Risultato immagini per Bacchette (batteria)



I batteristi solitamente suonano con le mallet (battenti). Le tipologie di bacchette in commercio sono varie, spesso alcuni modelli esistono solo per alcune case costruttrici. Sono realizzate principalmente in legno di noce, ma ne esistono modelli in carbonio ed in plastica. La punta delle bacchette può essere di varia forma: ovoidale (la più comune), sferica, cilindrica, conica; il materiale con cui è realizzata la punta può essere legno o plastica. Importante anche il bilanciamento delle bacchette che può essere in testa, al centro o in coda. Il modello delle bacchette è descritto da una sigla, composta da un numero e da una lettera. La lunghezza è standard, circa 40 centimetri, dipende anche dalla casa costruttrice la quale può realizzarne dei modelli leggermente (1cm circa) più lunghe o più corte. Seguono alcuni modelli tipici di bacchette:
  • 5A: le più usate, sono bacchette molto versatili e si possono usare per tutti i generi musicali. Sono bilanciate al centro.
  • 5B: un po' più spesse delle 5A, usate per il rock e pop. Sono bilanciate al centro.
  • 7A: bacchette molto leggere, usate tipicamente per suonare per il jazz, in generale favoriscono l'esecuzione a volume basso. Sono bilanciate al centro.
  • 2B: bacchette molto pesanti, usate per l'hard rock. Sono bilanciate al centro.
  • 8D: bacchette per il jazz, abbastanza pesanti, ma bilanciate in coda.
Le più note ditte costruttici di bacchette per batteria sono Vic Firth, Ahead, Lantec.


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L'indie rock è un genere musicale di alternative rock nato nel Regno Unito e negli Stati Uniti alla fine degli anni ottanta e diffusosi, soprattutto a partire dagli anni 2000, anche in diversi altri Paesi in cui si è sviluppato un panorama autoctono fatto di band con discreta popolarità nazionale ma, a parte alcuni casi, praticamente sconosciute al di fuori dei loro confini.
In modo generico, viene usato come termine per descrivere l'indipendenza di certa musica dalle grandi etichette discografiche commerciali.

L'origine del termine
Il termine indie è un neologismo inglese derivato dalla contrazione del termine independent (indipendente), riferito ad un genere di musica (quella, appunto, delle etichette discografiche indipendenti) caratterizzato da un diverso approccio rispetto alle modalità di produzione della stessa che, quantomeno in origine, era generalmente contrapposto a quelle utilizzate nella musica pop di massa (o mainstream) prodotto e distribuito dalle grandi case discografiche.
La particolarità dei gruppi e degli autori indie rock risiedeva originariamente soprattutto nell'approccio per lo più autonomo, del tipo "fai-da-te" (DIY, do it yourself) e che li portava spesso a fare tutto per conto proprio sia nella fase di registrazione, ma anche nella pubblicazione e nella distribuzione, fino all'organizzazione dei propri concerti. Artisti che, al successo delle classifiche, perlopiù preferivano una posizione più autonoma rispetto al mantenimento del pieno controllo sulla loro musica e alle scelte che ne conseguivano, preferendo etichette discografiche indipendenti e relativamente low-budget (o addirittura autoproducendosi). sebbene alcune di queste etichette indipendenti avessero accordi di distribuzione con le grandi major, operavano comunque in modo da far conservare ai loro artisti una propria autonomia, lasciandoli liberi di esplorare suoni, strade e tematiche spesso invise al grande pubblico.
Quando però, a metà degli anni novanta, l'inaspettato exploit del grunge negli Stati Uniti e del britpop nel Regno Unito rese possibile il successo commerciale di alcune band fino ad allora sconosciute al grande pubblico, il termine indie rock cominciò progressivamente a perdere quella valenza originaria di musica alternativa e, anche a seguito di quei grandi cambiamenti nel settore della musica dovuti soprattutto (negli anni 2000) alla crescente importanza di internet, venne poi ridotta a mero termine identificativo di genere musicale.

Anni '80: la nascita
Regno Unito
Nel Regno Unito, la nascita di una prima scena musicale indie può essere ricondotta alla pubblicazione di una tape-compilation intitolata C86 e distribuita nel 1986 dalla rivista musicale NME, con all'interno gruppi come Primal Scream, The Pastels, The Wedding Present e altre band.
Bob Stanley, giornalista del Melody Maker e membro fondatore della pop band Saint Etienne, in una sua intervista definì il C86 "l'inizio della musica indie...a metà degli anni '80 l'etica del DIY e qualsiasi atteggiamento punk residuo erano limitate in sacche isolate in tutto il paese. La compilation C86 e i concerti li ha riuniti in un'esplosione di nuovi gruppi."
Da quella uscita, infatti, il termine C86 rapidamente evolse in una scorciatoia per indicare la nascente scena indie pop britannica caratterizzata da un sound fatto di chitarre melodiche e brani dalle strutture tipiche del power pop e che fu di grande influenza sullo sviluppo dell'intera scena indie inglese rintracciabile nel lavoro di etichette come la Postcard Records e di altre labels significative quali Creation, Subway e Sarah Records e di band come The Smiths, The Stone Roses, Jesus & Mary Chain o nel dream-pop dei Cocteau Twins la cui musica influenzò il movimento shoegaze di fine anni '80.
Lo shoegaze, chiamato così per la tendenza dei membri della band a (metaforicamente) guardare i loro piedi e i pedali degli effetti per la chitarra sul palco, piuttosto che interagire con il pubblico, di gruppi come My Bloody Valentine, Slowdive e Ride presenta un wash of sound (citando il wall of sound) che oscurava le parti vocali e melodiche con lunghi riff, distorsioni e feedback.
Altro movimento importante è quello che alla fine degli anni 80 alimenta la scena Madchester e che gira intorno alla Hacienda, un club di Manchester di proprietà dei New Order e della Factory Records. Gruppi come Happy Mondays e Stone Roses che osarono mischiando generi all'apparenza lontani tra di loro come i ritmi acid della house con il northern soul, il funk e il pop melodico chitarristico dando luogo a un sound molto particolare e che, qualche anno dopo, influenzò il movimento Britpop di inizio anni 90.

Stati Uniti
Negli Stati Uniti, verso la metà degli anni ottanta, il termine indie cominciò a essere usato per descrivere la musica della scena hardcore e soprattutto quella prodotta da etichette discografiche Post-punk che utilizzavano perlopiù il circuito delle radio universitarie (college rock) per la loro promozione. Band che in generale si ponevano in contrapposizione al mainstream synthpop dominante dei primi anni ottanta. Nomi come Pixies, Hüsker Dü, Minutemen, Meat Puppets, Dinosaur Jr. e The Replacements che erano portatori di un suono più abrasivo e dissonante rispetto al punk 77, o addirittura con una matrice noise rock sottolineata da voce distorta, chitarre elettriche graffianti e basso e batteria potenti, di band quali Sonic Youth, Swans, Big Black e Butthole Surfers.
La strada intrapresa da questo nugolo di artisti fu diretta conseguenza della nascita di un certo numero di etichette discografiche indipendenti che videro la luce proprio in quegli anni. Tra questi, la Dischord Records fondata nel 1980 a Washington, la Sub Pop Records nata nel 1986 a Seattle, la Matador Records di New York City nata nel 1989 e la Touch and Go Records di Chicago nata come fanzine nel 1979 e che ha cominciato a pubblicare nel 1980. Alternative Tentacles.

Anni '90: la svolta
Stati Uniti
Gli anni 1990 portano grandi cambiamenti alla scena alternative rock statunitense: il grunge di gruppi come Alice in Chains, Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden come anche il punk revival di band come Green Day e The Offspring diventa musica da classifica, raggiungendo un grande successo commerciale e attraendo così maggiori investimenti da parte delle grandi case discografiche.
Come risultato di questi cambiamenti, il termine alternative, perde il suo significato originale legato ai movimenti contro-culturali e comincia a fare riferimento ad una nuova forma di musica più leggera che ora può raggiungere il successo mainstream e il termine Indie Rock viene così utilizzato solo esclusivamente per riferirsi a band underground come Guided by Voices, Pavement, The Grifters o i Sebadoh di Lou Barlow.
La fine del decennio vede svilupparsi tutta una serie di sotto-generi e di stili correlati come l'indie pop, il lo-fi (in cui le tecniche di registrazione evitavano raffinatezze in favore di un più genuino DIY), il noise pop, l'emo (nato con la scena hardcore punk negli anni 1980 con band come Fugazi e che poi ha guadagnato popolarità con band quali Sunny Day Real Estate, The Promise Ring, The Get Up Kids che importarono un sound più melodico all'interno del genere), lo Slowcore (dove il dolore e la sofferenza passa attraverso l'uso melodico di strumenti acustici ed elettronici nella musica di band come American Music Club e Red House Painters) e il post-rock (uno stile sperimentale influenzato dal jazz e dalla musica elettronica, introdotta da band quali Slint, Bastro e Bark Psychosis e ripreso da altre quali Tortoise, Stereolab, Rachels, June of 44), con le sue varianti space rock (che guarda indietro alle radici progressive rock e al minimalismo di Spaceman 3, Spectrum e Spiritualized e che più tardi sfornerà gruppi tra cui Flying Saucer Attack, Godspeed You Black Emperor! e Quickspace) e math rock.

Regno Unito
Negli stessi anni 1990 anche in Inghilterra furono numerose le band che portarono grandi cambiamenti alla scena alternative rock inglese: già dalla fine degli anni ottanta, gruppi come i The Smiths e gli Stone Roses influenzarono i movimenti degli anni novanta dello shoegazing e del britpop. Per quest'ultimo genere, sono fondamentali gruppo come i Blur e gli Oasis. I secondi riuscirono a portare la loro musica di fronte al grande pubblico, raggiungendo il culmine nel 1996 a Knebworth Park, dove si esibirono davanti a 250000 persone.

Anni 2000: l'esplosione
Il cambiamento dell'industria musicale a causa del calo record nelle vendite discografiche, la crescita di nuove tecnologie digitali e un maggiore uso della rete come strumento di promozione della musica hanno fatto sì che, nel nuovo decennio, una nuova ondata di band indie rock raggiungesse il successo popolare.
L'uso diffuso del termine indie allargato anche ad altre forme di cultura pop, ha portato un certo numero di commentatori a suggerire il fatto che l'indie-rock avesse cessato di essere un termine significativo, così come lo si intendeva nei due decenni passati. Wendy Fonarow, un professore di antropologia e autore del libro Empire of Dirt: The Aesthetics and Rituals of British Indie Culture, afferma ad esempio che questo cambiamento si è verificato perché, a cavallo del secolo, band indie nordamericane hanno cominciato ad essere influenzate dalla musica indie britannica che, tramite Internet, venivano pubblicate in supporti e siti web (quali Pitchfork) di musica online immediatamente disponibili per gli utenti.

Festival indie rock
  • All Tomorrow's Parties
  • Primavera Sound Festival
  • Festival di Reading e Leeds
  • Glastonbury Festival
  • Lollapalooza
  • South by Southwest
  • Coachella Valley Music and Arts Festival
  • Villette Sonique
  • Roskilde Festival
  • Independent Days Festival
  • MI AMI Festival
  • Lowlands Festival
  • Pinkpop Festival
  • Festival Internacional de Benicàssim
  • Ypsigrock
  • Sziget Festival


Risultati immagini per La Guida di Noisey alle canzoni delle pubblicità di mobilifici


Cosa vorranno comunicarci i mobilifici con i loro intriganti jingle? Scopriamolo insieme.
Come sono arrivata ad essere music editor di una testata autorevole e selettiva come Noisey? Non riesco a darmi alcuna risposta a questo interrogativo. Molto probabilmente è successo grazie alla mia profondissima ed estesissima cultura musicale, nata con me nel cuore degli anni Ottanta. E sappiamo tutti che gli anni Ottanta hanno prodotto amenità in ambito musicale come per esempio l'avvincente esordio di Pippo Franco nella boyband di se stesso, la deliziosa quota rosa politicamente corretta Jo Squillo, la discografia di Ambra Angiolini, i Bee Hive interpretati dal cast di Bimbumbam. Queste sono solo alcune delle influenze musicali che mi hanno convinta, sin dalla giovane età, del potere assoluto della musica e soprattutto della sua capacità di appianare ogni incongruenza ontologica o morale.
Con gli anni mi sono altresì resa conto che, molte volte, aggiungere della musica a una situazione altrimenti poco attraente potesse fare l'effetto di quando metti la maionese in un panino di merda. Saprà comunque di maionese. Sembra che questa eclatante verità non l'abbia capita solo io, infatti c'è tutta una schiatta di personaggi il cui lavoro è capire le cose prima di me, prima di voi, prima di tutti e ritrasformarle in altre cose che a voi sembrerà di non capire o di capire per la prima volta quando invece sotto c'era tutto un lavoro di concepimento e comprensione che è il lavoro a monte che vi frega. Queste persone nate per fregarvi sono i pubblicitari.
Non vi sto qui a scrivere un saggio sulle interconnessioni tra pubblicità e musica, almeno, non oggi. In Italia abbiamo una tradizione musicale legata alle pubblicità che inizia con il Carosello, programma tanto amato dai genitori di una generazione che si è appassionata, prima ancora che ai film, alle pubblicità, per poi lamentarsi del consumismo dei propri figli.
Certo, le canzoni delle pubblicità dei caroselli erano divertenti perché c'era ovviamente Nilla Pizzi e altri artisti buffi degli anni Cinquanta-Sessanta, ma la loro attitudine sbarazzina nei confronti del ruolo ancillare della musica al prodotto ha avuto conseguenze catastrofiche.
In particolare, queste conseguenze si sono riversate sull'industria immobiliare, e qui chiudiamo il cerchio sul perché mi trovo adesso qui imbarazzantemente a scrivere di musica. Ecco che ora possiamo insieme sviscerare maieuticamente il motivo: nelle mie orecchie girano da circa vent'anni motivetti legati al commercio del legname.
Per liberarmi la coscienza da questi demoni che mi perseguitano oramai da tutta una vita, ho deciso di riversarli in una breve lista che chiamerò semplicemente ELENCO DEI JINGLE DI MOBILIFICI. Lo faccio, cari miei, mica solo per motivi personali, ma pure perché ritengo onesto aprirvi gli occhi su quanto i mobilifici abbiano contribuito a rovinare l'industria musicale (per non parlare dei loro mobili con scaffali sempre troppo alti o troppo bassi per contenere i miei stereo e le mie collezioni di audiocassette degli Aqua).
Non sono l'unica ad essere ossessionata con le canzoni dei mobilifici, vedi per esempio questo utente Yahoo Answers che da anni si arrovella per trovare la canzone di un mobilificio.
Purtroppo per l'utente Roberto M. il link nella risposta rimanda ad un video inesistente, segno che l'utente Vålę♥Niςk ☁ѕнσω мє тнє яαιивσω☁ è chiaramente un'emissaria della lobby dei pubblicitari che scelgono le canzoni dei mobilifici, per poi lasciarle fluttuare e riprodursi adlibitum nei nostri centri neuronali senza che possiamo mai trovare pace o redenzione dalla loro assillante presenza.
Il mio jingle preferito delle pubblicità di mobilifici è sempre stato quello della Galleria del Mobile in via Forze Armate e Piazza Gobetti, ma purtroppo non ve n'è traccia in alcun archivio online, sono solo riuscita a reperire in una biblioteca (di cui non sono autorizzata a rivelarvi l'indirizzo) un vecchio spartito di tale jingle.
Rimarrà sempre un grande incompreso, invece, il genio che un giorno si è svegliato e ha deciso di accostare la sponsorizzazione dei propri mobili a un'ilare marcetta, ma soprattutto a uno sciame incontrollabile di majorettes in preda a un attacco di tourette. Sto parlando proprio di lui,Il Mercatone dell'Arredamento di Fizzonasco. Purtroppo non sono riuscita a reperire la pubblicità originale in cui le ragazze pon-pon della doppia anta si davano da fare di brutto con i paletti (che secondo fonti certe erano gambe di tavoli) ma la canzone è rimasta esattamente la stessa.
Ed eccoci al terzo esempio di stupefacente jingle di mobilificio, che fa leva sulla teoria cartesiana del remo spezzato, ovvero: le nostre percezioni sono sempre veritiere? Possiamo veramente affidarci ai nostri sensi per dedurre verità oggettive oppure dobbiamo sempre sospettare che il mondo non sia davvero come appare ai nostri stupidi limitati occhi? Le lyrics della struggente ballata di Euroarredi sembrano suggerirci proprio questo viaggio interiore nel dubbio iperbolico, per poi fornirci un solido appiglio alle nostre malferme elucubrazioni nell'unica certezza del design industriale.Già nelle pubblicità precedenti, il team creativi di Euroarredi aveva tentato di spiazzare l'acquirente facendo leva sulle nuove tecnologie, ma "Se non vieni non ci credi, non ci credi se lo vedi, Euroarredi" è diventato il motto di un'intera generazione che è successivamente andata a fare acquisti altrove perché troppo scombussolata da tutto questo mettere alla prova le proprie certezze.
A questo punto mi pare doveroso citare Aiazzone, che elegge come lead singer del proprio motivetto un vero esperto in materia, Lallo il castoro del Canadà, che mangia solo legno di prima qualità. Questo dovrebbe far capire agli avventori che ogni singolo mobile è ok perché è stato preventivamente testato dal sommelier ufficiale di randelli, il caro Lallo. Non circola più online la versione in cui figurava l'assolo di Lallo, ma anche questa è abbastanza esplicativa.
Ultimo lampante caso di endorsement mobile-musica è il Doo-Wop strappalacrime di Mondo Convenienza, cantato dalle sorelle convenienti del Trio Lescano, che si divertono un mondo a fare le tirchione.
Dopo aver rivisitato rapidamente la patristica dei casi di mobilificio sonoro degli anni Ottanta, propongo in questa appendice alcuni epigoni che meritano una menzione d'onore per come hanno saputo connubiare con originalità il contenuto del proprio showroom con un delizioso tocco di grazia sonoro.
Iniziamo da Mobilificio Lupin che elabora un remix Electro / Hip-Hop / IDM del leitmotiv della cultura napoletana "Vota Antonio" di Totò. Il resto dello spot contiene musica meno bella, ma il siparietto in corso riequilibra decisamente l'assenza di jingle.
Diverso invece il caso Mobilificio Barbato, che ha deciso di chiamare per curare la soundtrack dei propri sontuosi interni il sound designer Brian Eno, che ha composto per l'occasione un brano intitolato "Ho Voglia di Tek".
E come non menzionare il John Cage dei mobilifici, il leviatanico CENTRO DELL'ARREDAMENTO.
Centro Mobili del Cavalier Monteforte e Figli invece sceglie per la sua trendy presentazione uno stile decisamente glam, tra il funky e il freejazz come delicato sottofondo ad una speaker accattivante.
Ci sarebbero ancora altri triliardi di esempi su come il mobile e la musica siano decisamente un'endiadi vincente, ma credo mi fermerò qui. Voi non animatevi se dopo aver letto questo trattato sarete presi dal fortissimo impulso di spaccare tutti i mobili di casa vostra, è la conseguenza dei numerosi messaggi subliminali che avete appena ascoltato, tutti contenenti istigazioni alla violenza contro i mobili, in modo che domani voi siate nuovamente alle porte di un mobilificio. La vita è crudele.



Risultato immagini per Volvella


La volvella, termine che deriva dal latino medievale, è costituita da uno o più dischi membranacei o di carta, sagomati e sovrapposti, e fissati alla pagina sottostante attraverso un perno (una stringa o un rivetto), che consente la libera e indipendente rotazione di ciascun disco intorno all'asse centrale.
Talvolta il punto di fissaggio del perno o il nodo della stringa sono coperti da una piccola calotta, con funzioni decorative, fissata con una punta di colla sulla pagina sottostante. Le forme, le dimensioni, i materiali usati, i contesti e la frequenza d'uso delle volvella possono essere molto variabili, tanto da averne condizionato la loro sopravvivenza nel tempo o tabella rotella è un tipo di diapositiva, una costruzione di carta con parti rotanti[passo che sembra fuori posto].
Il gruppo rock Led Zeppelin ha utilizzato una volvella nel design della cover per l'album Led Zeppelin III (1970).



Un rapper americano, Pusha T, scrisse nel 2003 il jingle del McDonald's ormai famoso su scala globale "I'm lovin it".
Tuttavia non possiede alcun diritto di pubblicazione su di esso.


Questo errore gli è costato milioni di dollari, e lui, imparando dagli errori, possiede il 40% dei diritti su una campagna pubblicitaria di Arby's, una catena di ristoranti americana.




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L'editoria è l'attività imprenditoriale di produzione e gestione di contenuti riproducibili in serie e della loro diffusione e commercializzazione in forme trasmissibili attraverso i media (e oggi anche attraverso le reti telematiche). Il soggetto che esercita tale attività è detto editore.
L'editoria è il processo di trasformazione delle idee di un determinato autore in contenuti accessibili e disponibili a tutti. Comprende le seguenti fasi: selezione degli originali, preparazione delle bozze, cura del progetto grafico, stampa. Se nel XIX secolo l'editoria, libreria, periodica e musicale, proponeva al pubblico un oggetto con evidenti caratteri materiali (libro, giornale, disco), oggi il termine indica anche la produzione di CD-ROM ipertestuali, eBook e file digitali.

Storia dell'editoria
La storia dell'editoria è materia di studio relativamente recente.
L'editoria nacque come industria per la produzione in serie di libri. Si potrebbe pensare che la nascita dell'editoria corrisponda con la nascita della stampa a caratteri mobili e che, quindi, il primo editore sia stato Johann Gutenberg. In realtà Gutenberg non fu un editore nel senso pieno del termine, ovvero un imprenditore, ma rimase uno stampatore.
Un precursore dell'editoria così come è intesa oggi fu l'italiano Aldo Manuzio (1449 - 1515). Nel 1494 a Venezia egli iniziò la sua attività di tipografo e libraio, nel corso della quale stampò e vendette un numero considerevole di opere in greco e latino. Manuzio non esercitava solo l'attività di stampatore: egli curava il processo di preparazione del libro nel suo complesso (entità di contenuto, forma estetica e realizzazione materiale) e, nel caso di opere di autori viventi, interveniva anche sul contenuto, affiancando l'autore nella sistemazione del manoscritto. Oltre a Manuzio, sono ben noti altri librai italiani del Cinquecento, quali Nicolò d'Aristotele detto Zoppino o Francesco Marcolini da Forlì, anch'essi attivi a Venezia.
I primi veri editori nel senso pieno del termine apparvero in Europa in un periodo che va (a seconda delle aree geografiche) dal 1790, con la Rivoluzione francese, agli anni '40 dell'Ottocento. Nello stesso periodo si assisté a un profondo mutamento nella base dei lettori. Mentre alla fine del XVIII secolo il pubblico era costituito prevalentemente dalle persone benestanti, nel corso degli anni si affacciarono alla lettura nuove fasce sociali e nacque il pubblico femminile. Gli editori colsero il cambiamento in atto e attuarono scelte imprenditoriali nuove: invece di pubblicare per un pubblico già conosciuto e stabile, iniziarono ad investire i propri capitali nella produzione di testi economicamente convenienti e per un pubblico di lettori più vasto e anonimo.

Organizzazione del processo editoriale
La figura dell'editore
L'editoria è, prima di tutto, un'attività culturale, basata sulla scelta e la cura dei contenuti creati da artisti, scienziati, filosofi... per portarli, trasformati in oggetto fisico (il libro appunto, ma anche l'articolo, il saggio, la recensione), fino all'utente finale: il lettore.
L'editore è quindi l'artefice della trasformazione della scrittura in un qualcosa di largamente fruibile. Questa funzione creativo-culturale permette al pubblico, almeno teoricamente, di fruire di contenuti filtrati evitando di esporlo a un'indiscriminata massa di materiale (il cosiddetto controllo editoriale o linea editoriale). Con il tempo questa funzione di discernimento dei contenuti è andata via via scemando (anche a causa della crisi delle vendite cartacee, della diffusione dei nuovi media e al fenomeno delle autoedizioni.

Differenze con l'inglese editor
In italiano il termine ha un significato diverso rispetto al vocabolo inglese editor. Editor, che significa "curatore di un'opera scritta da altri" è un termine che abbraccia un vasto campo di attività, dalla stampa professionistica al giornale locale. In particolare, nei giornali piccoli il lavoro di compilazione e messa in pagina degli articoli è compiuto da una sola persona. L'articolo di apertura di tali pubblicazioni è denominato "lettera del curatore" (letter from the editor). Il termine inglese con cui si indica un editore o una casa editrice è publisher.
Le altre figure professionali
Nel lavoro editoriale è coinvolta una catena di figure professionali provenienti da varie discipline. Un elenco indicativo di queste figure, affiancate ma non sempre distinte da quella dell'editore, specie nelle piccole case editrici, potrebbe essere il seguente. Un simile elenco dà anche la possibilità di offrire uno schema sintetico del processo editoriale in sé, ovvero del passaggio del documento dalla sua forma dattiloscritta al suo arrivo nelle mani del lettore.
  • A monte:
  • l'autore: è colui che detiene la proprietà intellettuale del contenuto del libro o del prodotto editoriale. Può avere un contratto di esclusiva con un singolo editore (contratto di edizione) o lavorare in proprio per più gruppi editoriali;
  • il traduttore: potrebbe essere forse inserito nella categoria successiva visto che questo professionista si inserisce spesso nella catena di produzione del libro a valle delle decisioni prese dal consiglio direttivo. Talvolta il traduttore assume però uno specifico ruolo nell'individuazione dei testi da tradurre e in generale in tutte le fasi del progetto editoriale, in particolare quando il progetto richiede competenze specialistiche sia relativamente agli ambiti linguistico-culturali fonte e target, sia relativamente al genere testuale e alle sue specifiche convenzioni e genealogie letterarie. Questo può essere il caso di testi poetici o di generi narrativi dotati di una forte enciclopedia di temi e tropi condivisi da autori e lettori a cavallo tra due generi geografico-linguistici, come la fantascienza;
  • l'agente letterario: rappresenta gli interessi dell'autore o comunque del proprietario dei diritti. Il suo compito è trovare una collocazione ideale dell'opera valutando il profilo della produzione degli editori nel Paese in cui opera e le loro potenzialità e capacità culturali e commerciali per meglio diffondere il lavoro dell'autore. Collocata l'opera e negoziati, per conto dei proprietari dei diritti, i termini contrattuali con l'editore, l'agente deve vegliare sino alla scadenza del contratto affinché il contratto stesso venga rispettato e l'opera trovi la miglior diffusione possibile. L'agente letterario deve quindi disporre di sufficienti conoscenze in campo giuridico, letterario ed economico.
  • Chi trova, giudica e decide il destino del libro:
  • il direttore editoriale: principale responsabile delle scelte editoriali, decide l'acquisizione dei diritti sulle opere e mette sotto contratto gli autori (nel caso di una piccola e media impresa può coincidere con l'editore). La carica ha le stesse mansioni di quella di direttore generale;
  • il curatore editoriale: mantiene i contatti con gli autori e va alla caccia di nuovi talenti. Nelle grandi case editrici lo scopritore di talenti è un cacciatore di libri in Paesi diversi dal proprio; vivendo in un Paese straniero, si tiene a stretto contatto con autori ed editori di quel Paese per acquisire libri idonei al catalogo del proprio editore;
  • il direttore di collana: cura i contenuti delle singole collane, viste come articolazione fondamentale della missione culturale e commerciale dell'editore;
  • il consulente editoriale: detto anche lettore, giudica il materiale reperito da scout e curatori editoriali e ne valuta il valore intrinseco, oltre a segnalarne debolezze ed errori concettuali. Come anche le altre figure professionali citate sopra, egli può dover essere altamente specializzato, particolarmente nell'editoria tecnica e scientifica.
  • Chi rende il libro ciò che poi il lettore acquisterà:
  • il curatore editoriale (vedi anche sopra): è una figura fondamentale che assiste l'autore, intervenendo durante e/o alla fine della stesura del libro, discutendo con lui i contenuti, la forma, apportando tagli, correzioni, aggiunte. Soprattutto nell'editoria anglosassone è una figura di rilievo: basti leggere i ringraziamenti degli scrittori inseriti nei propri libri per capire l'importanza del suo apporto. In Italia la figura del curatore editoriale è meno delineata e a volte la si fa coincidere con il correttore di bozze;
  • il designer e/o semplicemente il grafico editoriale: è colui che trasforma il libro da oggetto di pura scrittura a prodotto visivo progettato. Si occupa del sistema d'immagine coordinata editoriale, della scelta delle immagini e del progetto di tutta la parte visuale dell'oggetto libro, della cura grafica e tecnica di ogni singola edizione (copertina, impaginato, caratteri). Gestisce il normario (l'opuscolo contenente le indicazioni sul layout della collana e le scelte grafiche dell'editore);
  • il redattore di collana: gestisce il lavoro editoriale sui libri appartenenti alla propria collana. Effettua le acquisizioni dei diritti, assegna le traduzioni, le revisioni e le correzioni di bozze, verifica il lavoro del designer;
  • il correttore di bozze: legge attentamente le bozze di stampa alla ricerca di eventuali refusi.
  • Chi realizza concretamente il libro:
  • il direttore di produzione: è colui che segue tutto il processo produttivo garantendo la qualità ed i tempi di produzione;
  • i tecnici di produzione: è colui o coloro detengono la gestione dell'intero processo produttivo, occupandosi del reperimento delle materie prime e dei fornitori;
  • il tipografo: è colui che stampa il prodotto editoriale.
  • Chi fa giungere il libro nelle nostre mani:
  • il distributore: cura la distribuzione fisica dei libri attraverso canali di vendita tradizionali (librerie, grande distribuzione, edicole) e i canali di vendita virtuali (siti web specializzati e siti generalisti);
  • il promotore: promuove il libro presso le librerie;
  • il pubblicitario;
  • il critico letterario: è colui che, tramite rubriche specializzate o recensioni su giornali, riviste o siti web, commenta, analizza, boccia o promuove il prodotto editoriale;
  • il libraio: è colui che mette nel catalogo della propria libreria i libri da offrire al lettore, scegliendone la disposizione fisica negli scaffali e nelle vetrine.
Tipologie di prodotti venduti
  • Libro
    • enciclopedia
    • dizionario
    • atlante
    • calendario
    • strenna
    • annuario
    • tascabile
    • pamphlet
    • instant book (libro scritto e stampato in tempi brevi e che appare a ridosso di un avvenimento che ha sollevato l'interesse immediato del pubblico)
  • Ebook
  • Periodico
    • quotidiano
    • settimanale
    • mensile
    • (altre periodicità)
  • Opuscolo
  • Volantino




Risultato immagini per Come la 1437 promuoverà la musica italiana all’estero



Uno spunto per comprendere la situazione, lo si può trovare scorrendo le classifiche dell’european border breakers chart: un’iniziativa finanziata dall’Unione europea per tracciare i brani che hanno più passaggi nelle radio pubbliche al di fuori dal Paese di origine.
Insomma, a vedere la classifica, fuori dai confini la musica italiana non la trasmette quasi nessuno. Certo si tratta di un solo aspetto del mercato musicale, ma serve a dare un’idea di come il settore sia confinato all’interno del territorio nazionale o in alcuni casi in quello di stati limitrofi come la Svizzera. Al contrario, secondo l’ultimo rapporto di Italia Creativa, l’industria musicale tricolore ha totalizzato un fatturato di 4,7 miliardi per un settore che conta quasi 170.000 occupati. Si tratta del nono mercato mondiale per dimensione.
«Probabilmente, uno dei motivi per cui, negli ultimi dieci anni, artisti, discografici e promoter italiani non hanno mai puntato troppo all’estero è che ci troviamo di fronte a un settore in grado di reggersi con le sue gambe e per questo motivo non sente la necessità di puntare ai mercati oltre confine. Altro aspetto è l’assenza di un soggetto che supporti coloro che invece, vogliono guardare oltre».
Per quanto riguarda la promozione della musica italiana, la 1437 vuole diventare il portale di riferimento per gli artisti e gli addetti ai lavori del settore che vogliono puntare al mercato estero e allo stesso tempo per agenzie di booking, etichette discografiche e promoter stranieri che vogliono lavorare con gli artisti italiani. Senza dimenticare la funzione di sportello per coloro che hanno bisogno di una consulenza o un consiglio sulla strategia da seguire. Allo stesso tempo, non manca il supporto economico. Stiamo lanciando un bando per artisti e operatori del mercato discografico: 50mila euro di finanziamenti per supportare la loro attività all’estero. Per i musicisti, il denaro deve essere dedicato alla messa in piedi di un tour e alle spese per la promozione, mentre per quanto riguarda discografici e agenzie di booking italiane, deve essere destinato a coprire le spese per la partecipazione agli showcase festival e alle fiere di settore.
Eventi di questo tipo sono importanti per la promozione della musica. Gli showcase festival ad esempio, sono manifestazioni in cui gli artisti, oltre ad esibirsi per un pubblico di appassionati, suonano anche per gli operatori del settore. Infatti, si stringono contratti e si organizzano date dal vivo.
«Il consiglio che la 1437 può dare agli artisti è suonare il più possibile». Altro aspetto molto importante è la necessità di entrare in contatto con i cosiddetti “gatekeepers”, ovvero giornalisti, bloggers e testate giornalistiche particolarmente rilevanti che possono diffondere la loro musica. «Tutto funziona grazie a una rete di relazioni: per arrivare ai grandi festival bisogna stringere rapporti. E’ molto importante».
Il nostro Paese ha le carte in regola per ritornare ad essere un colosso della musica mondiale.


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La musica indipendente è una definizione che include un'ampia selezione di artisti, solitamente emergenti o rappresentativi di una cultura underground, il cui lavoro è autoprodotto oppure supportato da etichette discografiche minori, o da netlabel, non rapportabili, sia per aspetti legati alla notorietà che culturali, alle cosiddette major.
In Italia la musica indipendente è rappresentata da diverse associazioni di categoria tra cui le principali sono Afterhours Audiocoop, PMI, Arci, Assoartisti.


GLI OSPITI: possono permetterselo per vari motivi, per esempio di Ricchi e Poveri era un pre registrato sicuramente. Ovvero hanno alternato, la prima assolutamente registrata, le successive hanno iniziato in live e continuato in playback. Albano e Romina che hanno cantato l’altra sera anche. La vecchiaia di certo non aiuta, mi chiedo perché continuare ad esibirsi? La Vanoni per esempio sempre senza, l’ho ascoltata dal vivo e dall’alto della sua anzianità riuscì a farmi venire la pelle d’oca.
Zucchero invece sinceramente non ho fatto ben attenzione, non ho capito se suonavano solo in playback e la voce era vera o no. Ma ero distratta.
L’unica che non ha cantato in playback è stata Emma e Tizianone, insomma.
Tutto questo mi porta ad una riflessione: gli ospiti vanno a Sanremo per farsi pubblicità e per lo share che porta la loro presenza fisica. Non per ascoltarli cantare, dunque per vederli.

I CONCORRENTI: Tra chi mi è sembrato avesse avuto il playback è stata Elettra Lamborghini che non ho capito perché avesse quella voce così bassa. (forse mal di gola, boh) Comunque si è dimenticata di una strofa, ha allontanato il microfono, non ha mosso bocca e intanto è uscita la voce.
Ma mi sembra strano poiché ricordo ancora l’esibizione di Arisa con la febbre alta e completamente afona, fece veramente una brutta figuraccia e con ciò non le permisero il playback. Come giusto sia. (Madonna quanto ho riso per questa esibizione, a distanza di un anno rido ancora)


Vi ricordo che negli anni sia alcuni partecipanti come Vasco Rossi ed ospiti come i Queen accettarono di cantare in playback ma il primo mi pare abbandonò il palco e lasciò andare il registrato i secondi fecero del tutto per farlo capire. Agli ospiti si continua ancora a permettere di cantare in playback invece ai concorrenti rispetto ad anni fa, è assolutamente vietato. Non avendo pietà manco di un Arisa. Meglio così, seppur ciò porti un rischio altissimo.
Quindi credo che anche la Lamborghini abituata a cantare sempre in playblack ai live, questa volta si è fatta aiutare dal coro. Mica scema! Solo che non ha abbastanza a esperienza oppure troppa emozione ed è sembrato avesse usato il playback.
Vi lascio il regolamento che sono andata a consultare ieri sera proprio mossa dai dubbi dalla Lamborghini ?: