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Il termine vocoder nasce dalla contrazione dei termini inglesi voice e encoder; indica il dispositivo elettronico o programma capace di codificare un qualsiasi segnale audio attraverso i parametri di un modello matematico.

Caratteristiche tecniche
Il vocoder elabora i segnali audio grazie ad algoritmi di codifica, tra i quali troviamo generalmente quello GSM e quello CELP usati nelle telecomunicazioni per poter trasmettere i dati audio (un esempio di applicazione dell'algoritmo di codifica GSM è dato dai telefoni cellulari).
Il processo di codifica del segnale audio tramite vocoder è costituito da due elementi fondamentali: il segnale audio esterno ed il carrier.
Il segnale audio esterno può essere dato da qualsiasi sorgente audio: microfono (dinamico, condensatore, ecc.), strumenti musicali elettrici ed elettronici (chitarra elettrica, sintetizzatore, ecc.), lettori multimediali (lettore CD, DVD, MP3, ecc.); il carrier invece è dato dalla struttura fisica o virtuale che accoglie la sorgente sonora e la codifica secondo i suddetti algoritmi.
La codifica avviene dividendo e clonando il segnale audio in diverse bande che vengono poi riunite in un unico segnale audio in uscita che contiene il risultato finale della codifica.

Caratteristiche fisiche
Il vocoder fa parte degli strumenti musicali elettronici o elettrofoni. Come strumento musicale è disponibile in commercio in diverse forme:
  • come strumento a tastiera, quasi sempre abbinato ad un sintetizzatore al quale demanda la generazione dei segnali portanti (realizzato come emulazione del vocoder vero e proprio) oppure come vocoder fisico autonomo
  • come rack, a volte abbinato a sintetizzatori, o altre volte concepito come effetto esterno per armonizzazioni vocali;
  • come VI (Virtual Instrument), per essere utilizzato come programma per PC o per tastiere MIDI che dispongono di sistema operativo per VI.
Storia
Storia del vocoder come codifica vocale
Vocoder analogici
Il vocoder ha lo scopo di elaborare le caratteristiche di un segnale acustico, detto portante, mediante il comportamento dinamico di un secondo segnale acustico, detto modulante. La maggior parte dei sistemi vocoder analogici usa un determinato numero di canali di frequenza, ognuno impiegante un filtro passa-banda, a copertura della gamma audio da trattare. Ogni canale analizza le varie frequenze del segnale modulante, che risulteranno di intensità differenti nei vari canali, ed i valori ottenuti sono utilizzati per modulare in ampiezza la corrispondente frequenza sul segnale portante. Così, se il segnale modulante in quel momento presenta un picco di ampiezza a 200Hz, il segnale portante verrà modificato per esaltare la sua porzione attorno a 200Hz; allo stesso modo, una formante vocale sul segnale modulante verrà prima scomposta nelle sue frequenze componenti, e quindi utilizzata per variare lo spettro del segnale portante sul medesimo modello, come se a parlare fosse il segnale portante invece della voce umana.
Il risultato è un linguaggio riconoscibile, sebbene con un sound "meccanico". Spesso i vocoder includono un secondo sistema per generare dei suoni non vocali, grazie all'uso di noise generator (generatori di rumore) al posto della frequenza fondamentale.
Il primo esperimento con un vocoder fu condotto nel 1928 da Homer Dudley, ingegnere della Bell Labs, che lo brevettò nel 1935. Il vocoder di Dudley venne usato nel sistema SIGSALY, creato dagli ingegneri della Bell Labs nel 1943. Il sistema SIGSALY fu usato per comunicazioni di alto livello criptate durante la Seconda guerra mondiale. Più tardi altri lavori in questo campo furono condotti da James Flanagan.

Vocoder basati sull'equazione di Yule-Walker
Fin dalla fine degli anni settanta del novecento, la maggior parte dei vocoder non musicali sono stati implementati con l'equazione di Yule-Walker, con cui l'inviluppo spettrale del target del segnale (ovvero la formante) è dato da un filtro IIR all-pole. Codificando con questa equazione, il filtro all-pole sostituisce il bank del filtro passa-banda del suo predecessore ed è usato nel codificatore per "sbiancare" il segnale (ad es. per eliminare lo spettro) e nuovamente nel decodificatore per riapplicare la forma spettrale del segnale con il target del linguaggio. In contrasto con i vocoder realizzati con il bank del filtro passa-banda, la localizzazione dei picchi spettrali dell'equazione di Yule-Walker è determinata interamente dal target del segnale ed è necessario che non sia armonica (a es. tutti i numeri multipli della frequenza di base).

Implementazioni nei nuovi vocoder
Persino con la necessità di registrare parecchie frequenze e i suoni addizionali non vocali, la compressione esercitata dal sistema vocoder è notevole. I sistemi standard per registrare il linguaggio registrano una frequenza che va da circa 500 Hz a 3400 Hz, dove si trovano la maggior parte delle frequenze usate nel linguaggio, che richiedono 64 kBit/s di banda passante. Comunque, un vocoder può offrire una buona simulazione con un piccolo data rate come 2400 bit/s, un miglioramento di 26×.

Storia musicale del vocoder
Nelle applicazioni musicali, una sorgente sonora musicale è data dal carrier, come ad esempio l'utilizzo del suono di un sintetizzatore come input del bank del filtro, una tecnica che divenne popolare negli anni settanta del novecento. Nel 1970, i pionieri della musica elettronica Wendy Carlos e Robert Moog svilupparono uno dei primi veri vocoder musicali. Un dispositivo a 10 bande ispirato ai disegni di Homer Dudley, fu chiamato inizialmente spettro encoder-decoder, e più tardi semplicemente vocoder. Il segnale carrier proveniva da un sintetizzatore modulare Moog, e il modulator da un microfono collegato ad un input. L'output di questo vocoder era abbastanza intuitivo, ma dipendeva in particolare dall'articolazione del linguaggio. Più tardi vocoder più avanzati usavano un filtro passa-alto per rilasciare un "sibilo" attraverso il microfono; ciò discosta il dispositivo dalla sua originale applicazione di codificatore di discorsi, ma rende molto più chiaro l'effetto di "sintetizzatore parlante".
Il vocoder di Carlos e di Moog venne impiegato in diverse incisioni, inclusa la colonna sonora del film Arancia meccanica di Stanley Kubrick, in cui il vocoder cantava la parte vocale della "Nona Sinfonia" di Beethoven. Nella colonna sonora è presente anche un brano chiamato "Timesteps", in cui figura il vocoder in due tempi. Inizialmente, "Timesteps" fu inteso come una mera introduzione di vocoder per il "timido ascoltatore", ma Kubrick scelse di includere il pezzo nella colonna sonora.
Il primo album rock ad includere un vocoder fu The Electric Lucifer di Bruce Haack del 1970, seguìto diversi anni dopo dall'album Autobahn del gruppo tedesco Kraftwerk (1974) e On The Road Again (1978) del gruppo francese Rockets. Fra le altre canzoni che per prime utilizzarono il vocoder vi fu The Raven, dell'album Tales of Mystery and Imagination - Edgar Allan Poe del gruppo progressive rock The Alan Parsons Project (1976); il vocoder compare anche in successivi album di Alan Parsons come I Robot. Nel 1977 Giorgio Moroder lo usa in From Here to Eternity, mentre i Pink Floyd lo usano nella traccia Sheep dell'album Animals; Anche grazie al successo discografico di Alan Parsons, il vocoder tornò sulla scena della musica pop alla fine degli anni '70 del novecento, ad esempio, nelle registrazioni disco music. Jeff Lynne dell'Electric Light Orchestra lo usò in alcuni album come Time (usando il vocoder Roland VP-330 Plus Mkl). I Cynic sono uno dei primi gruppi ad utilizzare il Vocoder nel genere Death metal.
Dagli anni novanta in poi i Daft Punk sono senza dubbio gli artisti che più hanno usato il vocoder, o che quantomeno hanno reso noto il suo suono al grandissimo pubblico. In particolare il suono del vocoder è diventato la cifra stilistica più indicativa del duo elettronico francese. Anche gli Eiffel 65 hanno usato il vocoder per i loro singoli di più grande successo.


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Blue Skies è una canzone del 1926 scritta da Irving Berlin.
Fu composta per un musical teatrale, Betsy, che fu rappresentato solo 39 volte; ciononostante, il brano ebbe un grande successo. Fu richiesto come bis per ben 24 volte alla prima del dramma.
È stata reinterpretata da moltissimi artisti, fra cui Frank Sinatra e Doris Day.
Nel 1927 fu fra le prime canzoni incise in un film, quello che è considerato il primo film parlato, Il Cantante di Jazz; è proprio nella sequenza in cui è presente l'unico dialogo in sonoro (oltre ai brani musicali) del film, che è incastonato tra due versioni diverse della canzone cantate dal protagonista (interpretato da Al Jolson) alla madre.


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Phạm Duy (Hanoi, 5 ottobre 1921 – Ho Chi Minh, 27 gennaio 2013) è stato un compositore e cantante vietnamita.
Assieme a Van Cao e Trinh Cong Son, è generalmente considerato una delle tre più importanti figure nel panorama musicale moderno vietnamita.
Attivo dal 1945, ha scritto oltre mille canzoni, spaziando dal folk alla musica per bambini, dal sentimentale a canzoni di tematica religiosa.

Biografia e carriera

Nato ad Hanoi (Indocina francese) col nome di Phạm Duy Cẩn, suo padre Phạm Duy Tốn è stato uno dei primi giornalisti e scrittori di racconti brevi con uno stile di tipo europeo, oltre che cofondatore dell'importante movimento Tonkin Free School. Il fratello Phạm Duy Khiêm era professore e in seguito fu ambasciatore in Francia, oltre che scrittore francofono.
Si diplomò alla Thang Long High School, quindi al College of Arts. Autodidatta, studiò in Francia nel 1954-1955 sotto la guida di Robert Lopez, come studente non registrato all'Institut de Musicologie di Parigi.
La sua carriera musicale cominciò come cantante nel gruppo musicale Duc Huy, che nel 1943-44 girava nel paese eseguendo il proprio repertorio: importante la sua figura durante la resistenza vietnamita contro la Francia. Dopo che Hanoi venne controllata dai francesi, Phạm Duy si mosse a sud verso Saigon. Le sue canzoni vennero quindi censurate nelle aree controllate dal regime comunista.
Dopo la caduta di Saigon, Duy e la famiglia migrarono negli USA stabilendosi a Midway City, California. La sua musica venne proibita nel Vietnam tra il 1975 e il 2005, ma Duy continuò a proporla in tutto il mondo, con le canzoni dei nuovi rifugiati (tị nạn ca) e canzoni dei prigionieri (ngục ca).
Tornò in visita in Vietnam alla fine degli anni novanta e nei primi anni Duemila. Nel 2005 annunciò che, assieme al figlio Duy Quang (anch'egli cantante), sarebbe tornato in Vietnam per restarci: la notizia ebbe grande risalto e il governo iniziò a limitare i divieti di circolazione dei suoi brani. Dozzine di sue canzoni hanno quindi cominciato a essere diffuse nuovamente nel paese.

Carriera musicale

La sua carriera è divisa dallo stesso autore in alcuni fasi:
  • musica folk (Dân Ca), culminati nella pubblicazione nel 1968 dell'album, Folk Songs of Vietnam, (Folkways Records).
  • canzoni sentimentali (Tâm Ca)
  • canzoni spirituali (Đạo Ca), di stampo zen
  • canzoni "profane" (Tục Ca)
  • canzoni per bambini (Bé Ca)
  • canzoni di resistenza per la madrepatria
  • canzoni per rifugiati ed esiliati

Brani celebri

Il repertorio di Duy include celebri canzoni, tra cui:
  • Áo Anh Sứt Chỉ Đường Tà
  • Bên Cầu Biên Giới
  • Còn Chút Gì Để Nhớ (1972)
  • Đưa Em Tìm Động Hoa Vàng
  • Ðường Chiều Lá Rụng
  • Hoa Rụng Ven Sông
  • Kiếp Nào Có Yêu Nhau
  • Kỷ Vật Cho Em
  • Minh Họa Kiều
  • Ngày Xưa Hoàng Thị
  • Nghìn Trùng Xa Cách
  • Thuyền Viễn Xứ (1970)
  • Tình Ca (1953)
  • Tình Hoài Hương (1952)
  • Tổ khúc Bầy Chim Bỏ Xứ
  • Trường ca Con Đường Cái Quan
  • Trường ca Mẹ Việt Nam
  • Việt Nam Việt Nam

Cosa potevamo rispondere?… Questa





I Beatles erano stanchi delle solite sessioni fotografiche per un album, che era una specie di raccolta, dove l'unica novità, poiché uscito soltanto come singolo, era Day Tripper in LP (canzone in cui il basso di Paul è molto energico e dominante). Così il fotografo di turno Robert Whitaker ebbe questa specie di idea per stimolarli. Ne uscì la Butcher cover, così la soprannominarono i fans dei Beatles. Loro dichiararono, un po' velatamente, che era una forma di protesta contro la guerra in Vietnam e altro ancora. Ma la Capitol la fece ritirare quasi subito dal mercato. Per questo tale copertina, che risale al 1966, può valere anche svariate migliaia di dollari.


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Clive Campbell, meglio conosciuto sotto lo pseudonimo di Kool DJ Herc (Kingston, 16 aprile 1955), è un musicista e produttore discografico giamaicano naturalizzato statunitense, considerato come il padre sia della musica che della cultura hip hop degli anni settanta.

Biografia

1520 Sedgwick Avenue

Clive Campbell era il primo dei sei figli di Keith e Nettie Campbell a Kingston, Giamaica. Crescendo ha visto e sentito i sound system delle feste di quartiere chiamati dancehalls, e i discorsi di accompagnamento dei loro dj, conosciuti come "toasting". Si trasferisce nel Bronx, a New York nel novembre 1967, un periodo di forti cambiamenti e tensioni sociali in quello che, una volta, era un quartiere residenziale della piccola e media borghesia bianca. La costruzione dell'autostrada urbana nota come Cross Bronx Expressway (iniziata nel 1948 e finita nel 1972) causa migliaia di sfollamenti nel Bronx e porta alla cosiddetta "fuga dei bianchi", spinti a trasferirsi altrove dal crollo del valore delle proprietà immobiliari dovuto al procedere dei lavori. Molti arrivarono a incendiare le proprietà nel tentativo di ottenere dalle compagnie di assicurazione quanto avevano perso sul mercato immobiliare, contribuendo in questo modo al diffondersi di ulteriore degrado nel quartiere e spingendo altri ad andarsene. Nel 1968 era ormai emersa una nuova cultura giovanile basata sull'appartenenza a gang di strada e sulla violenza. Nel 1973 la crescente illegalità si era diffusa in numerose parti del Bronx.
È questo l'ambiente in cui vive Campbell che frequenta la Alfred E. Smith Career and Technical Education High School; qui la sua altezza, l'ossatura, e il comportamento sul campo da basket spingono gli altri ragazzi a soprannominarlo "Hercules". Cominciò a frequentare una crew di graffiti chiamata Ex-Vandali, prendendo il nome Kool Herc. Herc ricorda di aver convinto suo padre a comprargli una copia di Sex Machine di James Brown, un disco che avevano in pochi al punto che, per sentirlo, andavano da lui. Campbell e sua sorella Cindy iniziarono a organizzare delle feste back-to-school nella sala comune del palazzo in cui vivevano, al 1520 di Sedgwick Avenue. Il primo soundsystem di Herc consisteva in due giradischi, un doppio amplificatore con due canali per chitarra e altoparlanti PA, su cui suonò dischi come "Give It Up Or Turnit A Loose" di James Brown, "It's Just Begun" dei The Jimmy Castor Bunch's e "Melting Pot" di Booker T & the MG's. Mentre i locali del Bronx erano afflitti dalla minaccia delle gang di strada, i dj dei quartieri alti suonavano per un pubblico con aspirazioni diverse, le feste di Herc rappresentavano un'alternativa a entrambi e riuscivano a coinvolgere sempre un grande pubblico.

Il break

Durante queste feste a Sedgwick Avenue, DJ Kool Herc ha sviluppato quello stile che è poi diventato un modello per la musica hip hop. Herc utilizzava il disco per focalizzare una sola parte - caratterizzata dalla presenza di percussioni isolate - detta "il break". Questa parte del brano era quella più apprezzata dai ballerini, quindi Herc cominciò ad isolarla, risuonarla e, in seguito, prolungarla. Appena un disco raggiungeva la fine del break, Herc rimandava l'altro disco dall'inizio del break estendendo in tal modo una parte relativamente piccola di un disco in un "cinque minuti di loop di furore". Questa innovazione ha le sue radici in quello che Herc chiama "Merry-Go-Round" ("La giostra"), un insieme di break nella festa. Herc introdusse per la prima volta il Merry-Go-Round nel 1972. [10] La prima Merry-Go-Round di cui si è a conoscenza era caratterizzata dall'utilizzo del disco di James Brown "Give It Up o Turnit A Loose" (con il suo ritornello, "Now clap your hands! Stomp your feet!")[11]. Kool Herc ha contribuito a sviluppare lo stile di rime dell'hip hop accompagnando la musica registrata con frasi gergali dal microfono: "! Rock on, baby", "B-boys, b-girls, are you ready? Keep Rock Steady". Tutti questi contributi fanno di Herc il "padre fondatore dell'hip hop", un "nascente eroe culturale".
Nel 1975 si cimenta nel Twilight Zone.

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L'hip hop è un movimento culturale, nato negli anni settanta.
Il movimento ha probabilmente mosso i primi passi con il lavoro di DJ Kool Herc che, competendo con DJ Afrika Bambaataa, si dice abbia inventato il termine "hip hop" per descrivere la propria musica. Cuore del movimento è stato il fenomeno dei Block party: feste di strada, in cui i giovani afroamericani e latinoamericani interagivano suonando, ballando e cantando a ritmo della musica, che è in 4/4. Parallelamente il fenomeno del writing contribuì a creare un'identità comune in questi giovani, che vedevano la città sia come spazio di vita sia come spazio di espressione: ogni persona era libera di esprimere la propria identità con questo nuovo metodo musicale.
Negli anni ottanta/novanta, gli aspetti di questa cultura hanno subito una forte esposizione mediatica varcando i confini americani ed espandendosi in tutto il mondo. Il riflesso di questa cultura "urbana" ha generato oggi un imponente fenomeno commerciale e sociale, rivoluzionando il mondo della musica, della danza, dell'abbigliamento e del design.

Influenze

I fattori che hanno influenzato la cultura hip hop sono complessi e numerosi. Sebbene la maggior parte delle influenze possano essere rintracciate nella cultura africana, la società multiculturale di New York è il risultato di diverse influenze culturali che hanno trovato il loro modo di esprimersi all'interno delle discipline dell'hip hop.
Ad esempio, elementi dello stile e tecniche di rapping si possono far risalire al toasting, stile dei cantanti giamaicani che intrattenevano le persone durante i balli improvvisando versi sulle tracce strumentali; oppure ai Griot dell'Africa occidentale, musicisti viaggiatori e poeti con stile che contiene elementi che con il tempo evolveranno nella moderna musica hip hop. Alcune di queste tradizioni migrarono negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nei Caraibi con lo schiavismo che portò gli africani nel cosiddetto Nuovo Mondo. Un'altra importante influenza nell'hip hop è costituita dalle parti parlate contenute nei dischi di musica soul e funk di musicisti come James Brown e Isaac Hayes.
Ma una delle più importanti influenze sia per la cultura che per la musica hip hop viene dal genere musicale giamaicano chiamato dub, che nacque come sottogenere della musica Reggae negli anni 1960. La musica dub annoverava tra le sue fila produttori come King Tubby, che creava versioni strumentali di dischi reggae famosi per le esigenze dei locali da ballo e degli impianti musicali, e che presto si accorsero di come chi ballava spesso rispondesse meglio a particolari beat dei dischi, isolati e ripetuti, ottenuti con percussioni intense e forti linee di basso. Poco dopo, gli MC (Master of Ceremonies), che accompagnavano la musica nei locali, iniziarono a parlare sopra le parti strumentali dei dischi; tra questi vanno ricordati U-Roy, Dr. Alimantado e Dillinger, che diventarono popolari performer in questo particolare genere, e questa tradizione continua tuttora in quella che viene chiamata musica Dancehall. Nel 1990, gli immigrati giamaicani portarono il dub a New York ed iniziarono a lavorare nelle feste delle comunità, nelle piste di pattinaggio o direttamente sulla strada. Un'altra significativa influenza proviene dalla musica blues, particolarmente dal tipico aspetto chiamato call and response, ovvero chiama e rispondi, che sopravviveva nella tradizione del toasting, un altro aspetto della tradizione orale intrinseco della musica hip hop, che divenne particolarmente pronunciato nei primi anni 1990 con la nascita dei battle

Origini

La data a cui far risalire la nascita dell'hip hop sarebbe l'11 agosto 1973. DJ Kool Herc, un immigrato giamaicano, era uno dei più popolari disc jockey a New York tra il 1972 e il 1976, e suonava nei block party del Bronx passando velocemente dai dischi reggae a quelli funk, rock e disco. Egli notò che i newyorkesi non amavano particolarmente il reggae. Herc ed altri dj notarono inoltre che chi ballava la loro musica preferiva più le parti con forti percussioni, ed iniziarono ad estendere l'uso del mixer audio e del doppio giradischi. All'interno di un'atmosfera di forte competizione, Herc, i suoi amici ed i suoi "avversari" svilupparono velocemente altre tecniche di mixaggio per mantenere i partecipanti attivi, eccitati.
Come in Giamaica, questi elementi erano accompagnati da performer che parlavano mentre suonava la musica; inizialmente furono chiamati MCs (dall'inglese Masters of Ceremonies, maestri di cerimonie) e, più tardi, rapper. I primi rapper si focalizzavano sull'introduzione di sé stessi, del DJ e degli altri addetti ai lavori, ma presto le loro performance si svilupparono fino a comprendere improvvisazioni e semplici beat four-count assieme a piccoli cori. Più tardi gli MC aggiunsero liriche più complesse e spesso umoristiche, comprendenti anche temi a sfondo sessuale. Va ricordato che la musica hip hop è cresciuta stabilmente nella popolarità ed alla fine degli anni 1990 iniziò a diventare la principale forza artistica che si stava espandendo negli Stati Uniti. Durante i successivi due decenni, l'hip hop è gradualmente entrato nella vita comune statunitense. La transizione usualmente viene considerata conclusa nel 1990, mentre alla fine del decennio la cultura aveva oramai varcato i confini nazionali, per espandersi un po' per tutto il pianeta.

Elementi della cultura hip hop

I quattro principali "elementi" della cultura hip hop sono:
  • lo MCing, anche noto come musica rap, introdotto dagli afroamericani;
  • il DJing, introdotto dai giamaicani;
  • il writing, ovvero l'arte introdotta dai latinoamericani;
  • il B-boying (o Breakdance), ovvero il ballo, sviluppato da afroamericani e latinoamericani del Bronx.
Alcuni considerano il beatboxing il quinto elemento dell'hip hop. Altri preferiscono aggiungere tra i principali aspetti l'attivismo politico, la moda tipica, lo slang e il double dutching (una particolare forma di salto della corda). Molti, infine, seguendo l'insegnamento di Afrika Bambaataa (fondatore della Zulu Nation, movimento presente anche in Italia), preferiscono considerare quinto elemento la knowledge, intesa come conoscenza profonda della cultura e dell'uso saggio di essa.

Rap

L'Mc (Master of Cerimonies) intrattiene il pubblico con il suo rap, riprendendo le radici giamaicane del toasting, e crescendo grazie all'introduzione nella cultura hip hop da parte di DJ Kool Herc e DJ Hollywood nei primi anni 1970. Il primo vero MC nella cultura hip hop si può definire Coke La Rock. Il rapping e l'arte dell'MCing si sono sviluppati attraverso gli anni grazie alle conquiste di artisti quali Melle Mel, Kool Moe Dee, Schoolly D, Run DMC, Rakim, Chuck D, KRS One e Busta Rhymes.
Uno dei più importanti aspetti dell'MCing è il concetto di battle (battaglia). Le battaglie sono in buona sostanza competizioni tra due Mc a colpi di rime rap, pratica datata nei primi anni della cultura hip hop. Lo scopo di tali battaglie è di svalutare il proprio avversario e le sue qualità liriche o personali, oltre a ricercare il favore del pubblico per la propria performance. Il livello di impressione destato nel pubblico dai competitori di tali sfide è determinato da varie forme di espressione, dall'abilità, dagli insulti utilizzati e dalla capacità di "muovere la folla". La reazione del pubblico determina la vittoria, riconoscendo il migliore "poeta".
La maggior parte dei veri battles si svolgono nei club hip hop underground e negli eventi similari, sebbene altri si svolgano informalmente negli angoli delle strade. Questi eventi sono usualmente appuntamenti fissi, molti dei più conosciuti MC esperti in questo tipo di sfide sono saliti alla ribalta grazie a battle svolti in radio più o meno locali, o producendo dischi di dissing in cui dichiarano i propri nemici. La maggior parte dei battles sono eventi pubblicitari usati per dare esposizione ai partecipanti e acquisire quindi più fan.
Sono invece meno comuni delle sfide tra MC, corrispondenti battles per DJ, breakers, beatboxers. Come per le sfide a colpi di rap, la risposta del pubblico e il grado di partecipazione (occasionalmente persino una giuria) determinano i criteri per designare il vincitore.

Musica hip hop/rap

La musica hip hop/rap, caratterizzata dall'enfasi nel ritmo e dalla frequente inclusione del rapping, nacque dalla mescolanza di musica giamaicana e americana effettuata da DJ Kool Herc a cui partecipava nei primi anni 1970. Il rapping, che in italiano viene definito a volte come "reppare" o "rappare", era l'equivalente hip hop del toasting, che si poteva ritrovare nella tipica musica giamaicana dub prodotta nello stesso periodo.
Herc intendeva suonare i dischi funk così come il suo pubblico voleva, ma inventando il beat hip hop isolando i breaks (parti della canzone con sola presenza di percussioni) dal resto del pezzo e allungandone la durata utilizzando due copie dello stesso disco. Mentre un'intera cultura cresceva attorno a questo tipo di musica, questa stessa musica si sviluppava con gli anni, fino a giungere a quella che è stata chiamata l'Età dell'oro dell'hip hop (golden age hip hop), che va dal 1991 al 1993.

Djing

L'hip hop non ha inventato la pratica del DJing, ma ne ha esteso i confini e le tecniche. Il primo DJ hip hop è stato Kool Herc, che creò l'hip hop attraverso l'isolamento dei break dal resto della canzone. In aggiunta allo sviluppo determinato dalle tecniche messe a punto da Herc, altri DJ come Grandmaster Flash, Grand Wizard Theodore e Grandmaster Caz diedero al genere ulteriori innovazioni come l'introduzione dello scratching e del beat juggling, tecniche appartenenti al Turntablism.
Tradizionalmente, il DJ utilizza due giradischi contemporaneamente, connessi a un mixer, un amplificatore, altoparlanti, e altri diversi pezzi dell'equipaggiamento tipico occorrente per suonare musica elettronica. Il DJ può così produrre vari giochi (detti tricks) tra i due album presenti sui giradischi. Il risultato è un suono unico, creato dalla combinazione sonora di due separate canzoni in un unico pezzo. Il Dj non va quindi confuso con il produttore discografico della traccia musicale (pur essendoci una considerevole sovrapposizione tra i due ruoli).
Nei primi anni dell'hip hop, i DJ erano le star, ma i riflettori si puntarono già a partire dal 1990 più sugli MC, particolarmente per il contributo di Melle Mel del gruppo di Grandmaster Flash, ovvero i Furious Five. Comunque un certo numero di DJ è ugualmente salito alla ribalta negli anni più recenti. La galleria dei DJ maggiormente famosi include Grandmaster Flash, Mr. Magic, DJ Jazzy Jeff, DJ Scratch degli EPMD, DJ Premier dei Gang Starr, DJ Scott La Rock dai Boogie Down Productions, DJ Muggs dei Cypress Hill, Jam Master Jay dai Run DMC, Eric B., Funkmaster Flex, Tony Touch, DJ Clue, DJ Qbert, Dr. Dre degli NWA e DJ Lord e Terminator X dei Public Enemy

Writing

Writing, termine per indicare i graffiti. Nei tempi passati, i graffiti ricoprivano uno speciale significato tra gli elementi della cultura hip hop, si tratta di una forma d'arte esistente già dagli anni 1970, pur essendosi sviluppata in maniera decisiva solo nei tardi anni ottanta per fiorire durante la decade successiva.
I Graffiti, nella cultura hip hop, diventarono un modo per etichettare una crew o una gang, e fu utilizzato soprattutto in tal senso negli anni 1990 nella metropolitana di New York, espandendosi più tardi agli altri muri della città. Questo movimento dai treni ai muri fu incoraggiato dagli sforzi dell'autorità dei trasporti di New York (Metropolitan Transportation Authority) per sradicare l'abitudine dei graffiti dalle loro proprietà.
La prima forma di graffiti nella metro era una firma fatta con vernice spray, detta tag, che presto si sviluppò in grandi ed elaborate lettere, complete di effetti di colore, ombreggiature, 3d, eccetera. Con il passare del tempo, il writing si sviluppò artisticamente e cominciarono a definire fortemente l'aspetto delle aree urbane. Alcune crew hip hop hanno mutuato il loro nome attraverso i graffiti, così come i Black Spades di Afrika Bambaataa. Nel 1976, artisti dei graffiti quali Lee Quinones incominciarono a dipingere interi murales con elaborate tecniche.
Il libro Subway Art (New York: Henry Holt & Co, 1990) e il programma TV Style Wars (andato in onda per la prima volta su PBS del 1990) furono tra le prime vie che seguì l'aerosol art per giungere al grande pubblico, e rapidamente il resto del mondo imitò e adattò questa arte. Oggi quindi, tale forma d'arte è presente fortemente anche in Europa, Sud America, Australia e Giappone. I Graffiti sono stati demonizzati da alcune autorità e associate con leggerezza a violenza, guerra fra bande, droga e microcriminalità. Nella maggior parte delle legislazioni, creare graffiti su pubbliche proprietà senza permesso è considerato crimine punibile con multe o reclusione.
«È un'attitudine notturna, i suoi soggetti sono in crescita costante, fondamentalmente recidivi a tutto di fatto non li senti e non li vedi e non avverti i loro schemi, ti sfugge il concetto, vedi solo nomi, per te sembra una cosa semplice due bombole d'argento e una pressione grazie all'indice; non chiamare affreschi quelli che vedi sui palazzi, la terminologia corretta è pezzi, zero tabbozzi ognuno ha il suo motivo, il proprio stile e ne va fiero e niente in dolce a chi ne fa un lavoro, io non vengo sul tuo muro per denaro resto concreto e sto aggrappato a un sogno sono in ferrovia è un top-2-bottom su un vagone bianco il tempo ha sviluppato nuovi stili, nuove forme, situazioni sempre pese come ci ha insegnato Phase per cui non ti stupire se ti è tutto incomprensibile, è assai difficile il concetto senza il codice. Sull'acciaio, sul muro lascia tracce di colore come un codice, il concetto che ti è estraneo rende tutto più difficile»
(Da Il codice di Kaos One)



B-boying

Il B-boying è uno stile dinamico di danza. Il "breaking" (Il termine breaking - spesso contratto in break - si è originato dai danzatori delle feste animate da Kool Herc, che eseguivano i loro migliori movimenti sui breaks dei pezzi selezionati) è il primo stile creatosi per quanto riguarda la danza hip hop, a cui ben presto si aggiunsero molti altri stili, che, a differenza del breaking (nato da passi della capoeira), si formarono su ritmi tipicamente funky. Tra i maggiori ricordiamo il popping, il locking, il boogaloo, il tutting. Era comune durante gli anni settanta-ottanta vedere gruppi di persone con una radio su campi di basketball, marciapiedi e simili, esibirsi in shows di breakdance per un pubblico anche vasto.
Al giorno d'oggi possiamo osservare l'evoluzione dell'hip hop, che va dall'house al krumping, fino al newstyle hip hop in generale.
La danza new style proviene dal breakdancing, ma non consiste esclusivamente in movimenti tipici della breakdance. Diversamente da altre forme di danza, che sono spesso strutturate, la new style ha poche (o nessuna) limitazioni di posizione o di passi. La grande differenza tra new style e breakdance è che la new style si balla generalmente in piedi invece la breakdance ha dei passi in piedi (toprock), ma, generalmente, si balla "per terra". La breakdance si diffuse dall'America all'Europa, poi in tutto il mondo. La danza hip hop è in continua evoluzione: dapprima ballata sulle comuni ottave della musica, essa è ora costruita sulle parole "rappate" dai rappers nelle canzoni, dando così molta più possibilità di inventiva ad un ipotetico coreografo. La musica Dubstep ha inoltre contribuito a questo sviluppo, essendo essa caratterizzata da suoni "tempestivi" e decisamente particolari che, come per le parole nelle canzoni, danno molto spazio alla fantasia di chi sceglie di utilizzarne dei pezzi per ballarci sopra.

Beatboxing

Il Beatboxing, inventato da Doug E. Fresh, considerato da molti il "quinto elemento" dell'hip hop, è rappresentato dall'imitazione vocale delle percussioni tipiche dell'hip hop. È quindi l'arte di creare beat, rythm e più in generale melodie utilizzando solo la bocca. Il termine beatboxing è derivato dall'imitazione della prima generazione delle drum machine chiamate appunto beatbox.
Questa forma d'arte ha goduto di una forte presenza soprattutto negli anni ottanta grazie ad artisti come i Fat Boys e Biz Markie. il Beatboxing declinò in popolarità presso i breakers alla fine degli anni ottanta, tornando a essere un elemento underground di questa cultura. La resurrezione è avvenuta alla fine degli anni novanta con la release di "Make the Music 2000." di Rahzel dei Roots, Internet ha fortemente aiutato la rinascita del moderno beatboxing a livello globale grazie all'interazione dei tanti appassionati sul sito inglese Humanbeatbox.com.
Il Beatboxing recentemente ha anche varcato i suoi tradizionali scopi (imitazione delle drum machine per creare beat adatti come basi) giungendo a nuove forme quali lo human Drum & Bass, uno stile tipico della musica elettronica.

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«A quei tempi, nel 1947, il bop impazzava in tutta l'America. I ragazzi del Loop suonavano, ma con stanchezza, perché il bop era a metà strada fra il periodo del Charlie Parker di Ornithology e quello di Miles Davis.»
(Jack Kerouac, On the Road 1957)



Il bebop (spesso abbreviato in bop) è uno stile del jazz che si sviluppò soprattutto a New York negli anni quaranta. Caratterizzato da tempi molto veloci e da elaborazioni armoniche innovative, il bebop nacque in contrapposizione agli stili jazz utilizzati dalle formazioni contemporanee. Nei suoi primi anni di vita la parola "bebop" indicò, oltre allo stile musicale anche lo stile di vita e l'atteggiamento ribelle di coloro (che erano in maggioranza giovani) che si indicavano come "bopper". Anche per questo motivo il bebop divenne popolare tra i letterati che si riconoscevano nella cosiddetta Beat Generation e fu citato in alcune delle loro opere più famose (ad esempio nella poesia Urlo di Allen Ginsberg). Nel corso dei 15 anni successivi, il bebop e le sue ramificazioni si evolsero fino a diventare il principale idioma del jazz. Ancora nel primo decennio del XXI secolo, lo stile jazzistico indicato come "mainstream" si rifà essenzialmente alle elaborazioni stilistiche del bebop.
Il termine bebop (che nei primi tempi veniva spesso usato anche nella forma rebop) è un'onomatopea che imita una brevissima frase di due note usata talvolta come "segnale" per terminare un brano. Per questo uno dei padri del movimento, Dizzy Gillespie, intitolò "Bebop" uno dei suoi brani, brano che fu anche uno dei primi brani bop a raggiungere una certa notorietà.

La nascita del movimento

Premesse

In pieno periodo bellico, i locali e le case discografiche si sforzano di far dimenticare la guerra ed i problemi sociali (in primis l'apartheid nei confronti dei neri): le orchestre swing, come quelle celebri di Benny Goodman e Glenn Miller, sono le più adatte a questo scopo e vengono promosse attivamente. Nelle loro file militano soprattutto musicisti bianchi, che hanno assimilato perfettamente il linguaggio swing e si accaparrano le sempre più scarse occasioni di lavoro.
Per i musicisti neri si pongono due obiettivi: liberarsi dai rigidi arrangiamenti delle big band per esprimersi più liberamente e manifestare tangibilmente la loro ribellione a quel mondo ipocritamente sorridente.

La rivoluzione

Quella del Bebop è una rivoluzione che va al di là dell'aspetto strettamente musicale. È un movimento elitario, nero, tutto sommato di nicchia. Tra i locali di New York che ospitano i primi after hours Be bop i più celebri sono il Monroe's e il Minton's. Qui, di notte, dopo che i musicisti hanno suonato per far ballare i clienti e per guadagnarsi da vivere, si riuniscono Charlie Christian, il pianista Thelonious Monk e Dizzy Gillespie, il batterista Kenny Clarke e Charlie Parker, un giovane altosassofonista di Kansas City arrivato a New York da poco e destinato ad identificarsi con il nascente stile musicale, di cui sarà uno dei fondatori (per alcuni, il vero e proprio padre) e uno dei più importanti esponenti.
Molti dei musicisti del Minton's (Gillespie, Benny Harris, Benny Green e Parker per esempio) suonavano nella big band di Earl Hines, ma ci rimangono per pochi mesi. Con l'uscita dall'orchestra del cantante Billy Eckstine e la sua volontà di dare vita a una band squisitamente bop, i suddetti più altre decine di musicisti vi si daranno il cambio tra il 1943 e il 1947: chi vi rimarrà per tutto il periodo (Art Blakey), chi per alcuni mesi o settimane (Parker, Gillespie come direttore musicale, Dexter Gordon, Sarah Vaughan, Miles Davis...). Questa band che in tre anni e rotti girò in lungo e in largo gli USA, riuscendo pure a incidere due album, nonostante il lunghissimo braccio di ferro tra musicisti e discografici, ebbe un merito enorme: quello di far uscire il be-bop dai claustrofobici localini newyorkesi; il tutto, grazie alla fama - all'epoca superiore a qualsiasi altro cantante, bianco o nero che fosse - del bandleader Billy Eckstine.
Liberi dai vincoli del leader d'orchestra e del pubblico da compiacere, questi musicisti sperimentano nuove soluzioni musicali fino a codificare il bop. Cambia il jazz e cambia la musica. Il jazz matura, con scelte armoniche rivoluzionarie: nelle mani dei boppers c' è l'impegno a renderlo , deliberatamente, progressivo.
Essendo un movimento volutamente di nicchia (a volte quasi privato, sempre dopolavoristico), molte delle idee musicali scaturite a quel tempo non furono mai registrate né messe per iscritto.
«Si deve a Bird più che a chiunque altro il modo in cui fu suonata quella musica; ma è merito di Dizzy se fu messa per iscritto»
(J.E. Berendt, Il libro del jazz)

Caratteristiche musicali

Nel bop, tutto quello che è banale, scontato, ballabile o gradito al pubblico medio dell'epoca è sistematicamente bandito.

La forma e lo sviluppo melodico

La forma dei brani prevede l'esposizione di un tema (generalmente all'unisono), numerose improvvisazioni e la riproposizione del tema come finale. Le improvvisazioni sono però il fulcro dell'esibizione tanto che le melodie vengono spesso appena accennate mentre le improvvisazioni sono sempre molto estese; addirittura in alcune performance dal vivo il tema non viene nemmeno eseguito. Questa pratica permetteva di risparmiare sui diritti d'autore (che non si applicano alle progressioni armoniche ma alle melodie ed ai testi). Elaborare giri armonici preesistenti permetteva inoltre di semplificare il lavoro di composizione e di improvvisazione, fornendo ai musicisti un substrato a loro ben noto e familiare su cui creare.
Le melodie bop sono scattanti, spezzettate, nervose, spesso dissonanti. La velocità di esecuzione è molto elevata.

L'armonia

Il Bebop si caratterizza armonicamente per: utilizzo di giri armonici preesistenti con frequenti sostituzioni armoniche, utilizzo di accordi diminuiti o aumentati, frequente ricorso alle dissonanze, nuove scale su cui improvvisare (scala bebop).

Gli strumenti

La formazione tipica del bop è ridotta: da tre a sei/sette elementi (il cosiddetto combo). Gli strumenti tipici sono: tromba, sax tenore o contralto, a volte il trombone, e poi pianoforte, contrabbasso e batteria. Questa riduzione di organico permette di suonare senza arrangiamenti scritti, basandosi solo su un canovaccio armonico e sviluppando l'interplay, ovvero la capacità di interazione estemporanea tra musicisti. Inoltre, la scelta di una formazione piccola era dettata da motivi ideologici (in opposizione alle big bands dei bianchi) e pratici (la possibilità di suonare in locali piccoli e con cachet ridotti).
La figura carismatica di Charlie Parker contribuisce enormemente alla fortuna del sassofono contralto, spingendo sempre più appassionati verso questo strumento.

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L'acid jazz è uno stile musicale jazz che incorpora elementi funk, soul, unendoli alla musica elettronica e che, rielaborando il concetto di fusion, punta alla integrazione di numerosi elementi musicali contemporanei.
L'acid jazz si contrappone a quella tendenza del jazz rap che su basi di musica jazz gioca con le parole, ed al contrario focalizza maggiormente sulla componente musicale.

Cenni storici

L'acid jazz nasce verso la fine degli anni Ottanta in Inghilterra. La prima testimonianza discografica risale al 1987 con "Acid Jazz and other illicit grooves" dell'etichetta Urban Records, album nel quale vengono definiti gli stilemi del nuovo genere e dove sono presenti oltre a Jamie Principle (stile acid/soul), James Taylor Quartet (stile jazz-funk).
Il nuovo genere si sviluppa prendendo spunto dalle intuizioni di vari artisti già precursori della scena jazz-funk degli anni 60-70, come il trombettista Donald Byrd con Fancy Free (1969), Electric Byrd (1970) ed il pianista Herbie Hancock con Head Hunters (1973).
In seguito, a partire dalla fine degli anni '80, ma soprattutto negli anni '90, i due DJ produttori Gilles Peterson ed Eddie Piller saranno i principali promotori del genere acid jazz, attraverso le radio, le serate dj nei principali clubs londinesi, e attraverso la loro stessa casa discografica Acid Jazz records, da essi fondata. Gilles Peterson è un DJ radiofonico ed animatore del club Dingwalls a Londra e conia il termine "acid jazz" con una mitica frase finora avete ballato acid-house? E adesso ascoltate acid jazz! durante serate musicali in cui proponeva l'ascolto di vinili ispirati alle contaminazioni tra funk, jazz, soul e rare-groove degli anni settanta.
Sul finire degli anni Ottanta escono quattro raccolte della BGP che collezionano il meglio di quello stile musicale (tra gli altri Funk inc, Charles Earland, Brother Jack McDuff). Peterson fonda nel 1989 l'etichetta discografica Talkin' Loud distribuita da Polygram, della quale si ricordano tra gli altri: il gruppo Galliano che conta tra i suoi componenti due ex membri degli Style Council, White e Mick Talbot con la loro fusione di jazz, soul e hip hop; gli Incognito, gruppo che ruota attorno a Jean Paul 'Bluey' Maunick dei quali memorabile è "Jazz/Funk" (1981), con la collaborazione delle cantanti Maysa Leak e Jocelyn Brown; i Marxman con i loro hip hop politicamente impegnato, i The Brand New Heavies con la collaborazione della lead vocalist N'Deas Davenport, e gli Young Disciples; infine il soul di Omar con "There's Nothing Like This".
Eddie Piller, veterano della scena Northern soul e Mod, fonda invece l'Acid Jazz Records (agli inizi con Gilles Peterson). Questa etichetta divenne famosa per le compilation Totally Wired, in cui veniva illustrato e lanciato l'acid jazz. Questa etichetta lancerà il gruppo che diventerà più popolare nel genere: i Jamiroquai. La prima uscita del gruppo londinese è il singolo When You Gonna Learn (la cui introduzione è suonata con il singolare strumento australiano didgeridoo). Lo stile musicale dei Jamiroquai è fondamentalmente un mix tra disco music, soul, Jazz e Funk (l'influenza di Stevie Wonder sembra chiara in Emergency on Planet Earth del 1992) che si trasformano in sonorità garage house nelle versioni remix di alcuni suoi singoli. In seguito al successo del singolo d'esordio, il loro frontman Jay Kay riuscirà a strappare un contratto miliardario alla Sony.
Altri artisti prodotti dall'Acid Jazz Records sono i Brand New Heavies, i quali - anche per merito della bravissima cantante statunitense N'Dea Davenport - ottengono un discreto successo persino negli USA con l'album "Brother, Sister" (e lanciandosi anche in duetti con rappers americani come Guru, ad esempio nell'album Heavy rhyme). Alcune hit acid jazz sono venute dagli US3 come "Cantaloop" (una cover di Cantaloupe island di Herbie Hancock). Interessante anche l'album "Antidote" di Ronny Jordan.
In Italia grande successo hanno riscosso le performance dell'ex tastierista dei Prisoners James Taylor con il suo James Taylor Quartet, di cui citiamo l'album "Wait a minute" (su Urban) con una notissima cover del tema della seconda stagione della serie televisiva di Starsky & Hutch ("Gotcha", brano di Tom Scott).
Sul versante più funky, grandi attenzioni sono state riversate sui Freakpower gruppo creato da Norman Cook (già negli Housemartins e noto successivamente come Fatboy Slim) ed il cantante trombonista Ashley Slater. Da ricordare il loro album "Drive-thru booty" (Island, 1994) con i brani "Turn on, tune in, cop out" e "Get in touch".
Altra etichetta di frontiera è stata la Mo-Wax: grande impatto ebbe la versione di "For what it's worth" (originale dei Buffalo Springfield) da parte dei Love T.K.O., gruppo più trip hop che acid jazz.
Si citano anche il gruppo tedesco Die Toten Hosen con "Fancy You" e gli spagnoli Speak Low con "In The Fridge".

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Nella terminologia della musica leggera (principalmente pop e rock), una cover è la reinterpretazione o il rifacimento di un brano musicale - da altri interpretato e pubblicato in precedenza - da parte di qualcuno che non ne è l'interprete originale.
La differenza tra interpretazione e cover non è ben definita: in genere quando un musicista interpreta un brano considerato un classico della musica eseguito innumerevoli volte si esita ad usare il termine cover (si parla in questo caso piuttosto di interpretazione). Il termine cover è invece maggiormente utilizzato per indicare la reinterpretazione di brani relativamente recenti (come nel caso delle "cover band" e delle tribute band, gruppi musicali che interpretano solo canzoni note scritte da altri) o una versione differentemente arrangiata.
In altri ambiti musicali (nella musica classica, ad esempio) l'esecuzione di una stessa composizione da parte di interpreti diversi è la regola, quindi non esiste un termine corrispondente. Nel jazz si definisce standard il tema di una canzone nota, che i musicisti usano come base per variazioni e improvvisazioni: queste, tuttavia, non sono semplici interpretazioni o arrangiamenti della canzone originale, quindi non sono assimilabili a "cover".

Aspetti economici

Fatta salva la remunerazione relativa all'interpretazione, i diritti economici e le rendite relative all'esecuzione o alla riproduzione di un brano sono dei suoi autori ed editori, i cui nomi devono solitamente essere pubblicati in calce alla riproduzione audio.
Talvolta la cover di una canzone è caratterizzata dalla modifica della parte letteraria, spesso perché adattata, tradotta o riscritta in un'altra lingua. In tal caso i diritti possono essere divisi percentualmente a seconda dell'entità delle modifiche tra gli autori ed editori originali e chi ha eseguito l'adattamento, a seconda di quanto stabilito dalla locale società che tutela il diritto di autore: in Italia, la Siae, che parla in questi casi di sub-autori e sub-editori.
Qualora invece uno o più autori vogliano far passare per propria un'opera, o anche solo parte di essa, scritta in realtà da altri, omettendo cioè di attribuire gli autori originali, non si può parlare di cover ma piuttosto di violazione del diritto d'autore o del copyright, a seconda della giurisdizione.

Cenni storici

Quando negli anni venti l'industria discografica era agli albori anche l'aspetto promozionale non era molto sviluppato, e l'acquirente-tipo spesso era una persona matura, interessata ad acquistare dischi contenenti determinate canzoni, senza particolari preferenze per chi ne fosse interprete. La casa discografica doveva perciò "coprire" o "includere" (to cover in inglese) la canzone.
Negli anni trenta, durante la swing era, artisti come Glenn Miller cominciarono ad avere enorme successo radiofonico e l'età del pubblico diminuì gradualmente. Le case discografiche continuavano comunque a concentrarsi più sul brano di successo che sull'interprete o autore.
Negli anni cinquanta, agli albori del rock and roll molti brani di successo delle prime star di colore furono reinterpretate in versioni più leggere, in modo da essere più vendibili e fare da ponte (to cross over) tra il pubblico giovanile e quello più conservatore dei genitori e delle emittenti radiofoniche. Molto spesso le versioni originali erano state realizzate da artisti di colore e non sarebbero state trasmesse da molte radio americane. Venivano quindi realizzate versioni edulcorate dei brani, cantate da cantanti bianchi, che spesso ottenevano grande successo, oscurando (e "coprendo") le versioni originali. Questi rifacimenti venivano chiamati cross cover version.
Da allora, particolarmente in ambito pop e rock, il termine cover si è diffuso ed ha assunto il suo attuale significato comune.

Le cover in Italia

Nel contesto Italia le cover più note sono state spesso una traduzione di brani già noti all'estero.
Ad esempio, negli anni sessanta, la beat generation italiana, ed in generale la musica pop italiana degli anni sessanta e settanta, ha attinto a piene mani dal repertorio inglese e americano traducendo decine di brani, spesso all'insaputa del pubblico che credeva che l'interprete fosse anche l'autore.
Nel compiere una traduzione l'adattamento della melodia è un compito non semplice, e può portare ad alcune incongruenze rispetto al testo originale. Ad esempio Una città per cantare di cui Ron è l'interprete italiano, è la traduzione, anche se non letterale, di The Road di Danny O'Keefe, incisa anche da Jackson Browne.
In altri casi ancora non vi è alcuna traduzione, ma uno stravolgimento totale dei testi. In questi casi, sebbene in Italia si usi il termine cover, forse sarebbe più corretto il termine remake o adattamento.
In molti altri casi, specialmente negli anni '60 e '70, vi furono invece brani italiani ripresi da interpreti stranieri, in particolare angloamericani, segnaliamo la versione di Dean Martin della celebre Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno (ma incisa da innumerevoli altri interpreti), Help Yourself che prima di essere un successo di Tom Jones era stato interpretato da Dino e Wilma Goich col titolo Gli occhi miei, You're my world, che è Il mio mondo di Umberto Bindi inciso da Cilla Black, Silent voices, cioè La voce del silenzio, e moltissime altre.
Anche in Giappone ed in America Latina le canzoni italiane hanno avuto innumerevoli reincisioni e cover.
Inoltre le cover italiane hanno avuto molto successo negli anni 60-70 ed 80 nei paesi del Blocco comunista come ad esempio la traduzione in Ceco di Felicità di Albano e Romina tradotta con il titolo stravolto di Dovolenà (Vacanze).
La più prolifica interprete di cover in Italia è senz'altro Mina che già negli anni sessanta reincideva canzoni di Sanremo a pochi giorni dalla loro presentazione al Festival da parte di altri artisti e per molti anni ha pubblicato ogni anno un doppio album con un disco di inediti e uno di cover.
Il fenomeno delle cover ancora oggi continua, un esempio è La primavera cantata da Marina Rei nel 1997, una traduzione della canzone You To Me Are Everything dei The Real Thing.
Tra 1999 e 2008 Franco Battiato è stato uno dei più prolifici interpreti di cover, con i suoi tre album Fleurs (1999), Fleurs 3 (2002), Fleurs 2 (2008), contenenti cover di artisti italiani e stranieri tutte riarrangiate e alcune tradotte.
Nel novembre del 2006 Laura Pausini ha pubblicato un album, Io canto, interamente composto da cover di celebri canzoni italiane. L'album è stato pubblicato con successo anche in versione spagnola con il titolo di Yo Canto.
Il 19 settembre 2008 il cantautore Mango pubblica l'album Acchiappanuvole, titolo tratto da un verso della canzone Ragazzo mio di Tenco, (1964), che contiene 14 cover. Il singolo che anticipa l'uscita del nuovo lavoro è La stagione dell'amore, cantata assieme al suo stesso autore Franco Battiato. Acchiappanuvole è disco di platino.
Produzioni per certi versi assimilabili alle cover, anche se in senso stretto non possono definirsi tali, sono quelle che vedono un brano di successo interpretato in altre lingue dallo stesso cantante che lo ha inciso nella versione originale. Molti cantanti italiani, fra i quali ad esempio Franco Battiato, Domenico Modugno, Mina, Lucio Battisti, Albano e Romina e molti altri, hanno inciso versioni in lingua straniera di alcuni loro successi italiani, ma anche diversi cantanti stranieri (ad esempio Charles Aznavour, Dalida, Paul Anka, Barbra Streisand, Demis Roussos, Sting e molti altri) hanno realizzato versioni italiane di alcuni loro brani.

Omaggi e cover

Negli anni sessanta esistevano fondamentalmente due approcci diversi alle cover.
Il primo consisteva nel presentare una versione italiana di un brano di un autore od un gruppo famoso già noto all'estero: questa era spesso la via per un successo sicuro.
Il secondo approccio era di proporre come nuovo qualche brano poco noto recuperato nel vasto repertorio anglosassone. Alcuni gruppi facevano largo uso di questo approccio (ad esempio i Corvi o i Dik Dik).
Con il passare degli anni l'approccio alle cover è cambiato; spesso artisti di successo eseguono una cover per onorare e omaggiare (in inglese to pay tribute to) un artista da loro apprezzato (ad esempio Sting ha reinterpretato con successo Little Wing di Jimi Hendrix).
Altri gruppi si specializzano nell'esecuzione di sole cover (cover band) o addirittura nei brani di un solo artista o gruppo (tribute band). Oggi la tendenza di questi gruppi è di concentrarsi sulla riproduzione fedele delle musiche, dei testi e a volte anche del look, con una casistica minore rispetto al passato (anche se sempre presente) di brani tradotti o adattati.
Vengono prodotti anche album interi di cover dedicate ad un unico artista (tribute album) anche da gruppi non pop; a titolo di esempio citiamo The Spirit of St. Louis dei Manhattan Transfer dedicato a Louis Armstrong, oppure The String Quartet Tribute to R.E.M. (e innumerevoli altri album) degli String Quartet. Nel 2006 Bruce Springsteen ha conquistato le classifiche con We Shall Overcome: The Seeger Sessions un tribute album, dedicato alle canzoni di Pete Seeger.
In Italia Lucio Battisti e Fabrizio De André hanno ricevuto numerosissimi tributi. Ad esempio nel 1993, nel 1994 e nel 2006 sono stati pubblicati 3 album tributo a Lucio Battisti intitolati Innocenti Evasioni (tra gli interpreti Fabio Concato, Nek, Giorgia, Samuele Bersani).

Cover parodistiche

Esistono anche delle cover eseguite in maniera parodistica; a questo proposito in Italia sono note quelle effettuate dal Quartetto Cetra in vari programmi televisivi; negli anni seguenti si sono cimentati in questo stile anche altri interpreti come gli Squallor (Sono una donna, non sono una santa), Elio e le Storie Tese (Help me, Nella vecchia azienda agricola, Balla coi barlafus e altre), Stefano Nosei (Lasagne verdi), la Gnometto band, i Gem Boy e Leone di Lernia, negli Stati Uniti d'America Weird Al Yankovic, in Germania Otto Waalkes.