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L'air de cour era un tipo di musica profana vocale molto popolare in Francia fra il tardo rinascimento ed il primo barocco 1570-1650. Questo fu il principale stile di canto profano in Francia dal 1510 al 1535 durante il regno di Luigi XIII. L'espressione emotiva dell'air de cour, comparata con i madrigali italiani, risulta fredda, classica e riservata secondo il gusto francese di quel tempo. Il registro vocale è di solito limitato ad una ottava; dissonanze e cromatismi sono rari.
L'influenza dell'air de cour si espande anche al di fuori della Francia. Raccolte vengono pubblicate in Germania e in Inghilterra dove le traduzioni erano molto diffuse come attestato da diverse pubblicazioni e copie.
L'atmosfera di queste canzoni è molto diversa dalle lute song inglesi.

Storia
La prima volta che venne usata l'espressione air de cour fu in una raccolta di musiche di Adrian Le Roy Airs de cour miz sur le luth, pubblicata nel 1571. Le prime opere di questo tipo erano per voce solista accompagnata dal liuto. Più avanti, verso la fine del XVI secolo, quattro o cinque voci - accompagnate o meno da uno strumento - erano la regola in questo tipo di composizione. Poi, verso la metà del XVII secolo le composizioni erano tornate ad essere per una sola voce accompagnata da uno strumento. A cominciare dal 1608 le raccolte di air de cour iniziarono a includere alcuni brani dei ballet de cour, una forma di ballo tipica della corte di Francia.
Dal punto di vista musicale avevano una struttura strofica ovvero sulla stessa linea di canto venivano cambiati i versi del testo. Mentre i primi lavori erano polifonici mentre dopo il 1610 la musica era prevalentemente omofonica cantata sillabando e senza seguire alcuna metrica. Esistono comunque delle raccolte che si discostano sensibilmente da questa consuetudine; molti editori nel corso del XVII secolo hanno pubblicato air de cour monofoniche accompagnate da uno strumento. Fra queste si ricorda una raccolta in otto volumi dell'editore Le Roy & Ballard.
L'air de cour, sorprendentemente, fu scarsissimamente influenzata dalla musica italiana del primo barocco impostata sulla monodia e sul madrigale oltre che sulla polifonia e il concertato. Ed è tanto più sorprendente in quanto molti musicisti italiani lavoravano in Francia e la forma polifonica e di concertato usata nei madrigali italiani aveva influenzato molto la musica in Germania.

Compositori
  • Adrian le Roy (c.1520 – 1598)
  • Nicolas de la Grotte (1530 – c.1600)
  • Jacques Mauduit (1557 – 1627)
  • Pierre Guédron (c.1570 – c.1620)
  • Antoine Boësset (1586 – 1643)
  • Étienne Moulinié (c.1600 – c.1669)
  • Jean de Cambefort (c.1605 – 1661)
  • Gabriel Bataille (c.1575 – 1630)




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La bergamasca è una danza tradizionale originaria della città di Bergamo. La sua esistenza è attestata dall'inizio del XVI secolo. Aveva un tempo di 2/4 e veniva eseguita a coppia e a tondo.

Storia
Di impiego frequente nella musica di carattere popolare, come ne Il terzo libro de intabolatura di liuto di Giacomo Gorzanis (1564) o nel terzo libro de Le Villotte del Fiore di Filippo Azzaiolo (1569), si diffuse in seguito nella composizione strumentale del XVII secolo. Se un tempo si ritenne, secondo l'affermazione di Hugo Riemann, che la prima bergamasca attestata nella musica colta fosse quella inserita nel terzo libro delle Sonate di Marco Uccellini (1642), successivamente Paul Nettl precisò che una bergamasca era già presente nel quarto libro delle Sonate di Salamone Rossi (1622). Il Nettl contestò anche l'ipotesi del Riemann secondo la quale la bergamasca derivasse dalle forme di danza su "basso ostinato".
Tra i compositori di bergamasche del XVII secolo, oltre ai già citati Rossi e Uccellini, figurano tra gli altri: gli italiani Biagio Marini, Lodovico Grossi da Viadana, Gasparo Zanetti, Bernardo Gianoncelli, Giovanni Battista Vitali, Bernardo Pasquini e Giovanni Salvatore; l'italo-austriaco Giovanni Girolamo Kapsberger; i tedeschi Samuel Scheidt che ne compose delle variazioni sul tema (1621), Dietrich Buxtehude autore di 30 variazioni per clavicembalo dal titolo La Capricciosa, e Valentin Rathgeber; e il francese Jean-Baptiste Besard che inserì una bergamasca nel suo Thesaurus harmonicus (1603). Compositori come Girolamo Frescobaldi (1635) o Giovanni Battista Fasolo (1645) abbandonarono il modello della danza semplice e crearono delle bergamasche utilizzando un contrappunto complesso. Essa fu a volte associata alla ciaccona ed alla passacaglia nella "suite di danze" barocca, come nelle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach.
Per il suo carattere vivace e saltellante, la sua abbondanza di salti e di capriole, l'attitudine del suo tema a molteplici variazioni e al suo possibile uso come "basso ostinato", la bergamasca fu spesso utilizzata nella commedia dell'arte. Con questa danza William Shakespeare concluse la commedia Sogno di una notte di mezza estate; per la quale Felix Mendelssohn comporrà in seguito eccellenti musiche di scena (Sogno di una notte di mezza estate, 1843). Molto impiegata nella composizione liutistica, tra i secoli XVII e XVIII incontrò notevole successo in Germania e in Inghilterra, fino ad influenzare la musica sia colta che popolare dei rispettivi Paesi; tanto da ritrovarla, in forma modificata, in una canzone popolare tedesca (Kraut und Rüben haben mich vertrieben) e in una canzone popolare svedese (Skära, skära havre).
Uscita di moda, nel XIX secolo la parola "bergamasca" passò ad indicare una danza diversa, di tempo 6/8, molto vivace ed abbastanza simile alla tarantella.
Ottorino Respighi trascrisse liberamente una bergamasca di Bernardo Gianoncelli e la inserì nelle Antiche arie e danze per liuto (seconda suite) del 1923. L'ultima bergamasca composta da un musicista classico risulta essere il secondo movimento di Two Pieces for Piano (1925) dell'inglese John Ireland.
Nelle composizioni di Claude Debussy (Suite bergamasque, 1905) e di Gabriel Fauré (Masques et bergamasques, 1919) la parola non indica il tipo di composizione rappresentato; è invece una citazione dalla poesia Clair de lune del poeta francese Paul Verlaine, nella quale il nome dell'antica danza serve ad evocare un'immagine poetica ed onirica. Nella composizione di Alfredo Piatti (La Bergamasca) la parola non si riferisce alla danza ma alla città di Bergamo.



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Il balletto è un particolare tipo di rappresentazione coreografica che nasce a partire dal primo Rinascimento dalle composizioni dei maestri di ballo presso le corti signorili italiane e francesi.
Con le successive evoluzioni, il termine balletto oggi comprende un'ampia varietà di rappresentazioni sceniche di un dramma visivo svolto per mezzo di danza e pantomima, spesso accompagnato da musica e interpretato da danzatori secondo una coreografia predeterminata. Comunemente con il generico termine balletto o balletto classico ci si riferisce anche al balletto moderno evolutosi dalla scuola di San Pietroburgo in particolare attraverso l'esperienza dei Ballet Russes fino alla spinta in senso più "formale" di George Balanchine, e comunque a forme di danza teatrale che utilizzano movimenti del corpo riconducibili alla tecnica accademica della danza classica.

Storia del balletto
Il Rinascimento: la nascita del balletto
Il fiorire dei commerci, l'affinarsi delle tecniche, il nuovo interesse per la cultura scaturito dall'Umanesimo provocarono nell'Italia di inizio 1400 un fiorire delle arti presso le corti nobiliari. Mentre presso le corti medioevali il prestigio era dettato dal potere militare e dai possedimenti, diventò ora importante per la classe dominante dimostrare la propria eccellenza e trasformare la corte nel teatro dove mettere in scena il proprio splendore.
In particolare le feste di corte diventarono sempre più sfarzose e fantasiose, includendo spesso anche rappresentazioni danzate nelle quali però i danzatori non erano professionisti ma nobili di corte che danzavano per piacere e dovere sociale.
In questi anni, caratterizzati da una massiccia codificazione di tutte le arti, comparve nelle corti italiane un nuovo personaggio: il maestro e teorico di danza. Alcuni nomi sono giunti a noi grazie agli scritti conservati presso le biblioteche, come Domenico da Piacenza, e i suoi allievi Antonio Cornazano (pure attivo fra Piacenza e Ferrara) e Guglielmo Ebreo da Pesaro (conosciuto anche come Giovanni Ambrogio), accomunati da una stessa visione teorica e da una stessa terminologia, tanto da poter parlare di una primitiva scuola italiana (la "scuola lombarda") che stabilisce per prima le regole tecniche, l'estetica, l'etica del danzatore:
«Il bel danzar che con virtù s'acquista
per dar piacer all'anima gentile
conforta il cuore e fal più signorile
e porge con dolcezza allegra vista.»
(Guglielmo Ebreo da Pesaro, De pratica seu arte tripudii)
Siamo di fronte a trattati sicuramente troppo complessi per un pubblico aristocratico, e presumibilmente destinati alla formazione di maestri di danza, una professione quindi già fortemente richiesta dalle corti del primo Rinascimento.

Dal ballo nobile alla danza teatrale
Domenico nel suo trattato De arte saltandi et choreas ducendi operava una prima distinzione fra bassa danza e ballo, la prima (distinguibile in bassadanza propriamente detta e quaternaria) eseguita con una tecnica che evita i salti, a contatto con il suolo e caratterizzata da un incedere grave e dal portamento nobile, il secondo (rapido e identificato da saltarello e piva) con salti e variazioni più dinamiche. Tale distinzione sarà poi ripresa, sottolineata e chiarita dal Cornazano:
«Vegnirò mo' a quelli balli et bassedançe che son fora dal vulgo fabricati per sale signorile, e da esser sol dançati per degnissime Madonne et non plebeie»
(Antonio Cornazano, Libro sull'arte del danzare)
Eseguita a partire dal XIII secolo e rimasta in voga fino alla metà del Cinquecento in Francia, la bassadanza è considerata dai trattatisti quattrocenteschi come termine di paragone per ogni altra danza. Ed è probabilmente da un passo derivato dalla bassadanza, il brando, congiuntamente alla moresca – danza guerresca di derivazione spagnola –, entrambe citate da Baldassarre Castiglione nel suo Il Cortegiano a proposito degli intermezzi di uno spettacolo rappresentato alla corte di Urbino nel 1513, che la danza cominciò ad affrancarsi dall'ambito del ballo nobiliare per divenire arte spettacolare.
Il termine balletto si comincia a usare in Italia al posto di ballo agli inizi del Cinquecento. Una prima testimonianza di messa in scena di uno spettacolo danzato legato ad un tema unitario si trova poi sempre in Italia, messo in scena durante il banchetto di nozze fra Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d'Aragona nel 1489 a Tortona. La rappresentazione allegorica, realizzata a cura di Bergonzio Botta e dedicata alla esaltazione dell'amore coniugale, prende il nome di balletto conviviale e verrà imitata in molte altre corti negli anni successivi.
Le origini del balletto in Francia sono legate alla nascita del ballet de cour ad opera dell'italiano Baldassarre Baltazarini da Belgioioso. I maggiori balli in uso nel XVI secolo in Francia e in altri paesi europei sono stati accuratamente descritti nel 1589 da Thoinot Arbeau (pseudonimo di Jean Tabourot) nel suo trattato Orchésographie. Appartiene al genere delle mascherate il Bal des ardents organizzato da Carlo VI nel 1393, un particolare tipo di corteo messo in scena da nobili travestiti da personaggi storici o mitologici. Le cronache riportano che in occasione del matrimonio del duca di Vermandois il re stesso aveva messo in scena un ballo, assieme a quattro amici tutti travestiti da «uomini selvaggi», indossando costumi ricoperti di fiocchi di lino cardato; essendosi avvicinati troppo al fuoco di una torcia, i danzatori si erano trasformati all'istante in torce umane, e solo il re fu salvato dal rogo grazie al pronto intervento di una dama che con la propria gonna spense le fiamme.
In Inghilterra lo sviluppo della danza teatrale pare essere invece legato alle Masque, danze mascherate che si svolgevano durante i balli reali con la partecipazione degli stessi sovrani e che comprendevano danze, canti e recite di poesie secondo programmi e testi predefiniti (Ben Johnson all'inizio del Seicento fu autore di alcune Masque).
Parallelamente in campo musicale si assiste ad un graduale affrancamento della musica strumentale dal canto, e questa trasformazione influenza non poco anche i modi della danza che non più guidata dalle parole può divenire ritmica e sviluppare una poetica indipendente e una espressività nuova con il corpo in primo piano.
Un segno evidente della grande trasformazione che avviene nelle rappresentazioni danzate in questo periodo è la nascita delle prime "scuole di ballo nobile", scaturita anche dalla ampia diffusione dei primi trattati sulla tecnica di cui abbiamo detto sopra e dalla richiesta proveniente inizialmente dagli stessi principi e gentiluomini per non sfigurare a corte. La prima grande scuola per ballerini, venne fondata all'inizio del Cinquecento da Pompeo Diobono: da qui usciranno Ludovico Paluello, Bernardo Tetoni, Baldassarre Baltazarini da Belgioioso, Cesare Negri. Dalle scuole italiane cominciarono poi a diffondersi in tutta Europa maestri di Ballo nobile che si stabilirono presso le principali corti europee, dando inizio ad un irraggiamento delle conoscenze tecniche e teoriche di danza che non si arresterà per i successivi quattro secoli.
Nel 1602 Cesare Negri, ormai anziano, pubblicherà nel suo Le Gratie d'amore (poi ripubblicato nel 1604 col titolo Nuove inventioni di Balli) le prime norme stilistiche che si ritrovano tuttora ripetute nella tecnica accademica, fra cui la base delle cinque posizioni e l'impostazione con i piedi in fuori.

Il balletto di corte (Ballet de cour)
Caterina de' Medici, un membro della signoria di Firenze, divenne regina di Francia nel 1547 sposando il re Enrico II, ed introdusse in Francia gli stessi spettacoli che aveva conosciuto in Italia. Questi spettacoli erano allestiti da Baldassarre Baltazarini da Belgioioso ((FR) Baltasar de Beaujoyeulx) un musicista molto dotato. Egli era stato chiamato dall'Italia per diventare maestro di musica dei figli del re in Francia.
Gli storici del balletto considerano uno degli spettacoli di Belgioioso, il Ballet Comique de la Reine (orig. Balet comique de la Royne), come primo vero balletto. Era uno spettacolo sontuoso che durava circa cinque ore e mezza, rappresentato la prima volta il 15 ottobre 1581 in onore del matrimonio fra il Duca di Joyeuse[3] e Marguerite de Vaudemont, sorella della regina. Il balletto raccontava del mito antico di Circe che aveva il potere di trasformare gli uomini in bestie e includeva musica strumentale, canto, lettura di versi, danza e in cui gli stessi nobili di corte presero parte alla rappresentazione. Poiché la tecnica di danza era estremamente limitata, Baltazarini dovette ripiegare su costumi spettacolari e grandi scenografie per impressionare il pubblico. Per essere sicuro che la gente capisse la storia, egli fece distribuire copie dei versi usati nel balletto. Il balletto fu un successo enorme e fu molto imitato nelle altre corti d'Europa.
Spettacoli coreografici vennero poi rappresentati di frequente anche alla corte di Enrico III di Francia, che era stato fra gli spettatori delle messe in scena di Baltazarini, ma al tema mitologico o allegorico veniva spesso preferita una forma più leggera, il ballet mascarade, in genere parodia mimata di fatti di attualità. Pare che alcune creazioni siano poi state realizzate a scopi di propaganda dallo stesso cardinale Richelieu, come ad esempio il Ballet de quatre monarchies chrétiennes (1635) e il Ballet de la prosperité des armes de France (1641), il che testimonia la popolarità già raggiunta allora dal balletto.
In Italia la Corte dei Medici risultava ai tempi piuttosto attiva, sotto la guida del coreografo Angelo Ricci. Fra gli spettacoli, ispirati in genere a quei temi propri dell'Umanesimo che era stato fonte ispiratrice delle origini, si cominciarono a trovare sempre più spesso balletti con cavalli in scena, probabile eredità dei tornei medievali. Questo genere equestre verso la fine del Cinquecento trovò sempre più larga fortuna specie in Francia e a Vienna, oltreché Firenze. L'esempio più eclatante fu la messa in scena a Vienna nel 1667 di La contesa dell'aria e dell'acqua, a cura dell'italiano Alessandro Carducci.
A fianco di Firenze, anche Torino è particolarmente attiva attorno alla metà del Seicento, sotto la guida del conte Filippo d'Agliè di San Martino, autore di balletti e caroselli molto apprezzati anche in Francia.

Il Seicento: lo sfarzo e lo splendore
La scena del balletto barocca
Agli splendori paesaggistici che architetti come Bernini e Borromini allestivano per la scenografia della Roma papale corrispondeva un gusto dominante per lo spettacolare anche nelle rappresentazioni teatrali. Ancora Firenze era uno dei principali centri creativi e di sperimentazione, e qui a metà del Cinquecento si sperimentavano le prime scenografie mobili, che vennero ben presto migliorate e usate con grande successo determinando una esaltazione della scena a discapito della rappresentazione. Gli scenografi teatrali italiani trionfarono in tutta Europa: Ferdinando Bibiena incantava Vienna, Giacomo Torelli prima e Gaspare Vigarani poi guidavano il gusto parigino, ma prima di loro Ludovico Burnacini con le fantastiche macchine teatrali allestite per le opere monteverdiane e gli sfarzosi costumi evocativi di terre lontane e di inferni ammonitori aveva inaugurato l'era barocca a teatro. La danza in Italia restava quindi confinata al suo ruolo di intermezzo, in particolare all'interno del melodramma, non riuscendo a imporsi autonomamente.
La Francia parve invece preferire una sua strada ancora legata ad una danza lenta e solenne. I maestri italiani, dopo che Milano, il centro italiano della danza, venne conquistato nel 1515 dalle truppe di Francesco I, cominciarono a trasferirsi nel nord Europa. Su richiesta del re lo stesso Pompeo Diobono lasciò Milano nel 1554 per recarsi in Francia presso la corte di Enrico II prima, Carlo IX e Enrico III poi.


Luigi XIV: Il balletto reale
Il Ballet Comique de la Reine sancì Parigi come capitale del mondo del balletto. Fu così quindi che il balletto, benché nato in Italia, divenne poi un'arte squisitamente francese.
Il grande sostenitore di quest'arte fu re Luigi XIV (1638-1715) detto Re Sole. Egli amava molto danzare e prendeva parte ai balletti dati dalla sua corte ma si fermò quando il fisico gli impedì di continuare a danzare. Ancora oggi nella tecnica accademica esiste un passo da lui eseguito chiamato in suo onore Entrechat Royal.
Nel 1661 Luigi XIV fondò l'Accademia Reale di Danza con lo scopo di preparare ballerini che si esibissero per lui e la sua corte, dando così inizio alla prima accademia di danza dedicata alla formazione professionale dei ballerini. Seguendo l'esempio di Luigi XIV, in tutta Europa iniziarono a svilupparsi simili compagnie. Una di queste fu l'Accademia Imperiale del Balletto di San Pietroburgo, la cui scuola fu fondata nel 1738 e che diventerà nell'Ottocento la capitale mondiale del balletto classico grazie a maestri come Enrico Cecchetti e Marius Petipa. I ballerini francesi diventarono così bravi che iniziarono ad esibirsi pubblicamente nei teatri. All'inizio tutti i danzatori erano uomini e le parti da donna venivano eseguite en trevesti. I danzatori del XVIII secolo erano coperti da maschere, indossavano grosse parrucche e scarpe col tacco. Le donne indossavano gonne larghe e lunghe, strette nei loro corpetti. Le due migliori ballerine francesi dell'epoca, Marie Camargo e Marie Sallé rivoluzionarono il mondo della danza, introducendo scarpe senza tacco, accorciando le gonne rendendole meno ingrombranti e abbandonando le maschere.

La riforma del balletto: il "ballet d'action"
Nella seconda metà del Settecento, il francese Jean-Georges Noverre e l'italiano Gasparo Angiolini elaborarono e teorizzarono una profonda riforma del balletto, diretta a emancipare la danza dalle altre forme sceniche (canto e declamazione), alle quali era sempre collegata (e subordinata) negli spettacoli teatrali, e ad affidare ai balletti il compito di narrare autonomamente delle vicende drammatiche, con l'espressività dei gesti danzati e il ricorso alla pantomima.

Il balletto romantico
Il Romanticismo fu una corrente artistico-letteraria che si diffuse in tutta l'Europa in maniera uniforme a partire da Regno Unito e Germania. Chi si riconosceva nel movimento romantico dichiarava una ribellione alle regole del classicismo antico, in particolare come reazione al manierismo caratteristico del Settecento, dichiarando l'intenzione di indagare più profondamente nell'animo umano. Da qui una grande attenzione per l'occulto, la magia, il soprannaturale, l'esotico, il distante nel tempo e nello spazio. La Francia, e in particolare il Teatro de l'Opéra di Parigi, divenne il luogo d'eccellenza del balletto, fungendo da esempio per il resto dell'Europa. Fu in Francia infatti che venne creato il balletto considerato punto di partenza del romanticismo nella danza: La Sylphide danzato da Maria Taglioni su coreografie del padre Filippo Taglioni (1832). La trama rifletteva in pieno i temi cari al romanticismo: l'amore impossibile tra un uomo e uno spirito, l'ambientazione in Scozia, magie e spiriti danzanti (le silfidi appunto). La Sylphide diventò il prototipo di molti altri balletti basati sullo stesso tema tra i quali il più celebrato fu Giselle (1841), che immortalò un'altra grande ballerina, Carlotta Grisi, e si distinse per il libretto creato da Théophile Gautier e le musiche composte da Adolphe Adam.
Il pubblico accorreva a questi balletti grazie anche alla curiosità generata dai nuovi costumi teatrali e dalle nuove tecniche di danza.
Le gonne diventavano più leggere e più corte, si usavano le scarpe da punta per sottolineare il distacco della ballerina dal mondo terreno e apparve il tutù (inventato da Eugéne Lamy proprio per La Sylphide).
La danza maschile perse gradualmente la sua supremazia. Vennero creati ruoli incentrati sulla ballerina eterea e romantica, le donne dominavano la scena, gli uomini furono messi in ombra e relegati al ruolo di partner, diventando semplici porteur. Spesso i ruoli maschili venivano interpretati da danzatrici en travesti, come ad esempio accadde per il ruolo di Franz nella prima rappresentazione di Coppélia (1870).
Alla fine dell'Ottocento, il ruolo de l'Opéra di Parigi perse il predominio e il balletto romantico rinacque a nuova vita e in tutto il suo fasto nelle creazioni dei grandi balletti narrativi di Marius Petipa, coreografo dei Balletti Imperiali presso la corte russa. Questi balletti, capisaldi della danza arrivati fino ai giorni nostri, trattano di racconti fiabeschi, fantastici o esotici, come Il lago dei cigni, La bella addormentata, Lo schiaccianoci (tutti con la musica di Pëtr Il'ič Čajkovskij), o come La Bayadère (musica di Ludwig Minkus).

Il balletto imperiale russo
La nascita del balletto russo coincide con la fondazione dell'Accademia di Danza presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel 1738, diretta dal Maestro francese Jean-Baptiste Landé durante il regno della zarina Anna di Russia (1693-1740). Quando, nel 1762, Caterina la Grande salì al trono, la sua festa per l'incoronazione fu un imponente spettacolo di danza per il quale furono impiegate circa 4000 persone. Vennero invitati dall'Italia e dalla Francia maestri di balletto per organizzare l'evento. Caterina II contribuì in maniera determinante allo sviluppo della danza in Russia. Chiamò i migliori coreografi dall'Europa ad insegnare nell'accademia. Il primo di questi fu Charles Didelot, nato in Svezia ma educato in Francia. Insegnò a San Pietroburgo dal 1801 al 1811 e dal 1816 al 1837. Poi fu la volta di Jules Perrot da Parigi che restò in Russia dal 1851 al 1858. A lui succedette Arthur Saint-Léon dal 1859 al 1869. Fu poi la volta del maestro dei maestri, il francese Marius Petipa che diresse i balletti imperiali per circa un trentennio creando i più grandi capolavori della storia del balletto tra cui: La bella addormentata (1890), Il lago dei cigni (1895, in collaborazione con Lev Ivanov) e Lo Schiaccianoci (1892), la cui coreografia si deve però a Lev Ivanov. Figlia di tutto ciò è anche una tra le più prestigiose scuole di balletto della Russia: la scuola del Teatro Bol'šoj di Mosca.

Il balletto nel XX secolo
Petipa creò più di 50 coreografie per i Balletti Imperiali. Alla fine la sua formula rischiava di esaurirsi e di diventare un vuoto contenitore per dimostrare la bravura della ballerina o del ballerino. Nel 1909, un impresario russo che non sapeva nulla di danza ma molto di come si produceva uno spettacolo di successo, Sergej Djagilev, fondò i Ballets Russes nei quali l'unione di pittura, musica e danza costituiva l'elemento portante.
I Ballets Russes spopolarono in Europa e misero in luce personalità della danza importantissime quali: Anna Pavlova (ballerina), Vaslav Nijinsky (ballerino e coreografo), Michel Fokine (primo coreografo della compagnia), George Balanchine che influenzerà in modo determinante la danza classica americana.
La compagnia si sciolse alla morte di Djagilev nel 1929. I danzatori e i coreografi si unirono ad altre compagnie in molte parti del mondo influenzando il balletto in modo determinante ovunque essi andassero.

Terminologia
Passo d'addio
Nella tradizione italiana del balletto passo di addio è detto il saggio finale degli allievi che lasciano la scuola di danza, oppure per i ballerini che vengono licenziati da un grande teatro.


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Belle Époque è stato un gruppo di disco music nato nel 1976 e composto dalla cantante francese Évelyne Lenton (nome d'arte di Évelyne Verrecchia), in precedenza interprete di musica yéyé con il nome Evy, da suo fratello il produttore Albert Weyman (Albert Verrecchia) e da due coriste, la capoverdiana Jusy Fortes e la statunitense Marcia Briscoe (originaria di Atlanta). In Inghilterra il gruppo è noto come "La Belle Epoque", negli Stati Uniti come "Belle Epoque".
Il gruppo ha ottenuto diversi grandi successi: Black Is Black (cover in versione disco music del brano Black Is Black dei Los Bravos), che nel 1976 raggiunse il primo posto nella classifica inglese Official Singles Chart); Miss Broadway (1º posto in Inghilterra, 15° negli Stati Uniti nel 1977). Da menzionare anche Bamalama (1978) e Stranger once again (1979).
Nel 1982 il gruppo si sciolse ed Evelyne Lenton riprese la sua carriera di solista. Il gruppo si ricostituì nel 2006, nel 30º anniversario della loro fondazione, per incidere due album compilation: Belle Epoque e Black is Black. In settembre 2006 il gruppo si sciolse definitivamente.
Ad eccezione di Black is Black, che è una cover, la musica e le parole di tutti gli altri brani sono di Evelyne Lenton e Albert Weyman.


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Il café-concert, o più comunemente café-chantant, italianizzato in caffè-concerto, è un genere di spettacolo nel quale si eseguivano piccole rappresentazioni teatrali e numeri di arte varia (operette, giochi di prestigio, balletti, canzoni ecc.) in locali dove si potevano consumare bibite e generi alimentari nel corso dello spettacolo. Per estensione, il café-concert è anche il locale che ospitava tale genere di spettacolo.
Il fenomeno dei café-chantant nacque a Parigi nel XVIII secolo, dove sorsero numerosi locali di tale genere sul boulevard du Temple. Dopo essersi spostati sotto le arcate del Palais-Royal durante la rivoluzione e aver conosciuto dei giorni difficili sotto l'Impero, questi stabilimenti rinnovarono il loro successo sotto Luigi Filippo I. Tuttavia solo la metà del XIX secolo vide il nuovo fenomeno diffondersi anche nelle città di provincia e all'estero.

Il café-concert in Francia
Definizione
Il caf'conc, come venne chiamato familiarmente in francese (scritto a volte caf'conç) è, secondo il Grand Dictionnaire Larousse del XIX secolo, allo stesso tempo una sala da concerto e una sala da the, che riuniva un pubblico che pagava con le consumazioni il piacere di ascoltare brani d'opera, canzonette o assistere a delle brevi recitazioni drammatiche e dei tableau vivant, delle riviste riccamente allestite con effetti di luce e grande uso delle macchine teatrali, dei balletti e degli esercizi acrobatici. A differenza dei tabarin, molto simili, non vi si praticava il ballo da parte degli spettatori.
Esisteva un pesante pregiudizio verso questo nuovo genere, nonostante che sia gli esecutori sia gli spettatori ne rivendicassero lo status artistico. La definizione di caffè-concerto come puro luogo di consumazione è tuttavia da sfumare, poiché le consumazioni potevano essere sostituite da un biglietto per l'ingresso. Quanto all'aspetto formale dei locali, esso si avvicinò sempre più ai teatri.
Il termine café-concert e quello di music-hall sono tuttora molto simili, a volte sinonimi, anche se music-hall è un anglicismo comparso verso la fine del XIX secolo. Il termine café-concert in questa voce è inteso nel senso più ampio del termine, cioè come un bar o taverna che organizza dei concerti in una delle sue sale con una certa regolarità, invece il music-hall è definito come una sala con spettacoli di vario genere (accogliendo una grande parte della tradizione circense, ad esempio) dove il fatto di consumare delle bevande è cosa secondaria.

Nascita e affermazione del café-concert (1800-1864)
Durante la Rivoluzione francese, l'abolizione del monopolio dei teatri permise a partire dal 1791 l'apertura di numerose sale di spettacolo. Nacque così il Café d'Apollon, uno dei primi café-concert di Parigi. Nelle piccole taverne la produzione di spettacoli si limitava, non potendosi permettere vedette internazionali, a quelli degli artisti girovaghi: non esistono tuttavia fonti storiografiche certe per tracciare un quadro significativo della situazione. La liberalizzazione non durò oltre il 1807, quando vennero ristabiliti i privilegi dei teatri: questo avvenimento segnò una battuta d'arresto allo sviluppo spontaneo e selvaggio dei café-concert.
Tra il 1807 e il 1849 solo in qualche locale si tenevano regolarmente dei concerti. Una legge proibiva persino i concerti in un locale se non con previa autorizzazione del prefetto di Polizia. La rivoluzione del febbraio 1848 restituì per breve tempo a questo genere di divertimenti la libertà: l'ordinanza del 17 novembre 1849, infatti, reintrodusse le misure precedenti vietando gli spettacoli in un locale senza una preventiva autorizzazione. La crescita del fenomeno fu così sorvegliata: solo 22 autorizzazioni furono accordate tra il 1849 e il 1859 a Parigi. La pressante censura preventiva dell'ordinanza limitò persino la libertà dei commercianti ambulanti, al fine di evitare la nascita di canzoni a tema sociale: nei locali venne infine vietata l'esecuzione delle goguette.
Nonostante il precedente ostracismo dello stato e l'emanazione di regolamenti che determinarono uno sviluppo limitato e organizzato del fenomeno, nel 1864 una nuova liberalizzazione in materia teatrale vide la costruzione di nuovi locali nella capitale, tra cui l'Alcazar, l'Horloge e l'Ambassadeur.

Apogeo dei café-concert (1864-1896)
In seguito all'abolizione dei privilegi dei teatri nel 1864, i café-concert uscirono dall'ombra dei teatri. L'importanza di tale avvenimento consistette nella possibilità, da parte dei locali che organizzavano spettacoli, di fare a meno della sorveglianza dei direttori teatrali, per cadere però sotto la tutela diretta della polizia. La pubblica amministrazione moltiplicò le ordinanze a favore di queste strutture e del genere teatrale, che quindi si diffuse liberamente e velocemente.
Fu l'età d'oro dei divertimenti: Parigi divenne il modello del divertimento su scala europea, fama che perse, però, durante la Terza Repubblica. In quel periodo ascesero al successo numerose cantanti dei café-concert, come ad esempio Thérésa e Suzanne Lagier.

Declino del café-concert, resistenza del music-hall (1896-1914)
Il primo concorrente nel campo degli spettacoli che si impose in tutte le città dopo il 1896 fu il cinema, che determinò la sostanziale conversione dei café-concert o delle sale di music-hall in cinema-teatro. L'adattamento fu implicito perché il primo cinema, muto, necessitava dell'ausilio di un'orchestra (o comunque di un accompagnamento musicale o vocale): le sale dove si rappresentava l'arte varia possedevano gli spazi e gli ambienti necessari alle proiezioni cinematografiche. In tal modo, piuttosto che di un brusco declino del café-chantant, si trattò di uno scivolamento da un divertimento ad un altro o di una lenta mutazione.
Ciò nonostante, i music-hall e la crescente influenza della cultura anglosassone permise a questi locali di resistere alle nuove mode. In aggiunta, la censura scomparve lentamente, il visto quotidiano sui contenuti degli spettacoli divenne settimanale. Il genere conobbe indiscutibilmente una nuova giovinezza nel 1906, quando la censura scomparve completamente (per riapparire tuttavia durante la prima guerra mondiale).
I café-concert segnarono così l'emergere di una cultura popolare che diede vita dapprincipio alla ricca tradizione della canzone francese, ma anche del music-hall e del cinema. La filiazione di queste differenti forme di spettacolo agevolò sia i percorsi di certi artisti, che passarono dal caf'conc al music-hall e poi al cinema, sia la storia dei locali stessi, quando le vecchie sale caf'conc divennero sale di music-hall e poi cinematografi. Queste nuove forme di spettacolo popolare e universale avrebbero gettato le basi della cultura di massa del XX secolo, caratterizzato dal fenomeno del divismo, accentuato dalla diffusione della radio e del cinema.
Nella Francia del XX secolo riapparvero tuttavia alcuni locali sulla scia del café-concert, chiamati café-théâtre.

I café-concert in Italia
I café-concert contribuirono in maniera decisiva alla successiva nascita del varietà, genere spettacolare che, proprio per la sua provenienza esterna al circuito dei teatri di velluto, godette, come gli artisti che militarono nelle sue file, di scarsi riconoscimenti in campo artistico.
L'italianizzazione dei nomi delle professioni francesi e la creazione di nuovi numeri allargò considerevolmente il ventaglio delle professioni artistiche: la sciantosa, derivazione della francese chanteuse, divenne l'antenata dell'odierna soubrette. A essa si aggiunsero le caratteriste, i finedicitori, le brillanti e altri ancora.
La diffusione dei caffè-concerto, e del mercato del lavoro ad esso connesso, favorì la nascita di riviste specializzate nel settore, come «Cafè-Chantant», strumento di informazione artistica e promozionale.

I café-concert a Napoli
Sul finire del XIX secolo, quando Parigi divenne il simbolo del divertimento e della vita spensierata, i café-chantant valicarono le Alpi per essere importati anche in Italia. La novità esplose a Napoli, dove l'epoca d'oro del caffè-concerto coincise con quella della canzone napoletana. Nel 1890 venne infatti inaugurato l'elegante Salone Margherita, incastonato nella Galleria Umberto I, per merito dei fratelli Marino, che capirono l'importanza di un'attività commerciale redditizia da unire al fascino della rappresentazione del vivo.
L'idea fu vincente e ricalcò totalmente il modello francese, persino nella lingua utilizzata: non solo i cartelloni erano scritti in francese, ma anche i contratti degli artisti e il menu. I camerieri in livrea parlavano sempre in francese, così come gli spettatori: gli artisti, poi, fintamente d'oltralpe, ricalcavano i nomi d'arte in onore ai divi e alle vedette parigine. È chiaro come la clientela che affollasse il Salone Margherita non fosse gente del popolino: in ogni caso, per i più disparati gusti, sorsero altri café-concert come l'elegante Gambrinus, l'Eden, il Rossini, l'Alambra, l'Eldorado, il Partenope, la Sala Napoli e altri ancora che ricalcavano spesso, anche nel nome, i café-chantant parigini. Anche altri bar di Napoli, che in passato non presentavano spettacoli, si adattarono al gusto del momento presentando numeri di varietà misti a canzoni.
Solitamente gli spettacoli proposti erano presentati in successione, con un intervallo tra primo e secondo tempo del susseguirsi di rappresentazioni. Solo verso la fine del primo tempo qualche personaggio noto appariva in scena, ma il clou veniva raggiunto al termine, quando il divo eseguiva il suo numero. Importanti e famosi artisti che iniziarono la loro carriera proprio nei caffè-concerto furono Anna Fougez, Lina Cavalieri, Lydia Johnson, Leopoldo Fregoli, Ettore Petrolini, Raffaele Viviani.
Il café-chantant divenne in Italia non solo un luogo ed un genere teatrale, ma anche qui, come in Francia, il simbolo della bella vita e della spensieratezza, nel pieno della coincidenza con la Belle époque.

I café-concert a Roma
Il fenomeno dei café-chantant napoletani fu tale che in breve tempo il fenomeno cominciò ad espandersi nelle altre grandi città italiane. La prima città a introdurli a sua volta fu Roma. Il perché di tale diffusione non deve stupire: così come a Napoli, anche a Roma, a Catania, a Milano, a Torino e in molte altre città letterate d'Italia si riunivano spesso nei bar e nelle trattorie cantanti e poeti che, nel corso di riunioni semiprivate, si dedicavano al canto e alla declamazione di poesie. Questa forma artigianale di spettacolo fu il fertile terreno su cui si basò il successo dei caffè-concerto, che negli ultimi anni del '800 aprirono anche nella capitale.
Sempre i fratelli Marino, già proprietari del Salone Margherita di Napoli, inaugurarono nella capitale due nuovi locali: un altro Salone Margherita e, successivamente, il Teatro Sala Umberto. A questi seguirono numerosi altri café-chantant dai nomi altisonanti ed esotici (non proprio tutti: il primo caffè-concerto della città, aperto in via Nazionale, portava il poco allegro nome di "Cassa da morto").
Ben presto Roma fu preferita a Napoli come "piazza d'affari": gli artisti venivano volentieri nella capitale dove il maggior giro d'affari garantiva loro maggiori possibilità d'ingaggio. Il luogo d'incontro degli artisti gravitava nell'asse tra piazza Esedra e la Stazione Termini, dove si concentravano la maggioranza dei locali.