Nel 1704 il navigatore Alexander Selkirk, in aperta polemica con il capitano, disse che avrebbe preferito essere lasciato a terra.



Fu abbandonato a Más a Tierra, un’isola che si trova 674 km al largo della costa cilena.

Per i successivi 4 anni e 4 mesi Selkirk si aggirò da solo per l’isola, mangiando crostacei e radici di pastinaca. Fu infine tratto in salvo dal capitano inglese Woodes Rogers nel 1709.

La figura di Selkirk ispirò Daniel Defoe per la creazione di Robinson Crusoe.

Nel 1966 Más a Tierra fu ribattezzata Robinson Crusoe Island.



È un luogo incantevole, con spiaggia bianca, lagune azzurre e frutti tropicali. Non male naufragare qui.


Brian Wells



Ricordate i puzzle sadici e complessi della saga di “Saw”? Ebbene, gli elaborati macchinari creati da Jigsaw non sono solo un’opera di fantasia. Intorno all’uscita del primo film della serie, il giovane Brian Wells fu coinvolto in una tragica disavventura.

È un giorno come tanti dell’agosto 2003: Brian consegna pizze a domicilio e, proprio quando sta per finire il turno, decide di portare a termine l’ultima ordinazione. Il recapito è situato in una zona piuttosto isolata, accanto ad una vecchia stazione radiofonica. Cosa sia accaduto di preciso rimane un mistero: si sa soltanto che, circa un’ora dopo, il ragazzo venne bloccato dalla polizia mentre cercava di rapinare una banca nel paese vicino. Brian indossava un collare di metallo collegato ad un fucile a pompa che era costretto a tenere in mano: il congegno era regolato da un timer.

Prima che i poliziotti potessero rendersi conto di cosa stesse succedendo, il dispositivo scattò: uno sparo dritto al cuore pose fine alla vita del giovane, senza che questi fosse riuscito a rivelare cosa gli era accaduto.

In una tasca del ragazzo venne rinvenuta una lista di obiettivi, fra cui rapinare una banca e farsi consegnare 250.000 dollari in contanti. I compiti erano da svolgersi in un determinato lasso di tempo: tuttavia, anche se il colpo fosse andato a segno, sarebbe stato comunque impossibile per Brian portarli tutti a termine.




Il film "Top Gun Maverick" è ora il film digitale venduto più velocemente di tutti i tempi.

Nella prima settimana dopo l'uscita sono state vendute più copie in digitale di qualsiasi altro film di sempre.

Nel frattempo, i film di Hollywood stanno implodendo, floppando o non hanno successo.

La pirateria, i videogiochi e Redbox non stanno uccidendo Hollywood.

I film di propaganda razzista, gay e politicamente corretta di Hollywood sono la ragione per cui le sale sono vuote.

Hollywood sta uccidendo Hollywood.

Non vediamo l'ora di tornare ad amare i film, ma Hollywood ci odia troppo per farci tornare.


Come sarebbe a dire "cosa c'entra la massoneria con il telefilm Happy Days"?

Howard, il padre della famiglia Cunningham, fa parte della Loggia del Leopardo nr. 462 di Milwakee, e alla fine ne diventa addirittura Gran Poobah!



Da non confondersi con la Loggia dell'Ordine Leale dei Bisonti d'Acqua di Bedrock, di cui faceva parte nell'Età della Pietra Fred Flinstone!



Non era un genere che mi piaceva quando ancora era nel suo periodo di maggior successo, ma ora invece sto pensando a quanto era bravo e talentuoso. TALENTO, avere la musica nel sangue, riuscire a trasmetterla, essere tutt'uno con quello che canti e suoni. Voce, chitarra, armonica, un Artista con la A maiuscola.

Per radio non lo trasmettono, sicuramente a lui non gliene può fregà de meno… a 76 anni fa quello che gli pare? Mi risulta che abbia fatto un album nel 2020, intitolato "Non c'è", che comprende un singolo omonimo molto bello [1] e un video delizioso fatto a cartoon. Come spesso dico non mi piace la musica italiana, ma questa canzone… ?




“Mi sono detta: prima di morire devo tentare la carriera che mi sono prefissata e lo devo fare.

Io vivo per la musica.

Non ho avuto paura di non avere un soldo, ma desidero intraprendere la strada che volevo seguire da quando ero bambina. E ci sono riuscita.

In canzoni come Morirò d’amore credo di esserci dentro, di essere nella verità di queste cose.”

- Giuni Russo Da Che tempo che fa



La storia è ben nota a tutti: quattro amici partono per Las Vegas in occasione di un addio al celibato. Dopo aver ingurgitato e fumato qualsoasi cosa, si risvegliano completamente disorientati e… dov’è finito Doug? Il celebre lungometraggio è tratto da una storia vera. Le vicessitudini di Doug, Phil, Stu e Alan sono infatti ricamate sulla falsariga di ciò che accadde a Tripp Vinson, amico e collega del produttore del film, Chris Bender, e 30 suoi amici. In occasione delle proprie nozze, infatti, Tripp organizzo un mega-party a Las Vegas. Al risveglio si ritrovo nudo in un letto, con i capelli rasati a zero, un canino rotto e sul comodino una fattura da 700,000 $ di un noto stripclub. Tutt oggi non ricorda minimamente che cosa sia accaduto quella notte.



Bill Haast era un addestratore di serpenti che intratteneva il pubblico con show durante i quali estraeva il veleno dai rettili.

Bill divenne leggenda negli Stati Uniti, per essere stato morso almeno 173 volte da serpenti velenosi, ed essere sempre sopravvissuto.

Non solo, ma ha contribuito a salvare molte vite umane.

Il suo sangue era pieno di anticorpi in grado di contrastare i veleni di diverse specie anche perché Haast, oltre ai morsi accidentali subiti durante gli spettacoli, iniettava ogni giorno nel suo sangue (per 60 anni di fila) una piccola dose contenente un mix di veleno di 32 specie.

Bill Haast era il direttore di un’azienda della Florida che produceva veleno di serpente. Estraeva la sostanza più di 100 volte al giorno, intrattenendo spesso il pubblico curioso. Alcune di queste sostanze erano di importanza essenziale per trattare le vittime dei morsi di serpente, ma erano anche ingredienti importanti per vari tipi di medicina.

Haast salvò la vita a 21 persone, donando il proprio sangue ricco di anticorpi e, in una di queste occasioni, il domatore volò fino in Venezuela per salvare un bambino.
Bill non soltanto godette sempre di buona salute, ma arrivò a vivere fino a 100 anni, e alcuni scienziati sospettano che fosse proprio il mix di veleni a contribuire al suo benessere.



“E adesso abbiamo la canzone numero quattro della categoria cantautori, si chiama Gianna e la canta Rino Gaetano. Ecco Gianna”. Con queste parole, Vittorio Salvetti introdusse Rino Gaetano sul palco del Teatro Ariston in occasione del Festival di Sanremo del 1978. Per l’esibizione Rino scelse un cappello a cilindro, regalatogli da Renato Zero, un frac, un papillon bianco, una maglia a righe, tante medagliette militari sul petto, che regalò in giro appena finito di cantare, e infine un ukulele.

È proprio da questa esibizione che Gaetano uscì dalla cerchia dei cantautori di nicchia per raggiungere il successo popolare. Per i suoi fan di lunga data fu quasi un tradimento la partecipazione a Sanremo, mentre i nuovi apprezzarono molto questo motivo orecchiabile e facile da canticchiare. Solo Gaetano e la commissione del Festival sapevano che in realtà Gianna fu soltanto la scelta di ripiego, comunque molto azzardata, perché fu la canzone che sdoganò la parola sesso al Festival di Sanremo e in televisione. Ciò che nessuno poteva immaginare, però, era che il successo di Rino Gaetano sarebbe finito bruscamente soltanto tre anni dopo. Prima di arrivare al 1981 facciamo un passo indietro.


Esibizione a Sanremo78


Salvatore Antonio Gaetano nacque a Crotone, in Calabria, il 29 ottobre 1950, dopo che la famiglia rientrò dal periodo di sfollamento in Veneto, dove nacque la sorella Anna, a causa della guerra. Fu proprio la sorella Anna a dargli il soprannome Rino, che userà per tutta la vita. Quando la famiglia si trasferì a Roma, Rino venne iscritto al seminario della Piccola Opera del Sacro Cuore a Narni, in provincia di Terni, non tanto per avviarlo alla carriera ecclesiastica quanto per assicurargli una buona istruzione. Già durante gli anni della scuola dimostrò il suo talento come scrittore componendo un poemetto intitolato “E l’uomo volò”.

Una volta completati gli studi tornò a Roma, dove si stabilì in via Nomentana con la famiglia, e cominciò a frequentare il Folkstudio, locale dove conobbe artisti come Antonello Venditti e Francesco De Gregori, mentre si dilettava a scrivere testi, ispirandosi ad artisti come Celentano, Jannacci, De André, Bob Dylan e i Beatles. In questo periodo le sue caratteristiche peculiari lo resero inviso a molti dei suoi contemporanei, che mal sopportavano le sue stramberie, e lo portarono a cimentarsi anche nel teatro. Nonostante il padre volesse per lui una carriera in banca, Rino non si arrese e cominciò a lavorare come paroliere per una casa discografica, la “IT”.

Vincenzo Micocci, presidente della IT, lo convinse, non senza difficoltà, a cantare da sé le sue canzoni, che all’inizio non ebbero successo. Come già detto la svolta avvenne con Sanremo e la sua Gianna, canzone odiata dallo stesso Gaetano, perché con un testo troppo semplice e troppo simile a “La Berta filava…”. La sua prima scelta era in realtà “Nuntereggae più”, canzone con un testo fortemente politico, che alludeva a nomi e fatti scomodi all’epoca.

La canzone uscì comunque dopo la fine del Festival, e Rino Gaetano dovette fare i conti sia con la censura sia con le critiche dei personaggi impegnati in politica. Vincenzo Mollica la descrisse così: “[Era] una canzone di grande divertimento, anche, però aveva il coraggio delle sue azioni, non si tirava mai indietro: nomi e cognomi per tutti e nei tempi in cui fare nome e cognome per tutti era molto difficile”.


Rino Gaetano


Il Festival di Sanremo lo fece uscire dal circolo di nicchia a cui apparteneva, rendendolo molto popolare, soprattutto con l’appellativo di “Quello di Gianna…”. Fu molto importante per lui l’incontro con Mogol, il quale scrisse delle canzoni per Gaetano che si differenziavano parecchio dallo stile graffiante e satirico del cantautore calabrese, arrivando anche a deludere le aspettative del grande pubblico che da Rino si aspettava solo nonsense o “buffonate” e non vederlo atteggiarsi come un cantante leggero. Purtroppo, però, per Rino Gaetano il Festival di Sanremo significò un aumento di attenzioni a cui non era pronto, un po’ per il carattere timido, un po’ perché inaspettato, e il risultato fu una totale perdita di controllo del suo stesso personaggio, che fu reso oggetto di attenzione per motivi sbagliati.

Negli ultimi anni, forse per ritrovare la serenità dopo le aspre critiche, il cantautore tentò di isolarsi, trasferendosi addirittura in Centroamerica, lasciandosi influenzare dalle melodie latino-americane, che, ancora una volta, lo resero bersaglio di feroci critiche in patria. Andò prima a Città del Messico nel 1979, e il risultato fu l’album “Resta vile maschio, dove vai?”, e poi in Ecuador nel dicembre 1980. In quegli anni fu molto importante per lui l’amicizia e collaborazione con Riccardo Cocciante, che culminò con il brano “A mano a mano”, scritto da Cocciante e cantato da Gaetano al Teatro Tenda di Roma nel 1981, mentre Cocciante reinterpreta “Aida”. Rino però non si fece mai abbattere, anzi decise di concentrarsi sulla sua vita privata, in particolare sul matrimonio con la fidanzata Amelia. L’8 gennaio 1979, mentre guidava, un fuoristrada aveva speronato la vettura del cantautore, una Volvo, facendolo finire contro il guardrail. Gaetano ne uscì illeso, e poco dopo cambiò macchina, acquistando una Volvo 343.

La sera a cavallo tra l’1 e il 2 giugno 1981 era una serata normale, che Rino Gaetano passò in un locale con alcuni amici. Si mise per strada per rientrare a casa verso le 3:30. Verso le 3:55, forse a causa di un colpo di sonno o di un malore, la Volvo invase la corsia opposta di via Nomentana, all’angolo con via Carlo Fea. Un camion si avvicinava sulla propria corsia di marcia quando si accorse della vettura che sopraggiungeva nel verso opposto. Il camionista provò a suonare il clacson, ma senza risultato.

Solo pochi secondi prima dell’inevitabile scontro vide gli occhi dell’automobilista spalancarsi all’improvviso. La Volvo si schiantò contro il mezzo pesante. Della parte anteriore e laterale destra della vettura ormai non restava nulla se non lamiera informe.

Quanto Antonio Torres, l’autista del camion, scese dal mezzo per prestare soccorso si trovò davanti una scena agghiacciante: la testa di Rino Gaetano aveva sfondato il parabrezza, mentre il torace era in una posizione con un’angolatura innaturale a causa del violento impatto con il volante e il cruscotto. I soccorsi arrivarono in fretta e Rino venne trasportato d’urgenza al Policlinico Umberto I, già in coma. Una volta arrivato si scoprirono le condizioni disperate nelle quali versava: frattura alla base cranica, diverse ferite sulla fronte, frattura dello zigomo destro e una sospetta frattura allo sterno. La struttura però non era in grado di affrontare operazioni a livello cranico tanto complesse, e vennero contattati altri ospedali per deviarlo su un ospedale più adatto: il San Giovanni, il San Camillo, il CTO della Garbatella, il Policlinico Gemelli e il San Filippo Neri. Nessuno aveva posti liberi a disposizione. Solo alle prime luci dell’alba il Gemelli diede disponibilità per un posto, ma, poco dopo essere arrivato in ospedale, Rino Gaetano morì. Due giorni dopo, i funerali vennero celebrati nella stessa chiesa dove si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio con la fidanzata Amelia.

Volvo Serie 300


Se da un lato la morte così precoce e inattesa innalzò Rino Gaetano nell’olimpo degli artisti di culto, dall’altro contribuì a innescare non poche polemiche. I fan del cantautore si scagliarono contro gli ospedali, che trovarono delle scuse per ritardare il ricovero e l’intervento, causando così volontariamente la morte. Le accuse vennero smentite successivamente da Anna Gaetano, la sorella di Rino, che dichiarò: “Non è vero che Rino fu rifiutato dagli ospedali. Questa è una leggenda. Quando il corpo di mio fratello venne estratto dalle lamiere venne portato al Policlinico Umberto I, semplicemente perché era il posto più vicino. La struttura non aveva una sala operatoria attrezzata per i craniolesi, ma non l’avevano neppure gli altri ospedali contattati telefonicamente”.

Le teorie non si fermavano alla negligenza degli ospedali romani: qualcuno, infatti, ipotizzò il suicidio premeditato. Nel 1971, Rino Gaetano compose una canzone intitolata “La ballata di Renzo” che recitava:

La strada era buia, s’andò al San Camillo

E lì non l’accettarono forse per l’orario,

si pregò tutti i santi ma s’andò al San Giovanni

e lì non lo vollero per lo sciopero.

Renzo, il protagonista della canzone, muore per un incidente stradale e gli ospedali lo rifiutano, qualcosa di ravvisabile nella morte del cantautore. Alcuni, dunque, ipotizzarono che Rino Gaetano andò volontariamente a scontrarsi contro il camion, restando fedele al testo della sua canzone. Ciò che distingue il testo della canzone dall’evento reale è che Renzo andò personalmente negli ospedali, venendo sempre rifiutato, mentre Rino Gaetano venne trasportato nell’ospedale più vicino e da lì cominciò la disperata ricerca di un posto in neurochirurgia, cosa abbastanza complicata all’epoca.

Qualcun altro invece ipotizzò addirittura l’omicidio: l’avvocato penalista Bruno Mautone, il quale scrisse tre libri sull’argomento (“La tragica scomparsa di un eroe”, “Chi ha ucciso Rino Gaetano” e “Rino Gaetano, segreti e misteri della sua morte”), afferma che Rino Gaetano non morì per una tragica casualità, bensì per chiaro volere dei servizi segreti italiani. Il cantautore citò spesso nei suoi testi nomi e fatti molto delicati considerando il periodo storico, il che significa che doveva avere degli amici fidati tra gli agenti segreti italiani, i quali gli passavano informazioni riguardo le varie indagini.

Come se ciò non bastasse, Mautone sostiene la tesi della vicinanza con la massoneria: a riprova di questo vi era l’amicizia con Elisabetta Ponti, figlia del medico personale di Licio Gelli, capo supremo della P2. Citando direttamente Mautone: “del resto quando Rino in Rai cantò la canzone “La Berta filava…” con lui c’era un cane, che era proprio di Elisabetta Ponti”. Nonostante Mautone dichiari di essere in possesso di prove schiaccianti a favore delle sue tesi, non si è conoscenza di nessuna di queste, dunque resta una semplice speculazione che strizza l’occhio al genere poliziesco.

La morte di Rino Gaetano viene anche spesso, e a ragione, paragonata alla morte di Fred Buscaglione, morto anche lui in un incidente automobilistico con un camion sulle strade della Roma notturna dopo un’esibizione musicale.

Quel che sappiamo per certo è che Rino Gaetano ci ha lasciato, nelle sue canzoni, uno spaccato della società italiana a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, tra i primi scandali politici e le proteste operaie.


Vediamo come va la mia memoria…

Intanto vi metto sull'avviso, alcuni di questi personaggi sono piuttosto inquietanti… giusto per usare un vago eufemismo……

Karl Ruprecht Kroenen, Ladislav Beran, in Hellboy





Noto anche come "brutto nazista del ca220…"



Pinhead, Doug Bradley, in Hellraiser



Dr. Phibes, Vincent Price, in L'abominevole Dr. Phibes



Freddy Krueger, Robert Englund, in Nightmare


Pennywise, Tim Curry, da It


Keyface, Javier Botet, da Insidious - L'ultima chiave



Pazuzu…



E Regan… Linda Blair, L'Esorcista


Angelo della Morte, Doug Jones, in Hellboy 2 - The Golden Army


Scegliete pure la vostra preferita…


Edit:

Fluffy, Creepshow


Kayako Saeki, The Grudge


Ed ora, qualche grande classico…

Boris Karloff, Frankenstein


L'on Chaney, Il fantasma dell'Opera



Max Shreck, Nosferatu



Edit 2:

Jeff Goldblum, Seth "The fly" Brundle


Quentin Tarantino, From dusk 'till dawn




Bruce Campbell, Evil Ash, Evil Dead 2



Di che materiale è fatta la statuetta degli Oscar?



Questo oggetto rappresenta l'apice della carriera nell'industria cinematografica, ma di cosa è fatto esattamente?

La statuetta non è d'oro massiccio, è alta 34 centimetri e pesa 4 kg.

È realizzata di una lega di rame, peltro, nickel e argento successivamente placcata in oro, ed ha un valore commerciale di circa 295 dollari.

Piccosa curiosità, in alcuni anni durante la seconda guerra mondiale venne realizzata in gesso e poi colorata poiché i metalli dovevano essere tutti utilizzati per l'industria bellica.


Nel 1936 il compositore mantovano Gorni Kramer incise “Crapa pelata”.



Era un brano costruito su un pezzo di Duke Ellington e una filastrocca milanese che riuscì a farsi beffe del regime.

Infatti portò sia al successo un brano jazz (genere che era stato bandito dal regime) che canzonare la testa pelata più famosa d’Italia, quella mussoliniana.

Non contento, Kramer scrisse tempo dopo la musica di “Pippo Pippo non lo sa”, pezzo swing accompagnato da un testo che poneva in ridicolo il gerarca fascista Achille Starace, solito girare impettito in camicia nera.

Ecco il testo di Crapa pelata:

Crapa pelada la fà i turtei

Ghe ne dà minga ai soi fradei

Oh! oh! oh! oh!

I so fradei fan la frittada

Ghe ne dan minga a Crapa pelada

Oh! oh! oh! oh!