Risultato immagini per Radio (apparecchio)



La radio è un apparecchio elettronico che permette di trasmettere e/o ricevere onde radio. In particolare, se è in grado solo di trasmettere è chiamato "radiotrasmettitore" o "radiotrasmittente", se è in grado solo di ricevere è chiamato "radioricevitore" o "radioricevente" (nelle apparecchiature HiFi si usa solitamente il termine "sintonizzatore" o "tuner"), se è in grado sia di ricevere che di trasmettere è chiamato "ricetrasmettitore" o "ricetrasmittente".

Tipi
Funzionamento
Il funzionamento di un apparecchio radio consiste nel ricevere un segnale radio di frequenza prestabilita (il canale) e questo avviene con la "sintonia". Quindi il segnale inserito nell'onda elettromagnetica in fase di trasmissione (modulazione) deve essere estratto per mezzo della "rivelazione" per essere destinato all'uso finale, per esempio emesso come suono da un altoparlante.

Radio digitali e analogiche
Una radio analogica fa da interfaccia tra un segnale analogico proveniente dall'antenna e un sistema analogico (un trasduttore o un insieme di trasduttori che trasformano il segnale elettrico proveniente da un amplificatore acustico in suono), oppure fa da interfaccia tra un segnale digitale e un sistema analogico (un trasduttore o un insieme di trasduttori che trasformano il segnale elettrico proveniente da un amplificatore acustico in suono) mediante una conversione interna digitale-analogico.
Una radio digitale invece fa da interfaccia tra un segnale analogico proveniente dall'antenna e un sistema digitale (un trasduttore o un insieme di trasduttori che trasformano il segnale elettrico proveniente da un amplificatore acustico in suono) mediante una conversione interna analogico-digitale, oppure fa da interfaccia tra un segnale digitale decodificato proveniente dall'antenna e un sistema digitale (un trasduttore o un insieme di trasduttori che trasformano il segnale elettrico proveniente da un amplificatore acustico in suono).

Tipologie circuitali
Nel corso della storia delle radio si sono succedute differenti tipologie di circuiti elettronici che, sebbene tutte con identico fine, hanno progressivamente reso l'uso dell'apparecchio radio più semplice e confortevole per l'utilizzatore comune. Le principali configurazioni storiche sono:
  • Soluzioni elettromeccaniche, le prime impiegate ai tempi di Marconi:
    • Coherer (coesore)
    • Detector magnetico
  • Soluzioni elettroniche
    • Ricevitore a rivelazione diretta (radio a diodo, radio a galena)
    • Rigenerativo (o a reazione)
    • Reflex
    • Eterodina
    • Supereterodina (utilizzata oggigiorno)
Radio a supereterodina
Gli apparecchi moderni funzionano sul principio della supereterodina, che offre rispetto alle soluzioni circuitali storiche una maggiore sensibilità, stabilità e omogeneità di funzionamento.

Adattatore d'antenna
L'adattatore d'antenna ha un duplice scopo, funziona sia da sintonizzatore e selettore di frequenza.

Amplificatore a radiofrequenza
Incrementa l'intensità del segnale a radiofrequenza (RF) ricevuto per permetterne la successiva miscelazione. La larghezza di banda deve coprire tutto lo spettro ricevibile dall'apparecchio.

Oscillatore locale
Si tratta di un oscillatore che genera localmente una frequenza che, miscelata con il segnale ricevuto dall'antenna, darà origine alla frequenza intermedia. La differenza tra il valore della frequenza generata dall'oscillatore locale e la frequenza che si desidera ricevere deve pertanto essere equivalente al valore della frequenza intermedia. Ne consegue che la frequenza di accordo dell'oscillatore deve variare di pari passo con la sintonia. Per questo scopo si utilizzano condensatori variabili doppi comandati dallo stesso asse, oppure circuiti elettronici progettati allo scopo (es.: PLL).

Miscelatore
In questo stadio vengono miscelati il segnale ottenuto dall'amplificatore a radiofrequenza ed il segnale prodotto localmente. Per il fenomeno del battimento di frequenza si ha la creazione di due segnali con valore di frequenza pari rispettivamente alla somma ed alla differenza tra i due segnali entranti. I segnali battimento riportano la somma delle modulazioni dei segnali originali, ovvero, poiché il segnale locale non è modulato, la modulazione del segnale radio ricevuto.

Amplificatore di media frequenza
Lo stadio amplificatore di media frequenza (MF) è in realtà costituito tipicamente da più amplificatori posti in cascata, con banda passante stretta e accordata sulla frequenza differenza uscente dal miscelatore. Poiché la frequenza intermedia ha sempre lo stesso valore indipendentemente dalla frequenza radio ricevuta, si ha che l'apparecchio ricevente presenterà caratteristiche di sensibilità e amplificazione uniformi su tutto lo spettro di ricezione. Le frequenze intermedie utilizzate tipicamente negli apparecchi commerciali sono 455, 465, 467 o 470 kHz per i ricevitori AM ad onde medie; 10,7 MHz per gli apparecchi in banda FM 88-108 Mhz.

Rivelatore
È lo stadio che estrae la componente modulante dal segnale a media frequenza che, come detto, riflette la modulazione del segnale a radiofrequenza originario. La sua costituzione circuitale differisce enormemente in funzione del tipo di modulazione utilizzata, AM, FM, ecc.

Amplificatore e uscita audio
L'amplificatore audio è ovviamente presente in riferimento ad un ricevitore radio audio. Si tratta di un normale amplificatore che aumenta la potenza del segnale in bassa frequenza fornito dal rivelatore al fine di pilotare un altoparlante o altro dispositivo di uscita audio.

Applicazioni
La radio nei mass media
Dopo un periodo pionieristico la radio ebbe un rapido sviluppo soprattutto negli Stati Uniti e nei paesi del nord Europa. Tuttavia la radio ha avuto un grande impulso grazie ad esigenze militari, in particolare per l'interesse della Marina Britannica nei confronti di questa forma di trasmissione dati. Così, nel 1898 Popov prova la prima comunicazione radio tra base navale e nave, e nel 1900 viene salvata per la prima volta una nave, tra la Russia e la Finlandia, grazie ad un allarme radio.
All'inizio del '900 la radio era vista con scetticismo: essa infatti, a differenza del telegrafo, non permetteva conversazioni private, bensì pubbliche, compromettendo la privacy dell'interlocutore. Solo agli inizi degli anni '20 si pensa ad una radio di uso "civile", utilizzabile in biblioteche e università. La nascita della prima stazione radio risale invece al 1919, per opera di Frank Conrad. Conrad iniziò una serie di trasmissioni dal suo garage nel 1919 e in un emporio della città di Pittsburgh vendeva alcuni ricevitori. In poco tempo vendette tutte le apparecchiature. Questo non era sfuggito al vicepresidente della Westinghouse, che pensò di utilizzare parte della catena di montaggio al fine di produrre radioricevitori da utilizzare per usi domestici. Affidò a Conrad e al suo assistente una stazione radio in modo da poter iniziare regolari trasmissioni: era nata la prima emittente radiofonica (KDKA). Il 2 novembre del 1920 trasmise in diretta il secondo turno delle elezioni presidenziali statunitensi e si calcola che gli apparecchi sintonizzati fossero tra i 500 e i 1000.
L'avvenimento fece scalpore e fece scattare la corsa alla costruzione di nuove stazioni e la vendita di nuovi apparati. Dopo poco tempo la Westinghouse costruì altre stazioni e alla fine del 1922 annunciò la costruzione di altre 6 stazioni. Diversa era invece la situazione in Italia: mentre in Stati Uniti d'America si scatenò la corsa alla radio, in Italia si discuteva sull'opportunità di diffondere la radio a uso civile, perché fino ad allora era considerata ancora uno strumento militare. Già prima della grande guerra si chiedeva che le radio trasmissioni fossero utilizzate in ambito pubblico, ma la legge 345 del giugno 1910 considerava la tecnologia riservata esclusivamente ai militari. Passata la guerra le cose non cambiarono e neanche con il regime fascista la situazione cambiò.
Mussolini era diffidente verso le potenzialità commerciali e propagandistiche della radio, ma il genero Galeazzo Ciano, allora ministro delle poste, promosse lo sviluppo di numerosi progetti per la radiodiffusione. Finalmente nel 1924 si completò la prima stazione trasmittente da parte dell'Unione Radiofonica Italiana (URI), una società costruita da Guglielmo Marconi; sei anni dopo furono terminate le emittenti di Milano e Napoli.
A questo punto Mussolini comprese l'importanza del nuovo media e fu costituita una nuova società, l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), che assorbì l'URI. Poco dopo furono costruite nuove stazioni a Roma, Genova, Firenze, Napoli, Palermo, Trieste e Torino. Nel 1926 gli abbonati all'URI erano circa 26.000 e nel 1928 erano già saliti a 62.000. Ben presto però ci si rese conto che non bastava costruire nuove emittenti perché il numero degli abbonati era rimasto fermo a causa dell'elevato costo dei ricevitori. Considerando che negli anni '30 il prezzo medio di una radio era di circa 2.000 lire e il reddito annuo era ancora al di sotto delle 3.000 lire, si capisce come la radio in Italia fosse un bene estremamente di lusso, alla portata della sola alta borghesia. Nel 1937 si incominciarono a produrre apparecchi di qualità al di sotto delle 1.000 lire e questo fece aumentare il numero degli utenti. Alcuni esempi di radio sono: radio Rurale, radio Balilla, ecc.
Durante la seconda guerra mondiale la radio assunse un potenziale enorme come mezzo di propaganda sia a uso interno che internazionale e per tale scopo fu creata "Radio Urbe". Inoltre la guerra pose fine all'EIAR che al termine delle ostilità prese il nome attuale di Rai (Radio audizioni Italiane).


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Il marconista, detto anche radiotelegrafista, è l'operatore addetto alle comunicazioni radio sulle navi o sugli aeromobili. Il nome deriva dall'inventore italiano Guglielmo Marconi.
È responsabile del funzionamento della strumentazione radio, delle telecomunicazioni e di tutti i servizi di comunicazione della nave e comunicazione tra base aeroportuale e aeroplano (pilota). In tempi più recenti, l'attività del marconista, a bordo degli aerei, è stata rilevata e integrata con altre funzioni legate al volo dal tecnico di volo.

Attività
Le attività del marconista comprendono:
  • servizi di soccorso, urgenza e sicurezza riguardanti la sicurezza della navigazione e della vita umana in mare;
  • servizio radiomedico (C.I.R.M.);
  • ricezione e trasmissione messaggi con le altre navi e aerei o con le capitanerie di porto e aeroporti;
  • ricezione e trasmissione delle comunicazioni fra il comando e l'armatore; fra il comando e gli speditori e i destinatari del carico;
  • servizio radiotelegrafico e radiotelefonico da e per i passeggeri;
  • servizio di radionavigazione, anche via satellite;
  • servizio di radiodeterminazione e radiogoniometria;
  • servizi attinenti la meteorologia e i bollettini meteo con compilazione delle relative carte;
  • segnali orario:
  • servizio di radiolocalizzazione;
  • servizio di radiodiffusione;
  • servizio radiostampa;
  • registrazione dei messaggi;
  • comunicazioni con il comando della nave su tutti gli avvisi ricevuti;
  • mantenimento in efficienza delle apparecchiature poste sotto la sua responsabilità.
Dagli anni settanta l'attività del marconista si è arricchita dell'uso della macchina da scrivere per trascrivere, appunto, la traduzione morse dapprima manualmente effettuata sul quaderno. Questo avviene dagli anni '70 nelle caserme che preparano i militari di leva assegnati a tale servizio.


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La vetrofanìa è un'etichetta adesiva che contiene un'informazione, generalmente di carattere pubblicitario, destinata all'applicazione sulla superficie di una vetrina espositiva di un locale pubblico in modo tale da essere letta dall'esterno, in particolar modo dai passanti lungo il marciapiede e dagli occupanti di veicoli circolanti lungo la strada dove si affaccia il locale. Vetrofanie di piccole dimensioni sono anche utilizzate in altri ambiti, per esempio in campo automobilistico.

Etimologia
Il termine vetrofania deriva dall'italianizzazione del francese vitrauphanie o vitrophanie (quest'ultimo è un nome depositato). La parola francese è a sua volta probabilmente derivata da vitraux (vetrata) e dal verbo greco ϕαν (apparire).

Usi
Nella prima metà del XIX secolo, le vetrofanie erano lastre di vetro dipinte, usate in negozi ed abitazioni a scopo decorativo, con lo scopo di lasciar comunque passare parte della luce, impedendo la vista dall'esterno.
Le vetrofanie possono avere dimensioni molto variabili. La dimensione è scelta in base alla grandezza della vetrina e della visibilità che il negoziante intende dare all'informazione. La manualistica di settore consiglia per esempio di non eccedere nella copertura delle superfici vetrate, che dovrebbero in genere rimanere per la maggior parte libere.
Come per altre forme di pubblicità, l'esposizione al pubblico delle vetrofanie è regolamentata da appositi atti amministrativi, che possono specificare le modalità di posizionamento, i contenuti permessi o vietati e dimensioni massime delle stesse. In genere l'ente competente per questo tipo di regolamentazione è il comune.

Tipologie
I tipi di adesivi per vetrine possono essere realizzati in adesivo prespaziato e stampa digitale adesiva.


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La decalcomania (dal francese décalcomanie) è una tecnica per la decorazione di superfici.

Storia
Si può considerare come l'antenata degli adesivi, visto che i primi adesivi industriali e pubblicitari apparvero negli anni sessanta, quando la tecnologia mise a disposizione fogli di carta e di plastica autoadesivi e colori (inchiostri) con cui stamparli. La decalcomania (abbreviata anche in decalco) invece viene fatta risalire al secolo XIX. Il grande sviluppo delle decalco si ebbe tra le due guerre mondiali quando si ebbe la necessità, da parte dell'industria, di etichettare i prodotti. La decalco si stampa in serigrafia su fogli di speciale carta collata con colori alla cellulosa.
Sopravvivono ancora le decalco da cottura da applicare su oggetti di vetro, ceramica e porcellana e quelle per modellismo statico dove lo spessore estremamente basso rispetto all'adesivo è determinante nella scelta. O anche come decorazione sulle automobili.

Tecnica
Molto spesso si stampa un fondo bianco per dare risalto ai colori anche se la decalco è applicata su fondo scuro. Si procede poi con gli altri colori, per ultimo il nero.
Sopra i colori viene in ultimo stampata una mano di vernice trasparente ad alta resistenza alla trazione, in modo che la decalco abbia una certa resistenza, specialmente quando viene applicata.
A questo punto la decalco è finita, per trasferirla si deve mettere il foglio su cui è stampata, in acqua per alcuni minuti, quando si sente che la decalco scivola (l'acqua scioglie la colla della carta su cui è stampata) la si trasferisce sull'oggetto desiderato; una volta posizionata si scarica l'acqua in eccesso passando sulla superficie della decalco una spatolina di gomma morbida (cercando di non strappare la decalco). Il problema di questa tecnica è che è meglio non usarla su superfici che assorbono acqua (ad esempio se viene applicata su un foglio di carta questo si ondula). La resistenza, una volta asciugata, è buona e durevole nel tempo. La decalco è divenuta obsoleta alla metà degli anni sessanta, come si diceva sopra, per l'avvento degli adesivi che indubbiamente sono di uso più comodo non occorrendo l'acqua e anche di maggiore resistenza.




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Lo Zwischgold è una tecnica artistica adottata nella nobilitazione delle superfici lignee policrome.

Tecnica esecutiva
Lo zwischgold è una lamina metallica ottenuta, sin dall'antichità, battendo due monete sovrapposte una d'argento e una d'oro, per ottenere da un'unica moneta del prezioso metallo una foglia di maggiori dimensioni. Realizzata a volte anche in maniera fraudolenta, era utilizzata coscientemente da vari artisti d'oltralpe e di area germanofona, nelle pieghe più nascoste delle sculture lignee o negli altorilievi dei Flügelaltar
Come spesso si ritrova nei contratti per l'esecuzione di preziose opere d'arte definiti con la committenza, venivano specificati, oltre alla natura ed alla composizione dei soggetti da realizzare, anche le quantità di once di colori preziosi (lapislazzuli, azzurrite, ecc.) e degli zecchini necessari alla completa doratura della superficie. Si può quindi immaginare che, in accordo con il Battiloro, l'artista richiedesse di "tagliare" l'oro con l'argento molto meno prezioso e costoso, recuperando probabilmente qualche soldo del prezioso metallo. La conoscenza delle problematiche di questa tecnica da parte di artisti e botteghe rinomate, era fondamentale perché non si può trascurare il fatto che l'argento negli anni tende ad ossidarsi annerendo, facendo saltare la lamina dorata in superficie, lasciando quindi a vista il degrado, con le conseguenze del caso.
Questo degrado lo si può vedere ad esempio nelle ante dell'altare a portelle (Flügelaltar) della chiesa di Santa Maria Assunta di Fiera di Primiero iscritto alla produzione del Maestro Narciso da Bolzano, dove nelle pieghe del manto dorato della Madonna si notano le classiche forme squadrate dei fogli sovrapposti che in quel punto sono annerite.
Lo stesso fenomeno si può osservare su altre sculture di area germanica conservate al Museo Diocesano di Trento, dove nelle opere a mezzo e tutto tondo delle sale che fanno riferimento alle valli ladine e di influenza del Principato Tirolese si possono ancora scorgere le lamine nerastre realizzate con lo zwischgold.
Tale tecnica seppure utilizzata fino alla prima metà del 1600 (Madonna con bambino conservata nella chiesa di Madonna di Campiglio) in area tedesca e altoatesina, non attecchisce in ambito italiano dove si preferiva utilizzare la tecnica della meccatura della lamina argentata.



Frequento il mondo dell'editoria da più di 10 anni.
Alcuni anni fa due amici mi chiesero un aiuto per poter pubblicare un loro libro. Mi sembrava una cosa bellissima e li misi in contatto con gli editori che conoscevo e con gli agenti con cui avevo rapporti, cercando di trovare loro la strada migliore per poter arrivare alla pubblicazione.
Da parte mia, quando mi sono rivolto ad alcuni importanti scrittori e giornalisti per avere un consiglio, ho ricevuto indietro sempre suggerimenti preziosi, dritte concrete e in alcuni casi anche contatti con loro conoscenze dirette.
Poi un giorno decido di pubblicare un romanzo che avevo nel cassetto da un po' di tempo. Non voglio metterlo in mano a un editore, non ho ambizioni di chissà quale genere, mi piacerebbe solo che le persone lo leggessero. Decido così di pubblicarlo su Amazon per conto mio, al prezzo di un caffè e una brioche.
Mi basta pubblicare su alcuni social l'informazione ho scritto un libro, senza neppure indicarne il titolo, senza neppure inserire il link per l'acquisto, per iniziare a ricevere una serie di osservazioni del tipo che è una pessima idea pubblicizzare la cosa in questo modo, e che non è corretto passare informazioni di questo tipo.
Ecco, il mondo dell'editoria e anche questo. Non degli editori, dei lettori, si badi bene. I lettori - scrittori, quelli contro cui Stephen King si misurava quotidianamente perchè sapevano tutti scrivere meglio di lui, ma erano così sfortunati e boicottati dal sistema, da non essere altrettanto famosi.


Siamo 56 milioni di lettori - scrittori e se qualcuno decide di far sapere che ha pubblicato qualcosa, allora è un disonesto che se ne approfitta degli altri.
Non ho mai capito e non so rispondere al perchè esistano certi atteggiamenti. Non me lo spiego proprio. Invidia? Disturbo? Non saprei. Personalmente sono contento quando leggo di qualcuno che pubblica qualcosa e che cerca di farlo conoscere, e non mi sognerei mai di alludere a pratiche di diffusione illecita di un'informazione "commerciale". Però evidentemente qualcosa scatta in chi dice che se pubblichi un libro poi non devi farlo sapere.




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Yōga (洋画 letteralmente "pittura in stile occidentale") è uno stile di pittura di artisti giapponesi, effettuato secondo uno stile occidentale (europeo) tradizionale, con tecniche e materiali. Il termine fu coniato nel periodo Meiji, per distinguere tali opere rispetto ai pittori giapponesi tradizionalisti, o Nihonga (日本画)

I materiali
Lo Yōga nella sua accezione più ampia abbraccia la pittura a olio, gli acquerelli, i pastelli, i disegni a china, la litografia, l'incisione e le altre tecniche sviluppate nella cultura occidentale. Tuttavia, in un senso più limitato, lo Yōga è talvolta utilizzato specificamente per riferirsi alla pittura ad olio.

Storia
La pittura europea venne introdotta in Giappone durante il tardo periodo Muromachi insieme ai missionari cristiani. Le prime opere religiose di artisti giapponesi a imitazione di quelle portate dai missionari possono essere considerate alcune delle prime forme di Yōga. Tuttavia, la politica di isolamento nazionale, introdotta dal Tokugawa bakufu nel periodo Edo concluse l'influenza dell'arte occidentale sulla pittura giapponese, con l'eccezione dell'uso della prospettiva, che è stata scoperta dagli artisti giapponesi negli schizzi trovati nella medicina europea e scientifica di testi importati dagli olandesi da Nagasaki.
Nel 1855, lo shogunato Tokugawa istituì il Bansho Shirabesho, un istituto di traduzione e ricerca per gli studi occidentali, tra cui una sezione per indagare l'arte occidentale. Questa sezione fu guidata da Kawakami Togai, il cui assistente Takahashi Yuichi è stato un allievo dell'artista inglese Charles Wirgman. Takahashi è considerato da molti come il primo vero pittore di Yōga.
Nel 1876 venne istituita dal governo Meiji la Scuola tecnica di belle arti di Tokyo, prima scuola d'arte Yōga del Giappone. Consulenti stranieri, come l'artista italiano Antonio Fontanesi, furono assunti dal governo per insegnare agli artisti giapponesi, come Asai Chu, le ultime tecniche occidentali.
Nel 1880, la reazione generale contro l'occidentalizzazione e la crescita di popolarità e di forza del movimento Nihonga causò il temporaneo declino dello Yōga. La Scuola tecnica di belle arti fu costretta a chiudere nel 1883 e quando il Tokyo Bijutsu Gakko (precursore dell'Università delle arti di Tokyo) fu istituito nel 1887, l'arte giapponese tradizionale fu la sola a essere insegnata.
Tuttavia, nel 1889, la Meiji Bijutsukai (Meiji Fine Arts Society) fu istituita da artisti Yōga e nel 1893, il ritorno di Kuroda Seiki dai suoi studi in Europa diede nuovo impulso al genere Yōga. Dal 1896, un reparto di Yoga è stato aggiunto al curriculum del Tokyo Bijutsu Gakko, e da quel momento in poi il movimento divenne una componente accettata nella pittura giapponese.
Da quel momento, lo Yōga e Nihonga sono state le due principali divisioni della moderna pittura giapponese. Questa divisione si riflette in materia di istruzione, allestimento delle mostre ed individuazione di artisti. Tuttavia, in molti casi, gli artisti Nihonga hanno anche adottato tecniche pittoriche realistiche occidentali, come la prospettiva e l'ombreggiatura. A causa di questa tendenza a sintetizzare (anche se Nihonga forma una categoria distinta all'interno delle giapponesi mostre annuali Nitten) negli ultimi anni è diventato sempre più difficile tracciare una netta separazione di tecniche e materiali tra Nihonga e Yōga.

Pittori principali
Questa di seguito è una lista dei pittori che sono noti per la pittura in stile Yōga. Va notato che alcuni artisti hanno dipinto anche nello stile giapponese Nihonga e che la divisione tra i due gruppi potrebbe essere sfumata.
Gli artisti sono elencati in ordine di nomi giapponesi, cognome seguito dal nome di battesimo, e per garantire la coerenza, anche se alcuni artisti potranno essere conosciuti al di fuori del Giappone con il loro nome occidentale.


Periodo Meiji (1868-1912)
  • Asai Chū
  • Fujishima Takeji
  • Kenkichi Sugimoto
  • Kuroda Seiki
  • Takahashi Yuichi
  • Yamamoto Hōsui



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La vetrata è un insieme di lastre di vetro a differenti gradi di opacità, montate su intelaiatura di legno o di metallo (per lo più piombo). Viene usata per sigillare ed eventualmente decorare finestre o altro genere di aperture nelle pareti. Può avere funzione di parete divisoria. La tecnica utilizzata con intento decorativo è la pittura del vetro.

Tecnica costruttiva
Sull'intelaiatura vengono montati i frammenti di vetro: può trattarsi di vetro di crogiolo, la cui colorazione è ottenuta aggiungendo ruggine, cobalto o rame alle componenti di base (ossido di calcio e carbonato di potassio) o di vetro placcato (cioè vetro in più stratificazioni, per ottenere varie gradazioni di colore). Inizialmente, l'artefice appronta un cartone preparatorio. Su questa base, vengono tagliate le lastre o con l'aiuto di un ferro incandescente o (a partire dal XV secolo) di una punta di diamante. Le diverse lastre vengono montate su una griglia provvisoria ed eventualmente pitturate con l'utilizzo di grisaille, fissata poi con una cottura a temperature elevate. A questo punto, le lastre vengono unite con l'utilizzo di piombo e montate sull'intelaiatura.

Tecniche moderne e contemporanee
Nel corso degli ultimi due secoli l'evoluzione delle tecniche di lavorazione del vetro, la ricerca plastica di numerosi artisti e il variare degli stili architettonici hanno prodotto nuovi tipi di vetrate, destinate agli stessi usi di quelle tradizionali rilegate a piombo. Le principali sono : - la "dalle de verre", montaggio di vetri colorati di forte spessore (2,5 cm) a mezzo di cemento o resina. - il metodo detto "Tiffany", vetrata dove ogni tessella di vetro è coperta da un fine nastro di rame che permette di saldare insieme i pezzi. - il "fusing", tecnica che permette di fondere insieme vetri di diverse colorazioni.

Storia
Le vetrate esistono dall'epoca romana e si sono evolute nei secoli grazie alle tecniche di lavorazione del vetro.

Origini delle vetrate
Con la scoperta della soffiatura a stampo attorno al 25 d.C. e il conseguente crollo del prezzo del vetro, nell'Impero romano si diffuse l'uso di decorare le terme, gli edifici pubblici e le ville più prestigiose con vetri colorati montati su telai di legno o di metallo. Di queste prime vetrate, cui fa cenno più volte Plinio il Giovane nelle sue lettere, nulla ci resta.
Sotto Ottaviano Augusto, la produzione del vetro divenne una vera e propria industria. I primi visitatori della città di Pompei ebbero modo di osservare vetri ancora collocati nei telai delle finestre di edifici pubblici e abitazioni private. Seneca considerava recente l'uso di applicare lastre di vetro alle finestre.
Con la decadenza economica del V secolo, la produzione di vetrate cessa in Italia, mentre continua nei paesi del Nord Europa e nel Medio Oriente. Nel V secolo il vescovo Sidonio Apollinare descrive le vetrate della Basilica dei Maccabei a Lione.

Medioevo
Le più antiche vetrate integre del mondo si trovano nella cattedrale di Augusta in Germania (del 1130 circa). Si tratta di cinque figure dell'antico testamento (Mosè, Davide, Daniele, Osea e Giona), uniche rimaste di una serie più numerosa. Sono opere tutt'altro che primitive, che testimoniano una perfetta maturità tecnica e la conoscenza della pittura su vetro. La medesima abilità si riscontra nell'abbazia di Tegernsee, dove fiorì un importante laboratorio di vetrate, il cui influsso si estese in tutta la Baviera, superandone i confini verso est. A partire da quest'epoca le testimonianze di vetrate romaniche (di tema religioso, dai colori chiari, a pezzi grandi) si fanno sempre più numerose.
Pur diffusa in epoca romanica, questa tecnica costruttiva e decorativa raggiunse il suo apogeo con l'architettura gotica (soprattutto a motivo dello sviluppo tecnologico in termini di statica che questa architettura portò con sé), divenendone generalizzato l'uso nel secolo XIII.
Rispetto alla vetrata romanica i colori sono più scuri, i pezzi di vetro più piccoli, i soggetti si moltiplicano e comprendono più scene per finestra. Famose in tutto il mondo sono le vetrate della cattedrale di Chartres: eseguite fra il 1150 e il 1240 occupano una superficie complessiva di circa 7000 metri quadrati, per un totale di 176 finestre. Di grande interesse anche la cattedrale di Notre Dame e la Sainte-Chapelle a Parigi, dove la vetrata gotica incontra la sua massima espressione.
In Italia invece l'uso di decorare le finestre delle chiese con vetrate figurative è un fenomeno di importazione, giunto attraverso l'affermarsi dello stile gotico. Per la realizzazione delle vetrate del Duomo di Milano, uno dei maggiori cicli esistenti in Italia, molti maestri vetrai furono fatti venire dalla Germania e dai paesi fiamminghi. Una vetrata autoctona è quella veneziana a rulli (dischi).
Col prevalere dello stile rinascimentale, più sensibile alle rese prospettiche e ai volumi, la vetrata si adattò facendo sempre più uso della pittura. Una delle tecniche che iniziano a prendere piede in questo periodo è la grisaglia, utilizzata a partire dal XV secolo. Si tratta di uno smalto composto da ossido di rame e da un fondente utilizzato per realizzare sfumature e dare corpo a figure e decorazioni.
Con l'avvento del protestantesimo (e la conseguente iconoclastia) e della Controriforma inizia per le vetrate un periodo di declino. A partire dalla Svizzera si diffonde l'uso di piccoli pannelli decorativi di carattere laico, soprattutto stemmi, che ornano le finestre delle case. L'uso del diamante al posto del ferro arroventato permette tagli più arditi. Ma con il passare degli anni si assiste a una perdita di originalità.
Nel periodo barocco l'interesse per la vetrata diminuisce ulteriormente: la conoscenza delle tecniche si è persa tanto che nessuno è più in grado di eseguire i restauri. Solo alla fine del XIX secolo in Inghilterra, grazie alla corrente del Neogotico, in particolare per interesse dei pittori inglesi William Morris e sir Edward Burne-Jones rinasce l'interesse per le vetrate, ma per avere risultati di pregio bisognerà aspettare almeno un ventennio. Si tratta di vetrate per lo più di carattere laico, che ornano gli edifici neogotici.

Art Nouveau ed epoca moderna
A Venezia a metà Ottocento il vetraio muranese Pietro Bigaglia adorna la sua casa con delle vetrate che alternano rulli filigranati di sua produzione a parti in vetro colorato e trasparente.
Con l'Art Nouveau e il Liberty, la vetrata ha il suo grande rilancio, sviluppando forme e cromatismi nuovi. Louis Comfort Tiffany rinnova profondamente la vetrata sia dal punto di vista iconografico che tecnico, introducendo l'uso di vetri opachi, fatti produrre da lui stesso, e sostituendo il profilato in piombo con un nastrino di rame. Artisti come Antoni Gaudí, Mackintosh e Frank Lloyd Wright ne rinnovano profondamente l'aspetto formale.
In Italia mentre la ditta Beltrami lavora a Milano, a Venezia Teodoro Wolf Ferrari e Vittorio Zecchin propongono vetrate svincolate dall'architettura, di piccola dimensione e di grande impatto decorativo.
Attualmente dopo una parziale decadenza nel secondo dopoguerra (in cui ci si occupa soprattutto di restauri), ha fatto seguito una rinascita, con innovazioni che riguardano sia il piano formale che quello tecnico. Ricordiamo solo Chagall, le Corbusier e Anzolo Fuga. Dopo decenni di arredamento spoglio e minimalista l'uso della vetrata come decoro della propria abitazione è in rapida espansione.