzate una diversa posizione delle mani del tatuatore e una bacchetta di lunghezza maggiore. L'angolo di introduzione degli aghi nella pelle è meno obliquo rispetto alla tecnica giapponese, ma il movimento della bacchetta è meno vigoroso.
Il tatuaggio occidentale viene invece eseguito tramite una macchinetta elettrica, cui sono fissati degli aghi in numero vario a seconda dell'effetto desiderato; il movimento della macchinetta permette l'entrata degli aghi nella pelle, i quali depositano il pigmento nel derma.
Tra le sostanze più usate ci sono il cinabro (usato per il rosso), il cromossido (per il verde) e il cobalto (per il blu).

Permanenza e tecniche di eliminazione del tatuaggio
Il pigmento semi-solido dei tatuaggi viene incorporato dalle cellule del derma della pelle, che lo trattengono in modo permanente. Il trattamento più diffusamente usato per la rimozione dei tatuaggi è di tipo chirurgico, mentre quello coi migliori risultati è l'eliminazione totale tramite laser, che tuttavia presenta molto spesso dei costi esorbitanti. Il laser vaporizza solo le cellule cutanee annerite, non facendo sanguinare e non provocando dolore; con questo metodo non restano cicatrici, ma il nuovo strato di pelle potrebbe rimanere di colorazione diversa. Trattamenti alternativi possono essere:
  • la dermoabrasione (un metodo molto aggressivo perché raschia via la pelle da 1 mm a 2 mm di spessore se il colore è penetrato in profondità), che rischia di lasciare cicatrici visibili;
  • la crioterapia;
  • il peeling chimico profondo con acido tricloroacetico (TCA) a concentrazioni > 35%, a seconda della posizione e del tipo di pelle;
  • l'elettrodermografia, recente tecnica di rimozione del colore per sostituzione di vecchi tatuaggi per mezzo di un elettrodermografo, macchinario che utilizza la corrente ad alta frequenza per la disgregazione dei pigmenti contenuti nella pelle;
  • il cosiddetto "cover-up", ovvero la sovrapposizione al vecchio tatuaggio indesiderato di un nuovo soggetto (solitamente leggermente più grande e più elaborato del vecchio), eseguito da un professionista riconosciuto.
I rischi sanitari
Epidemiologia
L'Istituto superiore di sanità ha pubblicato la prima indagine epidemiologica sul tatuaggio nel settembre 2015. Secondo l'indagine, condotta su un campione rappresentativo della popolazione, il 12,8% della popolazione italiana (quasi sette milioni di persone) sono portatori di tatuaggio. Di queste solo lo 0,5% ha effettuato il tatuaggio con finalità mediche. Secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità:
  • il primo tatuaggio viene effettuato a 25 anni, ma il numero maggiore di tatuati riguarda la fascia d'età tra i 35 e i 44 anni (29,9%). Circa 1.500.000 persone invece hanno tra i 25 e i 34 anni. Tra i minorenni la percentuale è pari al 7,7%;
  • la maggior parte è soddisfatta del tatuaggio (il 92,2%), tuttavia un'elevata percentuale di tatuati, il 17,2%, ha dichiarato di voler rimuovere il proprio tatuaggio e di questi il 4,3% l'ha già fatto;
  • gli uomini preferiscono tatuarsi braccia, spalla e gambe, le donne soprattutto schiena, piedi e caviglie;
  • un tatuato su quattro (25,1%) risiede nel Nord Italia, il 30,7% ha una laurea e il 63,1 % lavora;
  • il 76.1% dei tatuati si è rivolto ad un centro specializzato di tatuaggi e il 9,1% ad un centro estetico, ma il 13,4% ha affrontato il rischio di eseguirlo al di fuori dei centri autorizzati;
  • il 22% di chi si è rivolto a un centro non ha firmato il formale consenso informato, non è nota però la percentuale di chi ha espresso un reale consenso dopo aver ricevuto una reale informazione. È da tener presente che il consenso per il tatuaggio nei minori deve essere ottenuto dai genitori. In generale, sembra, che solo il 58,2% degli intervistati è informato sui rischi: la percezione sui rischi considerati più frequenti riguarda le reazioni allergiche (79,2%), l'epatite (68,8%) e l'herpes (37,4%). Mentre, soltanto il 41,7% è adeguatamente informato sulle controindicazioni alla pratica del tatuaggio.
  • il 3,3% dei tatuati dichiara di aver avuto complicanze o reazioni: dolore, granulomi, ispessimento della pelle, reazioni allergiche, infezioni e pus. Ma il dato appare sottostimato. In tutti questi casi, solo il 12,1% si è rivolto a un dermatologo o al medico di famiglia (il 9,2%) e il 27,4% si è rivolto al proprio tatuatore, ma più della metà (il 51,3%) non ha consultato nessuno.

Controindicazioni
  • Malattie della pelle
  • Nevi o altre lesioni pigmentate nell'area da tatuare
  • Predisposizione ad allergie
  • Fotosensibilità
  • Disturbi della coagulazione o tendenza a emorragie
  • Diabetico
  • Anomalie cardiache
  • Condizioni immunosoppressive o malattie che predispongono alle infezioni
  • Gravidanza e allattamento

Rischio infettivo
Un tatuaggio può essere complicato da infezioni batteriche o virali quali l'epatite B e C, il tetano, l'AIDS, e le infezioni cutanee da stafilococco. Essendo infatti il tatuaggio sostanzialmente una ferita da abrasione, esiste un concreto rischio di infezione durante la fase di guarigione, se non si presta la dovuta attenzione alla cura e igiene della zona tatuata. Gli studi di tatuaggio vengono altresì controllati regolarmente anche per evitare l'utilizzo di inchiostri non autorizzati. Nel 2009 infatti ci fu un allarme negli USA per il possibile impiego di inchiostri contenenti O-Toluidina, ovvero 2-Nitroanilina, composti appartenenti alle ammine aromatiche, sostanze aventi proprietà cancerogene.

Reazioni allergiche
Le reazioni allergiche ai pigmenti contenuti nei colori sono rare, eccetto per alcuni tipi di rossi (cinabro, composto del mercurio) e verdi. La pelle di persone allergiche ad alcuni metalli può reagire ai pigmenti gonfiandosi, con prurito. La reazione allergica più grave, anche se rara, è lo shock anafilattico nei soggetti ipersensibili.
Vi sono anche rari casi di rigetto dell'inchiostro, con conseguente danneggiamento estetico permanente della zona interessata, sarebbe quindi buona norma sottoporsi a test specifici prima di tatuarsi, almeno per la prima volta.

Trattamento post-esecuzione del tatuaggio
Il trattamento qui indicato è relativo ad un tatuaggio eseguito con materiale sterile e macchinette per tatuaggi.
La prassi di guarigione per un tatuaggio consiste normalmente nell'applicazione di un bendaggio, spesso direttamente nello studio del tatuatore, da rimuoversi dopo 1-3 ore per sciacquare, possibilmente con sapone neutro, eliminando il colore in eccesso. Da quel momento si consiglia di far prendere aria al tatuaggio e di coprirlo più volte al giorno con un sottilissimo velo di pomata lenitiva e protettiva. Anche la scelta del prodotto dipende dal consiglio del tatuatore ed è ancora largamente diffuso l'uso della vaselina e di creme idratanti o simili. Il tatuaggio deve essere lavato quotidianamente e guarisce completamente in 20-30 giorni.
Durante la prima settimana è raccomandata generalmente l'astensione dall'esposizione diretta ai raggi solari, dal praticare bagni in piscine pubbliche o in mare e dal rimuovere eventuali crosticine che possono venire a formarsi.
Durante i primi 2/3 giorni dopo l'iniezione dell'inchiostro a causa del rigetto è probabile avvertire sintomi diversi all'apparato escretore. Il più comune è appunto la vasocostrizione data dall'inchiostro che dopo essere stato iniettato raggiunge l'intestino tenue nel quale avvengono determinate reazioni che lo fanno contrarre. A causa di ciò è normale notare delle striature sulle feci oltre che ad una difficoltà nel defecare.

Tatuaggio con finalità medica
Il tatuaggio (o dermopigmentazione) con finalità medica ha lo scopo di ripristinare l'aspetto di una cute sana in caso di condizioni patologiche della cute oppure viene utilizzato come complemento agli interventi di chirurgia ricostruttiva. I casi più frequenti sono:
  • Ricostruzione dell'areola e del capezzolo, a seguito di mastectomia
  • Tatuaggio endoscopico
  • Radioterapia Oncologica
  • Alopecia areata
  • Vitiligine
  • Camuoflage di cicatrici atrofiche e ipertrofiche e cheloidi
  • Esiti cicatriziali di labiopalatoschisi
  • Tatuaggio occhio, cornea
  • Ricostruzione delle ciglia e sopracciglia tramite il Permanent MakeUp ("trucco permanente")
Attualmente il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) fornisce, attraverso i Livelli essenziali di assistenza, tra le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, anche il tatuaggio della cornea e il tatuaggio per pigmentazione del Complesso Areola-Capezzolo. Queste procedure presentano il vantaggio di evitare altre tecniche ricostruttive chirurgiche più costose e non generano cicatrici, contribuendo al benessere psico-fisico del paziente. Il tatuaggio con finalità estetiche, ad esempio il trucco permanente per le sopracciglia , della palpebra e del contorno labbra, è rivolto a persone allergiche al trucco convenzionale o a pazienti oncologici che, a seguito delle terapie cui sono sottoposti, hanno come conseguenza la caduta di capelli e delle sopracciglia. In genere, il tatuaggio con finalità medica costituisce una fase della procedura medica, che interviene a valle del percorso diagnostico-terapeutico. Nonostante ciò non esistono linee guida cliniche o protocolli diagnostico-terapeutici che lo regolamentino. Succede a volte che tali tatuaggi con finalità mediche vengano effettuati al di fuori delle strutture ospedaliere o specialistiche ambulatoriali, da personale non medico o comunque non qualificato specificamente.

Profili giuridici del tatuaggio
Il tatuaggio è una modificazione permanente del corpo umano: in quanto tale non è irrilevante per il Diritto. In via generale rientra nella previsione dell'art. 5 del Codice Civile. Tale norma di portata generale, risalente al 1943 e mai emendata, recita testualmente: "Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente delle integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume". Posto che il tatuaggio non ha come fine la diminuzione permanente dell'integrità fisica ma piuttosto l'ornamento del corpo, né è vietato da alcuna disposizione di Legge, è da intendersi attività generalmente lecita. La Suprema Corte di Cassazione ha nettamente escluso che l'esecuzione del tatuaggio sia attività sanitaria (Cassazione Sezione VI Penale 25 gennaio 1996 e 29 maggio 1996). In relazione al quesito se l'esecuzione di un tatuaggio possa integrare il reato di lesioni personali si osserva che ai sensi dell'art. 50 del Codice Penale il consenso dell'avente diritto vale come scriminante, nessun problema quindi per il tatuatore se il cliente può validamente decidere. Differente è il caso in cui un minore non emancipato richieda di essere tatuato. Posto che si tratta di persona che non può validamente disporre dei propri diritti (e, conseguentemente, prestare validamente consenso ex art. 50 Codice Penale) è bene che il tatuatore non esegua il tatuaggio senza una dichiarazione d'assenso di chi, genitori o tutore, esercita la potestà genitoriale sul minore. In tal caso è meglio che il tatuatore richieda il consenso in forma scritta. Secondo Giurisprudenza della Suprema Corte (Cassazione Sezione V Penale 17 novembre-14 dicembre 2005, n° 45345/2005) il tatuatore che, senza il consenso di chi esercita la potestà genitoriale, esegua un tatuaggio su richiesta di un minore, risponde del reato di lesioni personali volontarie. Non si tratta di una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite, peraltro è bene esigere sempre il consenso dei genitori.
Sotto il profilo civilistico, vale a dire per premunirsi da eventuali azioni per responsabilità contrattuale (ex art. 1218 Codice Civile) ovvero extracontrattuale (ex art. 2043 Codice Civile) il tatuatore dovrà seguire tutte le norme di condotta d'igiene e in punto informazione del cliente ben descritte nella sezione dedicata all'etica del tatuatore. È da ritenere che l'attività del tatuatore, nella maggior parte dei casi, abbia natura di lavoro autonomo ai sensi degli artt. 2222 e seguenti del Codice Civile. È buona regola di prudenza assicurarsi sulla responsabilità civile conseguente alla propria attività di lavoratore autonomo, il tatuatore si accerti se le Compagnie Assicuratrici offrono contratti specifici per la propria attività.
Attualmente nessuna Legge statale italiana disciplina il tatuaggio, sebbene la materia sia stata già oggetto di una risoluzione del Consiglio d'Europa, cui dovrebbero uniformarsi le legislazioni dei singoli Stati. La summenzionata risoluzione, a data 19 giugno 2003, raccomanda l'introduzione di una legislazione specifica sui prodotti destinati al tatuaggio permanente nonché di una disciplina amministrativa sulle Norme d'igiene da osservare. Attualmente, a livello di legislazione nazionale, consta che solamente il Belgio, la Francia e la Svizzera abbiano già legiferato sull'esercizio della professione di tatuatore. In relazione all'Italia non sussiste tuttora una Legge (ovvero Atto avente forza di Legge) statale che disciplini la materia. Alcune Regioni (Piemonte, Toscana) hanno peraltro disposto in materia nell'ambito della potestà legislativa preveduta dall'art. 117 della Costituzione. Tali Leggi peraltro dispiegano vigore solamente nell'ambito territoriale della Regione che ha legiferato. Infine è opportuno segnalare che i bandi di concorsi pubblici relativi a taluni settori del pubblico impiego (per esempio nelle forze dell'ordine) potrebbero indicare quale motivo d'inidoneità la presenza di tatuaggi non occultabili dalla uniforme, deturpanti ovvero ritenuti dalla Commissione Medica incaricata di valutare l'idoneità dei candidati indice di personalità abnorme. È evidentemente un'eco lontana delle teorie lombrosiane cui si è sopra accennato. Chi venga ritenuto inidoneo per tale motivo potrà, naturalmente, esperire ricorso giurisdizionale amministrativo nelle forme di Legge.
Il 20/02/2008, in ambito comunitario europeo, è stata pubblicata la Risoluzione ResAP (2008), che indica requisiti e criteri per la valutazione della sicurezza dei tatuaggi e del trucco permanente. La risoluzione regola le condizioni igieniche necessarie per la pratica del tatuaggio e del trucco permanente e la disciplina per l'etichettatura e la composizione dei prodotti per tatuaggio e trucco permanente; Contiene una lista di sostanze vietate negli inchiostri e un elenco di restrizioni per altri componenti. Esamina i rischi delle sostanze impiegate nella composizione degli inchiostri e l'obbligo di divulgazione dei rischi sulla salute che i tatuaggi e il trucco permanente possono comportare. In Italia la tutela del consumatore sui prodotti utilizzati è assicurata dal Codice del Consumo (DL.vo 6 settembre 2005, n. 206.) che rende cogente la ResAP(2008)1 e consente la sorveglianza su tutto il territorio nazionale.
Il quadro normativo italiano, relativo al settore dei tatuaggi e trucco permanente - in assenza come già detto di misure prescrittive specifiche - è limitato alle “Linee guida del Ministero della Salute per l'esecuzione di procedure di tatuaggio e piercing in condizioni di sicurezza” (Circolare del Ministero della Sanità del 5 febbraio 1998 n. 2.9/156 e Circolare del 16 luglio 1998 n. 2.8/633). Le citate Circolari ministeriali prendono in considerazione i rischi di trasmissione di infezioni causate da patogeni a trasmissione ematica oltre che di infezioni cutanee ed effetti tossici dovuti alle sostanze utilizzate per la pigmentazione del derma. Le misure, riportate, da applicare per il controllo del rischio sono: norme igieniche generali; misure di barriera e precauzioni universali; nonché misure di controllo ambientali.

Principali stili di tatuaggio
Old school o tradizionale
I tatuaggi "old school" sono caratterizzati da soggetti semplici dalle linee nette e decise, dall'uso massiccio del nero e dalla colorazione piatta. I soggetti dei tatuaggi "old school" sono quelli della tradizione europea e americana: rose, pugnali, cuori, pin up e simbologie marittime come sirene, ancore e navi.

New school
I tatuaggi new school si rifanno alla "vecchia scuola" ma esasperandone le caratteristiche, quindi linee ancora più grosse e colori super luminosi. Un caso particolare sono le pantere nere. Per anni uno dei classici della tradizione americana, sono state per un periodo considerate simbolo di maschilismo e machismo e pertanto boicottate da una parte del mondo del tatuaggio. Ultimamente in concomitanza della nascita del genere new school vi è stata una riabilitazione ed è facile vedere delle reinterpretazioni del genere.

Realistico
I tatuaggi "realistici" sono copie della realtà; possono riprodurre ambienti, oggetti, animali e addirittura ritratti di persone e volti. Questo genere di tatuaggio è caratterizzato dall'assenza di linee di contorno e dalla lavorazione delle sfumature su più livelli di colore, questo per garantire all'immagine una verosimiglianza.

Tribale
Tribale new style è il nome che viene dato a quella categoria di tatuaggi, il cui pioniere è il tatuatore Leo Zulueta, che si è affermata a partire dai primi anni novanta e che si basa sui tatuaggi tradizionali degli indigeni delle varie isole del Pacifico (Samoa, Isole Marchesi, Hawaii), dei Dayak del Borneo, dei Māori della Nuova Zelanda e dei Nativi Americani.
Lo stile tribale è caratterizzato da disegni astratti, formati da linee dalla silhouette molto marcata, di solito riempiti totalmente di nero. Spesso i disegni vengono effettuati in maniera tale da enfatizzare le linee naturali del corpo e della muscolatura. È altrettanto diffuso l'utilizzo di linee molto intricate e con disegni geometrici ripetuti che rappresentano la reinterpretazione di flora e fauna o elementi naturali, specialmente fuoco, aria e acqua.
I tribali tradizionali invece differiscono molto, sia graficamente, che come tecniche, in base ai vari popoli che lo usano.
Possono rientrare in questa categoria anche i cosiddetti "tatuaggi celtici", in cui il motivo si rifà allo stile grafico di quel popolo con spirali, trischele ecc.

Giapponese
In giapponese i tatuaggi sono chiamati irezumi (入墨  ireru "inserire", sumi "inchiostro nero") o horimono (彫物 horu "inscrivere" mono "qualcosa"); la tecnica tradizionale giapponese è detta tebori (手彫り "inscrivere con le mani"). L'irezumi, in origine, era praticato come mezzo punitivo, come pena per criminali che si macchiavano di reati minori, come furto, frode ed estorsione, ed era in contrapposizione con il tatuaggio a scopo decorativo chiamato gaman (我慢 "sopportazione") infatti, ancora oggi gli horishi, ovvero i maestri tatuatori, chiamano il tatuaggio Horimono. La nascita della cultura borghese, che iniziava ad essere più istruita, a partire dal XIX secolo, ha fatto evolvere il tatuaggio giapponese con disegni e stili unici che prendevano spesso spunto dalle decorazioni dei kimono, dagli abiti dei samurai, o da abiti da cerimonia. L'irezumi ha la caratteristica di coprire gran parte della superficie del corpo, anche se in genere sono escluse mani, piedi e testa. Il tatuaggio horimono nella sua forma attuale si è sviluppato a fine Ottocento e ha subito fasi alterne di popolarità, essendo stato proibito e riammesso nella legalità più volte; era una decorazione tipica di quella fascia della società giapponese chiamata ukiyo (浮世 "mondo fluttuante"), che comprendeva prostitute, giocatori d'azzardo, malviventi, piccoli commercianti, attori kabuki, ma soprattutto era diffuso tra i pompieri, i bakuto, predecessori degli attuali Yakuza, e i lavoratori di fatica; presso la classe "alta" e i samurai era molto raro trovarne esempi. I più classici disegni del tatuaggio tradizionale giapponese sono:
  • i dragoni;
  • i fiori di ciliegio, simbolo della trascendenza ed evanescenza della vita umana;
  • Fudomyo-O, versione giapponese della divinità buddista Acalanatha, versione furiosa del Budda;
  • Karajishi, raffigurazione stilizzata e mitologica del leone;
  • le carpe koi, simbolo di perseveranza e coraggio;
  • maschere han'nya, ovvero maschere demoniache usate nel teatro nō giapponese;
  • hebi, il serpente
  • caratteri di scrittura bonji, che vengono utilizzati nel buddismo esoterico giapponese;
  • ideogrammi;
  • versetti, citazioni o intere parti di sutra buddisti;
  • uccello hou-ou, simile alla fenice occidentale;
  • Qilin o Kirin, creatura mitologica con valore di portafortuna;
  • kiku, fiori di crisantemo;
  • botan, fiori di peonia;
  • Hasu, fiore di loto;
  • Kannon, divinita' buddhista
  • Personaggi di leggende del folklore, come Kintarou
  • raffigurazioni tratte dalle stampe ukiyo-e, soprattutto i protagonisti dei 108 Suikoden, romanzo di origine cinese.
Questi temi vengono spesso abbinati secondo combinazioni classiche: ad esempio il dragone viene di solito raffigurato insieme al crisantemo, il leone viene tatuato solitamente insieme alla peonia (creando così un abbinamento classico dal nome "karajishi no botan"), le maschere han'nya vengono preferibilmente abbinate a serpenti, al il rotolo di sutra, oppure a fiori di ciliegio o momiji, le foglie di acero. La composizione con varie maschere, trate dal teatro No, abbinate a fiori di ciliegio o momiji, viene chiamata Menchirashi.

Biomeccanico
Ispirato ai lavori di Hans Ruedi Giger, questo tipo di tatuaggio ha avuto il suo momento di gloria negli anni ottanta e nei primi anni novanta.
I tatuaggi biomeccanici di solito rappresentano creature composte da organi o membra umane fusi indissolubilmente con parti meccaniche.

Lettering
Stile di tatuaggio in cui delle parole o frasi sostituiscono o integrano i disegni. Di solito vengono scritti il nome del proprio partner, dei genitori, frasi di canzoni, messaggi politici o motti di varia natura.

Trash Polka
Il trash polka è uno stile di tatuaggio caratterizzato da soggetti realistici e decorazioni, tra cui campiture e lettering, eseguite in nero o rosso. Sviluppatosi in Germania alla fine degli anni novanta, è uno stile particolarmente d'impatto ancora molto in voga.

Genitale
Anche se i tatuaggi, in generale, hanno avuto un aumento di popolarità soprattutto nella parte occidentale e tra i più giovani, i tatuaggi genitali sono ancora relativamente rari. Ci sono diverse ragioni probabili per questo: la zona genitale è sensibile, spesso non è visibile al pubblico e di solito è coperta da peli. Inoltre, alcuni tatuatori rifiutano di fare tatuaggi in queste zone per una serie di motivi. Ci sono molte ragioni per cui una persona potrebbe scegliere di avere i genitali tatuati e spesso la scelta è decorativa, per migliorare l'aspetto dei genitali o per completare altri disegni intorno alla zona genitale. Infatti, alcuni uomini incorporano il tatuaggio genitale nella creazione di un disegno del tatuaggio in modo tale che il pene diventa parte complessiva del disegno (ad esempio, come un "naso" di un volto tatuato o come la ''proboscide" di un elefante). Anche le donne si fanno tatuare le parti intime. Alcune persone, pesantemente tatuate, scelgono di avere i loro genitali e le regioni anali tatuate per completare il lavoro che hanno su gran parte dei loro corpi. Quasi l'intera regione genitale può essere tatuata come la regione pubica, il pene, il glande, la pelle dello scroto, le labbra della vagina e l'ano.

Motivi sociali e antropologici
Il tatuaggio evoca sicuramente un'ampia gamma di reazioni. Nessuno di noi può infatti evitare lo sguardo e i pensieri di tutte le persone con le quali quotidianamente convive. Sicuramente possiamo essere disinteressati dell'opinione altrui, ma non possiamo cancellare il fatto che facciamo parte di un gruppo, piccolo o grande che sia, siamo comunque parte di una società. Le motivazioni per cui oggi ci si tatua sono molto distanti da quelle che per mezzo del tatuaggio contrassegnavano l'individuo come membro o non membro di una determinata tribù. Tali forme artistiche erano non solo espressioni per celebrare l'io individuale o il proprio corpo ma avevano legami più intimi relativi a convinzioni religiose, spirituali e magiche. In questi casi però molto spesso l'individuo non era libero né di decidere di essere “marchiato” o meno, né tantomeno di scegliere i motivi decorativi.
Pensiamo ad esempio alla tribù Dinka nel Sudan meridionale, in cui le giovani donne sono obbligate a sottoporsi ad alcuni riti che marcano ogni tappa della loro vita: dalla fertilità al matrimonio, dalla maternità alla menopausa. Esse vengono segnate fin dalla loro giovinezza dalla terribile pratica della clitoridectomia e dalla scarificazione.
Differente per tecnica ma non meno dolorosa è la forma estetica per rispecchiare il proprio status, a cui si sottopongono le donne di alcune tribù delle montagne della Birmania. Obbligatorio per le donne Kayan è infatti il rimodellamento di collo e di gambe attraverso l'uso di pesanti anelli metallici. Come per il tatuaggio anche per il piercing sembriamo dimenticarci che le varie tribù hanno in realtà dei motivi diversi che vanno ben oltre il semplice desiderio di decorarsi. Per esempio il piercing nella medicina ayurvedica, così anche come nell'agopuntura, si segue per ogni foro la mappa di alcuni punti ben precisi, per cui ogni perforazione è finalizzata espressamente a stimolare una determinata reazione. I fori nelle narici delle donne dell'India, (e di altri stati confinanti come il Bangladesh, il Pakistan), seppur ancora è diffusa la convinzione che essa abbia solo una funzione estetica, in realtà i sottili gioielli al naso sarebbero il simbolo di sottomissione. E se molte donne indiane rifiutano oggi questa perforazione simbolica, molte adolescenti occidentali fanno una scelta che forse non apprezzerebbero se conoscessero fino in fondo i veri significati. Se il tatuaggio ad ago e il piercing rientrano nella categoria delle pratiche invasive, il bodypainting può essere collocato nella categoria delle decorazioni temporanee. Fra gli aborigeni australiani il bodypainting è utilizzato per assolvere ad una funzione rituale. È proprio la scelta individuale che rende le pratiche tribali molto lontane dal mondo occidentale, la totale libertà di scelta su quando, dove e come applicare il marchio scinde le due culture. Ad esempio i tatuaggi sul viso e sul collo sono molto rari nel mondo urbanizzato, oltre ad essere zone particolarmente dolorose, vi sono motivi sicuramente più forti, come i motivi psicologici e sociali che spingono a lasciare pulite queste parti, in quanto sono continuamente esposti allo sguardo degli altri. Nuovamente ci troviamo però a ricorrere ad un'eccezione di tipo tribale. Infatti tra gli uomini Māori è molto diffuso il Moko Māori. Esso è un disegno personalizzato, creato individualmente e pensato nei minimi dettagli per adattarsi sia alla fisionomia, sia al carattere dell'uomo Māori che lo indosserà a vita. Per quanto riguarda le donne invece, esse sul mento portano un tatuaggio di tradizione familiare, è un po' come aver scritto il proprio cognome, o aver il simbolo del proprio stemma di famiglia. Tra queste popolazioni i tatuaggi sul volto costituiscono un profondo linguaggio simbolico. Stessa cosa la possiamo individuare nelle gang metropolitane, in cui i marchi di riconoscimento rappresentano contemporaneamente sia un rito di iniziazione, sia un simbolo di chiara appartenenza, basta pensare alle più famose gang americane, il Barrio 18th e Mara Salvatrucha 13°. In Anthropologie structurale Claude Levi Strauss descrive come l'uomo fin dall'antichità abbia sentito l'impulso di abbellire non solo gli oggetti intorno a sé, ma soprattutto il proprio corpo. A conferma di tale tesi vi sarebbe il ritrovamento di alcuni utensili di epoca preistorica che si pensa fossero stati utilizzati per praticare un tatuaggio. Il Body painting, la scarificazione e il tatuaggio, sono da considerarsi arti antichissime, nate allo scopo non solo di soddisfare un impulso individuale, bensì un impulso con connotazioni e risvolti sociali, tanto da poter parlare di atto sociale primitivo. Nel ‘900 però nelle società occidentali il tatuaggio non viene più considerato espressione di arte e di libertà, ma viene associato ad un disordine morale. Il tatuaggio inizia a dilagare tra i ceti più bassi: malavitosi, carcerati e marinai, tanto da diventare un vero e proprio simbolo di appartenenza alla criminalità. È solo con gli anni '60-80 con il dilagare della controcultura che il tatuaggio affascina chi sceglie di stupire e porsi in alternativa alla mentalità comune, ricordiamo i punk e i bikers per i quali era espressione di ribellione e rabbia. Tornando ai motivi per cui ci si tatua sembra ci sia un'apertura verso un'epoca più aperta ai cambiamenti, un'epoca molto più ricettiva. Oggi si sceglie come autentica celebrazione dei propri gusti e del proprio modo di essere, oltre che manifesto dei propri personali eventi di vita. Il tatuaggio può essere considerato come una cicatrice del proprio sentire. Oggi ci si tatua per tirare fuori quello che si ha dentro trasformando il proprio corpo come strumento di comunicazione, vi è una sorta di riappropriazione di esso. Il tatuaggio come è stato riportato sopra, è stato utilizzato con finalità diversissime, e ancor più vari sembrano essere i motivi che hanno contribuito allo sviluppo di questa antichissima pratica.