Questa domanda è davvero interessante, e lo ammetto, ci ho ragionato un po' prima di risponderci.
Per quanto riguarda il primo punto, penso che la risposta sia abbastanza ovvia, insomma, tutto oggi diventa conosciuto grazie alla potenza dei media.
Il K-pop è diventato globalmente famoso grazie a Psy e alla sua canzone Gangnam Style, che è stata la prima canzone al mondo a raggiungere il miliardo di visualizzazioni su YouTube.
Ma in realtà molte band, oggi importantissime per la storia del K-pop, sono nate prima di quella canzone. Fra quelle possiamo ricordare Seo Taiji & Boys, Super Junior, Girls Generation, H.O.T, Big Bang, (f)x e tantissime altre.
Il K-pop segue molto le tendenze occidentali del momento, infatti in questo genere musicale possiamo trovarci di tutto: dal pop al R&B, dal Jazz al Soul, dalle Hip-hop a quelle rap, e tanti altri ancora. Quindi è anche per questo che il K-pop è molto popolare (a mio parere).
Un'altra cosa che attira molta attenzione è il fatto che si esibiscono con coreografie molto complesse mentre cantano canzoni, che a livello tecnico, sono molto difficili.
Ora vorrei concentrarmi sul secondo punto. Su quali basi un genere musicale può essere sopravvalutato?
Il Pop Americano e il K-pop si basano su sistemi industriali molto differenti.
Analizziamo entrambi i punti.
Per diventare famoso, in America, basta postare su YouTube o Instagram un video in cui fai cover di qualche cantante, se hai fortuna e sei bravo, allora la possibilità che qualche casa discografica ti noti è molto alta. Così è successo per lui, oggi famosissimo in tutto il mondo

Shawn Mendes.

Ora invece ci chiediamo, come si diventa famosi in Corea del Sud?
Come ho detto prima, i due sistemi industriali sono differentissimi, se in America bisogna fare una Cover e poi sperare di diventare famoso, nel panorama K-pop non è la stessa cosa.
Per diventare idol (così vengono chiamati i cantanti in Corea del Sud) bisogna fare un periodo di Training, in cui ogni giorno i giovani passano dalle 10 alle 14 ore allenandosi per migliorare le proprie capacità vocali, quelle coreutiche e anche quelle per migliorare la propria presenza scenica. Questo periodo può andare dal singolo anno fino ad arrivare ai 10 anni.
Fra questi possiamo ricordare
Jihyo delle Twice, con ben 10 di Training

G-Dragon dei BigBang, con 6 anni di Training

Kai degli Exo, con 5 anni di Training

Yeonjun dei TXT, con 5 anni di Training
Molti vanno via dal loro paese d'origine per diventare Idol, fra questi abbiamo
BamBam (Got7) e Lisa (BlackPink) dalla Thailandia

Jackson Wang (Got7) dalla Cina

Lee Felix (Stray Kids) dall'Australia

Jae (Day6) dall'America

I membri giapponesi delle Twice

Alcuni di questi sono diventati Trainer in Agenzie già famose come JYP Ent., YG Ent., SM Ent.
Altri invece sono entrati in agenzie che a malapena si reggevano in piedi, quindi non avevano altro che il sogno di fare musica.
Tra questi abbiamo i BTS sotto la BIGHIT

E le Mamamoo sotto la RBW

Quindi insomma, si può dire che il K-pop sia un genere sopravvalutato? A mio parere no.


Quante volte vi siete sentiti guardare di cagnesco dai genitori o dagli amici per quella strana passione che vi portava a giocare nottate intere insieme ad altri patiti come voi, impersonificando le azioni di maghi, guerrieri e chierici?

Ebbene, sappiate che non siete stati gli unici a sentirsi osservati.

Quando Dungeons & Dragons venne messo in commercio, alcuni credevano che fosse una copertura per satanisti assassini.

Nel 1984, l'artista di fumetti Jack Chick, un cristiano evangelico, pubblicò una striscia intitolata Dark Dungeons, con protagonista una giovane di nome Debbie che veniva sedotta e iniziata alle arti della stregoneria grazie alla sua partecipazione a una campagna di Dungeons & Dragons. La figura mefistofelica nella striscia è la Dungeon Master, una donna dai capelli corvini di nome Ms.Frost, che dice a Debbie: "Il tuo chierico è stato elevato all'8° livello. Penso che sia ora che impari a lanciare davvero gli incantesimi". Ma poi l'amica di Debbie, Marcie, si suicida dopo che il suo personaggio muore nel gioco e la nuova strega è sconvolta dal senso di colpa e dal dubbio. Viene salvata, alla fine, quando Mike, un ragazzo cristiano ("Ho pregato e digiunato per te"), la porta a vedere un pastore che è uscito lui stesso "dalla stregoneria". Debbie incontra il pastore e si pente, accettando Gesù come suo Salvatore: "Voglio che tu sia responsabile di tutto ... non di quel pessimo manuale di D. & D."

Amen.

Ideato da Gary Gygax e Dave Arneson, nel 1974, Dungeons & Dragons era passato da una prima stampa di mille copie assemblate a mano, a fenomeno di costume per migliaia di giovani. All'inizio degli anni ottanta, il gioco generava otto milioni di dollari di vendite annuali, una cifra che sarebbe salita a trenta milioni più tardi nel decennio. La TSR, la società creata da Gygax e Don Kaye, nel 1973, è diventata il principale fornitore di giochi di ruolo nel mondo.

Tuttavia, sin dalla sua prima versione, Dungeons & Dragons ha anche destato sospetti. Negli anni Settanta L'intelligence dell'esercito americano aveva persino inviato due agenti per infiltrarsi nel circolo dei giochi di ruolo di Gygax nel Wisconsin, credendo che le rievocazioni da tavolo del gruppo con figure in miniatura potessero essere sessioni di formazione per aspiranti ribelli antigovernativi.

Nel 1979, il gioco venne collegato alla scomparsa di uno studente universitario di nome James Dallas Egbert III. Anche se alla fine venne trovato illeso, l'episodio fu trasformato in Labirinti e mostri, film tv con protagonista Tom Hanks.

Ci si è messa anche Tipper Gore, la irreprensibile madrina dell'etichetta "Parental Advisory Explicit Lyrics", che ha collegato il gioco al satanismo e all'occulto.




Eddie Van Halen verrà ricordato in futuro come uno dei più grandi chitarristi della storia della musica, insieme a Jimi Hendrix.

L'importanza di Eddie Van Halen non è legata solo a pezzi immortali come Eruption, Jump, Running With The Devil, Poundcake e moltissimi altri. L'importanza di Eddie non è solo nella maestria con cui ha fatto conoscere al mondo la tecnica del tapping, di cui è stato uno dei grandi maestri e promotori.

Il suo valore, unico e per certi versi irripetibile, è stato quello di essere stato in grado di coniugare virtuosismo e accessibilità.

Di bravissimi chitarristi è pieno il mondo. Su YouTube potete vedere funamboli della sei corde che suonano a dodici anni come se avessero quattro mani eseguendo partiture di Bach a testa in giù. Il punto non è questo.

Eddie era esibizione, talento, carisma, tecnica, melodia, ispirazione, estro, ego, tutto in un'unica esplosiva amalgama in cui ogni fattore elevava esponenzialmente quello seguente.

Eddie ha saputo, con i suoi compagni, scrivere brani che hanno fatto storia, e che hanno lanciato i Van Halen nell'Olimpo del (hard) rock. Essere dei fenomeni e scrivere successi mondiali non è da tutti, anzi! E lui ha saputo farlo, per tantissimi anni, ispirando migliaia di chitarristi che oggi lo piangono e che dichiarano apertamente il debito contratto con lui.

Eddie è morto, ma sentiremo parlare di lui ancora per molto, moltissimo tempo!


Scrittori sopravvissuti -


Un bravo scrittore si sente dalle seguenti caratteristiche:
  1. dalla scorrevolezza, dove per scorrevolezza intendo la capacità di dire cose complicate in maniera molto semplice. NESSUN bravo scrittore al mondo dice in maniera complicata cose che potrebbe dirci altrettanto bene in maniera molto più semplice e immediata. Perché farlo non avrebbe alcun senso, vero? ERGO, la scorrevolezza è un modo facile e immediato per capire se uno scrittore è bravo, specialmente se paragonato agli altri se considerate che, bene o male, per quanto sperimentale possa essere uno stile, tutti gli scrittori affrontano grosso modo le stesse sfide (introdurre dei personaggi, introdurre una storia, eccetera). Quando uno scrittore - per esempio - riesce a darci perle di psicologia dei suoi personaggi senza passare per interminabili monologhi interiori, è già sopra la media.
  2. Creatività, dove per creatività intendo creare storie che per la nostra epoca/cultura sembrano arrivate da un altro mondo.
  3. il Focus ovvero la capacità di raccontare ciò che CONTA della storia. E viceversa, la capacità di NON raccontarci tutta una una serie di inutili fregnacce che nulla tolgono e nulla aggiungono alla trama. Il focus è duale: si misura sia nello stile che nel contenuto. Per quanto riguarda il focus nel contenuto, tutti gli scrittori improvvisano almeno una parte delle loro trame. E poi, quando hanno difficoltà a capire il prosieguo della storia, si prendono allora una sorta di 'pausa' durante la quale scrivono dell'altro (ma sempre riguardante la trama principale). E poi, proprio mentre stanno scrivendo il libro delle ricette di Mordor (di cui non frega assolutamente nulla né a noi né a lui), ecco che gli appare improvvisamente in testa come farà Frodo ad arrivare finalmente in cima al vulcano. Ecco: i grandi scrittori sanno quando hanno scritto qualcosa solo per fare brainstorming, e se lo tagliano da soli. Ed ecco che, come per magia, uno scrittore bravo sembra scrivere sempre in fase 'up' come per magia. Questo per quanto riguarda il focus del contenuto. Per quanto riguarda invece il focus nello stile, è la capacità di raccontare ciò che conta rispetto a ciò che sta succedendo. Sì perché per strano che possa suonare a chi non scrive, i modi di descrivere la stessa identica cosa, per uno scrittore, non sono tanti... Sono pressoché infiniti. Durante un inseguimento in macchina, per esempio, non ce ne frega nulla se il cattivo ha i sedili in pelle. Okay? Basta un singolo dettaglio al momento sbagliato, e l'attenzione del lettore verrà stupidamente dirottata su qualcosa che rovina tutta l'atmosfera costruita fino ad allora. Sotto questo punto di vista, bastano in genere un paio di pagine per capire il livello medio del focus stilistico di uno scrittore, specialmente di quelli alle prime armi. E dal mio punto di vista, è il modo più facile e immediato per capire il 'livello' medio di uno scrittore. Se uno scrittore è bravo in questo, tutto il resto dipende soltano da quanto abbia 'imbroccato' una buona idea nella sua testa. Ma - aimé - per giudicare quella occorre poi leggere tutto il libro.



Innanzitutto bisognerebbe dire che spesso le folle che si vedono nei cinema non sono "reali".

Di solito si tratta di poche persone che vengono riutilizzate nello sfondo, infatti quando bisogna mostrare un grande numero di gente, i film maker usano (come hanno sempre fatto) ogni trucco possibile per evitare di pagare migliaia di comparse.

La simulazione della folla in CGI è molto comune e realistica oggi, ed è in grado di fornirci una falsa percezione di quante comparse effettivamente siano coinvolte nella scena.



Una folla realizzata al computer.

In passato (e a volte anche oggi) era molto comune costruire personaggi fantoccio con cartoni o manichini per le scene nei grandi stadi, per esempio.



Anche i dipinti opachi sono un'altra tecnica:





Insomma, se devi pagare centinaia di migliaia di persone anche solo 10 dollari ciascuno, ti tocca sborsare almeno un milione di dollari, e questo è niente in termini di costi!

Il primo porto di scalo della produzione cinematografica è trovare dei trucchi per risparmiare sui costi.

Nei film dove ci sono grandi folle di persone reali, i registi avranno sempre un occhio di riguardo per tagliare i costi.

Ad esempio, potrebbero provare ad organizzare le riprese durante un evento reale, o ricompensare le persone solo con le spese basiche (ad es. cibo) oppure fare affidamento sulla passione dei fan per convincerle a venire sul set gratis, solo per divertirsi.

In alcune occasioni è successo comunque che le produzioni abbiano pagato molte folle di comparse; dipende molto dal film e dal budget a disposizione.



Perché essendo la creatività una attività di nicchia e poco conosciuta, esiste purtroppo un divario di competenze 'assoluto' tra chi crea e chi non crea. E quindi, a volte è meglio tapparsi un pochettino la bocca, se non si vuole andare a mettere in discussione credenze cui l'altra persona crede… Da troppo tempo, per non restare scandalizzata.


E' un discorso lungo, e spero di non annoiarvi.
Io scrivo romanzi di genere da quando avevo 14 anni (adesso ne ho 42) e mi hanno fatto spesso questa domanda. Il più delle volte, mi hanno fatto la domanda quasi pretendendo una certo tipo di risposta, e restando poi delusi da quella che ricevevano.
Regnano infatti sovrani (e direi 'assolutamente sovrani') ben due luoghi comuni che QUASI NESSUNO accetta di mettere in discussione.
Metterli in discussione suona quasi come una offesa personale, a volte. E quindi, quando capisco di essere di fronte a una di queste persone… glisso anch'io abilmente sulla risposta dando risposte standard. Ad ogni modo, i luoghi comuni 'assolutamente universali' in materia di creatività sono i seguenti:
  1. creare (scrivere musica, romanzi, eccetera) sarebbe una una sorta di magia ai limiti del paranormale.
  2. siccome 'creare davvero' sarebbe in sostanza impossibile, l'ispirazione verrebbe SEMPRE e SOLO da quelli che io chiamo 'i caXXi propri'. In sostanza, l'ispirazione verrebbe sempre e soltanto dalla propria vita, dai propri desideri, dai propri interessi, eccetera.
In sostanza, chi NON è un artista vede in genere gli artisti come un gigantesco spot mediolanum dove 'ruota tutto intorno a te'. O peggio ancora, tutte e due le cose assieme: gli artisti sono degli stregoni e ruota tutto intorno a loro (!!!).
Ma perché regnano sovrani questi due luoghi comuni?
Bé… Io una teoria ce l'ho.
Secondo me, sarebbe a causa del Dunning Kruger effect, un fenomeno psicologico che si è trovato recentemente alla ribalta sui social e su internet perché… Perché se lo merita.
E se lo merita perché spiega davvero un sacco di cose meravigliose tra cui i terrapiattisti, i no vax eccetera. E nel nostro caso, torna utile senz'altro.
Supponiamo per un attimo che sei un giornalista.
Non hai mai inventato una sola trama in vita tua perché, notoriamente, il mestiere del giornalista è in realtà trovare notizie (che è tutt'altra cosa dal fare lo scrittore).
La tua conoscenza delle basi della scrittura creativa allora è probabilmente pari a zero, e in Italia in particolare è sotto zero. Nei paesi anglosassoni - per chi non lo sapesse - insegnano almeno le basi della scrittura creativa fin dalle scuole medie (introduzione dei personaggi, i tre atti della storia, scrittura dei dialoghi, gestione del ritmo della narrazione). Ma in Italia, sulla creatività letteraria regna una ignoranza pressoché assoluta proprio per questa visione 'mistica' della creatività.
Adesso prendiamo chessò… Gli indigeni dell'amazzonia. Che succede quando vedono un cellulare per la prima volta nella sua vita?
Pensano che sia una stregoneria.
Di fronte alle cose che per noi sono del tutto incomprensibili, noi tendiamo a pensare che dietro ci sia un miracolo, della magia, eccetera. Non sapendo cos'è la creatività perché non ci abbiamo mai avuto a che fare, tendiamo 'naturalmente' a pensare che sia di origine paranormale (cosa che non è). Oppure - peggio ancora - pensiamo che sia il frutto di un trucco: ovvero, rielaborare i cavoli nostri.
E siccome le persone che non sanno NULLA di un certo argomento tendono tutte ad avere la stessa opinione su quel determinato argomento, ecco che in genere i giornalisti vanno a fare sempre le stesse domande agli artisti, e quasi pretendono di avere una conferma di ciò che pensano da tanti anni.
Volete sentire la mia risposta a dove trovo l'ispirazione, quando scrivo?
Si trova in tantissimi modi, tutti diversi tra loro.
Leggendo tanti libri su un certo argomento (chessò, la guerra sul Vietnam, l'esplorazione spaziale, eccetera), presto o tardi ti verrà un'idea originale a sufficienza da scriverci un ottimo romanzo su. Per le notizie di attualità dal mondo, vale lo stesso principio.
Poi ci sono le idee 'dal nulla', quelle che partono da situazioni standard (una casa infestata, vendere l'anima al diavolo per avere successo, eccetera).
Poi c'è il fantasy (inventarsi un futuro palesemente diverso dal presente attuale, o una realtà alternativa, eccetera).
I veri fulmini a ciel sereno, però, mi vengono solo mentre sto scrivendo qualcos'altro, e quelli non si razionalizzano.
La scrittura è il mezzo di brainstorming più potente che esista, e le idee migliori della mia via mi sono sempre venute scrivendo robaccia per esercizio, destinata al cestino.
Detto questo, partire dalla mia vita personale per scrivere qualcosa…
Sinceramente non mi è mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello. Ho un culto della creatività troppo marcato per romanzare cose che mi sono successe veramente. Sarebbe un 'trascrivere', non uno scrivere. Non sarebbe creare, ma rielaborare, remixare, edulcorare, eccetera.
Senza dimenticare la creatività assoluta, quella che consiste nell'abbandonare il punto di inizio della trama… Per andare OVUNQUE essa ti porti, fregandotene letteralmente delle conseguenze TRANNE portare a termine ciò che hai inziato.
In sostanza, si tratta di fingere che la tua storia sia una storia 'vera', e di riuscire a farlo anche se sai benissimo che non lo è. Si tratta di andare ovunque ti portino quei personaggi e quella storia, senza pensare nemmeno a scrivere un buon romanzo, ma focalizzandoti SOLO sulla fedeltà all'idea originale (e sul portarlo a TERMINE).
Questo si può (e si deve) fare anche col fantasy.
'Se quel mondo esistesse veramente, e se quei personaggi fossero persone vere che ci vivono veramente... Cosa succederebbe adesso? Come si comproterebbero adesso?'.
Questo è il mio modo di scrivere.
Ma se devo essere sincero, ho visto storcere il naso di fronte a queste mie uscite talmente tante di quelle volte, che spesso adesso glisso anch'io sulla domanda, quando me la fanno.



Elvis in realtà era biondo! Iniziò a tingere i capelli di nero corvino perchè in quegli anni essere biondi significava essere frivoli e poco virili. Si dice che avesse una vera e propria mania per la cura dei capelli, tanto che, quando era ancora in vita, avrebbe lasciato disposizioni di essere esposto nella bara con i capelli curati e tinti alla perfezione.




Coppa Italia, Sylvestre sbaglia l'inno di Mameli e viene attaccato ...



Emozione e agitazione
A me una volta è successo di non ricordare in che anno siamo. Ho dovuto controllare sul telefono.
Ma la cosa più interessante secondo me, non è che abbia avuto un'esitazione durante una perfomance, ma quanto letame hanno tirato contro questo ragazzo alcune persone.
Ovviamente in Italia puoi dare degli inferiori ai meridionali, che fino a prova contaria sono italiani
Puoi dire che "Roma" capitale d'Italia è "ladrona"
Puoi dire che se non aiuti il Sud "questi esondano al Nord"
ma guai a confondere le strofe dell'Inno, perché altrimenti i patrioti improvvisati si risentono.
Ovviamente il povero Sergio Sylvestre ha anche l'aggravanete di essere nero e americano e quindi sia mai che si possa tollerare il fatto che sbagli il nostro inno.
Poi va beh
Poco conta che fino a pochi anni fa neanche i calciatori nati e cresciuti in Italia, bianchissimi di carnagione, si prendevano la briga di impararlo quando andavano a rappresentare l'Italia ai mondiali e che se non fosse stato per Benigni che lo ha spiegato a San Remo, tutti dicevano "stringiamoci a corte" e non "stringiamoci a coorte". Ovviamente molti neanche sanno cosa sia una coorte, ma si incavolano così tanto quando gli sbagli l'inno.
Ma poi che dirà mai questo inno?
Fratelli Italiani giusto?
No?!
Ah… dice "Fratelli d'Italia"
Un ragazzo che visita l'Italia a 22 anni, che decide di viverci e che accetta di mettere a disposizione il proprio talento artistico per cantare l'inno di una terra non sua, ma che l'ha accolto, può essere definito un fratello d'Italia?
Ah no
È nero





Alla sua prima uscita nelle sale nel 2001 fece poco più di mezzo milione di dollari.
Complice il passaparola, tornò in sala nel 2004 con grande successo, divenendo un cult.


Personalmente non ho dubbi: l'editor.

Mi riferisco in particolare a quei professionisti dell'editoria che prendono un testo grezzo e lo trasformano nella sua versione definitiva e "vendibile". Non pensate infatti che un libro che esce dalla penna arrivi così automaticamente in tipografia. Manco per sogno. L'editor è un professionista che lavora sul testo, che conosce molto bene l'autore e che è in grado di modificare, armonizzare, integrare, sfoltire un testo per renderlo definitivo.

Io ho lavorato con tre editor e ciascuno di loro ha fatto lavori egregi, aiutandomi a ridefinire il testo come da solo non sarei stato in grado di fare. A seconda dell'autore e del tipo di intervento, l'editor può limitarsi a tagliare e modificare, oppure perfino scrivere delle parti integrative (che dovrebbero sempre essere sottoposte al vaglio finale dell'autore).

Quando l'editor scrive più dell'autore, iniziamo a sconfinare nel ghost writer di cui si avvalgono molti illustri personaggi per scrivere libri che da soli non sarebbero in grado di scrivere.

Ogni volta che andate in libreria e vedete un libro scritto da qualcuno che non è uno scrittore, sappiate che dietro c'è sempre la mano di un professionista. A volte la mano po' esse piuma, altre volte po' esse fero. A seconda dell'autore. Né Diletta, né Taylor, né altri VIP che non scrivono si svegliano la mattina con la vena di scrittore e fanno tutto da soli, ma hanno un team alle spalle che li supporta. Attenzione: non sto dicendo che questi libri non li abbiano scritti loro, ma che dietro ogni libro c'è una professione oscura e sconosciuta che raramente si conosce, ma che chiunque legge un libro, bene o male … incrocia!






La domanda ha una risposta complessa a seconda che la si consideri dal punto di vista della produzione cinematografica italiana oppure statunitense. Le regole sono diverse come sono diversi gli organismi che sovraintendono alla correttezza dell’uso di tali definizioni (Ministero Beni Culturali e Turismo - MiBACT, in Italia, Producers Guild of America - PGA, negli Stati Uniti).

Premetto pertanto che la risposta sarà lunga, ma preferisco fare chiarezza in tanti fraintendimenti che spesso circolano nel settore.

Alcuni titoli infatti (produttore esecutivo, produttore associato, ecc.) assumono significati diversi a seconda dell’ambito in cui vengono utilizzati.


In Italia:

In Italia, il produttore di un film ai sensi dell’art. 45 della L. 22 aprile 1941 n. 633 (Legge sul Diritto d’Autore) è colui che “ha organizzato la produzione stessa”. Si presume produttore chi sia indicato nei titoli della pellicola cinematografica o che sia registrato come tale al Pubblico Registro Cinematografico, il registro in cui vengono registrati tutti i film di produzione ufficiale italiana (la cui produzione sia stata comunicata al Ministero del Beni Culturali e del Turismo attraverso la c.d. “Denuncia di Inizio Lavorazione”, in gergo “D.I.L.”).

“Organizzare la produzione” significa che il produttore debba:

  • occuparsi dell’acquisizione dei diritti d’autore appartenenti ai quattro autori dell’opera cinematografica (ai sensi dell’art. 44 della Legge sul Diritto d’Autore), ovvero autore/i del soggetto, autore/i della sceneggiatura, autore/i della regia (regista/i) e compositore/i della colonna sonora;

  • occuparsi del finanziamento del film, vale a dire:

    • determinare il budget (costo del film);

    • determinare il piano finanziario, ovvero identificando le fonti di finanziamento (risorse proprie, investitori, finanziamenti bancari, crediti d’imposta, contributi regionali, prevendite di diritti cinematografici all’estero ed in Italia, ecc.);

    • determinare il cash-flow, della produzione, ovvero come e quando le singole voci di finanziamento entreranno in cassa e come e quando verranno spese;

  • occuparsi della produzione del film: contrattualizzando il produttore esecutivo (v. oltre), il regista (per la sua prestazione, ulteriore rispetto all’acquisto diritti di cui sopra), il direttore della fotografia, il compositore delle musiche (come sopra per il regista), il capo costumista, il capo scenografo, gli attori principali, i capi reparto, prendendo accordi per l’accesso a determinate locations, ecc. In una parte di questa attività il produttore è coadiuvato dal produttore esecutivo (v. oltre);

  • occuparsi della distribuzione del film, quantomeno nella parte iniziale, consistente nell’identificare il distributore nazionale (che si occuperà poi della distribuzione del film in sala e della negoziazione con gli esercenti delle sale cinematografiche) e negoziare il relativo contratto di distribuzione, e negoziare i diritti del film per l’estero (direttamente con acquirenti stranieri o affidandosi a un agente di vendita o sales agent);

Al produttore spetta l’esercizio dei diritti di utilizzazione economica del film, vale a dire lo sfruttamento cinematografico dell'opera prodotta (art. 46 Legge sul Diritto d’Autore).

Il produttore può produrre il film da solo oppure insieme ad altri produttori che possono partecipare sia al solo finanziamento del film, sia coadiuvare il produttore nelle sue attività. In tal caso di parla di produttori associati o co-produttori. Solitamente questo ultimo termine viene utilizzato nel caso di co-produzioni internazionali, ove due o più produttori appartengono a nazioni diverse. Trattati internazionali (trattati bilaterali sulle co-produzioni) o convenzioni (es: Convenzione Europea sulle Coproduzioni - Strasburgo 1992) consentono alle co-produzioni di ottenere particolari vantaggi finanziari (contributi da fondi nazionali e internazionali per le co-produzioni, fondi MEDIA, Eurimages, ecc.). Quando più co-produttori devono produrre insieme un film, nominano fra loro un produttore delegato, ovvero colui che fra i co-produttori porterà avanti effettivamente la produzione, incaricando un produttore esecutivo.

L’attività effettiva di produzione viene infatti solitamente affidata a un produttore esecutivo. Il produttore esecutivo segue (esegue, da qui il termine “esecutivo”) le indicazioni del produttore ed è specializzato nel gestire le riprese vere e proprie del film, contrattualizzare gli attori minori, le maestranze, i fornitori, ecc. A volte lo stesso produttore svolge anche il ruolo di produttore esecutivo, tuttavia, nelle produzioni più importanti, i due ruoli sono distinti.


Negli Stati Uniti:

La figura del producer anglosassone ricalca, più o meno, quella del produttore di stampo italiano, con la differenza che mentre in una società di produzione italiana vi è solitamente un produttore, nelle società di produzione anglosassoni (più grandi e strutturate) possono esserci più produttori, ciascuno responsabile di uno specifico progetto produttivo.

Inoltre, acquisiscono il titolo di producer (e la menzione “produced by”) anche quelli che in Italia vengono chiamati produttore associato e co-produttore (sono in effetti produttori di pari grado del producer).

Il produttore esecutivo italiano è invece - nella prassi e nel linguaggio anglosassone - definito come line producer, ovvero produttore di [prima] linea”, nel senso che - con una terminologia quasi militare - il suo lavoro consiste, seguendo (eseguendo) le indicazioni del produttore, nell’occuparsi della prima linea di fuoco, della trincea, svolgendo dunque il ruolo del produttore esecutivo (italiano).

Viceversa, l’ executive producer NON È un produttore esecutivo. L’ambiguità della traduzione è determinato da ciò che in linguistica viene definito un caso di “falsi amici” o “false friends”: termini che suonano nello stesso modo ma hanno significati diversi in due lingue diverse (si pensi al significato di “bravo” in italiano, diverso dal significato nella lingua spagnola, ove significa “selvaggio”).

Mentre infatti in italiano “esecutivo” ha il significato di “che ha la facoltà di eseguire (…) che attende all’esecuzione, che si limita ad eseguire” (Diz. Treccani), in inglese il termine ha un significato più ampio ed elevato di “a person with senior managerial responsibility in a business organization” (“una persona che ha responsabilità di gestione superiore in una struttura aziendale”). Per questo motivo, nel mondo anglosassone, l’Executive Vice President è superiore al Vice President, ecc.

L’executive producer (in breve: EP) è solitamente un soggetto diverso dal producer e si occupa di affiancare il producer occupandosi alcuni specifici aspetti della produzione: reperire, ottimizzare, strutturare i finanziamenti e/o la struttura legale della produzione (EP in charge of financing, EP in charge of legal) oppure alcuni aspetti creativi come il reperimento dei diritti o la gestione del talent pool (regista, attori, ecc.) tramite, solitamente, una grande attività di relazione (EP in charge of creative, anche definito come creative producer).

Alcune volte, il titolo viene dato a chi sia stato in qualche modo “determinante” per il film: ad es. a chi abbia assicurato l’acquisto dei diritti necessari a produrre il film (si pensi alle grandi “franchise” come Star Wars, James Bond, Harry Potter, ecc.), oppure a chi abbia fornito una parte rilevante del finanziamento (si pensi ai gestori di fondi, ecc.).

Secondo le regole della PGA (Producer’s Guild of America, il sindacato dei produttori), può essere infatti definito “executive producer” colui che:

has made a significant contribution to the motion picture and who additionally qualifies under one of two categories:

  • Having secured an essential and proportionally significant part (no less than 25%) of the financing for the motion picture; and/or

  • Having made a significant contribution to the development of the literary property, typically including the securement of the underlying rights to the material on which the motion picture is based.

(“ha fornito un contributo significativo alla produzione del film e ulteriormente si qualifica in base ad una delle seguenti categorie:

  • ha assicurato alla produzione una parte essenziale e significativa (non inferiore al 25%) del finanziamento del film, oppure

  • ha fornito un contributo significativo allo sviluppo della proprietà letteraria, tipicamente assicurandosi i diritti [letterari o di altro tipo] sui quali il film si fonda.”)

In Italia non vi è alcuna figura che corrisponda all’executive producer, il che spesso crea problemi non solo nella traduzione dei titoli ma anche nell’attribuzione dei ruoli ufficiali in caso di co-produzioni internazionali (spesso viene erroneamente tradotto come produttore esecutivo o, viceversa, il produttore esecutivo viene tradotto come executive producer nei titoli inglesi).

A fianco del producer possono anche essere riconosciute altre posizioni, quale quella dell’associate producer (diverso dal produttore associato italiano che per gli anglosassoni è un producer).

Il titolo di associate producer è (PGA Code of Credits) concesso “solely on the decision of the individual receiving the Produced By credit, and is to be granted sparingly and only for those individuals who are delegated significant production functions.”

(“solo per decisione del soggetto che abbia ricevuto un credito di “prodotto da” e deve essere usato con parsimonia e solo a quei soggetti ai quali siano state delegate importanti funzioni di produzione”), mentre il titolo di co-producer, che nel sistema anglosassone spesso si identifica con il line producer, viene dato a “the individual who reports directly to the individual(s) receiving "Produced By" credit on the theatrical motion picture” (“il soggetto che riporti direttamente al soggetto che abbia ricevuto un credito di “prodotto da” nel film”, cioè il producer) e dunque co-producer è (PGA Code of Credits) “the single individual who has the primary responsibility for the logistics of the production, from pre-production through completion of production; all Department Heads report to the Co-Producer / Line Producer.” (“il soggetto che ha la responsabilità primaria della logistica della produzione dalla pre-produzione al completamento della produzione; tutti i capi-dipartimento riportano al co-producer/line producer”).


BONUS:

Mentre, come detto sopra, in Italia non vi è una figura paragonabile all’executive producer anglosassone, in Francia il produttore di un film è definito producteur, il produttore esecutivo è definito producteur exécutif e l’executive producer è definito producteur délégué. In italiano però non possiamo tradurre il ruolo di producteur délégue (che sarebbe l’executive producer) come produttore delegato, in quanto quest’ultimo è quello, fra i co-produttori, che fa da capofila e incarica il produttore esecutivo.

Semplice no?