Già, è proprio vero: Ben Stiller era uno di quegli attori che piacevano proprio a tutti, però ultimamente è, come dire, un po' sparito nel nulla. Ma come mai?



L'ex membro della frat pack (nomignolo preso dalla rat pack di Sinatra, usato per definire un gruppo di attori che parteciparono insieme in vari film, e composto da: Jack Black, i fratelli Wilson, Will Ferrell, Carell, Vince Vaughn e appunto Stiller), un tempo uno tra i più pagati attori di Hollywood, e l'attore comico più popolare assieme a Jim Carrey, è ora completamente scomparso dalle nostre sale cinematografiche.
Il suo ultimo film di cui ci ricordiamo, è stato l'insoddisfacente Zoolander 2, mentre l'ultimo film con qualche pretesa di successo (uscito subito dopo il modesto progetto di The Meyerowitz Stories— distribuito da Netflix, e resosi famoso principalmente per la sua diatriba con Cannes) fu Brad's Status, inedito in Italia, il quale fu un assoluto insuccesso (basandosi sulla risposta negativa della critica e sul fatto che — pur essendo stato distribuito da due buone case (Amazon e Annapurna) la pellicola fu un fiasco totale al botteghino ($3.8 milioni—giusto per darvi un'idea, il penultimo Notte al Museo fece 420 milioni di dollari).
Brad's Status fu anche l'ultimo film di Ben Stiller, che dal 2017 ha completamente smesso di recitare [in produzioni cinematografiche].
Da allora Stiller è riapparso sugli schermi una sola volta, nel 2018, in un divertentissimo ritorno al Saturday Night Live, dove impersonò l'avvocato del Presidente Trump, Michael Cohen, il quale nello sketch viene sottoposto ad un test con la macchina della verità da Robert [De Niro] Mueller. Quando Mueller/De Niro domanda a Stiller se egli abbia mai effettuato un test con il poligrafo, Cohen (Stiller) gli risponde: "Mii sento come se avessi."



Insomma, Ben la vena comica non l'ha persa proprio; ma, quindi, che è successo?
A suo favore diciamo subito che Ben è uno delle poche ex-stelle che non hanno cercato scuse: se pur vero che fin dagli inizi Stiller sentì il bisogno di dar sfogo alla sua cretività (già nel 1992 creò uno show tutto suo, il Ben Stiller Show; ed in seguito fu direttore di alcuni dei suoi stessi film, alcuni dei quali ebbero anche molto successo, come il primo Zoolander e Tropic Thunder), Ben non ha citato questo impulso creativo come scusa per il suo declino. Ma, di nuovo, cosa è successo quindi? Beh, come detto, l'ultimo film fu un insuccesso, così come il Zoolander che lo precedette: Hollywood potrebbe semplicemente aver deciso che non valeva più la pena correre rischi (pensate: Zoolander 2 incassò 56.7 milioni contro un budget di 55; quando si dice salvi per un pelo!).
Ad incrinare i rapporti con Hollywood e l'audience, poi, potrebbe esserci anche il tentativo di 'cambio di personaggio-tipo' da parte di Stiller. Molto spesso, nel mondo dello spettacolo (specialmente quando si parla di comici), accade che un attore, nella fase avanzata della sua carriera, decida di scrollarsi di dosso il tipico ruolo o immagine a lui associata cambiando genere ed approccio al personaggio. Stiller tentò di fare questo negli ultimi tempi (pur rimanendo sul genere comico-drammatico) ad esempio con Greenberg e La Vita Segreta di Walter Mitty (un film che mi apparve molto… strano. Non riesco a definirlo né un'esperienza negativa, né un'esperienza positiva. Boh).
Poi come sempre ci sono gli affari della vita privata che incidono sulla carriera e le prestazioni artistiche. Gli fu diagnosticato il cancro alla prostata nel 2014 (la cui operazione di rimozione andò bene); nel 2017 si separò dalla moglie Christine Taylor (la co-protagonista nel primo Zoolander), ed infine, nel 2015 perse la madre, la famosa attrice Anna Meara. Il genitore rimastogli, ovvero papà Jerry—anche lui attore, apparve insieme al figlio in vari film, tra cui Lo Spaccacuori:


—a 92 anni di età, potrebbe risultare difficile da gestire (vivono entrambi a Manhattan) o nella comunicazione.
Altri due aspetti da considerare sono l'insicurezza ed il tempo. Sì, perché il tempo passa per tutti, ma al suo passare viene ascritta più importanza da alcuni, e meno da altri. Ben Stiller dichiarò pubblicamente di soffrite di disturbo bipolare, si vociferava avesse sofferto di bulimia da ragazzo. Inoltre—anche se non si nota—osservandolo attentamente sotto l'aspetto estetico nei suoi film, si percepisce la sua attenzione all'aspetto fisico, che a sua volta si evince dalla sua forma fisica molto 'pompata':


Ora io non sono uno psicologo, ma tutte queste cose messe insieme mi danno l'idea di una persona… insicura. Magari Ben ha paura che sia passato troppo tempo, di essere invecchiato; che il suo aspetto e le sue battute siano troppo vecchi per ottenere l'approvazione del grande pubblico…
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Infine, nel 2001, Stiller fondò la casa di produzione Red Hour, che tuttoggi si impegna nel supporto e produzione di pellicole indipendenti (ad esempio, Il Re della Polka, con Jack Black), tra le quali viene data precedenza al valore artistico; e la direzione di questa casa di produzione avrà certamente tenuto occupato Stiller, ed è possibile—visto il sopraccitato focus di questa—possa averlo alienato maggiormente da Hollywood.
Mi piacerebbe potervi lasciare con una fausta nota sul futuro cinematografico di Ben, ma ad oggi ci sono solo vaghissime voci su un nuovo Notte al Museo ed un possibile sequel di Dodgeball (nel 2015, comunque, Stiller diresse Escape at Dannemora—con Benicio del Toro, il quale fu acclamato dalla critica; se quindi desiderate testare le sue abilità da regista drammatico, potreste voler dare a questa mini-serie una chance).
Non ci resta che aspettare e stare a vedere, quindi, sempre che non ce lo dimentichiamo nel frattempo, o che lui non si dimentichi di noi…






Scoperta per caso nella metropolitana di Londra, protagonista di un video diventato virale in Rete, la ragazza di 30 anni diventa, con la sua cover di «Shallow», il nuovo fenomeno su cui puntare. Dal successo su Instagram all'ospitata da Ellen, ecco come il sogno è diventato (per caso) realtà
Mentre l’originale strega il mondo con i capelli rosa e una tutina metallizzata che ammicca a Sailor Moon, Charlotte Awbery inizia a essere battezzata un po’ dappertutto come la nuova Lady Gaga, come il talento grezzo da tenere d’occhio. È passata una settimana da quando passeggiava per la metropolitana di Londra e Kevin Freshwater, star di Youtube, l’ha fermata chiedendole di intonare a cappella una strofa di Shallow, la canzone che ha permesso a Gaga di vincere l’Oscar nel 2019. Quella di chiedere ai pendolari di cantare è per Kevin una prassi ormai consolidata, un giochino per suscitare ilarità, ma trovarsi di fronte a ciò che è riuscito a fare Charlotte non è decisamente la norma.
Dopo aver abbattuto la ritrosia iniziale la ragazza, 30 anni, originaria di East London, si lascia andare regalando una performance da brivido che diventa immediatamente virale in Rete.
È l’inizio del fenomeno: i suoi follower su Instagram passano da 400 a più di 600mila (inclusa Ariana Grande) e i media internazionali non fanno che parlare di lei, di questa donna con i capelli vaporosi alla Farrah Fawcett che colpisce per l’aria sbarazzina e, soprattutto, per il mancato bisogno di diventare famosa e popolare a tutti i costi. Il fatto di essere stata intercettata per caso in metropolitana la rende un’eroina sui generis, una delle poche che, anziché scalpitare per farsi vedere, sceglie di farsi i fatti suoi in attesa che qualcosa cambi la sua vita per sempre.
In questo, Charlotte Awbery è un po’ la Cenerentola dei talent: mentre la maggior parte dei pretendenti affolla i palchi con un numerino attaccato alla maglietta, lei prosegue per la sua strada convincendoci che, forse, per trovare un vero talento c’è bisogno di scendere per i corridoi della metropolitana e vedere un po’ come se la passano tutti i cantanti che scelgono di non farsi vedere, ma che coltivano la loro aspirazione in segreto. La consacrazione definitiva arriva, però, grazie a Ellen DeGeneres che, nell’ultima puntata del suo show, sceglie di invitare Charlotte come guest facendola conoscere anche a quei pochi che non si sono imbattuti nel video della sua performance. E chissà che per lei non sia l’inizio di una nuova carriera. Magari con un duetto proprio con Lady Gaga.


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«Non basta scrivere due rime sopra un Beat»
(Saga, Wanna be MC)


Master of Ceremonies, noto anche con la sigla MC è un'espressione di lingua inglese che significa, letteralmente, "maestro di cerimonie". L'MC'ing è una delle quattro discipline che compongono l'hip hop.
Spesso il termine "MC" ed il termine "rapper" vengono usati come se fossero sinonimi. In realtà un MC è un rapper, ma il rapper non è sempre un MC. La caratteristica comune ai due personaggi è la capacità di comporre testi che abbiano un senso, che parlino di un qualcosa dall'inizio alla fine della composizione. Ma un rapper per essere veramente un bravo maestro di cerimonia, come dice chiaramente il suo nome, deve anche:
  1. riuscire a fare freestyle, cioè improvvisare delle rime su qualsiasi base, sul silenzio, o con l'accompagnamento di un beat-boxer;
  2. avere il flow (letteralmente flusso, inteso come il ritmo) necessario per riuscire a "trascinare" la folla che sta ascoltando.
Anche se si può fare rap (rappare) senza base musicale, solitamente un MC è accompagnato da qualcuno che possa fornirlo di una base, che può essere il dj o il beat-boxer. In sostanza l'MC è il più alto grado di esperienza attribuibile a un rapper.









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Il Block Party, che in italiano sarebbe la Festa dell'isolato, è una sorta di manifestazione Hip Hop che si svolge in strada.
I primi Block Party si svilupparono nel Bronx di New York ad opera di djKool Herc che, con il suo stile musicale innovativo, composto da breaks, coinvolse numerosi teenager afroamericani della zona, dando origine alle dinamiche che avrebbero portato alla nascita del movimento hip hop.
Durante i Block Party, numerosi ragazzi svilupparono e praticarono nuove tipologie di ballo, completamente diverse da quelle esistenti, che portarono alla nascita della odierna break dance. Altri teenager invece intrattenevano il pubblico con battute e rime a suon di musica, poi ribattezzati "Master of Ceremonies" o, più comunemente, MC. Durante la prima metà degli anni settanta, i Block Party ebbero una grande diffusione in tutta la zona pervasa dalla cultura dell'hip hop; oggi, al contrario, rappresentano un fenomeno assai raro nel mondo dell'hip hop.


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Turntablism è l'arte di manipolare i suoni e creare musica mediante il giradischi ed il mixer da DJ.

Le origini
Il termine fu creato da DJ Babu dei Beat Junkies nel 1995 e differenzia il dj, che più semplicemente seleziona e mixa brani musicali, dal turntablist che invece è colui che esercita una serie di manipolazioni su vinile, puntine e mixer per produrre suoni. È una disciplina che deriva dalla cultura hip hop: Kool Herc fu il creatore dei cosiddetti break musicali che caratterizzarono il background musicale dell'hip hop anni settanta, mentre dobbiamo a Grand Wizard Theodore l'invenzione della celebre tecnica dello scratch.
Il turntablism si può dividere in due sottodiscipline che sono lo scratch e il beat juggling. Ognuna di queste è composta da svariate tecniche più o meno avanzate che si possono ammirare nei contest nazionali e internazionali come quelle organizzate dalla DMC o dall'ITF.
Nella storia del turntablism si può considerare una "vecchia scuola" e una "nuova scuola" dati i molti progressi nell'ambito tecnologico con l'invenzione di nuovi giradischi con forze di trazione superiori e mixer più avanzati soprattutto per quanto riguarda la scorrevolezza dei fader e gli effetti.
Tra i più noti turntablist possiamo citare: Afrika Bambaataa, Grandmaster Flash, DJ Grand Mixer DXT Jam Master Jay, DJ Qbert, Mix Master Mike, A-Trak, DJ Craze, D-Styles, Roc Raida, Rob Swift, Kid Koala, DJ Shadow, e le crew Invisible Skratch Piklz X-Ecutioners, Allies, Birdy Nam Nam e C2C. In Italia ricordiamo le storiche crew Alien Army con DJ Gruff, DJ Skizo, DJ Tayone, John Type e la crew Men In Scratch con DJ Myke e DJ Aladyn. Altri capostipiti del turntablism in Italia sono DJ Jad Giorgio Prezioso dj cordella.


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Il versetto (o verso) per organo è una breve composizione utilizzata per intercalare i versetti di particolari testi liturgici, cantati sia in gregoriano, sia in polifonia, dei vespri e altri uffici liturgici (salmi, inni, Magnificat), o della messa (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei), secondo una prassi detta alternatim.
La prassi dei versetti per organo alternati al canto nella liturgia affonda le sue origini nel tardo medioevo. Praticata generalmente in forme improvvisative, essa non ha lasciato testimonianze scritte prima del XV secolo. Prime tracce di versetti per organo (Kyrie, Gloria, Magnificat) sono forse ravvisabili nel Codice Faenza 117, manoscritto compilato all'inizio del XV secolo. Esempi di versetti si trovano pure in manoscritti redatti in area germanica meridionale (Baviera, Austria) del XV secolo, tra cui il Buxheimer Orgelbuch (ca. 1450-70).
A partire dal XVI secolo i versetti diventano un genere del repertorio organistico, testimoniato in numerose fonti manoscritte o a stampa. Normalmente i versetti per organo sono raccolti in gruppi relativi al canto liturgico cui devono intercalarsi, oppure in gruppi sullo stesso tono (modo) gregoriano, da utilizzare in modo flessibile per alternarsi ai versetti dei salmi, degli inni, del Magnificat o di parti della messa, cantati non soltanto in gregoriano ma anche in polifonia.

Italia
Tra i primi cicli completi di versetti, si ricordano le tre messe, gli otto inni più comuni e due Magnificat nell'Intabulatura d'organo, cioè misse, himni, Magnificat (Venezia, ca. 1543-1549) di Girolamo Cavazzoni, che pubblicò altri quattro inni e due Magnificat nella sua Intavolatura cioe recercari, canzoni, himni, Magnificat (Venezia, 1543). Le tre messe di Cavazzoni, come tutte quelle che saranno in seguito pubblicate da altri compositori, sono basate sul canto gregoriano delle più comuni domeniche dell'anno liturgico: la Messa Domenichalis o della domenica, (IX del Graduale romanum, nota anche come Orbis factor), Missa de Beata Virgine o della Madonna (XI del Graduale romanum, Cum jubilo) e la Missa Apostolorum o degli Apostoli (IV del Graduale romanum, Cunctipontens genitor Deus) . Altre raccolte di versetti di area veneziana sono le Messe d'intavolatura d'organo (Venezia, 1568) di Claudio Merulo, e le tre messe, conservate manoscritte, di Andrea Gabrieli.
Diversa dalle precedenti, l'organizzazione delle raccolte di versetti di due organisti attivi a Napoli: i Versi spirituali sopra tutte le note con diversi canoni spartiti per sonar negli organi, messe, vespere, et altri officii divini (Napoli, 1580) di Antonio Valente comprendono 43 versetti, raggruppati in base alla nota fondamentale del tono ("Sopra dell'Ut", "Sopra il Re" ecc.). Analoga struttura nei Cento versi sopra li otto finali ecclesiastici per rispondere a tutti i divini officij et in ogni altra sorte d'occasione di Giovanni Maria Trabaci, pubblicati nel suo Libro de ricercate, & altri varij capricci (Napoli, 1615).
La pratica dei versetti «per rispondere al coro» viene illustrata in alcuni manuali pubblicati da religiosi. Il più noto è un trattato del monaco olivetano Adriano Banchieri, apparso nel 1605 e più volte ristampato fino al 1638, il cui frontespizio spiega estesamente il contenuto e la prassi, nuova per l'epoca, di suonare sopra un basso numerato: L'organo suonarino, entro il quale si pratica quanto occorrer suole agli suonatori d'organo, per alternar corista agli canti fermi in tutte le feste, et solennità dell'anno. Trasportato et tradotto dal canto fermo fidelissimamente, sotto la guida di un basso in canto figurato suonabile, et cantabile, et con intelligibile docilità diviso in cinque registri. Nel primo si concerta la santa messa, nel secondo gli salmi vesperini, nel terzo gli inni, nel quarto gli magnificat, et nel quinto le sacre lode di Maria Vergine, insieme vinti suonate in spartitura, et nel fine una norma, per conoscere ogni festa che hinno corre, et di che tuono sarà l'antifona del cantico Magnificat (Venezia, 1605). Non meno interessante il trattato del frate minore osservante ferrarese Bernardino Bottazzi, Choro et organo ... in cui con facil modo s’apprende in poco tempo un sicuro methodo per sonar su l’organo messe, antifone, e hinni sopra ogni maniera di canto fermo (Venezia, 1614), contenente diversi brani esemplificativi.
Nel panorama del primo Seicento spiccano i versetti dell'organista della basilica vaticana Girolamo Frescobaldi: quelli degli inni "della Domenica" (Lucis creator optime), "dell’Apostoli" (Exsultet orbis gaudium), Iste confessor, Ave maris stella, dei Magnificat del primo, secondo e terzo tono, pubblicati nel Secondo libro di toccate (Roma, 1627), e soprattutto i Kyrie-Christe-Kyrie delle messe "della Domenica", "dell'Apostoli" e "della Madonna", complete dei brani (toccate, canzoni, ricercari, capricci) da suonarsi "avanti la messa", "dopo l'epistola", "dopo il Credo", "per l'elevazione", e "dopo il postcomunio", raccolti e pubblicati nella raccolta Fiori musicali (Venezia, 1635).
In area napoletana verso la metà del Seicento vanno segnalati i Ricercari a 4 voci, canzoni francesi, toccate e versi per rispondere nelle messe con l'organo al choro, libro I (Napoli, 1641), di Giovanni Salvatore, autore anche di una Breve regola per rispondere con l'organo al choro, pubblicata in appendice alla terza edizione del manuale di Giovanni Battista Olifante Porta aurea sive directorium chori. Opera utilissima a chi desidera imparar di canto fermo (Napoli, 1641)
Dall'ambiente dei minori conventuali provengono due ampie raccolte di versetti ispirate nella loro struttura ai Fiori musicali di Frescobaldi: i Frutti musicali di messe tre ecclesiastiche per rispondere alternatamente al choro ... con cinque canzoni (Venezia 1642) del frate Antonio Croci, attivo a Modena; e l'Annuale che contiene tutto quello, che deve far un organista per risponder al choro tutto l'anno (Venezia, 1645) del frate Giovanni Battista Fasolo, attivo a Roma, Napoli e Palermo. L'opera contiene versetti organistici per il Te Deum, diciotto inni per le principali feste dell'anno, tre messe (comprendenti anche brani da suonare dopo l'epistola, all'offertorio, all'elevazione e al postcommunio), Magnificat negli otto toni, l'antifona Salve regina. oltre a ricercari, canzoni e capricci.
Alla fine del XVII secolo l'organista bolognese Giovanni Battista Degli Antonii pubblicò una raccolta di Versetti per tutti li toni tanto naturali, come trasportati, per l'organo (Bologna, 1687), seguita poi da una seconda serie di Versetti da organo per tutti li tuoni (Bologna, 1696). Il fratello Pietro Degli Antonii diede poi alle stampe l'opera Sonate e versetti per tutti li tuoni, tanto naturali, come trasportati, per l'organo da rispondere al coro (1712).
Nel corso del XVIII secolo, degne di note le raccolte di versetti di Domenico Zipoli, raggruppati per tono ecclesiastico, apparsi nella prima parte delle sue Sonate d’intavolatura per organo e cimbalo (Roma, 1716) e l′Intavolatura di centoquarantaquattro versetti di varia registratura, divisi ne dodeci tuoni piu frequentati dal coro di Paolo Benedetto Bellinzani (1728), conservata in un manoscritto dell'Archivio capitolare del Duomo di Pesaro, singolare testimonianza del variegato uso dei registri organistici in un organo italiano a due tastiere, appropriato allo stile dei brani, ormai lontano dai tradizionali procedimenti in contrappunto imitativo, in cui echeggia decisamente la musica strumentale e teatrale del tempo.

Germania
All'inizio del XVI secolo, oltre alle magistrali elaborazioni del salisburghese Paul Hofhaimer e di Arnolt Schlick sul canto fermo dell'antifona Salve regina (in cinque parti) e di altri brani liturgici, si ricorda il Fundamentum (ca. 1520) di Hans Buchner, manuale per imparare ad elaborare un brano polifonico su canto fermo all'organo a due, tre e più voci, che contiene anche 50 brani esemplificativi (introiti, graduale, responsori, sequenze, inni, Magnificat, Kyrie, Gloria, Sanctus e Agnus Dei).
Manoscritte nella cosiddetta Intavolatura di Torino (compilata probabilmente ad Augusta, ca. 1637-40) ci sono pervenute raccolte di versetti per l'ordinarium e il proprium della messa de Apostolis e per i Magnificat nei vari toni di Hans Leo Hassler, e altri di Christian Erbach per messe, Magnificat, inni e sequenze.
La pratica del versetto per organo si adattò anche alle esigenze della chiesa evangelica luterana, sia del canto dei corali, che avevano una struttura strofica, sia di altri canti su testo latino, come Kyrie, Gloria, Credo, Magnificat, alcuni inni e salmi, che restarono in uso ancora nel XVII secolo, come vediamo testimoniato, per esempio, nella vasta raccolta della Tabulatura nova (1624) di Samuel Scheidt. La pratica del versetto ebbe un proprio sviluppo anche in relazione al canto dei corali. L'organista introduceva il canto con un preludio al corale che fungeva da intonazione e che divenne poi un genere organistico a sé stante. Il coro o l'assemblea cantava una strofa del corale, alternandosi all'organista, che suonava un versetto basato sulla melodia del corale. Da qui si diffuse il genere delle variazioni o partite sul corale, testimoniate nella produzione di grandi organisti, come Johann Pachelbel, Georg Böhm, Johann Gottfried Walther, Johann Sebastian Bach.

Francia
I primi esempi di versetti organistici sono documentati in Francia in due raccolte stampate dall'editore Pierre Attaignant nel primo Cinquecento: la Tabulature pour le jeu d'orgues, espinettes et manicordions sur le plain chant de Cunctipotens et Kyrie Fons. Avec leurs Et in terra, Patrem, Sanctus et Agnus Dei (1531) e i Magnificat sur les huit tons avec Te Deum laudamus et deux preludes, le tout mys en tabulature des orgues (1530).
All'inizio del XVII secolo l'organista della cattedrale di Rouen, Jean Titelouze, diede alle stampe due importanti raccolte di versetti organistici: gli Hymnes de l'Église pour toucher sur l'orgue, avec les fugues et recherches sur leur plain-chant (1624), contenente i 12 inni più comuni dell'anno liturgico; e i Magnificat ou Cantique de la Vierge pour toucher sur l'orgue suivant les huit tons de l'Église (1626). Si tratta di brani scritti in stile contrappuntistico, utilizzando le tecniche del canto fermo e del canone.
Il radicale cambiamento dello stile della musica organistica francese dalla seconda metà del Seicento in avanti è riflesso a partire dai tre Livre d'orgue di Guillaume-Gabriel Nivers: il primo (1665) e il terzo (1675) presentano versetti negli otto toni ecclesiastici, mentre il secondo (1667) contiene versetti per messe e inni, e nelle successive di Nicolas Lebègue, Nicolas Gigault, André Raison, Jacques Boyvin, Nicolas de Grigny e altri, fino alla magistrale opera di François Couperin Pièces d'orgue consistantes en deux messes... (1690), «Pezzi per organo consistenti in due messe, una ad uso delle chiese parrocchiali e secolari, e l'altra ad uso dei conventi di religiosi e religiose». I versetti della musica francese sono caratterizzati da una scrittura stilisticamente varia, brillante ed espressiva, funzionale a valorizzare le possibilità offerte dai grandi organi dell'epoca a tre e quattro tastiere e da un'ampia gamma di registri. Vi si trovano assoli (récit) di particolari registri, al soprano, al basso o en taille (tenore-contralto col basso al pedale); duetti (duo), terzetti (trio), dialoghi (dialogue), fughe.
Nella corso del XVIII secolo alcuni importanti organisti pubblicarono raccolte di versetti per organo negli otto toni raggruppati in forma di suite, sempre caratterizzati da un cangiante uso di stile e di registrazione. Tra questi vanno almeno menzionati Louis-Nicolas Clérambault, Jean-François Dandrieu, Michel Corrette.

Spagna
La prima e fondamentale testimonianza dei versetti composti in area iberica viene dalle opere per tastiera di Antonio de Cabezón, attivo nella prima metà del XVI secolo, pubblicate da Luis Venegas de Henestrosa nel Libro de cifra nueva para tecla, arpa y vihuela (1557) e postume dal figlio Hernando de Cabezón, nella raccolta Obras de música para tecla, arpa y vihuela (1578). Esse comprendono 32 inni, un Salve regina, 9 Kyrie e versetti per i salmi e per il Magnificat, scritti in uno stile contrappuntistico severo a due, tre , quattro parti. Altri esempi dell'epoca sono alcuni inni di Juan Bermudo e Francisco Palero.
Nel corso del XVII secolo la musica organistica spagnola sembra rivolgersi soprattutto all'elaborazione delle melodie degli inni (Pange lingua), delle sequenze (Lauda Sion) e dei canti devozionali (Todo el mundo) più popolari, come vediamo nell'opera di Francisco Correa de Arauxo Facultad organica (1626). Completamente assenti dal repertorio manoscritto o stampato i versetti per la messa. Rare le raccolte di versetti sui toni salmodici come i Versos de 6° tono di Joseph Jimenez o i Versos de 2° tono di Pablo Bruna. Innumerevoli sono le elaborazioni organistiche sul Pange lingua, come quelle di Sebastián Aguilera de Heredia, Jimenez, Bruna e altri, a testimonianza della popolarità di questo inno. Alcune melodie gregoriane vengono tuttavia elaborate all'interno dei tiento, il genere più praticato nella musica organistica spagnola, come vediamo chiaramente indicato nel Tiento sobre Ave maris stella di Juan Cabanilles, il maggiore compositore spagnolo per organo della seconda metà del XVII secolo.